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    00 22/04/2010 23:10
    Elefanti alla riscossa!!

    Dall’India rimbalza sulla rete la notizia di un comportamento assai anomalo di alcuni branchi di elefanti in Orissa: si tratta di un fenomeno di cui si ignorano, almeno fino ad oggi, le cause naturali, se vi sono. L’Orissa è tristemente nota per le terribili persecuzioni perpetrate due anni dagli indù ai danni delle comunità cristiane. Ricordiamo i fatti: nel luglio 2008, una grave persecuzione scoppiata contro i cristiani nello stato indiano di Orissa nell’India orientale provoca numerosi morti e molti danni. Una suora di 22 anni è stata bruciata viva, quando una folla infuriata ha dato alle fiamme un orfanotrofio nel villaggio di Khuntpali, nel Distretto di Barhgarh. Un’altra suora è stata violentata da una banda di Kandhamal. Molte le chiese attaccate, furono anche incendiate e distrutte non poche case di cristiani. Il risultato finale è stato di più di 500 cristiani uccisi in odio alla Fede, migliaia di feriti e senza tetto, dopo che le loro case furono ridotte in cenere.

    Ma ora si viene a conoscenza di un evento strano e drammatico che si è verificato in Orissa portando molte persone a riflettere: negli ultimi mesi, branchi di elefanti selvaggi sono scesi nei villaggi dove vivono alcuni dei peggiori persecutori dei cristiani. In un villaggio dove, nei mesi di luglio e agosto del 2008 i cristiani furono costretti a fuggire per salvarsi la vita, mentre le loro case venivano distrutte dai manifestanti, una mandria di elefanti è arrivata dalla giungla circostante esattamente un anno dopo, nello stesso tempo e nello giorno dell’inizio dell’attacco. In primo luogo hanno attaccato una struttura di proprietà di uno dei principali leader della persecuzione anticristiana. Poi si sono trasferiti in città e hanno distrutto la sua casa e fattoria. Nello stato di Orissa, centinaia di abitanti sono stati costretti a rifugiarsi nei campi profughi dopo ripetuti attacchi delle mandrie. Nelle ultime settimane nel distretto di Kandhamal, sette persone sono state uccise e altre ferite in attacchi da parte di un gruppo di una dozzina di elefanti. Il branco sembra aver percorso circa 300 km per arrivare nel Kandhamal. In un crescendo di audacia, gli elefanti attaccano solo le case dei persecutori, lasciando intatte le case cristiane.

    Durante questi strani attacchi gli elefanti hanno distrutto oltre 700 abitazioni in 30 villaggi e ucciso cinque persone. Nessuno nella regione aveva mai visto un branco di elefanti selvaggi come questo. Gli elefanti non si comportano normalmente: sembrano perseguire uno scopo. In genere, gli elefanti più piccoli vanno in avanscoperta: dopo il loro ritorno alla mandria, sono poi più grandi elefanti che si impegnano nel "servizio".

    Un missionario in India, ha dichiarato: "Crediamo che questo può avere qualcosa a che fare con la vendetta per il sangue dei martiri. In realtà, il timore di Dio è disceso sulla popolazione locale, che chiama gli elefanti "elefanti cristiani". I funzionari governativi ammettono anche confusione e impotenza di fronte a questi elefanti che hanno distrutto selettivamente coltivazioni e abitazioni.

    Una domanda: ci sono elefanti a New York?


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    00 27/04/2010 22:25

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    (AGI) -

    Ankara, 27 apr. - Un gruppo di ricercatori composto da esperti turchi e cinesi avrebbe ritrovato la biblica Arca di Noe' sul Monte Ararat, secondo quanto riportato dalla stampa turca.
      Uno dei membri del gruppo, il documentarista cinese, Yang Ving Cing ha dichiarato di aver individuato una vecchia struttura in legno ad una altitudine di 4 mila metri sull'Ararat, situato a Est della Turchia vicino al confine iraniano. L'esploratore, membro di un'organizzazione internazionale dedicata alla ricerca della mitica Arca che permise a Noe' e alla sua famiglia di fuggire al Diluvio Universale, ha detto che i resti ritrovati sono piu' vecchi di 4.800 anni. "Non e' sicuro al 100 per cento che e' l'Arca, ma pensiamo che lo sia al 99,9 per cento", ha detto Ving Cing in una dichiarazione all'agenzia turca Anadolu. "La struttura della barca possiede molti scomparti e si puo' dire che si tratta degli spazi in cui si trovavano gli animali", ha detto.
      Ving Cing ha spiegato di aver gia' contattato il governo turco per chiedere la protezione dell'area e per avviare gli scavi, ed ha aggiunto che chiedera' all'Unesco di inserire questa regione nella sua lista del patrimonio dell'umanita'. Non e' la prima volta che un gruppo dice di aver ritrovato l'Arca sull'Ararat, la montagna piu' alta della Turchia, dove (secondo quanto narra la Bibbia) l'Arca di Noe' si sarebbe arenata.

      (AGI) Red/Mav/Dml

    Finora le notizie al riguardo mostravano queste immagini e presunti collegamenti tra dei pezzi di legno e l'arca di Noè:

    Le immagini presenti qui di seguito sono tratte da un filmato girato dallo scalatore professionista Claudio Schranz sul monte Ararat a 4200 metri di quota, a seguito della scoperta da parte del ricercatore Angelo Palego dell'Arca di Noè. Palego, che ha iniziato le sue ricerche nel novembre del 1984, dopo la prima spedizione da solo sul monte Ararat (agosto 1985) ne ha compiute altre 17 ed organizzate altre 7. Il sito ufficiale dedicato a questa scoperta è www.noahsark.it.

    In queste fotografie, scattate durante la spedizione precedente a quella di Schranz, si può notare una macchia scura di forma geometrica vicino al ghiacciaio "Parrot".


    Come potete vedere dalla fotografia soprastante, si tratta di una grossa trave di legno antico, che sbuca fuori da un cumulo di neve. Secondo Angelo Palego, questa trave si trova a circa 200 metri dal pezzo dell'Arca di Noè sul quale nel luglio 1989 egli ha camminato. Quest'ultimo pezzo, situato a 4300 metri d'altezza, era lungo 100 metri, largo 26 ed alto 15 ed è stato ritrovato grazie alle descrizioni contenute nella Bibbia, come spiegato nel secondo libro scritto da Palego, dal titolo "Come ho trovato l'Arca di Noè".

    Non è stato possibile prelevare un campione del legno, dal momento che un grosso crepaccio divideva Schranz (in scalata solitaria) dalla trave. Il filmato è stato girato il 2 dicembre 2002 a circa 5-6 metri di distanza dall'oggetto.

    Per visionare il filmato, clicca qui (1,67Mb). In caso di problemi di visualizzazione, installa il codec DivX, scaricabile gratuitamente da qui: www.divx.com.

     



    Ecco un articolo di Gianfranco Quaglia, LA STAMPA, 16/12/2002:

    ARCA DI NOE': SUL MONTE ARARAT,
    INCONTRO RAVVICINATO CON LA LEGGENDA 

    Claudio Schranz, la guida che ha scalato
    la montagna trovando una trave dell'arca

     

    La trave sbuca dal ghiacciaio del Monte Ararat, a 4200 metri di quota. E´ visibile a occhio nudo e lui, la guida alpina Claudio Schranz di Macugnaga, non ha più dubbi: è un frammento dell´Arca di Noè. L´ha vista e l´ha fotografata a una distanza di cinque metri. E´ la mattina del 2 dicembre, Schranz è un alpinista di 51 anni, con all´attivo centinaia di spedizioni in tutto il mondo. Ma quel legno che sbuca per una settantina di centimetri è qualcosa di strano e inconsueto. 

    CHE COSA HA PROVATO IN QUEL MOMENTO? 
    "Un´emozione indescrivibile, qualcosa che non avevo mai sentito dentro di me, malgrado tutte le spedizioni a cui ho partecipato in oltre trent´anni della mia vita, dal Nepal all´Himalaya, al Messico, alle Ande e alle Montagne Rocciose". 

    MA COME PUÒ ESSERE SICURO CHE QUEL LEGNO APPARTENGA VERAMENTE ALL´ARCA DI NOÈ E NON PUÒ TRATTARSI DI QUALUNQUE ALTRO REPERTO?
    "A quelle altitudini non esistono insediamenti umani: un legno di quelle dimensioni, anzi una trave, può essere soltanto portata o al massimo finire lì. Gli studi sull´Arca di Noè sono stati compiuti da Angelo Palego, di Trecate, in provincia di Novara, che da quindici anni insegue questo sogno e più volte è venuto quassù, ha anche camminato sul ghiacciaio che custodisce un grosso frammento dell´imbarcazione. Dopo aver compiuto la diciottesima spedizione, mi ha chiesto di provare a raggiungere la zona da lui indicata perchè aveva intravisto qualcosa di strano. Le sue coordinate erano esatte, lui ha condotto ricerche precise riferendosi alle indicazioni della Bibbia. Tutto sembra corrispondere. L´Arca, dopo il diluvio, si sarebbe posata sull´Ararat e si sarebbe poi spezzata in due in seguito a un terremoto. Il frammento visto da me potrebbe essere una trave della base dell´imbarcazione. Ne sono praticamente certo, anzi mi sento di avallare al cento per cento la tesi di Palego". 

    L´ARCA AFFIORA DOPO 4371 ANNI ED È UNA SCOPERTA SCIENTIFICA STRAORDINARIA. ALTRI PRIMA DI LEI HANNO PORTATO TESTIMONIANZE DELLA SUA ESISTENZA, A COMINCIARE DAL FRANCESE NAVARRA. POI CI SONO STATE LE RILEVAZIONI DEI SATELLITI AMERICANI E ANCHE MESSNER HA VOLUTO AVVENTURARSI LASSÙ. LEI PERÒ PORTA QUALCOSA DI NUOVO. ERA SOLO IN QUEL MOMENTO? 
    "Andiamo con ordine e ripercorriamo l´avventura. Ricevo la telefonata di Palego, noto per le sue spedizioni (ricordate quando fu preso prigioniero dai guerriglieri curdi di Ocalan e liberato con l´intervento del governo italiano?) e parto per la Turchia. Quella montagna mi interessava, l´obiettivo anche. Prima di affrontare la scalata mi affido a due alpinisti del luogo, so bene che la stagione è molto avanzata e che troverò difficoltà, tanta neve. Mi accompagnano sino a un certo punto, con due asini. Ci accampiamo, ma il tempo è pessimo e a un certo punto gli animali affondano nella neve sino al dorso. I miei compagni decidono di tornare a valle e io rimango da solo, ma non posso più arrendermi. Proseguo tra molte difficoltà, mi travolge anche una valanga e cado per tre volte nei crepacci. Ero già stato lassù altre volte da solo, ma non nella stagione invernale. E´ stata dura, ma alla fine ce l´ho fatta". 

    QUANDO SI È RESO CONTO CHE AVEVA RAGGIUNTO VERAMENTE IL POSTO ESATTO?
    "Ho ripreso la marcia a mezzanotte e all´alba del 2 dicembre ero sul luogo. Dall´alto, con un cannocchiale, si distingueva distintamente sotto il ghiacciaio Parrot la sagoma di una striscia scura che spuntava in superficie per circa un metro. Ho avuto un sussulto e mi sono avvicinato sin dove ho potuto, a una distanza di cinque-sei metri. Non ho potuto di più, perchè temevo di cadere in un crepaccio. Ma tanto bastava per vedere a occhio nudo che quella struttura lignea annerita, forse perchè intrisa di pece, era una trave, con i suoi spigoli e uno spessore di circa 30 centimetri. Ho estratto la telecamera dallo zaino e nel silenzio più assoluto ho filmato. Il video dura un´ora ed è visibile sul sito Internet www.noahsark.it". 

    CHE COSA ACCADRÀ IN FUTURO? 
    "La trave è a 200 metri di distanza dal punto in cui Palego anni fa individuò la sagoma di una porzione di Arca, sotto i ghiacci. Ebbene io tornerò lassù l´estate prossima e cercherò di estrarre in parte quel frammento, ma occorre la collaborazione delle autorità turche. In ogni caso un pezzo, almeno un pezzetto, lo porterò in Italia". 


    A sinistra l'arca di Noè fotografata da Angelo Palego, a destra una ricostruzione al computer.

     

    ORA PERO', VI SONO QUESTE  NUOVE NOTIZIE, DA VERIFICARE OVVIAMENTE, CHE SE CONFERMATE, APRONO NUOVI FRONTI DI RICERCA.

     
    [Modificato da Credente 28/04/2010 12:23]
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    00 28/04/2010 12:20

    Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci

     

    I bambini, salvati da Gesù (e Galli non lo sa)

    Posted: 27 Apr 2010 01:38 AM PDT

    A volte per la Chiesa sono più insidiose certe difese che gli attacchi che subisce. E’ il caso dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera di ieri.

    Galli sostiene che, a proposito della questione pedofilia e clero, la drastica opera di pulizia intrapresa da Benedetto XVI, “senza guardare in faccia a nessuno”, deriverebbe da un adeguamento della Chiesa alla mentalità moderna dell’occidente laico che considera un male assoluto gli abusi dei pedofili.

    Dice: “la Chiesa ha finito per fare rapidamente proprio, senza riserve o scostamenti di sorta, il punto di vista affermatosi (peraltro recentemente e a fatica, ricordiamocelo) nella società laica occidentale”.

    Galli aggiunge: “si tratta beninteso del punto di vista della società occidentale, non molto condiviso, come si sa, da altre società come quelle islamiche o afro asiatiche”. Poi conclude che l’Occidente sarà scristianizzato, ma la Chiesa di Roma è sempre più “occidentale”.

    Una tesi che sembra voler arruolare il Papa fra le file “laiche”. Ma in base a cosa Galli ritiene che sia grazie alla mentalità laica moderna che si è cominciato a ritenere criminale l’abuso dell’infanzia? Non lo dice.

    Purtroppo per lui c’è chi sostiene con corposi argomenti il contrario. Infatti sullo stesso Corriere, il 19 aprile scorso, Vittorio Messori scriveva: “La pedofilia… è addirittura lodata e raccomandata da filosofi, come avvenne nell’ antica Grecia e com’è avvenuto nel Sessantotto europeo e americano”.

    Messori intende dimostrare – mi sembra – che non è affatto l’occidente laico e moderno ad aver pronunciato la condanna unanime, senza appello, senza se e senza ma, della pedofilia.

    Lo scrittore cattolico cita intellettuali, testi, manifesti. Che si potranno discutere, ma sono la base concreta del suo ragionamento. Mentre Galli non fornisce documentazione di quanto afferma. Cosicché la sua tesi risulta infondata.

    Del resto – al di là delle discussioni filosofiche – è tristemente noto che nei costumi attuali delle società occidentali la pedofilia è diventata un fenomeno criminale molto vasto e forse in crescita. E’ difficile sostenere che questo Occidente si possa davvero presentare come maestro in fatto di condanna della pedofilia.

    Soprattutto è improbabile che possa impartire lezioni alla Chiesa, nella quale, stando a sociologi come Jenkins e Introvigne, la percentuale di pedofili – per quanto amplificata dai mass media – è microscopica e assai inferiore a quella mondana.

    Se il Papa ha intrapreso una lotta così drastica a questo oscuro fenomeno non è perché abbia aderito alla mentalità del mondo, come scrive Galli, ma – al contrario – è perché giudica intollerabile che ci siano sacerdoti (seppure rarissimi) che cadano in questi vizi oscuri e criminali che vengono dal mondo (dal mondo in senso giovanneo, come luogo del “principe delle tenebre”).

    Inoltre il papa giudica che la logica troppe volte seguita dal ceto ecclesiastico fino ad oggi (del coprire certi crimini per non svergognare la Chiesa) tradisca Gesù Cristo e la missione da lui affidata alla Chiesa, esponendo ai “lupi” gli agnelli, cioè i figli di Dio più piccoli e indifesi.  

    Il Papa – diversamente da Galli – sa che proprio grazie all’irrompere del cristianesimo, per la prima volta nella storia, è diventato un tabù assoluto la violazione dell’infanzia.

    Nell’antichità, prima dell’arrivo del cristianesimo, era possibile qualsiasi perversione o abuso, fino a estremi criminali, anche sull’infanzia.

    Svetonio – per dire – racconta che Nerone, “oltre al commercio con ragazzi liberi e al concubinato con donne maritate… dopo aver fatto tagliare i testicoli al ragazzo Sporo, cercò anche di mutarlo in donna, e se lo fece condurre in pompa magna, come nelle cerimonie nuziali solenni, e lo considerò come moglie legittima”.

    Al di là del “caso Nerone”, è l’antichità in sé che è barbara e feroce. Pure l’antichità dei filosofi greci. Feroce con tutti i deboli, a cominciare dai bambini.

    Poi arriva Gesù di Nazaret ed è un ciclone che rivoluziona tutto. Perfino la sottile violenza psicologica sull’anima pura dei bambini è per lui un crimine intollerabile: “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18,6).

    Gesù va anche oltre: i bambini per lui costituiscono addirittura l’esempio da cui devono imparare i grandi e i sapienti. Sono i bambini i depositari della più vera e profonda sapienza. Sono loro – dice esplicitamente Gesù – i veri eredi del Suo Regno e chi segue Gesù deve “tornare come loro”.

    Un giorno, in un villaggio, il Maestro si siede e chiede agli apostoli di cosa discutevano per la via. Loro sono imbarazzati perché – come certi ecclesiastici di oggi – si contendevano le poltrone pensando al “regno” da lui annunciato come a un regno mondano.

    Allora Gesù li fissa negli occhi e ribalta i loro cuori, rivoluzionando il mondo: “se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Quindi, “preso un bambino, lo pose in mezzo” e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt. 18, 2-5).

    E’ proprio l’irrompere del cristianesimo infatti che dà per la prima volta alla vita nascente, ai bambini uno “status” umano, anzi divino. Il solo caso in cui Gesù pronuncia parole di condanna (e di condanna tremenda: la macina al collo) è quello che riguarda chi scandalizza i piccoli.

    Perfino Mauro Pesce e Corrado Augias nel loro “Inchiesta su Gesù”, pur così acido con la Chiesa, riconoscono che “non si può apprezzare la forza di queste parole (di Gesù, nda) se non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva, erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo”.

    E’ letteralmente Gesù ad aver inventato l’infanzia, ad aver affermato cioè, una volta per sempre, che i bambini sono esseri umani e che sono sacri e inviolabili.

    Lo riconoscono anche i filosofi più laici. Richard Rorty – guru del neopragmatismo americano – in “Objectivity, relativism and Truth. Philosophical papers” osserva: “se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”.

    E’ con Gesù che si ribalta tutto e i piccoli o i malati o gli schiavi – che fino ad allora erano considerati oggetti da usare e abusare – diventano divini, quindi sacri e preziosi come il Figlio di Dio stesso che proprio in essi si è voluto identificare. Da qui l’atto d’accusa di Nietzsche: “Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito”.

    E’ vero. Al contrario di quanto scrive Galli, se nel pensiero moderno ogni tanto fiorisce il seme dell’umanesimo è perché è la Chiesa che ce l’ha piantato. Dunque inconsapevolmente la stampa che attacca, contro la pedofilia, fa un’apologia del cristianesimo.

    Per questo il papa, nelle scorse settimane, non ha gridato al complotto, ma ha denunciato il peccato più ancora della stampa, ha pianto con le vittime e ha giudicato “una grazia” provvidenziale perfino questa aggressiva campagna di stampa.

    Perché pensa che Dio l’abbia permessa per purificare la sua Chiesa e farle ritrovare Gesù. Così l’umiltà del papa a Malta ha commosso le vittime e ha conquistato milioni di cuori. E’ la strana vittoria della debolezza. La “debolezza” della fede.

     

    Antonio Socci

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    00 28/04/2010 12:29

    Testimoni Digitali


    Da pochi giorni è terminato il Convegno “Testimoni Digitali” promosso dalla CEI e tenutosi a Roma dal 22 al 24 Aprile 2010.
    Tra i circa duemila partecipanti, c’eravamo anche noi di Regina Mundi.

    Ancora risuonano nella nostra mente e nel nostro cuore gli insegnamenti tecnici, morali e religiosi che sono stati espressi dai qualificatissimi relatori:

    S. Em il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
    S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
    S. E Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali
    S.E Mons. Claudio Giuliadori, Presidente della Commissione Episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana.
    Padre Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa Vaticana, Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano
    Mons. Domenico Pompili, Sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana e Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali
    E ancora numerosi docenti di Sociologia , Massmediologia e Semiologia della Luiss e dell’Università Cattolica, e dell’Università Lateranense, Direttori di Giornali e Agenzie di Stampa, Radio e Televisione.
    Il Convegno è stato concluso dal Santo Padre Benedetto XVI
    All’udienza, in Aula Paolo VI, dove è stata tenuta la fase finale dei lavori, hanno partecipato circa ottomila operatori della Comunicazione e della Cultura.

    Testimoni DigitaliCi rendiamo conto che i media sono nella nostra vita e anche se non vogliamo, la orientano e la condizionano. Spesso ci sovrastano. Tanti messaggi che ci giungono possono essere bellissimi, come brutti, orribili.
    Le proposte e le informazioni sono moltissime e spesso è una vera e propria battaglia per affermare i propri contenuti, per conquistare consumatori, per la propaganda politica, per l’affermazione di ideologie.
    I testimoni digitali della fede oggi si trovano a vivere come al tempo dei primi cristiani, afferma il Sociologo della comunicazione Guido Gili.
    Viviamo in un contesto di vivace pluralismo culturale e religioso, per cui la fede cristiana torna ad essere una questione di adesione personale.
    Noi condividiamo la fede degli Apostoli dice Il Cardinale Angelo Bagnasco, e come loro, anche noi siamo chiamati all’annuncio.
    La rete rappresenta per noi “gli estremi confini della terra” dove stare e dialogare. Siamo chiamati a usare i social media come occasione e strumento di maggiore condivisione, senza perdere l’identità e la responsabilità dei contenuti, senza ingenuità ne demonizzazioni.
    La rete è un ambito, come altri, per annunciare il Vangelo, per diffondere temi di fede, famiglia, giustizia sociale, vita, Chiesa, spesso taciuti per paura di esporsi.
    Si lasciano parole non dette per una presunta pace digitale, lasciando così spazio ai disvalori che proliferano sulla rete.
    Il Cardinale invita gli operatori della cultura a essere “sale di sapienza e lievito di crescita”, propositori di contenuti alti e di alti ideali.
    In questo vasto mare digitale che così come può unire, può anche separare ed escludere, creando gravi divari tra inclusi ed esclusi, il Santo Padre, come un faro nella notte, ci indica l’orientamento da seguire:

    “Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete.
    È questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa: il compito di ogni credente che opera nei media è quello di "spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo «digitale» i segni necessari per riconoscere il Signore" (Messaggio per la 44a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come "animatori di comunità", attenti a "preparare cammini che conducano alla Parola di Dio", e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti "sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche" (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di "portico dei gentili", dove "fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto" (ibid.).”

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    00 20/05/2010 21:57

    E' apparsa questa notizia che sembra dimostrare la creazione della vita in laboratorio:


    Ecco l'inizio della «vita artificiale»

    Costruita la prima cellula

    Svolta epocale nella ricerca. È controllata da un Dna sintetico ed è in grado di dividersi e moltiplicarsi


    PRIMA APPLICAZIONE: batteri in grado di produrre biocarburanti

    Ecco l'inizio della «vita artificiale»
    Costruita la prima cellula

    Svolta epocale nella ricerca. È controllata da un Dna sintetico ed è in grado di dividersi e moltiplicarsi

    ROMA - È stata costruita in laboratorio la prima cellula artificiale, controllata da un Dna sintetico e in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente. Il risultato, pubblicato su Science, è stato ottenuto negli Stati Uniti, nell'istituto di Craig Venter. Si tratta di una svolta epocale nella ricerca.

    La prima cellula artificiale
    La prima cellula artificiale
    BATTERI SALVA-AMBIENTE - Con questo nuovo passo il traguardo della vita artificiale è ormai più vicino che mai e si comincia a intravedere la realizzazione di uno dei sogni di Venter: costruire batteri salva-ambiente con un Dna programmato per produrre biocarburanti o per pulire acque e terreni contaminati. Dopo avere ottenuto il primo cromosoma artificiale, la sfida è riuscire ad attivarlo, aveva detto Venter appena due anni fa. Adesso ha raggiunto il suo obiettivo e lo ha fatto unendo, come tessere di un puzzle, i risultati ottenuti negli ultimi cinque anni. Il primo passo, nel 2007, era stato la costruzione di un Dna sintetico; quindi nel 2009 sempre il gruppo di Venter ha eseguito il primo trapianto di genoma da un batterio a un altro. Adesso è ancora lo stesso gruppo, coordinato da Daniel Gibson, ad aver combinato i due risultati e aver assemblato la prima cellula sintetica.

    Craig Venter (Ansa)
    Craig Venter (Ansa)
    «COMINCIA L'ERA POST-GENOMICA» - «Si tratta di un traguardo fondamentale dell'ingegneria genetica, non solo per possibili risvolti applicativi, ma anche perché segna la tappa iniziale dell'era post-genomica» commenta il genetista Giuseppe Novelli, preside della facoltà di Medicina dell'Università di Tor Vergata di Roma. «Di fatto Venter ha creato qualcosa che prima non c'era, un batterio prima inesistente, perché il genoma artificiale che ha costruito con una macchina in laboratorio contiene dei pezzetti di Dna che non esistono nel genoma del batterio presente in natura». Venter ha fatto tutto con una macchina, spiega ancora Novelli. «Prima ha letto la sequenza genomica del batterio in un database genetico, poi con un macchinario ha ricostruito chimicamente il genoma, aggiungendovi però nuove sequenze. Ha fatto pezzetti, ciascuno di 10 mila lettere di codice, poi li ha assemblati insieme fino a creare un genoma di oltre un milione di paia di basi. Poi ha inserito il genoma artificiale in un batterio svuotato del suo Dna e ha costruito una nuova forma di vita che funziona e si riproduce. La cellula così creata, infatti, prima non esisteva, e il suo genoma porta i segni distintivi della sua differenza dal batterio esistente in natura». «In futuro - conclude Novelli - si potranno creare nuove forme di vita capaci di produrre farmaci o di aiutarci contro l'inquinamento, per esempio batteri mangia-petrolio». (Fonte: agenzia Ansa)

     

     


    20 maggio 2010



    Ecco cosa spiega una studiosa, al riguardo:



    La vita della cellula non è data dal DNA, ma dalle proteine che la compongono che le permettono di scambiare informazioni con l'ambiente, di costruirsi fonti di energia a partire dal un substrato, che le permettono di svolgere e riavvolgere il DNA stesso, assemblarlo, replicarlo, etc.
    Se privi una cellula di tutte le sue proteine muore immediatamente. Se privi una cellula del suo DNA sopravvive benissimo, anche se non ha le istruzioni per costruire nuove proteine una volta che queste sono danneggiate irrimediabilmente. (Vedi i globuli rossi, privi di DNA, ma efficacissimi nello svolgere il loro nuovo compito).
    Se ci pensi, che anche Darwin diceva che le prime forme di "vita" furono le proteine... il DNA è venuto molto dopo.

    Quello che questi scienziati hanno fatto è prendere del DNA batterico, copiarlo tramite una sintesi chimica, aggiungendo alcuni pezzi che probabilmente codificheranno per proteine simili a proteine già esistenti in natura... Dopodichè l'hanno inserito in una cellula VIVENTE a cui era stato levato il DNA (che viveva non grazie al lavoro di questi scienziati, ma ben prima, durante e dopo che il suo DNA fosse tolto).
    Questo processo è molto simile a quello usato da anni per sintetizzare l'insulina umana da somministrare ai diabetici... cambia solo il fatto che il gene che codifica per l'insulina è preso "tale e quale" dalle cellule umane e inserito nel cromosoma batterico originale.

    Insomma... sarebbe come se io prendessi una Ferrari, levassi il motore, ne costruissi uno uguale copiandolo dall'originale e lo montassi sull'auto... e poi mi vantassi di avrei inventato la Ferrari!!!

    Non dubito che se l'intero processo fosse applicato a TUTTI i costituenti di una cellula, non solo agli acidi nucleici, otterremo comunque un essere in grado di autoreplicarsi, ma sinceramente, questo mi pare bel lontano dall'idea di aver "costruito la vita". A parte il fatto che costruire una cellula a partire da zero è ancora impossibile per la complessità della sintesi dei vari costituenti e soprattutto per la struttura della cellula stessa... ma soprattutto, CREARE la vita da zero, vorrebbe dire invertarsi proteine con una data funzione (poi un DNA che le codifichi), senza ispirarsi a proteine già esistenti.

    Detto questo, in chiunque non sia strettamente ateo, questo non dimostra un bel nulla. Senza voler sconfinare nel bigottismo religioso o nel parere della Chiesa (che per me vale meno di zero), capisci che questo esperimento non dice nulla di nuovo a parte il titolo da "scoop" che non esiste? Si è ancora ben lontani dal creare una vera nuova vita in laboratorio... e anzi, in chi ha dubbi che forse qualcuno o qualcosa di "superiore" possa esserci (che sia il Dio biblico o un'energia cosmica), questo esperimento da l'ennesima riprova di quanto sia complicata la vita. Se finora non si è riusciti a progettare neanche una semplice proteina funzionante, quanto può essere difficile che l'infinità varietà esistente su questo pianeta si sia progettata da sola a partire da un paio di scariche elettriche in un brodo di ammoniaca?
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    00 22/05/2010 05:49
    Il tema aborto mi sta molto a cuore per una serie di ragioni.

    Ritengo che se i credenti fossero uniti, come dovrebbero, nel respingere l’idea di aborto come “diritto”, e pertanto libero e gratuito, vi sarebbe oggi un bilancio meno agghiacciante con cui fare i conti. Fermo restando che anche un solo aborto è il baratro della nostra umanità.
       Parliamo di tre milioni di bambini non nati nel solo 2008 in Europa.
    E’ vero tuttavia che il fronte abortista ha operato una raffinatissima divisione nel mondo dei credenti, presentando un messaggio FALSO prima di tutto dal punto di vista scientifico: il feto come materia non autonoma e inconsistente! Chi non ha fatto perciò la fatica di leggere, di informarsi (basta anche guardare su internet le foto di un bambino all’ottava settimana di gestazione per vedere un essere umano), continua purtroppo a credere in buona fede che si tratti di un intervento come un altro. Accanto a questa menzogna, che tuttavia può essere smascherata con un lavoro informativo su larga scala (se ve ne fosse la possibilità), c’è poi il sofisma micidiale che ha attecchito come la zizzania, e che rappresenta  la vera, autentica vittoria degli abortisti: “l’aborto è un male, ma una legge è il “male minore”, non si può togliere a chi non la pensa come te la libertà di praticarlo”.
        E’ evidentemente mancato in questi ultimi trent’anni un lavoro di informazione, di educazione, di persuasione, che spettava come primo dovere ai genitori cattolici, ai parroci, ai catechisti, ai collaboratori diocesani, a chiunque sapeva e poteva fare qualcosa. E’ un peso enorme, del quale sono certa il Signore chiederà conto. Dopo l’approvazione della legge 194 si sono in qualche modo tirati i remi in barca: a nessuno è importato più niente. Solo la voce del Papa ha tuonato a più riprese ma purtroppo non è stato ascoltato dalle istituzioni, forse da qualche persona che in coscienza ha seguito il suo richiamo.

    Il problema dell'aborto, lungi dall’essere risolto dall'emanazione della legge 194, cominciava esattamente da quel momento. Passo dopo passo, anno dopo anno, l’abortismo è penetrato così nel tessuto personale e sociale. Ma quel che è peggio si è trasformato in una mentalità, tanto che a sollevare soltanto il problema, al punto in cui siamo, si prendono solo insulti.
    L’esame di coscienza non deve essere solo sulla pedofilia. L’aborto legale, libero e gratuito, è una piaga altrettanto grave. Prima lo si comprenderà e prima potrà cominciare quella purificazione necessaria, e della quale il Santo Padre sta ribadendo l’urgenza».
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    00 09/06/2010 22:25
    10 ANNI FA L’OMICIDIO SATANISTA DI SUOR LAURA MAINETTI Stampa E-mail

    10 ANNI FA  L’OMICIDIO SATANISTA DI SUOR LAURA MAINETTISono trascorsi dieci anni esatti dall’omicidio di Suor Maria Laura Mainetti, uccisa a Chiavenna, in provincia di Sondrio, il 6 giugno 2000, da tre ragazze che allora avevano  diciassette anni. La religiosa che faceva parte dell’Istituto delle Figlie della Croce di Sant’Andrea e superiora dell’istituto “Immacolata” era nata a Colico in provincia di Lucca il 20 agosto 1939 ed era suora dal 25 agosto 1964 e per tutta la vita si era dedicata all’insegnamento. La suora  conosciuta da tutti per la sua bontà e per la sua carità, è stata colpita da diciannove coltellate in una stradina all’imbocco del Parco delle Marmitte dei Giganti. Si è trattato di un vero sacrificio esame dedicato al diavolo. Le tre ragazze, infatti, erano appassionate di esoterismo e rock satanico. Nei loro diari gli inquirenti hanno trovato immagini e i testi delle canzoni di Marilyn Manson e poi simboli diabolici come la crocfe rovesciata e il “sei sei sei”, numero biblico dell’Anticristo. La suora  ...

    ... era una persona disponibile, sempre pronta a correre in aiuto di chi era in difficoltà. La sera del delitto, una delle ragazze le telefonò fingendosi disperata perché era rimasta incinta dopo aver subito una violenza sessuale in famiglia e le chiese un incontro, ma era una trappola.

    La religiosa è stata convinta a recarsi in una zona isolata, in mezzo al bosco, e il giorno dopo è stata ritrovata in una pozza di sangue, trafitta da diciannove coltellate al volto, alla gola e al torace.

    Durante gli interrogatori, le tre ragazze hanno rivelato che a “Satana sarebbero bastate diciotto coltellate”. Sei colpi per una, in modo da comporre il diabolico numero “sei sei sei”. Ma il colpo dato in più, secondo le giovani, avrebbe rovinato il rito.

    Le ragazze hanno raccontato che suor Maria Laura, mentre riceveva le coltellate, era in ginocchio e pregava a mani giunte. Le sue ultime parole sono state: “Signore perdonale”, mentre le ragazze continuavano a trafiggerla e a insultarla: “Muori, bastarda”.

    La cosa più inquietante è che le diciassettenni, per rafforzare quel folle patto, hanno compiuto una serie di riti satanici. Uno, in particolare: ognuna delle tre assassine si è procurata una ferita, alla mano o al polso, per raccogliere un bicchiere di sangue da bere come eterno giuramento e dono di vestizione nel nome di Lucifero. La notizia della morte di suor Maria Laura Mainetti è stata diffusa da Radio Vaticana e l’episodio ha suscitato tanto stupore e commozione per il martirio di questa suora.

    In occasione dell’omicidio della suora, don Agostino Clerici, direttore del settimanale della Diocesi di Como, in un articolo ha scritto: “Il satanismo trova spazio laddove vien meno la religiosità; la maleducazione troneggia dove manca l’educazione; il male serpeggia quando gli spazi del bene sono ridotti al lumicino. La cultura del nulla è un’atroce utopia: il nulla, infatti, non esiste; quando c’è il nulla, di fatto c’è già il male. Tutto è ancora più drammatico in quell’età in cui ai “lutti” dell’infanzia dovrebbero sostituirsi le “nascite” della vita adulta.

    L’adolescente ha bisogno di essere amorevolmente e tenacemente educato al sacrificio. Solo il sacrificio partorisce il bene. Oggi lo si rifugge, in una società dell’avere che lasci trasparire sempre più la povertà dell’essere.

    E se il sacrificio non conduce ai valori, il suo posto è preso fatalmente da un protagonismo malsano. La noia occupa un vuoto di ideali. E il gioco è un gioco… di morte. È accaduto a Chiavenna”. Oggi, Ambra, Milena e Veronica, le tre assassine della suora sono in libertà.  Nel luogo del martirio di suor Laura, che è divenuto meta di pellegrinaggi, è stata posta una Croce in granito dove è stato inciso il motto evangelico: “ Se il chicco di grano muore, porta molto frutto”. Nel decimo anniversario del barbaro assassinio è stata inaugurata una casa di accoglienza della Caritas che porta il nome della suora che ha speso tutta la sua vita nell’educazione dei ragazzi.

    Don Marcello Stanzione

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    00 11/06/2010 23:18

    La "Cristianofobia" e la tiepidezza dell'Occidente

    di Vittorio Messori

    “Cristianofobia“ in un Occidente sempre più  secolarizzato? “Cristianicidio“ in un Islam sempre più fanatizzato? Neologismi di attualità drammatica, approssimandosi i funerali a Milano del vescovo cappuccino assassinato in Turchia. Sono in molti a non credere nella tesi dello squilibrato, visti anche i precedenti di omicidi di cristiani,  attribuiti dalle autorità locali a pazzoidi fuori controllo. A questa sorta di noncuranza  islamica, si accosta quella dell’Occidente, pronto a indignarsi e a manifestare nelle piazze per ogni buona causa, vera o presunta che sia, ma che qui sembra aver messo la sordina alle proteste. La nostra indignazione è, semmai, per la minaccia al benessere  di pesci ed uccelli nell’inquinato Golfo del Messico, più che per i credenti nel Vangelo martirizzati in Asia e in Africa. Eppure, statistiche irrefutabili mostrano che  il cristianesimo è di gran lunga la religione più perseguitata nel mondo. A dar la caccia al battezzato non ci sono solo i soliti musulmani –o, almeno, le loro frange estremiste- ma in prima fila stanno anche gli induisti che, nel mito liberal, erano il paradigma della tolleranza nonviolenta. Non mancano casi di violenza sanguinaria anche da parte dei “pacifici“ buddisti, per non parlare delle mattanze cui volentieri si dedicano gli adepti delle vecchie e nuove religioni dell’Africa Nera.

    Perché tanto odio e perché tanta rimozione da parte nostra, davanti a quello che talvolta assume il volto terribile del massacro? Il credente scorge qui significati   ultramondani, sulla scorta delle parole di Gesù: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi“. La possibilità del martirio fa parte di una prospettiva      che ha le sue basi nel Vangelo stesso. Per dirla con Chesterton, il convertito: “Il nostro simbolo è la croce sul Golgota, non la villetta nei  sobborghi verdi di Londra“.

    Ma, al di là della lettura religiosa, quali fattori storici hanno creato e alimentano l’avversione per i cristiani? Per stare al caso che oggi più inquieta, quello musulmano, spesso non si considera che non in tempi remoti, bensì alla fine della seconda guerra mondiale, non vi era nessun Paese islamico che potesse dirsi indipendente. Tutti, senza alcuna eccezione, facevano parte di un impero coloniale europeo o erano sottoposti al suo protettorato. Il cristianesimo era, per un Islam frustrato e ridotto all’impotenza, la religione dei “padroni“: un paradosso, tra l’altro, per casi come la Francia o il Belgio, dove la classe politica dirigente era impegnata in patria nella lotta contro la Chiesa e nelle colonie ostacolava i missionari cattolici e spingeva per la creazione di logge massoniche. Ma un paradosso anche nell’impero britannico, dove si favoriva la Chiesa anglicana –questa “Camera dei Lords in preghiera“, com’era definita– che, più che il Vangelo, annunciava virtù civili, pregiudizi,  eccentricità  dell’establishement politico britannico. Ma erano distinzioni che furono cancellate nella propaganda per la decolonizzazione, dove il “tiranno europeo“ era identificato tout court con il cristiano. Nel caso del Medio Oriente, la situazione è stata molto  aggravata dall’inserzione di Israele, sentita come una violenza: il grande padrino nordamericano dello stato ebraico si vanta di essere il paladino del cristianesimo biblico, vi è sorto addirittura il potente movimento dei “cristiani per il sionismo“ (Bush junior ne faceva parte), per il quale il ritorno degli ebrei in Palestina  va  favorito, come annuncio  dell’apocalisse e del ritorno glorioso di Cristo. Così, l’avversione per Israele è diventata per le folle musulmane avversione per la fede nell’ebreo Gesù. Anche zone superstiti di tolleranza religiosa, come l’Iraq del laico Saddam, sono state avvelenate dalla violenta aggressione dei “cristiani“ americani.

    Quanto a noi e alla nostra mancata mobilitazione: è indubbio che parte influente  del media-system occidentale sta dalla parte di coloro che –come già i giacobini del 1793– vorrebbe “chiudere finalmente la parentesi cristiana“. Enjamber deux millénaires, scavalcare due millenni e ricominciare da capo, scrostandoci da dosso l’eredità funesta di quel Crocifisso che non a caso l’Unione Europea vuole togliere dai muri. Può una Unione così -che rifiuta persino l’evidenza storica, negando le sue radici cristiane- può forse indignarsi se, nel mondo, è scomoda la situazione di una credenza per la quale si auspica che non ci sia futuro? Un certo vittimismo cristiano lascia perplessi, come pure un complottismo un po’ paranoico: è indubbio, però, che al prevedibile aumento della violenza contro i credenti nel Vangelo non si accompagnerà un aumento della solidarietà nei Paesi stessi che di quella fede furono i privilegiati. 

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    00 12/06/2010 21:54
    Il perdono é il fondamento della nostra fede. Un vero ed autentico perdono non prescinde dalla giustizia e dalla riparazione del danno. Ci ama sempre anche quando siamo distratti e distanti da Lui, Dio ci pensa e vuole bene Stampa E-mail

    Il  perdono é il fondamento della nostra fede. Un vero ed autentico perdono  non prescinde dalla giustizia e dalla riparazione del danno. Ci ama  sempre anche quando siamo distratti e distanti da Lui, Dio ci pensa e  vuole bene"Il perdono é una grande medicina per l' anima": lo afferma Monsignor Giovanni Battista Pichierri, Arcivescovo di Trani, Pastore quanto mai buono e attaccato al proprio gregge. Sviluppiamo con lui uno dei due temi forti del branno evangelico della domenica, il perdono: " il cristianesimo, quello vero, non é un fatto farisaico o di facciata. Non basta proclamarsi cristiani e magari partecipare a riti e devozioni. Questo aiuta, é bello, ma serve coerenza nei comportamenti". In che cosa consiste questa coerenza?: " cercare,nei limiti delle possibilità e della nostra attitudine di peccatori, di vivere secondo e conformi al modello di Cristo, il quale é il perdono fatto a persona. Sulla Croce dirà, perdonali perché non sanno quello che fanno, non manda parole di collera o di maledizione. La morte in Croce é stato il massimo atto di amore e perdono. Il perdono é sempre disinteressato, non sia mai finalizzato ad una contropartita o alla  notorietà, questa sarebbe la mortificazione del perdono". Ma che cosa bisogna fare per ottenere il perdono?: " avere umiltà, riconoscersi peccatori e saperlo chiedere. Il perdono però non esime dalla giustizia e le due cose viaggiano di pari passo. In parole povere non basta chiedere perdono, ma per ottenerlo bisogna riparare concretamente e con atti, il danno commesso, il perdono ha un prezzo, non si ottiene a buon mercato". 

    Occorre anche saper perdonare agli altri: " questo é difficile, perché ci scontriamo talvolta con uno dei nemici più insidiosi nella nostra vita, l'orgoglio. Il non perdonare talvolta, é figlio di un atteggiamento di superbia, mentre l' amore é sconfinato. Ecco dunque che accanto al chiedere perdono, occorre anche saper perdonare i danni subiti. Il Padre Nostro recita apputo perdona i nostri peccati come noi li perdoniamo a  chi ci offende, é una cosa reciproca".

    Passiamo  alla fede: " la fede, che ci salva, é una delle tre virtù teologali, ma anche grazia di Dio. La fede non dipende da noi, certo noi collaboriamo alla venuta della fede, ma ce la manda Dio nella sua bontà e dunque spesso, é un cammino progressivo, che si ottiene o per miracolo, subito, e allora é una conversione, oppure costa sacrifici, lentezza. Ma la fede é meravigliosa, aiuta a vivere con serenità anche le situazioni più difficili. La fede non é rassegnazione, ma fiducia in Dio, nella Provvidenza, sapere che non siamo soli e che Dio ci ama senza fine e con tenerezza. Ecco l' importanza della fede, che, ripeto, non é solo un fatto di facciata, ma di sostanza".

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    00 14/06/2010 14:03

    False prove sulle origini dell'uomo. Smascherato il super antropologo.

    Scoprì il legame con Neanderthal. "Ora la storia va riscritta"
    di Paolo Valentino - marzo 2005

    Il presente articolo è apparso su IL CORRIERE DELLA SERA di domenica 20/02/2005 alla pag. 17




    L'Università di Francoforte sospende Reiner Protsch: per trent'anni ha manipolato i dati. «Era perfetto nel dare risposte evasive»


    BERLINO - Contrordine, forse non discendiamo dall'uomo di Neanderthal. O quantomeno, non esiste più la prova decisiva dell'assunto, il mitico anello mancante che sembrava collegare le origini della nostra specie a quelle dei villosi preistorici. Non datava a 36 mila anni fa, non apparteneva quindi al tedesco più antico del mondo, il cranio trovato in una torbiera non lontano da Amburgo. Più normalmente, giusta l'analisi della datazione al carbonio, eseguita dall'Università di Oxford, aveva «solo» 7.500 anni: un bambino, rispetto all'ipotesi originale e fin qui considerata vera.


    Così è caduta la stella del professor Reiner Protsch von Zieten, 66 anni, antropologo emerito e celebrità mondiale della disciplina. Non uno scienziato, ma un magliaro. Un bugiardone disonesto, che per più di tre decenni ha raccontato una montagna di balle, gabbando la comunità degli studiosi e spacciando per buone un'incredibile serie di patacche, che hanno influenzato e portato a conclusioni fallaci le teorie sull'evoluzione umana.


    Venerdì scorso, facendo seguito ai primi risultati dell'indagine di un gruppo di esperti, iniziata nell'agosto 2004, l'Università di Francoforte ha sospeso l'accademico da ogni attività. «Siamo giunti alla conclusione - recita il rapporto della commissione d'inchiesta - che il professor Protsch abbia ripetutamente manipolato e falsificato fatti scientifici nel corso degli ultimi trent'anni».


    Le conseguenze per la disciplina sono devastanti. «L'antropologia - ha detto ieri l'archeologo Thomas Terberger, l'uomo che per primo, già nel 2001, espresse dubbi sul lavoro di Protsch - dovrà rivedere completamente la sua immagine dell'uomo moderno, nel periodo compreso fra 40 mila e 10 mila anni fa». L'antropologo tedesco aveva in apparenza provato, con i suoi ritrovamenti, che umani moderni ed esseri di Neanderthal avevano vissuto nella stessa era e che, forse, avevano anche generato figli insieme: «Ora è chiaro che si tratta solo di spazzatura», ha spiegato Terberger.


    Oltre alla falsa datazione del teschio dell'uomo di Hahnhoefersand, così ribattezzato dal luogo del ritrovamento, la commissione ha smascherato altre truffe di Protsch. Come la «sensazionale» scoperta della donna di Binshof-Speyer, che l'antropologo sosteneva essere vissuta oltre 21 mila anni fa e invece risaliva appena a 1300 anni prima della nascita di cristo. In un altro caso, quello di resti umani ritrovati a Paderborn, Protsch l'aveva sparata ancora più grossa, datando i frammenti ossei a più di 27 mila anni avanti Cristo, quando invece il proprietario era quasi un nostro contemporaneo, relativamente s'intende, essendo morto nel 1750. Gli esperti hanno accertato anche bugie, per così dire minori, come l'aver localizzato il ritrovamento di alcuni fossili in Svizzera, invece che in Francia.


    Ma la disonestà di Protsch non sarebbe solo intellettuale. Grande amante di orologi d'oro, automobili Porsche e sigari cubani, il nostro è infatti indagato per frode dalla Procura di Francoforte, che lo sospetta di aver tentato di vendere per 70 mila dollari, a un trafficante americano, l'intera collezione di teschi di scimmie, oltre 270 esemplari, del Dipartimento d'antropologia. «Per l'università è molto imbarazzante, avremmo dovuto scoprire le sue falsificazioni molto tempo prima», ha detto il professor Ulrich Brandt, che ha guidato la commissione scientifica d'inchiesta. Brandt ha invocato come giustificazione la quasi impossibilità, nel sistema tedesco, di licenziare un funzionario pubblico e, soprattutto, la diabolica abilità di Protsch a evitare sempre di essere messo nell'angolo: «Era perfetto nel dare risposte evasive».


    La vicenda ha anche un risvolto oscuro, legato alle radici familiari di Protsch, il quale, una fra le tante leggende messe in giro sul proprio conto, ha sempre detto di discendere da un generale degli Ussari. In realtà, come ha rivelato Der Spiegel , è figlio di un ex deputato nazista. Un filone dell'inchiesta interna, ancora in corso, riguarda infatti la distruzione, probabilmente eseguita su ordine di Protsch, di centinaia di documenti dell'archivio del Dipartimento d'antropologia francofortese, relativi agli esperimenti scientifici su cavie umane compiuti dai nazional-socialisti.


    Il magliaro al momento non parla. L'ultima sua esternazione conosciuta risale al 14 gennaio scorso, quando avrebbe dichiarato al Frankfurter Neue Presse : «Questo è un Tribunale dell'Inquisizione, contro di me non hanno alcuna prova concreta». C'era da scommetterci.




    LA STORIA DELL'UOMO MODERNO FALSIFICATA DA UNO STUDIOSO TEDESCO


    Dal Corriere della Sera del 20 febbraio.


    La sua Università di Francoforte ha annunciato che il professore è stato costretto alle dimissioni a causa delle numerose "falsificazioni e manipolazioni"... i suoi inganni potrebbero investire un'intera sezione della storia dello sviluppo dell'uomo, che andrebbe così accuratamente rivisitata e riscritta..."Il lavoro del Prof Protsch sembrerebbe provare che gli umani anatomicamente moderni ed i Neanderthal avrebbero convissuto, forse fino al punto di interagire e di ibridarsi. Tutto questo adesso, viene messo in dubbio".
    Sembrava essere una delle scoperte più sensazionali. I frammenti di crani scoperti in una torbiera presso Amburgo, erano stati datati a più di 36,000 anni or sono - e si sarebbe trattato del collegamento mancante tra i moderni umani ed i Neanderthal. Ciò, almeno, è quel che il Professor Reiner Protsch von Zieten - un distinto antropologo tedesco - aveva dichiarato ai suoi colleghi scienziati, ottenendo in cambio acclamazioni a livello globale, dopo essere stato invitato a datare il cranio estremamente raro. E invece, la carriera trentennale dell'accademico tedesco è ora finita in disgrazia dopo la rivelazione che avrebbe sistematicamente falsificato i dati di questo e numerosi altri reperti "dell'età della pietra".
    La sua Università di Francoforte ha annunciato che il professore è stato costretto alle dimissioni a causa delle numerose "falsificazioni e manipolazioni". Secondo gli esperti, i suoi inganni potrebbero investire un'intera sezione della storia dello sviluppo dell'uomo, che andrebbe così accuratamente rivisitata e riscritta. "L'antropologia dovrà riesaminare dalle fondamenta il suo ritratto dell'uomo moderno tra 40,000 a 10,000 anni or sono" ha dichiarato Thomas Terberger, l'archeologo che ha scoperto il falso. "Il lavoro del Prof Protsch sembrerebbe provare che gli umani anatomicamente moderni ed i Neanderthal avrebbero convissuto, forse fino al punto di interagire e di ibridarsi. Tutto questo adesso, viene messo in dubbio".
    Lo scandalo è venuto alla luce solo quando il Professor Protsch è stato colto nell'atto di tentare di vendere un'intera collezione di crani di scimpanzé di proprietà del suo dipartimento agli Stati Uniti. Un'inchiesta ha in seguito appurato che aveva anche spacciato fossili falsi per autentici, e copiato il lavoro di altri scienziati.
    Le sue scoperte sembravano indicare che i Neanderthal si fossero diffusi molto più a nord di quanto precedentemente ipotizzato.Ma l'indagine condotta dalla sua università ha appurato che il frammento di un cranio di Neanderthal, cruciale per la ricerca scientifica, che si credeva provenisse dal più antico tedesco del mondo, un Neanderthal conosciuto come Uomo di Hahnhofersand, risaliva in realtà a soli 7,500 anni or sono, secondo l'unità di datazione dei reperti dell'Università di Oxford.L'unità ha stabilito che anche altri crani sarebbero stati datati in modo erroneo.
    Un'altra delle sensazionali scoperte del professore, la donna di "Binshof-Speyer" visse nel 1,300 a.C. e non 21,300 anni or sono, come era stato sostenuto, mentre l'"Uomo di Paderborn-Sande" (datato al 27,400 a.C.) morì solo qualche centinaio di anni or sono, nel 1750. "E' profondamente imbarazzante. Naturalmente l'università si trova in una posizione davvero scomoda, al riguardo" ha dichiarato il professor Ulrich Brandt, che ha condotto l'indagine sulle attività del Professor Protsch.
    Nel corso delle indagini, l'università ha scoperto che il Professor Protsch, 65 anni, una figura estrosa appassionata di orologi d'oro, Porche e sigari cubani, non era in grado di far funzionare la sua stessa macchina di datazione al carbonio. Invece, dopo essere tornato in Germania dall'America, dove aveva svolto il suo dottorato, e guadagnato il titolo di professore, si mise semplicemente ad "arrangiare le cose" per ottenere fama internazionale. In un caso, sostenne che in Svizzera sarebbe stata trovata una "mezza scimmia" antica di 50 milioni di anni, chiamata Adapis, creando sensazione in tutto il mondo archeologico. Invece, la scimmia era stata scavata in Francia, dove parecchi altri esemplari simili erano già stati trovati. Altri dettagli della vita del professore sembrano sbriciolarsi ad un più attento esame. Prima di scomparire dal campus dell'Università lo scorso anno, il professor Protsch raccontò ai suoi studenti che si trovava impegnato nell'analisi delle ossa di Hitler ed Eva Braun. Sosteneva inoltre di avere appartamenti a New York, Florida, e California, dove si trovava spesso con Arnold Schwarzenegger e Staffi Graf. Perfino l'aristocratico titolo di "von Zieten" sembra essere falso. Lontano dall'essere discendente di un generale degli ussari, il professore era figlio di un Luogotenente nazista, Wilhelm Protsch, ha rivelato il quotidiano Der Spiegel. L'università sta tentando di capire come migliaia di documenti conservati nel dipartimento di antropologia, e collegati agli orribili esperimenti scientifici dei nazisti nel 1930, sarebbero misteriosamente scomparsi, a quanto pare su precisa istruzione del professore. E' stato altresì scoperto che alcuni dei 12,000 scheletri conservati nelle "casse d'ossa" del dipartimento, mancano della testa, probabilmente perché Protsch le vendette ai suoi amici negli Stati Uniti.
    L'Università ha ammesso di avere mancato nel non comprendere prima le falsificazioni del professore. Ma ha sottolineato che, come per tutti gli impiegati statali della Germania, l'antropologo di alto profilo era virtualmente impossibile da incastrare, e si è infatti dimostrato molto complesso riuscire a risalire a lui. "Era perfetto nell'evadere le domande" ha dichiarato il prof. Brandt. "Riusciva ad essere convincente e persuasivo". Il professore che vive a Mainz con sua moglie Angelina, non risponde alle pressanti domande della stampa, che chiede un commento sull'intera vicenda. Ma in precedenti dichiarazioni rilasciati al quotidiano Der Spiegel, ha insistito di essere vittima di un "intrigo".


    COLLEGAMENTI MANCANTI E PRESUNTE SCOPERTE PILTDOWN MAN


    La più infame di tutte le frodi scientifiche fu dissotterrata nel 1912 in una fossa sepolcrale del Sussex. Con la sua immensa scatola cranica simile a quella umana, e la mandibola simile a quella della scimmia, il "fossile" dell' "Uomo di Piltdown" fu battezzato Eoanthropus dawsoni, dal nome di Charles Dawson, l'appassionato di archeologia autore della scoperta. Per 40 anni, l'Uomo di Piltdown fu salutato come il collegamento mancante tra gli umani ed i loro antenati primati. Ma nel 1952 gli scienziati conclusero che si trattava di un falso. Datazioni al radiocarbonio dimostrarono che il cranio era di un umano risalente a soli 600 anni, mentre l'osso mandibolare era quello di un orangutango. L'intero pacchetto di frammenti fossili trovati a Piltdown - che comprendeva una mazza da cricket preistorica - erano stati messi apposta sotto terra.


    L'ARCHEOLOGO DEL DIAVOLO


    L'archeologo giapponese Shinichi Fujimura era così prolifico nella sua scoperta di reperti preistorici, che da guadagnarsi l'appellativo di "mani di Dio". Sito dopo sito, Fujimura scopriva reperti di pietra e resti che spostarono indietro il limite della storia conosciuta giapponese. Il ricercatore e le sue scoperte dell'età della pietra attirarono l'attenzione internazionale e riscrissero i libri di storia. Nel 2000, l'incantesimo fu spezzato, quando un quotidiano pubblicò le immagini di Fujimura che scavava fosse e seppelliva reperti che avrebbe in seguito riscoperto, ed annunciato come scoperte sensazionali. "Sono stato tentato dal diavolo. Non so come potermi scusare per quello che ho fatto" ha dichiarato.


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    00 26/06/2010 10:29

    Bibbia contro Sindone, falso dilemma

    La rivista MicroMega ha dedicato il Supplemento 4/2010 al tema «L’inganno della Sindone». Anche a distanza di qualche tempo sembra opportuno rispondere a quanto scrive lo studioso Mauro Pesce nel suo articolo «I Vangeli e la Sindone» (pp. 15-26). Del resto le molte domande di cui il suo pezzo è costellato sembrano voler provocare ad un dibattito non fittizio.

    Pesce – autore del discusso Inchiesta su Gesù (Mondadori) insieme al giornalista Corrado Augias – chiama in causa il senso della venerazione alla Sindone: «Perché mostrarla?» (p. 15); «A che cosa serve?»; «Che tipo di religione suggerisce alle folle, ai credenti e ai non credenti?» (p. 26); «Mi domando perché la Chiesa cattolica italiana metta oggi così grande impegno a sostenere l’autenticità di questo pezzo di stoffa» (p. 15). Stupito dalle iniziative e pubblicazioni prodotte attorno all’ostensione, conclude: «Evidentemente l’idea dell’autenticità del lenzuolo è penetrata capillarmente in ogni settore di base della Chiesa cattolica» (ibidem).

    Ciò va rettificato. La Chiesa non insegna affatto l’autenticità della Sindone conservata a Torino: afferma anzi di non avere competenza al riguardo, non trattandosi di oggetto di fede, ma di studio per le scienze naturali e storiche. Da parte della Chiesa si ammette la prosecuzione di un plurisecolare culto di «venerazione» (e non di «adorazione» come impropriamente afferma Pesce) della «nobile icona» della Sindone. Facendo propria un’espressione di san Basilio (IV secolo), il concilio Niceno II (VIII secolo) afferma che la venerazione «attraverso l’immagine, passa al prototipo». Dunque nella venerazione delle reliquie o delle immagini il culto non termina alla materia, ma alla realtà spirituale indicata: un santo o lo stesso Signore. E ciò a differenza dell’adorazione, che si rivolge direttamente a Dio solo.

    Il noto, e per molti aspetti benemerito, storico vede in tali pratiche una radicale discontinuità col cristianesimo delle origini, religione della Parola e del culto «in Spirito e verità», che si contrapponeva al paganesimo anche per l’assenza di realtà materiali e di luoghi «sacri». Effettivamente i Padri dei primi secoli, come gli iconoclasti dei secoli successivi, avrebbero concordato nell’affermare che l’essenza del culto cristiano consiste nel sacrificio spirituale, cioè nella vita. Ciò resta pienamente attuale e induce a vigilare su ogni sconfinamento, sempre possibile, nella superstizione.

    Ma se per i primi due secoli non abbiamo resti e documenti sulle immagini di devozione, è storicamente innegabile il precoce localizzarsi, almeno a partire dalla fine II secolo, di un «sacro» cristiano nelle sepolture dei corpi ritenuti eminentemente «santi»: gli apostoli e i martiri. Essendo per i fedeli certa la partecipazione di questi testimoni alla gloria del Cristo, i loro resti mortali destinati alla resurrezione – e per estensione le loro vesti, i loro oggetti – furono venerati perché considerati portatori dello spirito divino, che ha nel corpo il proprio tempio (cf. 1Cor 6, 19). Immagini cristiane esistono almeno dagli inizi del III secolo. Il cardinale di Vienna Christoph Schönborn ha mostrato l’importanza della riflessione cristologica nell’evoluzione del comportamento cristiano verso le immagini.

    Dacché la carne è stata assunta dal Verbo (cf. Gv 1, 14) – il quale si è reso così visibile e conoscibile – essa è divenuta «luogo» adeguato dell’epifania del divino: contiene e media la realtà che esprime. Non dissimilmente dalla reliquia, anche l’immagine di Cristo e dei santi fu quindi considerata un sostituto della loro presenza: realtà sim-bolica che – richiamando e «rappresentando» l’intero da cui è tratta – in certo modo lo evoca. È ovvio (mi si passi la banalità) che nessun innamorato si accontenterebbe della foto, di un pegno o di una ciocca di capelli dell’amata; tuttavia può trarne un certo più intenso ricordo e una consolazione.

    Tale sviluppo dottrinale è coerente con le origini cristiane, affondando i suoi presupposti nei testi giovannei e paolini sopra richiamati: l’incarnazione di Dio e la divinizzazione dell’uomo in Cristo. Coerente anche se non essenziale. L’utilità delle immagini non significa, almeno nel cattolicesimo, necessità per la salvezza o per la fede. Leggermente diversa è la posizione dei cristiani delle Chiese d’Oriente (presenti in gran numero all’ultima ostensione!), secondo cui senza immagini e reliquie non si è pienamente nell’Ortodossia. Ma vi sono anche ottimi protestanti, e forse cattolici, i quali ritengono di poter vivere la loro fede senza altra «icona» di Cristo che la Parola o, tutt’al più, la croce. In linea di principio si è cristiani «completi» senza inclinazione per alcuna icona, reliquia o luogo di pellegrinaggio. Qui non siamo affatto lontani dallo spirito dei primi secoli.

    La tradizione cristiana nel suo complesso – e il cattolicesimo in modo particolare – si presenta dunque pluralista su questo e molti altri aspetti. La sensibilità, oggi provvidenzialmente sempre più diffusa, verso una più profonda unità tra battezzati richiede più che mai di accogliersi nelle reciproche differenze. Educarsi alla conoscenza e al rispetto di una molteplicità di «cristianesimi» (non ci insegnano gli storici che tale era la situazione delle origini?), portato di storia e tradizioni che sono anch’esse frutto dello stesso Spirito. Ciò aiuta anche a comprendere sempre meglio quanto è davvero irrinunciabile, distinguendo dalle pur legittime tradizioni in cui ciascuno è stato educato.

    Nel suo articolo Pesce ricorre insistentemente all’argumentum e <+corsivo>silentio<+tondo>, ripetendo che nessun evangelista o commentatore antico parla di recupero del lenzuolo sepolcrale di Gesù (p. 17,18, 20, 22, 25), o di immagine impressa (p. 18, 21, 22, 25). Ma «non di rado i reperti antichi compaiono senza altra notizia di sé che la propria stessa realtà» (G. Ghiberti). Il silenzio sulla Sindone delle fonti del primo millennio è una carenza che non ne rende impossibile l’esistenza (contra factum non datur argumentum), nè una datazione all’epoca proto-cristiana: costituisce piuttosto una «provocazione all’intelligenza» (Giovanni Paolo II) ed un ulteriore stimolo all’indagine su di un documento del passato.

    Se, come afferma lo stesso Pesce, nel corso della sua formazione cattolica e in seguito egli non si è «mai imbattuto in qualcuno che proponesse la Sindone come un punto di riferimento importante» (pp. 15-16), ciò conferma che la Chiesa non fa dipendere da essa ciò in cui crede e la sua stessa credibilità. Essa non ha nulla di essenziale da perdere se la Sindone si dimostrasse non autentica. Soprattutto va smentito quanto, sia pure dubitativamente, Pesce insinua: che la promozione di «forme di culto più o meno feticistiche» (sic!) rappresenti un’alternativa «alla meditazione, alla lettura della Bibbia, alla preghiera personale» (p. 17).

    Forse mai come oggi vi è stato impegno per una predicazione autenticamente biblica, testimoniato da una ricca e costante produzione di studi e strumenti (incomparabile a quella riguardante la Sindone), oltre che dall’ampia offerta di proposte formative. Le scelte del Vaticano II di promuovere il più ampio accesso alla Scrittura e persino alla teologia da parte dei fedeli, di farne il centro della catechesi, della liturgia e della institutio dei candidati ai ministeri, sono – pur tra le obiettive difficoltà e carenze – un punto di non ritorno, serenamente recepito e intensamente vissuto dal cattolicesimo odierno.

    Francesco Pieri - docente di Storia della Chiesa antica e Patrologia alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna
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    00 30/06/2010 23:05
    Il Concilio Vaticano II fu dottrinale e pastorale assieme. Va letto in continuità con la tradizione della Chiesa. La Chiesa attaccata da tutti per la sua linearità e verità. Il Papa Benedetto XVI, colonna di luce Stampa E-mail

    Il  Concilio Vaticano II fu dottrinale e pastorale assieme. Va letto in  continuità con la tradizione della  Chiesa. La Chiesa attaccata da tutti   per la sua linearità e verità. Il  Papa Benedetto XVI, colonna  di  luce

    Parliamo con Monsignor Salvatore Ligorio, Arcivescovo di Matera- Irsina. Eccellenza, che natura ebbe il Vaticano II?: " il Concilio non ha sancito alcun dogma e pertanto non può essere definito dogmatico e questo é un dato certo. Pertanto é da escludere questa visione che mi sembra esagerata e fuorviante". Dunque scartiamo quella dogmatica: " il Vaticano II venne indetto dal Beato Giovanni XXIII per motivi squisitamente pastorali in quanto la Chiesa nel linguaggio e nalla pastorale doveva adeguarsi ai tempi, cambiare modo di parlare anche se le verità di fede erano  e rimangono immutabili. La Chiesa non muta la sua dogmatica e la tradizione. Pertanto il Concilio, se poi leggiamo con attenzione, i documenti, ebbe e si propose un intento pastorale, che si abbina certamente ad uno dottrinale, perché ...

    ... pastoralità e dottrina camminano di pari passo e non ci sta dottrina senza pastorale e viceversa".

    Dunque lei sostiene la tesi della doppia natura: " il Concilio rispondeva ad una esigenza pastorale e la maggior parte dei suoi documenti hanno questa angolazione, mentre le quattro costituzioni, che pure dogmi non sono, si prefiggono uno scopo prettamente dottrinale e in tal senso vanno lette".

    Alcuni parlano del Vaticano II come momento di rottura: " rottura non fu, perché nella storia della Chiesa non si rompe mai nulla, tutto fluisce e continua. La Tradizione é un blocco unico, che si cementa e cammina.Pertanto il Vaticano II va doverosamente letto nella linea della continuità con la storia precedente e sarà parte della futura, in sostanza non ha costituito una frattura col passato che non é stato mai rinnegato ".

    Dunque lei é per la ermeneutica della continuità: " certamente, quella che del resto il Papa ha indicato. Quelli che parlano di chiesa conciliare o tridentina, evidentemente lo fanno solo per una esigenza di natura storica, per una semplificazione. Ma se vogliamo essere precisi, dividere come uno spezzatino la vita della Chiesa non é una cosa dotata di senso compiuto".

    La Tradizione e il Magistero dunque sono cose importanti: " sono l' ingrediente giusto per capire ed interpretare la Scrittura. Una  lettura che non tenga conto del Magistero e della Tradizione come mediatori, sarebbe protestante e non accettabile per noi cattolici".

    Eccellenza oggi la Chiesa cattolica sembra sotto assedio, per quale ragione?: " nulla di più e nulla di meno di quanto Cristo aveva profetato. Se attaccano me, certamente perseguiteranno voi. E' una cosa vecchia e sempre nuova. I cattolici devono esseer abituati alla persecuzione e al martirio, é il prezzo della libertà e della verità. La via del cristianesimo non é stata mai agevole e il nemico é sempre pronto a colpire".

    Paradossalmente una chiesa attaccata significa che fa paura: " esatto. Se non fosse temuta dal mondo, nessuno la insidierebbe. Significa che questa chiesa che proclama la verità, rende il mondo furioso, lo rende cosciente che sta perdendo la battaglia e cerca di screditarla con ogni mezzo. Questa chiesa apparentemente debole, é forte e vincente. Il Papa lo sta dimostrando con la sua integrità e il suo rigore, una colonna di luce e splendore nella carità e nella verità".

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    00 02/07/2010 21:56

    Documentate le azioni vaticane per salvare gli ebrei dal 1938


    NEW YORK, giovedì, 1° luglio 2010 (ZENIT.org).- La Pave the Way Foundation (PTWF) ha annunciato la scoperta di documenti vaticani di grande importanza.

    Gary Krupp, presidente della Fondazione, ha affermato che “nel perseguire la nostra missione di individuare ed eliminare gli ostacoli non teologici tra le religioni, abbiamo identificato il pontificato di Papa Pio XII come un periodo che ha un impatto negativo su più di un miliardo di persone. La PTWF ha intrapreso un progetto di recupero di documenti del periodo di guerra per diffondere quanti più documenti e testimonianze oculari possibili per portare alla luce la verità”.

    “Finora abbiamo oltre 40.000 pagine di documenti, video di testimoni oculari e articoli sul nostro sito www.ptwf.org per aiutare gli storici a studiare questo periodo”.

    Lo storico e rappresentante della PTWF della Germania Michael Hesemann ha visitato regolarmente l'Archivio Segreto vaticano aperto di recente e continua a compiere scoperte significative. Il suo ultimo studio dei documenti originali pubblicati in precedenza rivela azioni segrete per salvare migliaia di ebrei fin dal 1938, tre settimane dopo la Notte dei Cristalli.

    Il Cardinale Eugenio Pacelli (Papa Pio XII) inviò un telex alle Nunziature e alle Delegazioni Apostoliche e una lettera a 61 Arcivescovi nel mondo cattolico richiedendo 200.000 visti per “cattolici non ariani” tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Inviò anche un'altra lettera datata 9 gennaio 1939.

    Michael Hesemann ha dichiarato che “il fatto che in questa lettera parli di 'ebrei convertiti' e 'cattolici non ariani' sembra essere una copertura. Non si poteva essere sicuri che gli agenti nazisti non avrebbero saputo dell'iniziativa”.

    “Pacelli doveva essere sicuro che non ne facessero un uso sbagliato per la loro propaganda, che non potessero dichiarare che 'la Chiesa è un alleato degli ebrei'”, ha aggiunto.

    Il Concordato del 1933 firmato con la Germania garantiva che gli ebrei convertiti sarebbero stati trattati come cristiani, e usare questa posizione legale permise a Pacelli di aiutare i “cattolici non ariani”.

    Una prova del fatto che non si stava riferendo solo agli “ebrei convertiti” è evidente quando Pacelli chiede che gli Arcivescovi si preoccupino di “salvaguardare il loro benessere spirituale e di difendere il loro culto religioso, i loro costumi e le loro tradizioni”.

    Un altro indizio del reale intento delle richieste del Vaticano deriva dalle risposte originali dei Vescovi e dei Nunzi alla richiesta di Pacelli. I presuli si riferivano spesso agli “ebrei perseguitati”, non a “ebrei convertiti” o a “cattolici non ariani”.

    “Anche se è ampiamente riconosciuta dagli storici l'intercessione di Pacelli per salvare migliaia di 'ebrei convertiti', molti basano le proprie conclusioni sulla rapida lettura di lettere e documenti vaticani”, osserva Pave the Way.

    “Visto che molti dei critici di questo pontificato non hanno ancora accettato la provata e diretta minaccia nazista contro lo Stato vaticano e la vita di Papa Pio XII, sembrano non capire che bisognava usare sotterfugi visto che si inviavano solo direttive criptate o verbali”.

    “In molti casi, gli storici ignorano il linguaggio vaticano, che a volte usa il latino per esprimere il significato nascosto di queste richieste”.

    “La PTWF continuerà a diffondere quanti più documenti possibile perché tutto ciò che abbiamo scoperto finora sembra indicare che la diffusa percezione negativa di Papa Pio XII è sbagliata”, ha affermato Elliot Hershberg, presidente del Consiglio d'Amministrazione della Pave the Way Foundation.

    “Crediamo anche che molti ebrei che sono riusciti ad abbandonare l'Europa possano non avere idea del fatto che i loro visti e i documenti di viaggio sono stati ottenuti attraverso questi sforzi vaticani”.

    Il professor Ronald Rychlak, noto studioso e autore del libro “Hitler, the War and the Pope”, ha affermato dal canto suo che i documenti provano che “gli sforzi che sembrano essere stati volti a difendere solo gli ebrei convertiti in realtà difesero tutti gli ebrei, indipendentemente dal fatto che si fossero convertiti”.

    Per il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali, le istruzioni di Eugenio Pacelli nella lettera del 9 gennaio 1939 non lasciano spazio a dubbi sulle intenzioni della Santa Sede e del futuro Pontefice.

    “Non impegnarsi a salvare solo gli ebrei – dice la lettera –, ma anche sinagoghe, centri culturali e tutto ciò che apparteneva alla loro fede”.

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    00 06/07/2010 22:42
    Il veder sempre menzionati i peccati di cattolci (che pur ci sono stati), senza mai sentir menzionare un qualsiasi merito che la Chiesa cattolica abbia, suscita un certo disappunto E' raro oggi trovare siti o libri che parlino anche dei numerosi errori commessi dai protestanti, come l'inquisizione nei cantoni svizzeri, ad opera di Calvino, le battaglie sanguinose condotte da Zwingli contro i cattolici, come se fossero solo questi ultimi ad aver combattuto guerre di religione, il massacro dei centomila contadini che si opponevano alle teorie di Lutero, e l'affogamento degli anabbattisti, che a differenza dei luterani non praticavano il battesimo dei neonati; tutto ad opera dei principi tedeschi protettori di Lutero. La partecipazione protestante alle crociate in terra francese, e l'olocauso dimenticato, stranamente, anche dai media, cioè il massacro e l'estinzione degli indiani d'America, ad opera dei protestanti Inglesi, e tanti altri fatti che solitamente e, stranamente, vengono tenuti nascosti dalla maggioranza dei mass media. Solo ciò che è "cattolico" interessa i mezzi di informazione, il resto viene quasi coperto, e comunque mai adeguatamente sviscerato. La Chiesa cattolica oltre agli errori umani commessi da alcuni suoi esponenti, ha l'indubbio valore cristiano che vede i suoi frutti eccellenti nei tanti missionari che dedicano la loro vita agli ultimi e agli ammalati di ogni tempo. Ci sono pure tanti preti di provincia che svolgono la loro provvidenziale missione nel totale anonimato, nell'ombra della carità. Se poi diamo uno sguardo alle nazioni a maggioranza protestante, ci accorgiamo che loro oltre a commettere errori umani, snaturano la dottrina cristiana, approvando matrimoni gay, esperimenti sugli embrioni umani, eutanasia, ecc.,
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    00 09/07/2010 00:34
    Il mondo finirà nel 2012? FAQ sulle presunte profezie Maya

    di Massimo Introvigne

    Libri, trasmissioni televisive e film ci spiegano che il
    mondo finirà il 21 dicembre 2012. Lo assicura, dicono, una
    profezia degli antichi Maya. Che cosa c'è di vero?
    Per rispondere con una parola sola: nulla. Ammettiamo che
    gli antichi Maya abbiano davvero previsto la fine del
    mondo per il 21 dicembre 2012. Questo ci direbbe qualcosa
    sui Maya, ma nulla sulla fine del mondo. La cultura e le
    credenze dei Maya non sono "la verità" ed è bizzarro che
    qualcuno oggi le prenda come guida. Per esempio, i Maya
    credevano che gli dei avessero bisogno di sacrifici umani,
    un elemento assolutamente centrale nella loro cultura.
    Credevano anche che migliaia di sacrifici umani avrebbero
    reso i loro regni invincibili ed eterni. Non è successo: i
    regni Maya sono stati spazzati via dalla conquista spagnola.
    Ma i Maya hanno, in effetti, previsto la fine del mondo per il 21 dicembre 2012?
    No. Si tratta di una teoria inventata da un teorico del New Age nato in Messico ma cittadino statunitense, José
    Argüelles, a partire dagli anni 1970 e illustrata particolarmente nel suo volume del 1987 The Mayan Factor (in
    italiano Il fattore maya. La via al di là della tecnologia, WIP, Bari 1999). Argüelles ha ottenuto un dottorato e ha
    tenuto corsi in varie università, ma la sua materia è la storia dell'arte, non l'archeologia o la cultura Maya. Inoltre
    egli ha francamente dichiarato che molte sue teorie derivano da "visioni" che avrebbe avuto sotto l'influsso
    dell'LSD. Neppure un solo specialista accademico dei Maya ha mai preso sul serio Argüelles o le sue teorie sul
    2012 e "ciarlatano" non è neppure la più severa fra le molte espressioni sgradevoli che la comunità accademica ha
    usato nei suoi confronti.
    Su che cosa si basa l'idea della profezia Maya sul 2012?
    Sul fatto che per i Maya questo mondo è iniziato a una data che può essere calcolata. Varie fonti danno diverse
    versioni, ma la data più diffusa corrisponde all'anno 3114 a.C. del nostro calendario. Da questa data iniziano cicli di
    anni chiamati b'ak'tun. Molti testi Maya parlano di venti b'ak'tun, dopo di che finirà questo mondo o ciclo. In una
    data fra il 21 e il 23 dicembre 2012, sempre secondo la versione più attestata dalle fonti del calendario Maya, finirà
    il tredicesimo b'ak'tun e inizierà il quattordicesimo. In genere la fine di un b'ak'tun per i Maya è occasione di
    celebrazioni e feste. Le iscrizioni e altre fonti che parlano di avvenimenti rilevanti in occasione della fine del
    tredicesimo b'ak'tun, nel dicembre 2012, fanno riferimento appunto a celebrazioni. Argüelles e i suoi sostenitori
    insistono sul Monumento 6 del sito archeologico Maya di Tortuguero, in Messico, che in corrispondenza della fine
    del tredicesimo b'ak'tun allude in termini peraltro confusi alla discesa di divinità e al fatto che "verrà il nero". I
    commentatori accademici delle iscrizioni di Tortuguero pensano che si faccia riferimento anche qui a future
    cerimonie. In ogni caso, se si guarda al complesso dei testi di Tortuguero, si trovano riferimenti anche ai b'ak'tun
    dal quattordicesimo al ventesimo, per cui è certo che i Maya dell'epoca di questi monumenti (secolo VII d.C.) non
    pensavano che il mondo sarebbe finito nel nostro 2012, cioè alla fine del tredicesimo b'ak'tun. E non è neppure
    certo che i Maya pensassero a una fine del mondo con la fine del ventesimo b'ak'tun (da cui comunque ci separa
    qualche millennio) perché prima del nostro mondo ce n'era stato un altro, e potrebbe dunque trattarsi della fine di un
    mondo e non del mondo. Rimane anche vero che delle credenze dei Maya noi abbiamo un quadro incompleto e
    frammentario.

    I Maya non avevano anche un'astrologia, sulla cui base prevedevano eventi felici oppure catastrofici, e in
    particolare una catastrofe nel 2012?
    In linea concettuale si può dire che il calendario ci dice quando secondo un certo modo di calcolo termina un ciclo:
    ma che cosa succede alla fine di questo ciclo non ce lo dice l'astronomia ma la religione o l'astrologia. Il problema,
    però, è che non è neppure certo che i Maya avessero un'astrologia. Tutto quello che si può dire è che è possibile ­
    ma non certo ­ che alcuni segni trovati in diversi codici (principalmente quello di Parigi ­ cfr. l'immagine ­,
    acquisito dalla Biblioteca Nazionale della capitale francese nel 1832, ma ce ne sono di meno chiari anche altrove)
    mettessero in corrispondenza animali e costellazioni, creando una sorta di zodiaco, forse con significato astrologico.
    Siamo dunque in presenza di una congettura sull'esistenza di tredici simboli che potrebbero formare uno zodiaco e
    che secondo l'interpretazione più autorevole sono: due tipi diversi di uccelli (ma è difficile identificare quali siano),
    uno squalo o pesce "xoc", uno scorpione, una tartaruga, un serpente a sonagli, un serpente più grande ma non
    identificato quanto alla specie, uno scheletro, un pipistrello, più due animali che corrispondono a zone del codice (di
    Parigi) troppo danneggiate per un'identificazione certa. Dal momento che non è neppure certo che esistesse
    un'astrologia Maya, ogni congettura su "previsioni" collegate a questa astrologia è del tutto insensata.
    Ma gli attuali indios discendenti dei Maya prevedono la fine del mondo nel 2012?
    Assolutamente no. Vari studi di antropologi ed etnologi mostrano che non attendono nulla di particolare per questo
    anno, anzi non hanno mai sentito parlare di presunte profezie.
    Se si tratta di una bufala, perché è così diffusa?
    Diversi studiosi dei Maya, piuttosto infastiditi, hanno parlato di una pura speculazione commerciale. È servita a
    lanciare diversi film, alcuni dei quali dal punto di vista meramente cinematografico sono anche ben fatti e gradevoli,
    purché li si consideri appunto dei semplici film e non si pretenda di ricavarne profezie autentiche. Da un punto di
    vista sociologico, forse si possono dire due cose in più. La prima riguarda l'enorme impatto della popular culture ­
    romanzi, film, televisione ­ su un'opinione pubblica dove ormai è la vita a imitare l'arte e non viceversa e la fiction
    è considerata fonte d'informazioni sulla realtà (Il Codice da Vinci insegna). L'ultima puntata, del 2002, della
    popolarissima serie televisiva X-Files annunciava l'invasione degli alieni per il 21 dicembre 2012. Serie TV e film
    hanno una grandissima influenza su un pubblico "postmoderno", dove i confini fra finzione e realtà si sono fatti
    davvero molto labili. La seconda osservazione parte da un fatto: l'idea della profezia Maya lanciata da Argüelles era
    parte integrante del New Age. Oggi il New Age è in crisi, ma ci sono molti che ­ per le più svariate ragioni ­ hanno
    interesse a rilanciarlo. La diffusione della presunta profezia sul 2012 è stata ed è una grande occasione di rilancio
    del New Age.
    Ma della fine del mondo non parlano anche i cristiani?
    Sì. Anzi, Papa Benedetto XVI nell'enciclica del 2007 Spe salvi lamenta che non se ne parli abbastanza, perché la
    prospettiva della fine del mondo e del Giudizio Universale, dove i sacrifici dei buoni e la malizia dei malvagi
    emergeranno agli occhi di tutti e saranno definitivamente giudicati, illumina l'intera storia umana. La Chiesa, però,
    ha sempre condannato il millenarismo, che pretende di detenere un sapere dettagliato, che va oltre la Sacra Scrittura
    e l'insegnamento del Magistero, sul "come" della fine del mondo e di poterne determinare anche il "quando". La
    Chiesa annuncia la parola del Vangelo di Matteo (25, 13): "Non sapete né il giorno né l'ora". E chi afferma di
    saperli s'inganna, e inganna chi gli presta fede.
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    00 10/07/2010 10:57
    Il ginecologo che dal 1978 interrompe gravidanze dice che oggi l’aborto è diventato un metodo contraccettivo. Un mezzo di controllo delle nascite. Quasi tutte le mie pazienti sono recidive e si liberano dei figli senza motivo Stampa E-mail

    Il  ginecologo che dal 1978 interrompe gravidanze dice che oggi l’aborto è  diventato un metodo contraccettivo. Un mezzo di controllo delle nascite.  Quasi tutte le mie pazienti sono recidive e si liberano dei figli senza  motivoDopo una vita spesa negli ospedali di tutto il mondo, oggi si divide fra e la Asl di Forlì e una clinica svizzera. Valter Tarantini ha 61 anni, fa il ginecologo e dal 1978, anno in cui l’aborto divenne legge, e pratica interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg). Ne ha fatte a migliaia, 300 l’anno circa, quindi più o meno 10 mila in una vita. A lui Tempi ha chiesto cosa è cambiato a trent’anni dall’entrata in vigore della legge. Dottor Tarantini, dalla legalizzazione dell’aborto a oggi si dice che le recidive siano aumentate. Conferma? Oggi l’aborto non è più l’estrema ratio. Interrompere una gravidanza è diventata una cosa normalissima. Anzi meno importante di altre. Prima lo si faceva per combattere la morale. Il frutto che vedo oggi è che la morale non c’è più e che l’80 per cento delle mie pazienti sono recidive. Ogni paziente ha avuto in media dai tre ai sei aborti. Ma ho incontrato anche una donna che era alla quarantesima Ivg. Come spiega che tante donne preferiscano l’aborto alla contraccezione? L’aborto stesso con la 194 lo è diventato. Perciò dico che questa legge controlla le nascite e che sbaglia chi dice che, grazie alla sua buona applicazione, gli aborti sono diminuiti. Se li contiamo in rapporto ai bambini nati si vede che non hanno fatto che aumentare.
     
    Quindi non ha senso migliorare l’accesso alla contraccezione per le donne?
    Macché, le peggiori recidive sono ricche, istruite e sanno benissimo cos’è la contraccezione, ma per loro l’aborto è un fatto così banale che è uguale a prendere la pillola, non c’è differenza. Anzi per alcune è meglio. Mi dicono: “Sa dottore la pillola fa male, mi fa ingrassare”, e siccome la contraccezione richiede impegno, l’aborto gli sembra più veloce ancora. Alcune avranno anche problemi psicologici, ma la maggior parte pensa solo alla cosa più comoda.
     
    Ma perché se le statistiche mostrano che le recidive sono in aumento (cfr. Tempi n. 18) nessuno ne parla?
    Perché sarebbe ammettere che il sistema sanitario italiano è fallito per colpa nostra. Invece, che la 194 sia un fallimento è un’evidenza, anche se applicassimo al meglio la prima parte potenziando la prevenzione e i consultori. Puoi cercare qualsiasi risoluzione, ma il problema è che se una non pensa che la vita del figlio sia più importante di tutti i problemi non si risolve nulla. Prima avere bambini era tutto, i nostri vecchi davano la vita ed erano più contenti di noi. Mi chiedo perché sia sparito tutto questo. Perché si sia perso il senso della vita. Le faccio degli esempi. Una ragazza di 25 anni è arrivata con l’amica ridacchiando a chiedere l’Ivg. Vedono il bambino nel monitor e iniziano a ridere: «Che carino – dicevano – guarda come si muove». Oppure penso a una che mi disse: «Dottore non è che mi lascia la foto dell’ecografia come ricordo?». Per non parlare delle domande più frequenti: «Dottore era maschio o femmina? Quando posso avere rapporti sessuali? Quando posso mangiare?».
     
    Vede delle soluzioni?
    Ho proposto a Gianfranco Fini e alla Lega di far pagare l’Ivg. Non nel privato, se no ci speculerebbero sopra, ma restando nel pubblico. Non vedo infatti perché il contribuente debba pagare 1.300 euro a una persona che non è malata, sta bene e non ha problemi.
     
    Come giudica la via lombarda di stanziare fondi per i Centri di aiuto alla vita (Cav)?
    Non risolve il problema. Quella economica è solo una motivazione in più, non la principale. Anzi, ripeto: le più incallite sono benestanti. Le extracomunitarie sono forse le uniche che sono dilaniate dal dramma. Le recidive, poi, l’assistente sociale non lo vogliono nemmeno vedere. Un figlio non lo tieni per un assegno, lo tieni per altro. Il problema è a monte. Il punto è il rifiuto della maternità.
     
    Se una paziente richiede un aborto per motivi inconsistenti, lei, che è medico non obiettore, può rifiutarsi di intervenire?
    Se lo facessi finirei su tutti i giornali e mi denuncerebbero, perché ho violato la legge. Formalmente una donna un motivo lo trova sempre. Tempo fa venne da me una coppia giovane e benestante che aveva deciso di abortire il primo figlio. Domandai perché. Mi risposero che era un po’ presto per avere figli. «E quando avete intenzione di averne?», chiesi. «Mah, l’anno prossimo», risposero. È chiaro che in quel caso il motivo non sussisteva, ma ne hanno trovato uno. Ti dicono che se non lo fai si buttano giù dalla finestra, che gli rovini la carriera. Per questo tanti hanno iniziato a fare obiezione. Scappano tutti.
     
    La Ru486 non peggiora le cose?
    È solo una conseguenza. L’aborto è un affare sporco che nessuno vuole guardare più. Né i medici, né la società, né le donne che non sanno più di che si tratta.
     
    Lei afferma che occorre riscoprire il valore della maternità. Lei non può aiutare le donne che incontra in questo percorso?
    Ma non vede che sfascio? Penso che non servirebbe a nulla. Prima c’erano gli ideali, la vita si dava per qualcosa. Oggi non interessa più nulla se non il piacere passeggero, l’edonismo sfrenato. Mia madre invece mi ha voluto bene, si faceva il mazzo per me e anche a suon di schiaffi mi diceva cosa era bene e cosa male.
     
    E allora non sarebbe opportuno farlo anche con le sue pazienti?
    Non so se mi ascolterebbero. Mi darebbero del rompipalle. Non basta nemmeno quando gli dico che il figlio è un bene sempre e comunque, che è vita dall’inizio.
     
    Se pensa queste cose perché continua a praticare interruzioni di gravidanza?
    Ho iniziato perché a 25 anni ho visto morire due donne per aborto clandestino. Non vorrei tornassimo a situazioni di questo genere. Lo faccio per quelle poche che mi sembrano disperate.
     
    Ma magari lascerebbe un segno maggiore se, come i suoi genitori hanno fatto con lei, indicasse un ideale più alto, quello del valore della vita, invece che correre ai ripari mettendo a tacere le coscienze…
    Non so... Io non basto, tutto il mondo continuerebbe a dire il contrario. Questa epoca assomiglia all’Impero romano in decadenza, con i barbari che avanzano. Ma noi anziché combatterli diventiamo come loro. Che posso fare io da solo, anche smettessi di fare gli aborti?

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    00 15/07/2010 23:00
    Per credenti in vacanza (ma perchè no, anche per non credenti)

    Vacanze divine…

    Siamo tutti in cerca del paradiso perduto. Anche se non lo sappiamo. E l’estate, la vacanza, è specialmente il tempo di questa ricerca dell’Eden. Avremmo una mappa per questa caccia al tesoro, per questa ricerca, ma non la sappiamo leggere.

    Così ci accontentiamo di paradisi artificiali, a portata di mano e per tutti i portafogli. Eden di plastica. Può essere il surrogato “tutto compreso” dell’Agenzia di viaggi che ti spedisce a Sharm el sheik o il fai-da-te giovanilistico che si inebria nel chiassoso divertimentificio di Ibiza o della costa romagnola.

    Illusioni, si capisce, ma la nostalgia del paradiso, del ritrovarsi del corpo e del’anima, questa attesa dell’estasi, di una felicità dello spirito e dei sensi, finalmente in armonia, questo desiderio della divinizzazione non ci abbandona mai.

    In fondo la mappa (sconosciuta) che ci mette sulle tracce del vero paradiso perduto è dentro di noi, nel nostro stesso cuore.

    E’ una “zona”, come quella del film tarkovskijano “Stalker”: una zona dove si avverano i desideri, piena di lussureggianti foreste e laghi, oceani e panorami sconfinati, una “zona” vergine perché non posseduta neanche da noi stessi, una “zona” sacra perché abitata da una presenza misteriosa e immensa: Dio.  

    Ma oltreché in noi, la mappa del paradiso perduto è leggibile pure nei segni e nella cultura della nostra Europa, se vogliamo ancora comprenderla.

    Una geografia fatta di antiche abbazie, monasteri, eremi, che, nei secoli selvaggi succeduti alla caduta dell’Impero romano, furono la sorgente da cui scaturì tutto quello che di bello, luminoso, umano ha avuto la nostra civiltà

    Fra quelle mura il Cielo tocca la Terra e si sente la brezza dell’Eden. John Milton dedicò a Vallombrosa, la regale abbazia dell’appennino toscano, i versi famosissimi del suo “Paradise Lost”,  e dal momento dell’uscita del suo poema, nel 1667, “per gli inglesi, e non solo per loro, Vallombrosa sarà emblema e ritratto di un ‘Paradise Lost’ sognato e, per miracolo della poesia, descritto e quindi visibile”, scrive Alessandro Tosi.

    Che aggiunge: “a partire dai pochi, ma così ispirati versi miltoniani, Vallombrosa diventava mèta irrinunciabile del viaggio in Italia”.

    Iniziava il moderno turismo, che era l’antico pellegrinaggio medievale travestito laicamente.

    Vallombrosa del resto è una perla nella geografia della santità, quella di san Giovanni Gualberto il cui nome è legato pure alla meraviglia di San Miniato, che domina Firenze, a un altro eden appenninico, la Camaldoli di san Romualdo, e all’abbazia di Passignano, fra Siena e Firenze.

    Anche al nome di Francesco d’Assisi è legata una mappa di meravigliosi luoghi del cuore: dall’eremo delle carceri di Assisi, alla Verna, dalle Celle di Cortona a san Damiano, fino agli eremi delle clarisse nelle nostre città, che d’improvviso – lasciandoti alle spalle il traffico e la vita congestionata – ti spalancano davanti un panorama di pace.

    Penso anche alle monache agostiniane di Lecceto, per stare in Toscana, o alle trappiste di Valserena e a quelle di Vitorchiano. O ai monaci delle Tre fontane a Roma.

    Benedettini, clarisse, agostiniane, trappisti, carmelitani e tanti altri. I silenzi che loro abitano attraggono irresistibilmente tante persone, talvolta per l’ordinata bellezza di quei luoghi, di quelle mura antiche, di quei boschi, di quegli orti e giardini, per la pulizia dell’aria e la freschezza incontaminata delle acque, perfino per la genuinità delle cose che i monaci coltivano e offrono ai visitatori: miele, vini, marmellate…

    In tutte queste cose si gustano dei sapori e degli odori che sembra di non trovare altrove, un gusto di autenticità che in realtà è in noi il riflesso dell’autenticità della loro vita, di un’esistenza fedele al grido del proprio cuore.

    Il contatto con questa autenticità è vertiginoso per noi. Tempo fa la Bbc ha realizzato una sorta di “reality” nel quale cinque uomini di oggi, con tutti gli impegni e la vita di un inglese moderno, per 40 giorni e 40 notti hanno condiviso la vita dei monaci di un’abbazia benedettina.

    Tre milioni di spettatori hanno seguito questa sfida. Al termine della quale quell’impatto col silenzio e con l’autenticità, con la propria stessa interiorità, aveva trasformato visibilmente i cinque.

    I monaci, uomini e donne di Dio, sono gli esseri più pacifici e inoffensivi del mondo, ma hanno una luce nel volto e una pace nei gesti, sconosciuti al mondo e questo rende dirompente l’incontro con la loro vita.

    Peraltro silenziosamente verso questi eremi si convogliano immensi fiumi di dolore, dalle nostre città, dalle nostre vite.

    Qui tante esistenze ferite trovano chi le abbraccia, chi per loro implora giorno e notte, chi instancabilmente e gratuitamente offre se stesso in riscatto per l’esaudimento dei loro desideri e il lenimento delle loro pene.

    Sono uomini e donne che aiutano Gesù a portare tutto il dolore del mondo sulle sue spalle. E a redimerlo. Mutandolo in vita e gioia.

    L’ascesi, la preghiera, la contemplazione è come se – con il tempo – trasfigurassero già ora le loro persone, rendendo trasparente la loro pelle all’anima che vibra, canta e ama. Così loro custodiscono – per chiunque voglia ritrovarlo – il nostro paradiso perduto.

    A cui sanno dare un nome e un volto, quello del “più bello fra i figli dell’uomo”. Il grande Agostino – che si lasciò alle spalle una vita turbolenta – è uno dei luminosi maestri di chi cerca la felicità: “Ci hai fatti per te, Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.

    Tutti i cinque sensi nell’adorazione della sua Bellezza si esaltano e si trasfigurano.

    “Che cosa amo quando amo te?”, si chiedeva sant’Agostino. “Amo una certa luce, una voce, un profumo, un cibo e un amplesso che sono la luce, la voce, il profumo, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, dove splende alla mia anima una luce che nessun fluire di secoli può portar via, dove si espande un profumo che nessuna ventata può disperdere, dove si gusta un sapore che nessuna voracità può sminuire, dove si intreccia un rapporto che nessuna sazietà può spezzare. Tutto questo io amo quando amo il mio Dio”.

    L’audacia del linguaggio di Agostino è in realtà il linguaggio abituale dei monaci e delle monache.

    Che è sempre un linguaggio sponsale: “Ormai te solo amo, te solo seguo, te solamente cerco, te soltanto sono disposto a servire perché tu solo giustamente governi, e perciò voglio essere tua proprietà” (Agostino).

    Anche un maestro del monachesimo come san Bernardo di Chiaravalle sottolinea il carattere sponsale che ha la vita monastica: “amplesso veramente, dove il volere e non volere le medesime cose ha fatto uno solo di due spiriti”.

    In fondo il silenzio di questi eremi riecheggia in ogni chiesa. Ed è lei la mèta del nostro viaggio, la dimora del cuore. Lo scoprì perfino Jack Kerouac, che del viaggiare, della strada, fu il poeta e che trovò proprio così il vero significato della sua “beat generation”.

    Scrisse:

    Fu da cattolico che un pomeriggio andai nella chiesa della mia infanzia (una delle tante), Santa Giovanna d’Arco a Lowell, e a un tratto, con le lacrime agli occhi, quando udii il sacro silenzio della chiesa (ero solo lì dentro, erano le cinque del pomeriggio; fuori i cani abbaiavano, i bambini strillavano, cadevano le foglie, le candele brillavano debolmente solo per me), ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola ‘Beat’, la visione che la parola Beat significava beato…”.

    Scriverà espressamente che il fenomeno beat esprime “una religiosità ancora più profonda, il desiderio di andarsene, fuori da questo mondo (che non è il nostro regno), ‘in alto’, in estasi, salvi, come se le visioni dei santi claustrali di Chartres e Clairvaux tornassero a spuntare come l’erba sui marciapiedi della Civiltà stanca e indolenzita dopo le sue ultime gesta”.

     

    Antonio Socci


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    Coordin.
    00 23/07/2010 10:50
    VOCAZIONI OGGI
    Quali sono le «strategie» da mettere in atto per far arrivare ai giovani la proposta di un’esistenza dedicata a Dio e al servizio dei fratelli? Premettendo la preghiera in ogni caso, bisogna anzitutto fare i conti «con le fragilità umane e affettive, che non consentono alla persona di maturare e quindi di optare per una scelta definitiva», avverte Sánchez. Difficoltà che toccano anche la vocazione al matrimonio. Quindi, per contribuire a lanciare una nuova pastorale vocazionale, occorre esplorare il mondo giovanile e proporre un cammino di fede. «Contattare, coltivare, concretizzare: sono le tre "c" che scandiscono il percorso», riferisce il coordinatore dell’iniziativa. Significa sapere che i giovani si incontrano nei pub, che le ragazze amano i cosmetici, ad esempio, accompagnandoli «con le loro debolezze nella preghiera, nel volontariato, nella frequenza ai sacramenti, nella direzione spirituale». Con una convinzione di fondo: «Ad attrarre è la testimonianza coerente. Quindi, più che crisi della pastorale vocazionale, è in crisi la nostra identità. Se siamo autentici e non abbiamo fretta, lasciando che nei ragazzi cresca gradualmente l’impegno prima umano e sociale e poi di fede, i risultati arrivano».
    Laura Badaracchi
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    Coordin.
    00 24/07/2010 22:24
    Con la croce, Cristo ha invertito la logica della violenza, sconfiggendola. Ad ogni modo, questa continua a dominare nelle relazioni umane, dei potenti contro i deboli e, purtroppo, tra uomo e donna.
    Lo ha affermato il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., in occasione della celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Benedetto XVI nella Basilica Vaticana.
    Padre Cantalamessa ha insistito sulla gravità della violenza contro la donna, affermando che “è una occasione per far comprendere alle persone e alle istituzioni che lottano contro di essa che Cristo è il loro migliore alleato”.
    In Cristo, “non è più l’uomo che offre sacrifici a Dio, ma Dio che si 'sacrifica' per l’uomo”, ha spiegato. Il sacrificio “non serve più a 'placare' la divinità, ma piuttosto a placare l’uomo e farlo desistere dalla sua ostilità nei confronti di Dio e del prossimo”.
    “Il sacrificio di Cristo contiene un messaggio formidabile per il mondo d’oggi. Grida al mondo che la violenza è un residuo arcaico, una regressione a stadi primitivi e superati della storia umana e - se si tratta di credenti - un ritardo colpevole e scandaloso nella presa di coscienza del salto di qualità operato da Cristo”, ha affermato padre Cantalamessa.
    In quasi tutti i miti antichi, ha spiegato, la vittima è il vinto e il carnefice il vincitore. “Gesù ha cambiato segno alla vittoria. Ha inaugurato un nuovo genere di vittoria che non consiste nel fare vittime, ma nel farsi vittima”.
    “Il valore moderno della difesa delle vittime, dei deboli e della vita minacciata è nato sul terreno del cristianesimo, è un frutto tardivo della rivoluzione operata da Cristo”.
    Per questo, appena si abbandona la visione cristiana, “si smarrisce questa conquista e si torna ad esaltare il forte, il potente”.
    “Purtroppo, però, la stessa cultura odierna che condanna la violenza, per altro verso, la favorisce e la esalta. Ci si straccia le vesti di fronte a certi fatti di sangue, ma non ci si accorge che si prepara ad essi il terreno con quello che si reclamizza nella pagina accanto del giornale o nel palinsesto successivo della rete televisiva”.
    Accanto alla violenza giovanile e a quella sui bambini, padre Cantalamessa ha segnalato quella contro la donna, “tanto più grave in quanto si svolge spesso al riparo delle mura domestiche, all’insaputa di tutti, quando addirittura essa non viene giustificata con pregiudizi pseudo-religiosi e culturali”.
    “La violenza contro la donna non è mai così odiosa come quando si annida là dove dovrebbe regnare il reciproco rispetto e l’amore, nel rapporto tra marito e moglie”.
    Il predicatore ha quindi proposto, seguendo l'esempio di Giovanni Paolo II, una richiesta “di perdono per torti collettivi”, “il perdono che una metà dell’umanità deve chiedere all’altra metà, gli uomini alle donne”.
    “Essa non deve rimanere generica e astratta. Deve portare, specie chi si professa cristiano, a concreti gesti di conversione, a parole di scusa e di riconciliazione all’interno delle famiglie e della società”, ha affermato.
    “Anche nei confronti della donna che ha sbagliato, che contrasto tra l’agire di Cristo e quello ancora in atto in certi ambienti!”, ha aggiunto citando il brano evangelico del giudizio dell'adultera.
    “L’adulterio è un peccato che si commette sempre in due, ma per il quale uno solo è stato sempre (e, in alcune parti del mondo, è tuttora) punito”.
    “Ci sono famiglie (anche in Italia ) dove ancora l’uomo si ritiene autorizzato ad alzare la voce e le mani sulle donne di casa. Moglie e figli vivono a volte sotto la costante minaccia dell’'ira di papà'”.
    “A questi tali bisognerebbe dire amabilmente: 'Cari colleghi uomini, creandoci maschi, Dio non ha inteso darci il diritto di arrabbiarci e pestare i pugni sul tavolo per ogni minima cosa. La parola rivolta a Eva dopo la colpa: 'Egli (l’uomo) ti dominerà', era una amara previsione, non una autorizzazione”.
    P.Raniero Cantalamessa
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    Credente
    00 29/07/2010 00:55

    L'elettrosmog e gli attacchi al Vaticano

    di Vittorio Messori

    Troppo spesso, lo si sa, i media hanno la memoria corta. Così, giornali, telegiornali, siti e blog Internet si sono gettati su una notizia  che hanno scambiato per ghiotta novità: la Chiesa rovina i bambini non solo con le violenze sessuali, ma anche con le   radiazioni delle potentissime antenne della Radio Vaticana. Si è citata, per prova della nuova vergogna, una perizia del tribunale di Roma che, in realtà, nessuno ha ancora visto. Comprensibile che padre Federico Lombardi, direttore della Radio oltre che della Sala Stampa vaticana, abbia espresso “ vivo stupore“ per il ritorno di una vicenda che, dopo decenni di polemiche, sembrava terminata. Vicenda davvero esemplare, dove un ambientalismo catastrofista si unisce alla propaganda anticattolica di un certo radicalismo.

    Proprio per questo carattere esemplare, vale la pena di ricostruire le tappe di un     tormentone che oggi si vorrebbe ricominciare. Ecco, allora, i fatti. Con una legge del 1952, furono concessi dal Governo italiano allo Stato della Città del Vaticano tre chilometri quadrati a Nord di Roma, nella località detta Santa Maria in Galeria. Su
    quel terreno sono state elevate le antenne che diffondono la voce della Chiesa in tutto il mondo. Accanto agli impianti vaticani, anche la Marina Militare costruì il suo centro di comunicazioni. A quel tempo, il terreno circostante era deserto per chilometri, come avveniva spesso nella campagna romana. Ma, con gli anni, la zona si coprì di costruzioni, molte delle quali abusive, nell’inerzia del Comune. È anche da quegli abitanti irregolari – sobillati a lungo e a tappeto da comitati ad hoc creati dai Verdi più estremisti, fiancheggiati da gruppi anticlericali- che, decenni dopo, partì l'attacco contro la Radio Vaticana. Così, la gente che si era costruita la casa proprio a ridosso degli impianti, a dispetto ogni legge urbanistica, fu spinta a manifestare contro “il cinismo omicida della Chiesa“ che attentava alla salute loro e dei figli. La Radio era accusata, infatti, di diffondere "elettrosmog". Il nome, va detto, è a suo modo
    suggestivo, ma, secondo molti esperti autorevoli, indica una realtà inafferrabile se non inesistente. Molti oncologi, a cominciare dal più illustre, Umberto Veronesi, negano che esista un legame tra il cancro e le infinite onde (radio, televisioni, linee di alta tensione, cellulari, telecomandi) che attraversano il nostro corpo. L’inesistenza, o la
    innocuità,  di un “elettrosmog“ è sostenuta  da molti altri esperti di chiara fama e vi è contrasto di opinioni nella stessa Unione Europea, pur rispettosa sino alla bigotteria  dell'”ecologicamente corretto". E invece, per attaccare la Radio Vaticana (e, di striscio, la Marina Militare) gli agit-prop suggerirono agli abitanti dei dintorni di
    andare in cerca di casi di leucemia infantile, denunciando che questi erano stati provocati dai cattivi "preti" e chiedendo adeguati risarcimenti economici. I “preti“ in realtà, si attenevano alle prescrizioni dell'Istituto internazionale, lo Icnirp, che in base al "principio di precauzione",  stabilisce i limiti delle emissioni. Limiti che, come constatò una Commissione del ministero italiano della Sanità, non erano superati a Ponte Galeria.

    Ma, approfittando di un periodo in cui erano nella maggioranza di governo, i Verdi  fecero approvare una legge ad hoc che pose al campo elettrico dei limiti “restrittivi sino al ridicolo“, com’è stato osservato. Grazie a questa legge mirata, si stabilì che -anche se di rado- le antenne vaticane superavano i paletti. Si fece appello, così, alla Regione Lazio, la quale nominò un’altra Commissione, che stabilì che i casi  di leucemia, anche infantile, erano statisticamente omogenei alle altre zone del Lazio.

    Le cifre date dai propagandisti possono impressionare, ma solo se non si confrontano con la media non solo laziale ma italiana ed europea. Assoluzione, dunque, per la Radio la quale, peraltro, per calmare gli animi (“Vaticano=cancro“ dicevano gli striscioni dei militanti giunti dal centro di Roma) aveva adottato misure che avevano abbassato  i limiti  anche al di sotto della punitiva legge italiana.

    Ma “catastrofisti“ e “mangiapreti” pretesero una nuova Commissione, questa volta internazionale, dopo quella regionale e quella nazionale. Gli ulteriori luminari, convocati da varie nazioni, indagarono e presentarono un rapporto che così  concludeva: “I dati da noi raccolti non confermano un'associazione tra gli impianti radio e le leucemie infantili. Anzi, non v'è alcuna base biologica né consistenza
    epidemiologica su una eventuale relazione tra esposizione a radiofrequenze
    e rischio tumori”.

    Eppure, con instancabile tenacia, si riuscì ad ottenere che la Corte di Cassazione annullasse per un vizio di forma i processi precedenti e si ripartisse ex novo con un ennesimo procedimento, dove il reato addebitato ai responsabili della Radio era fantasioso, non essendosi trovato nulla di meglio. Si trattava, in effetti, del “getto pericoloso di cose”, previsto dall'articolo 674 del Codice Penale.

    Nel 2001 una Commissione mista italo-vaticana giunse a un accordo definitivo  e l’anno seguente ( nonché in quelli successivi ), gli esperti del nostro governo, dopo avere proceduto a sofisticati controlli, si rallegrarono con la Radio perché il livello delle emissioni era   ancor più basso di quanto pattuito e ribadì che non vi era alcun pericolo per la salute pubblica.

    A conferma, comunque, della strumentalizzazione sta, tra gli altri, un particolare:   tra i consulenti della Radio Vaticana, dunque tra gli scienziati schierati a favore della innocenza delle sue antenne  e della innocuità delle “onde“, primeggia proprio quell’Umberto Veronesi che dicevamo e  che non ha mai fatto mistero della sua estraneità, spesso polemica, al cattolicesimo. Ma, come ha detto il professore,“l’onestà scientifica deve contrastare ideologie, ossessioni, superstizioni,   leggende metropolitane“.

    Quanto alle leucemie  infantili, forse il maggior esperto italiano, il pediatra prof.  Andrea Pession, nega egli pure, a nome dei colleghi, un legame dimostrabile tra cancro e onde.

    Ma qualche malizioso è andato oltre: molte grandi aziende sono in lista di attesa per procedere all’interramento di tutte le linee elettriche ad alta tensione che attraversano il Paese sui grandi tralicci. Una commessa epocale, da molti  miliardi di euro. Ma l’affare sarebbe  possibile solo se i governi italiano ed europeo  riconoscessero l’esistenza e la dannosità di quello che gli ambientalisti chiamano “elettrosmog“. Così, proprio i Verdi favorirebbero uno dei maggiori guadagni dell’inviso “capitalismo“. Un buon esempio di "eterogenesi dei fini ".

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    Credente
    00 31/07/2010 12:24

    Le mode ideologiche tramontano presto. La tradizione è eterna

    di Vittorio Messori

    Cose noiose, per chi conosce il giro: è il solito adeguamento conformista all'ideologia momentaneamente egemone scambiato per rivolta coraggiosa; è la solita superficialità di chi non ha capito la dinamica della fede, scambiata per profondità di visione. Con, per di più, un equivoco di fondo: da qualche anno Mrs. Rice ci raccontava che, senza la ritrovata  fede nel Vangelo, il suo lavoro di scrittrice si sarebbe inaridito. E ha commosso milioni di lettori con la storia della sua conversione, dal titolo di "Chiamata fuori dalle tenebre", dove "le tenebre" sarebbero i luoghi in cui Gesù non è adorato. Ora, incassati i diritti d'autore, la born again, la “rinata nella fede“, impone agli incauti acquirenti di cestinare quel best seller e annuncia loro che "cessa di essere cristiana". 

    Ma qui sta l'equivoco: in realtà, cessa solo di essere "cattolica". In effetti, le basterebbe entrare a far parte di molte comunità protestanti per trovare non solo accettate ma sacralizzate quelle cose la cui mancanza tra i cattolici  la scandalizza: nozze in chiesa per i gay, donne vescovo (meglio se lesbiche), contraccezione venerata, “democrazia" nel senso di sottoporre a elezioni gerarchia e norme teologiche, liturgiche, nonché morali. In quelle comunità troverebbe appagate le sue attese, tutte nel segno -lo si diceva- dell'ideologia egemone, che è oggi quella della political correctness del liberalismo, se non libertinismo, dominante. Ma le ideologie mutano, e ciò che ci appare al momento indiscutibile sarà improponibile domani. Anne Rice ha l'età per ricordare che, sino a vent'anni fa, moltitudini di preti e di suore abbandonarono la Chiesa cattolica per motivi opposti a quelli che ora spingono lei ad andarsene: era il momento del "sociale", del "politico" -solo di color rosso, s'intende- che bollava come individualismo borghese ciò che oggi i conformisti liberal considerano sacro. Ma, se la scrittrice  avesse vissuto gli anni Trenta e fosse stata tedesca, con la stessa logica di oggi avrebbe “cessato di essere cattolica“ perché Roma si rifiutava di seguire la Chiesa luterana inquadrata (con poche eccezioni) nei Deutsche Christen, i Cristiani Tedeschi, che –sotto il comando del “Vescovo del Reich“ – insegnava tra l’altro l’arianità di Gesù, il dovere biblico del razzismo, la bellezza della guerra e altre cose ancora.

    Stia dunque  attenta, la Rice che crede di “andare verso l’avvenire“: quell’avvenire, come dimostra la storia, diverrà prima o poi un passato da rimuovere imbarazzati . Chi sposa lo spirito del tempo resta presto vedovo. E, così come oggi ci chiediamo come sia stato possibile essere cristiani nazisti e poi cristiani comunisti, ci chiederemo come si sia potuto essere cristiani liberal. La sua marcia di allontanamento dalla Chiesa cattolica, poi, si scontrerà con quella, sempre più affollata, di credenti che vanno in senso inverso. Centinaia di pastori e decine  di vescovi anglicani hanno chiesto al Papa di poter essere riaccolti proprio perché la Catholica rifiuta ciò che entusiasma la Rice. Chi conosce il mondo protestante –quello “storico“, nato dalla Riforma del XVI secolo– sa che, gruppi sempre maggiori meditano di andarsene. E, qui pure, per ragioni  opposte a quelle della scrittrice. Attenta, dunque: come spesso accaduto  anche tra i cristiani, i “reazionari” di oggi possono divenire i “profeti“ di domani.
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    Coordin.
    00 10/08/2010 18:36
     “Ecumenismo”.
    Il vocabolo ecumenismo indica il movimento che tende a riavvicinare e a riunire tutti i fedeli cristiani e quelli delle diverse Chiese. La base di partenza, su cui si erge il concetto stesso della Chiesa ecumenica, è la collettiva fede nella Trinità: in Dio Padre, in Gesù Cristo Figlio e in Dio Spirito Santo. Il termine stesso deriva dalla parola a “oikouméne”, che indica sin dal principio la parte abitata della Terra; la scelta indica come una sorta di indirizzo nella ricerca di una sempre più stretta collaborazione e comunione tra le varie chiese cristiane che abitano il mondo. Per ben comprendere la necessità di dover redigere una “riforma ecumenica” è doveroso considerare due concetti cardinali che si amalgamano tra loro. In primis è bene analizzare la differenza tra errore o disobbedienza e la ben più grave ed intollerabile eresia, unitamente alla storia del Cristianesimo, contrassegnata da svariati scismi e/o tradimenti.

    Questa è la definizione di eretico che da la Chiesa: "Poiché non si deve chiamare subito eretico uno che abbia peccato contro la fede, ma se, disprezzata l'autorità della Chiesa, difende pertinacemente le sue empie opinioni" (Catechismo Tridentino, 103). Per pertinacia si intende insistenza. Ora il celibato sacerdotale, tanto per citare un esempio, non è un argomento di fede (tipo la Presenza Reale o la Trinità o l'infallibilità del Papa, ecc...), ma è una regola. Si deve obbedienza, ma se non la si pratica non certo si nega una verità di fede, tuttavia si incorre in un persistente errore che è accomunabile alla disobbedienza. Sant'Agostino, tuttavia, disse: "Roma ha parlato, il caso è chiuso".

    Come ci tenne, in merito alle verità di fede, a specificare Leone XIII: Da quanto si è detto appare dunque che Gesù Cristo istituì nella chiesa "un vivo, autentico e perenne magistero", che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l'autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi. Quante volte dunque questo magistero dichiara che questo o quel dogma è contenuto nel corpo della dottrina divinamente rivelata, ciascuno lo deve tenere per vero, poiché, se potesse essere falso, ne seguirebbe che Dio stesso sarebbe autore dell'errore dell'uomo, il che ripugna: "O Signore, se vi è errore, siamo stati da tè ingannati". Quindi, rimossa ogni ragione di dubitare, a chi mai sarà lecito ripudiare una sola di queste verità, senza che egli venga per questo stesso a cadere in eresia e senza che, essendo separato dalla chiesa, rigetti in blocco tutta la dottrina cristiana?

    Tale è infatti la natura della fede, che nulla tanto le ripugna come ammetterne un dogma e ripudiarne un altro. Infatti la chiesa professa che la fede è una "virtù soprannaturale, con la quale, ispirati e aiutati dalla grazia di Dio, crediamo che sono vere le cose da lui rivelate, non già per l'intrinseca verità delle medesime conosciuta con il lume naturale della ragione, ma per l'autorità dello stesso Dio rivelante, che non può ingannare ne essere ingannato". Se dunque si conosce che una verità è stata rivelata da Dio, e tuttavia non si crede, ne segue che nulla affatto si crede per fede divina. Infatti quello stesso che l'apostolo Giacomo sentenzia del delitto in materia di costumi, deve affermarsi di un'opinione erronea in materia di fede: "Chiunque avrà mancato in un punto solo, si è reso colpevole di tutti".

    (Gc 2,10). Anzi a più forte ragione deve dirsi di questa che di quello. Infatti meno propriamente si dice violata tutta la legge da colui che la trasgredì in una cosa sola, non potendosi vedere in lui, se non interpretandone la volontà, un disprezzo della maestà di Dio legislatore. Invece colui che, anche in un punto solo, non assente alle verità rivelate, ha perduto del tutto la fede, in quanto ricusa di venerare Dio come somma verità e "proprio motivo di fede": perciò sant'Agostino dice: "In molte cose concordano con me, in alcune poche con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me, a nulla approdano loro le molte in cui con me convengono". E con ragione; perché coloro che della dottrina cristiana prendono quello che a loro piace, si basano non sulla fede, ma sul proprio giudizio: e non "rendendo soggetto ogni intelletto all'obbedienza a Cristo" (2Cor 10,5) obbediscono più propriamente a loro stessi che a Dio. "Voi - diceva Agostino – che nell'evangelo credete quello che volete, e non credete quello che non volete, credete a voi stessi piuttosto che all'evangelo". (Leone XIII - Enciclica Satis Cognitum).

    Ovviamente, tutte le vecchie e i contadini, il popolino per intenderci, nati per loro sventura in altre tradizioni religiose, che non sanno niente di tutto ciò e sono convinti di essere nella verità (in buona fede) e non solo, non sono eretici, proprio perché non gli è mai stato annunciata per bene la verità, né si sono mai rifiutati con ostinazione di credere con l'ossequio dell'intelletto ad eventuali verità di fede della Chiesa Cattolica dopo aver capito che cosa è la Chiesa Cattolica e cosa stanno facendo loro: "Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all'anima di lei..." (Catechismo di San Pio X).

    Terminata questa breve ma obbligatoria parentesi, cercherò di soffermare la vostra attenzione sulle radici storiche delle eresie, riportando sinteticamente un riassunto degli scismi avvenuti nella Chiesa. “Anche se non sono mai mancati elementi di contrasto, dottrinali e pratici, già nelle primissime comunità (come testimoniano gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di San Paolo), le prime divisioni tra cristiani, i cui effetti durano ancora oggi, hanno avuto inizio circa quattrocento anni dopo la morte di Gesù, intorno alle questioni di fondo sulla sua natura, come vero Dio e vero uomo. In particolare alcune Chiese tra le quali l'armena copta, l'etiope e la siriaca rifiutarono la definizione che fu data durante il Concilio di Calcedonia, nell'anno 451, secondo il quale la natura divina e la natura umana di Gesù sono unite «senza confusione e senza separazione». Oggi queste Chiese vengono chiamate ortodosse orientali o precalcedonesi perché condividono con gli altri cristiani solo le decisioni dei concili precedenti a quello di Calcedonia.

    Le fratture più profonde in venti secoli di storia della Chiesa sono state quella tra Chiesa di Costantinopoli e Chiesa di Roma nel 1054 e quella verificatasi tra Cattolicesimo e Protestantesimo a partire del XVI secolo. Entrambe, da cause di natura politica e religiosa, hanno presto portato ad una differenziazione in alcuni contenuti della fede, nonché nella diversa pratica della vita cristiana. Naturalmente, vi è un patrimonio di fede - corrispondente al periodo della Chiesa indivisa - ancora in comune tra le tre principali confessioni cristiane: il Battesimo e, con alcune diverse interpretazioni, l'Eucaristia come sacramenti centrali per la salvezza; la fede nel Dio trinitario che si è rivelato ad Israele e in maniera piena in Gesù Cristo; la centralità della Bibbia nella riflessione e nella vita cristiana, e così via” (Wikipedia). Altra questione è la Chiesa Anglicana, che nasce con Enrico XIII nel XVI secolo a seguito di una presuntuosa presa di posizione del reggente, il quale voleva sposarsi per la seconda volta in Chiesa. Le ordinazioni sacerdotali anglicane, per esempio, non sono valide, dato che Leone XIII con la bolla Aostolicae Curae, dichiarò apertamente che l’Anglicanesimo è eresia.

    L'eresia, dunque, è un termine utilizzato per indicare una dottrina o affermazione contraria ai dogmi e ai principi di una chiesa e condannata con prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche di qualsiasi credo o natura esse siano. Come avete notato, difatti, nel breve sunto storico succitato non ho assolutamente menzionato la altre filosofie di vita o credi errati, proprio perché questi si configurano palesemente nell’ambito delle eresie, ovviamente a seguito dell’avvenuta conoscenza di Cristo.

    Ma torniamo al “falso mito” da sfatare: l’Ecumenismo. Durante il Concilio Vaticano II, iniziato da Giovanni XXIII e concluso nel 1965 sotto la presidenza di Paolo VI, furono invitati come "delegati fraterni" membri autorevoli delle Chiese separate, vennero annullate le reciproche scomuniche pronunciate nello scisma d'Oriente del 1054 tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli; inoltre, uno dei nove decreti prodotti dal lavoro conciliare dei vescovi, assistiti dai consulenti teologici, è dedicato specificamente all'ecumenismo: Unitatis Redintegratio (Il ristabilimento dell'unità), del 21 novembre 1964.

    Il decreto definisce il movimento ecumenico quale:  “l'insieme di attività e iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei Cristiani”.  (Unitatis Redintegratio, 4)

    Nel decreto vengono successivamente esposte le condizioni con cui si esercita l'azione ecumenica e i principi che la regolano: per promuovere l'unità dei cristiani è necessario intessere un dialogo costituito da desiderio di conoscere gli altri, senza precostituire falsi giudizi, e dalla stima reciproca. Sono perciò necessari “in primo luogo, tutti gli sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi; poi, in congressi che si tengono con intento e spirito religioso tra Cristiani di diverse Chiese o Comunità, il dialogo avviato tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunità e ne presenta con chiarezza le caratteristiche”. 

    È dunque fondamentale e preliminare la corretta conoscenza reciproca che elimini errori e fraintendimenti, affinché siano ricercate l’equità e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione, cosicché per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiastica, tutti i cristiani, nell'unica celebrazione dell’Eucaristia, si riuniscano in quella unità dell’unica Chiesa di Cristo. Perché tutti i cristiani percepiscano di condividere gli stessi valori, è indispensabile che “i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli separati”.
     
    L'ecumenismo è da allora costantemente sostenuto dalla Chiesa Cattolica e, lo stesso attuale Pontefice, anni fa, dichiarava: "l'ecumenismo è anzitutto un atteggiamento fondamentale, è un modo di vivere il cristianesimo. Non è un settore particolare, accanto ad altri settori. Il desiderio dell'unità, l'impegno per l'unità dipende dalla struttura dello stesso atto di fede, perché Cristo è venuto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi". (Card. Ratzinger presso la Facoltà Valdese). E’ proprio da questa frase che, sperando di aver svolto un utile lavoro di sintesi, vi invito a riflettere ed a rispettare l’idea cattolica di ecumenismo; evitiamo di lasciarci confondere dal lassismo buonista e disinteressato che ci circonda, questo è “figlio” del governo globale, che forte di interessi economici e pressioni massoniche, tende unicamente a distogliere la nostra attenzione dal reale significato della fratellanza ecumenica e ci avvicina al pericolosissimo mondo del “chiesa universale new age”, dove tutto è lecito e dove l’opinione personale e l’ego hanno priorità assoluta a discapito dell’interesse collettivo. Ecumenismo è dialogo e fratellanza, nel senso cattolico del termine, finalizzando il tutto alla paziente conversione ed al necessario ravvedimento degli erranti, conversione in nome del Cristo Risorto, che rivive in eterno nella Chiesa di Roma.

     

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    Coordin.
    00 13/08/2010 14:40

    di Padre Giulio Maria Scozzaro


    Il tema del DIVORZIO è alquanto delicato, bisogna trattarlo con chiarezza e sincerità. La chiarezza è obbligatoria per evitare ogni dubbio, mentre la sincerità è opportuna usarla anche dinanzi una trattazione così dolorosa.

    Molti cattolici inquadrati approvano il divorzio perché vi sono incappati loro o qualche familiare ne è coinvolto, senza mostrare alcuna verità oggettiva sul divorzio come causa di traumi dei figli e, soprattutto, lo stato di peccato permanente in cui si cade.

    Ovviamente questi cattolici che vogliono stare con un piede in due scarpe non mostrano coerenza.

    Non è questo il metodo migliore per dialogare, alla base deve esserci sempre la coerente sincerità e poi descrivere la situazione. Bisogna dire che è stato Gesù a non volere il divorzio come il Vangelo di oggi ci dice, non è stata la Chiesa ad imporre questa morale, e non si può continuamente attaccarla, chiedendo di cambiare questa legge.

    Detto questo, bisogna aggiungere che i divorziati non sono assolutamente cattolici di serie B, al contrario, come per i sofferenti, gli ammalati e quanti vivono nella sofferenza morale, anche su di essi Gesù indirizza di continuo il suo sguardo per cercare di incrociare i loro occhi e dire che pur non potendo accedere ai Sacramenti, Lui li ama.


    Quanti divorziati sono brave persone, oneste e virtuose!

    Ricordo la corrispondenza con una persona sincera e addolorata, la quale mi poneva il quesito del divorzio nella Chiesa.

    Trascrivo una parte di ciò che le risposi: La sua risposta alla mia risposta è un po’ confusa, perché esprime quello che chiede, senza spiegare quello che vuole dare a Dio. Ho la piena comprensione verso tutti i peccatori, i peccati si condannano, l'anima di un peccatore da salvare vale quanto tutta la ricchezza del mondo. Anzi di più. Non voglio condannare i divorziati risposati, perché prego per loro, e sarebbe una contraddizione condannarli e amarli. Il loro stato di irregolarità permanente è brutto, ma non implica già una condanna da Dio. Lui giudicherà nel Giudizio e finché un peccatore vive in questa terra è sempre in tempo per abbandonare il peccato, ma non è mai abbandonato da Gesù. La questione deve essere vista e posta in modo diverso: non è la Chiesa a cambiare, noi, solo noi dobbiamo cambiare. Questo è il cammino cristiano, difficile e siamo d'accordo, ma è così perché lo ha detto Gesù nel Vangelo. Non è la Chiesa ad imporre questo, è Gesù a dirlo: “L'uomo non separi ciò che Dio unisce”.

    Il divorzio rimane sempre un cattivo esempio per i figli che pure soffrono terribilmente, i giovani che non vedono buoni esempi, al contrario, conoscono modelli di vita pienamente opposti alla morale cattolica, al Vangelo di oggi.

    Non mi sogno neanche di giustificare i divorzi, però, da persona prudente, devo evidenziare che oggi nel marito o nella moglie, a volte in tutti e due, c’è molto nervosismo, litigi continui, mancanza di apprezzamento, insincerità. La causa principale è la mancanza dell’amore in generale, inteso come affetto per il coniuge.

    La maggior parte delle coppie è priva dell’amore cristiano che perdona il coniuge, comprende, consola, aiuta, minimizza, copre le intemperanze.

    Oggi le coppie sono vulnerabili da tutti i lati, se non c’è la Grazia di Dio, la preghiera giornaliera, l’affetto per il coniuge, presto o tardi si finisce per divorziare. E una delle cause principali del divorzio è l’annoiarsi. Con il coniuge il menage familiare è ripetitivo, stessi orari di lavoro, di mangiare, di guardare la televisione, infatti si annoiano. Questo è sbagliato, bisogna rinnovare ogni giorno la vita familiare, non cambiando le regole e gli orari, ma l’atmosfera e gli interessi comuni.

    Quasi tutti i cittadini non conoscono la storia e i monumenti delle loro città, ogni settimana la coppia potrebbe girare e conoscere la propria città, dopo la partecipazione alla Santa Messa. Dialogare e pregare insieme. Dove si recita il Santo Rosario difficilmente si arriverà mai al divorzio.

    Ho scritto menage, che è l’andamento della vita familiare, in modo speciale in relazione a quella coniugale. C’è poi la doppia vita di uno dei coniuge e alle volte di tutti e due i coniugi. Questo è diffusissimo, c’è chi mantiene una relazione con l’amante per venti o trent’anni. Ci sono storie curiose di tradimenti e divorzi, noi limitiamoci a pregare per chi non riesce a dominare i propri istinti carnali.

    Il divorzio oggi è aumentato notevolmente, soprattutto al centro-nord si divorzia con più facilità, ed è la Valle d’Aosta la regione con la maggiore percentuale di scioglimenti dei matrimoni, quindi, rotture. La fine di un matrimonio spesso è accompagnata da un senso di liberazione e di libertà, ma non in tutti è così.

    C’è chi chiede il divorzio e chi lo subisce, spesso arrivano anche ad un accordo comune.

    Quindi, i divorzi sono in aumento, vediamo un’altra causa molto potente, come ha detto la Madonna a Medjugorje: “Dovete sapere che satana esiste. Egli un giorno si è presentato davanti al trono di Dio e ha chiesto il permesso di tentare la Chiesa per un certo periodo con l'intenzione di distruggerla. Dio ha permesso a satana di mettere la Chiesa alla prova per un secolo ma ha aggiunto: Non la distruggerai!: Questo secolo in cui vivete è sotto il potere di satana ma, quando saranno realizzati i segreti che vi sono stati affidati, il suo potere verrà distrutto. Già ora egli comincia a perdere il suo potere e perciò è diventato ancora più aggressivo: distrugge i matrimoni, solleva discordie anche tra le anime consacrate, causa ossessioni, provoca omicidi. Proteggetevi dunque con il digiuno e la preghiera, soprattutto con la preghiera comunitaria. Portate addosso oggetti benedetti e poneteli anche nelle vostre case. E riprendete l'uso dell'acqua benedetta!” (14 aprile 1982).

    Presento una lettera dell'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Cardinale Ratzinger, in cui espone esaurientemente la morale sui divorziati risposati: LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA CIRCA LA RECEZIONE DELLA COMUNIONE EUCARISTICA DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI RISPOSATI. (14 settembre 1994)

    «Di fronte alle nuove proposte pastorali, questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione” (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650).

    Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica: “Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” (Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84).

    Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data “solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi -quali, ad esempio, l'educazione dei figli- non possono soddisfare l'obbligo della separazione, “assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. In tal caso essi possono accedere alla Comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo». (cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7).

    Una precisazione molto importante e chiara.

    Come si pone il cattolico dinanzi la scelta del divorzio? Bisogna chiedersi se il credente riesce ad accettare una situazione di sofferenza oppure pensa subito al divorzio per mettere fine al matrimonio. Non parlo degli atei, loro hanno una visione della vita nettamente opposta alla nostra. Una giornalista di Tg5, di cui non ricordo il nome, è stata sposata 4 volte e 4 volte divorziata, ha avuto 4 figli, uno con ogni marito. C’è qualcosa che non và nei 4 mariti o in lei?

    Preghiamo per tutti i divorziati e le coppie in crisi, questo è il nostro dovere.

    Rientriamo in noi per conoscerci e valutare con Fede scelte fondamentali di vita.

    Non seguiamo mai l'istinto.
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    Coordin.
    00 17/08/2010 09:40
    Una rete ecumenica per difendere i migranti in tempo di crisi

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    Ginevra, 8. In un momento di crisi economica e di tassi di disoccupazione allarmanti, i migranti sono spesso usati come capri espiatori di tutti i problemi della società. Pertanto è compito delle religioni sostenere i diritti umani e la dignità di tutti. Lo hanno detto i membri del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) in occasione del Global Ecumenical Network on Migration (Gem), l'incontro annuale della Rete ecumenica internazionale sulle migrazioni appena concluso a Ginevra.

    I membri del Global Ecumenical Network on Migration provengono dalle organizzazioni religiose e da enti ecumenici che si occupano di migrazione. L'organismo ha lo scopo di approfondire la comprensione sulle questioni migratorie a livello mondiale, fissare le priorità, mettere insieme le loro risorse per una migliore difesa dei rifugiati in occasione delle discussioni politiche a livello mondiale. "Noi riteniamo che le religioni - ha ricordato nel corso dell'incontro Seta Hadeshian, direttore della Diakonia e giustizia sociale in Medio Oriente del Consiglio ecumenico delle Chiese - abbiano il mandato e la missione biblica di favorire la creazione di una società in cui tutti i popoli del pianeta possano godere dei doni di Dio, creati per tutti, in spirito di amore, di giustizia e di uguaglianza".
    Uno degli ostacoli a questo compito - Franca Di Lecce, direttore del Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) - è rappresentato dalla paura che domina le società contemporanee. Riflettendo sulla sua esperienza in Italia, Di Lecce ha detto che "c'è bisogno di richiamare l'attenzione sulla logica nascosta dietro le politiche migratorie. Si tratta di una logica di guerra" che serve a nascondere l'incapacità dei governi nel fornire sicurezza, lavoro, giustizia, pace e sviluppo.
    Secondo Franca Di Lecce, che ha illustrato la situazione italiana, sia dal punto di vista delle politiche migratorie dello Stato che dell'impegno delle confessioni cristiane, "per promuovere la legalità occorre promuovere la sicurezza, punire il crimine organizzato, la corruzione, combattere la disoccupazione e la povertà attraverso politiche sociali, l'integrazione economica e culturale rivolta a tutti i cittadini, i migranti e la popolazione locale. Invece, spesso, la sicurezza è usata come uno slogan per stigmatizzare gli immigrati".
    Sul tema "Le risposte delle Chiese alle migrazioni in Europa" è intervenuto Doris Peschke, segretario generale della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccme).
    "Negli ultimi dieci anni - ha spiegato Peschke - le richieste di asilo politico nei Paesi dell'Unione europea sono diminuite. Nel 2008 il numero di richieste ha raggiunto un livello del 10 per cento di quello che era 20 anni fa. Mentre il numero dei richiedenti asilo è salito nei Paesi entrati di recente nell'Ue, si registra un calo di richieste in Paesi come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo".

    [Modificato da Coordin. 17/08/2010 09:41]
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    Coordin.
    00 21/08/2010 17:59

    Quando il profetismo degli esperti viene smentito dalla storia

    di Vittorio Messori

    “Svolta storica“: ecco che ci risiamo, con il consueto corteo di analisi, di proiezioni, di previsioni. Questa volta tocca alla Cina, con il sorpasso della sua economia su quella giapponese. Come al solito, turbe di “esperti“ ci disegneranno  i loro scenari per l’avvenire dell’Impero di Mezzo. Ma il guaio dell’età è l’istinto di girar pagina, per confrontarsi con la cronaca del momento, lasciando in pace  la futurologia. Chi, come me, era al liceo e poi all’università tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta è vaccinatissimo contro il profetismo degli “esperti“. 

    Tanto per iniziare con un caso personale: nel 1961 la Torino in cui vivevo raggiungeva il milione di abitanti. Sociologi, demografi, economisti, presi sul serio dai politici, prevedevano con assoluta sicurezza che nel Duemila la città avrebbe superato i due milioni. In quell’anno, la popolazione del Comune era di 865.000 persone. Ma, in quegli anni, in una inchiesta su l’Espresso, Eugenio Scalfari profetizzava che, negli anni Ottanta, l’Unione Sovietica avrebbe superato come ricchezza, benessere personale, libertà stessa America e Europa Occidentale. A Scienze Politiche i docenti, con occhi luccicanti, ci parlavano delle meraviglie della  decolonizzazione, allora in atto. Prevedevano, soprattutto, un boom africano: economia e cultura “nere“ sarebbero esplose e ci avrebbero surclassati. Intanto, i più venerati tra i sociologi   pubblicavano best seller sulla “eclissi del Sacro nella società secolare“. Nel prossimo futuro, giuravano, ci aspettava il declino della religiosità : si sarebbe spento, o ridotto a nicchia, anche il cristianesimo, mentre l’editto di morte per l’islamismo era già pronunciato. Fede, questa, nata per beduini nel deserto, incapace di confrontarsi con la modernità. Non poteva esserci posto per essa, per i suoi decrepiti precetti, nei nuovi stati asiatici e africani nati dalla decolonizzazione.     

    Teneva banco, soprattutto, il think-tank degli ascoltatissimi super-esperti riuniti nel “Club di Roma“: con la sicurezza di chi si appoggia solo su dati sicuri, annunciavano, implacabili, “la fine dello sviluppo“. Entro pochi anni, le riserve di materie prime si sarebbero esaurite, a cominciare dal petrolio. Ci aspettava, ben prima del Duemila, la regressione alle caverne per mancanza di mezzi fornitici da Madre Terra.  Ma ci attendeva anche una grande glaciazione, si andava verso “il raffreddamento globale“. Non è una battuta ironica sugli apostoli attuali del global warming. Ricordo come, da giovane cronista, fui inviato a un grande congresso internazionale e riferii ai lettori  dell’unanime parere dei climatologi: la forza del Sole si indeboliva per lo schermo provocato dall’inquinamento, presto avremmo visto iceberg alla deriva nel Mediterraneo. A Venezia saremmo andati con slitte e pattini. Anche se lo si è rimossa con disagio, era quella, allora, l’ossessione dell’apocalittismo ambientalista.

    Nasceva l’elettronica, qui dominavano gli esperti che si rifacevano a un best seller francese, La sfida americana. Una scuola opposta a quella di Scalfari, una scuola dove si puntava sull’egemonia yankee. Da questi esperti, predizioni apodittiche come quella che tutto il settore elettronico, nel mondo intero, sarebbe stato monopolizzato da una sola azienda, l’IBM. Nessuno sarebbe stato in grado di scalfirne lo strapotere e nessun tecnico, se non americano, sarebbe stato in grado di costruire un computer. Meno che mai i giapponesi, buoni solo a copiare. Ma la forza imperiale Usa si sarebbe imposta anche nelle auto: i tre colossi  storici –General Motors, Ford, Chrysler– avevano già accaparrato ogni brevetto, i loro centri studi erano invincibili, in ogni continente si sarebbe costruito solo su loro licenza. Niente da fare per i non americani anche per le linee aeree: tutte sarebbero divenute solo filiali locali del gigante non sfidabile, la Pan American. Solo per promemoria: la compagnia fallì, dopo lunga agonia, nel 1991.      Quanto all’Europa, editorialisti da giornale e cattedratici insigni convergevano su alcune certezze: nel caso, dato peraltro per impossibile, di riunificazione tedesca, si sarebbe trattato di una sorta di incorporazione della Germanio Ovest in quella dell’Est che, alla pari dell’Urss , avrebbe scalato le classifiche economiche. Ancora: dopo decenni di energica cura di Tito, la Jugoslavia era un blocco compatto, era  l’unione ormai indissolubile di un unico popolo. La Spagna, alla morte di Franco, sarebbe precipitata in un’altra guerra civile, il re designato come successore sarebbe stato  espulso se non fucilato. In ogni caso il Paese, spossato dalla dittatura franchista, avrebbe avuto decenni non solo di violenza ma anche di spaventevole miseria. Per Israele, un avvenire sereno: l’islamismo si squagliava sotto il sole della modernità, gli arabi avrebbero sempre più apprezzato i vantaggi economici portati dagli ebrei, che facevano fiorire il deserto e cercavano mano d’opera per le loro fabbriche. Solo pochi fanatici musulmani, isolati, si  sarebbero opposti al predominio della democrazia, del laicismo e, dunque, della feconda convivenza. Quanto alla Cina –di cui ai media di oggi – i sinologi occidentali non esitavano: il marxismo alla Mao aveva trovato l’habitat ideale nel temperamento e nella storia cinese, nell’enorme Paese era impossibile una conversione a una qualunque economia di mercato. Gli affari non erano cosa per le gregarie “formiche cinesi“. 

    Potrei continuare a lungo. Ma questa basta, credo, per giustificare il sorriso annoiato –mio e dei miei coetanei-  ogni volta che i media annunciano “svolte epocali“ e ne traggono previsioni che la Storia, puntualmente, smentisce. Ben prima di Hegel, gli antichi Padri cristiani parlavano dell’ironia divina: l’Onnipotente si prende gioco della presunzione umana nel voler prevedere un futuro di cui Egli solo conosce il mistero.

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    Coordin.
    00 22/08/2010 22:03
    2. La pace minacciata 

    Benedetto XVI ha segnalato più volte quanti ostacoli incontrino oggi i poveri per accedere alle risorse ambientali, comprese quelle fondamentali come l’acqua, il cibo e le fonti energetiche. Spesso, infatti, l’ambiente viene sottoposto a uno sfruttamento così intenso da determinare situazioni di forte degrado, che minacciano l’abitabilità della terra per la generazione presente e ancor più per quelle future. Questioni di apparente portata locale si rivelano connesse con dinamiche più ampie, quali per esempio il mutamento climatico, capaci di incidere sulla qualità della vita e sulla salute anche nei contesti più lontani. 
    Bisogna anche rimarcare il fatto che in anni recenti è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate. La recente Assembla Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha denunciato con forza la grave sottrazione di beni necessari alla vita di molte popolazioni locali operata da imprese multinazionali, spesso col supporto di élites locali, al di fuori delle regole democratiche. Come osserva il Papa nell’Enciclica Caritas in veritate, “l’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno” (n. 49). Anche le guerre – come del resto la stessa produzione e diffusione di armamenti, con il costo economico e ambientale che comportano – contribuiscono pesantemente al degrado della terra, determinando altre vittime, che si aggiungono a quelle che causano in maniera diretta. 
    Pace, giustizia e cura della terra possono crescere solo insieme e la minaccia a una di esse si riflette anche sulle altre: “Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale” (n. 51).
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    Coordin.
    00 31/08/2010 12:54

    Consumo e consumismo

    Consumo è cosa buona, consumismo è consumo patologico

    Negli anni sessanta, l’economia degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa Occidentale attraversò un periodo di espansione. Questo ebbe, in parte, l’effetto di diminuire le diseguaglianze economiche e fece raggiungere ai paesi occidentali un buon grado di prosperità. Vi fu quindi un aumento della domanda dei beni di consumo (automobili, elettrodomestici, televisori, abbigliamento, etc…).

    Il mantenimento di questa prosperità era strettamente legato alla continua espansione della domanda. I cittadini cominciarono a essere indotti, in primo luogo dalla pubblicità, ad acquistare sempre di più, anche usando il mezzo delle rate e delle cambiali. Molte persone, anche se non benestanti, iniziarono ad acquistare beni che non servivano più a soddisfare bisogni precisi e reali, ma il cui possesso li faceva sentire al passo con i tempi. Ebbe inizio il consumismo che dura tutt’oggi. La contestazione giovanile che si ebbe nel 1968 attaccava anche il consumismo; infatti i giovani lo definivano una società fondata solo su beni materiali.

    Il consumismo fu aiutato dalla diffusione di strumenti di credito al consumo, tra cui la carta di credito, i quali consentivano di acquistare beni pur non avendo il denaro necessario per l’acquisto.

    In questa fase del processo divenne di primaria importanza la distribuzione: e quindi la creazione di grandi magazzini, centri commerciali, la pubblicità. Quel che sul piano economico è consumo, diventava consumismo, fondato sul principio per il quale l’appagamento di un bisogno ne stimola il sorgere di uno nuovo.

    Occorre per questo imparare a distinguere dagli altri i falsi bisogni. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare, di odiare ciò che gli altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni, i bisogni repressivi.. Può essere infatti che l’individuo trovi piacere nel soddisfare i propri bisogni, ma questa felicità non è una condizione che il consumismo accetti di perpetuare, onde evitare la staticità degli acquisti.

    Alla base del consumismo vi è l’idea di sfornare continue novità in ogni campo facendo sì che le persone si abituino ad acquistare prodotti non per la loro necessità ma piuttosto per quello che questi rappresentano. Il contributo della pubblicità ha aggravato questo processo ormai presente nella società odierna; essa invoglia i potenziali consumatori ad acquistare i prodotti che vengono mostrati.

    Citazioni sul consumismo.

    • …. ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo…. (Pier Paolo Pasolini)
    • Il cliente, il pubblico, è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente. (Silvio Berlusconi)

     

    In effetti consumare è un aspetto naturale del vivere in società.

    Vivere in società è una decisione naturale e  morale. Si decide di vivere in società perché così possiamo soddisfare le nostre esigenze meglio di quanto faremmo da soli. Sin dall’origine della specie ci se è resi conto che benefici maggiori potevano essere ottenuti attraverso la cooperazione, la divisione del lavoro e l’interdipendenza. Uniti i nostri sforzi, anche i nostri interessi si intrecciano dando vita così al mercato, in cui avvengono gli scambi volontari mutuamente vantaggiosi. Il mercato è in effetti la più alta espressione di cooperazione e di interdipendenza degli uomini. Pensiamo a quante centinaia di migliaia di persone cooperano per mettere a nostra disposizione un computer o un’automobile da quelli che lavorano nelle varie miniere per provvedere alle materie prime agli impiegati degli uffici commerciali e marketing fino ai distributori ed ai concessionari. Tutte queste persone lavorano naturalmente per ricavarne un profitto. Finalmente qualcuno compra un computer o un’automobile per soddisfare un bisogno o un desiderio.
    In pratica possiamo dire che consumiamo perché preferiamo godere dei frutti del lavoro di centinaia di migliaia di persone piuttosto che lavorare da soli per produrre qualcosa.
    Tutto questo va bene se parliamo in generale di mercato e di consumo.

    I “fanatici” del mercato dicono, con qualche ragione, che il mercato tende a rendere più omogenea la società e ad attenuarne le disparità, che sono stati la produzione ed il consumo di massa ad avvantaggiare i poveri e che se siamo tutti in grado di vivere circondati dalla tecnologia è perché da essa le persone traggono profitto e perché competizione e progresso tecnologico, a lungo andare, fanno sì che i prezzi tendano a scendere; e quindi prezzi più bassi permettono di fare più cose col denaro a disposizione al fine di soddisfare meglio le nostre esigenze. Dicono anche, forse esagerando un po’ e con qualche superficialità, che la voglia di soddisfare le proprie ambizioni personali è il carburante del progresso e dare libera espressione ai desideri delle persone per migliorare la loro vita è la sola vera giustizia sociale.
    D’altra parte una volta gli acquisti si facevano per comperare il necessario (le tre elle: Latte, Letto e Lana). Ora che nei paesi più ricchi il necessario ce l’hanno in molti, gli acquisti si fanno per altri motivi: per fare bella figura, per riempire un vuoto, facendo quindi prevalere l’avere sull’essere (la quarta elle: Lusso)..
    Il consumismo ha trasformato i cittadini in consumatori forzati di prodotti dall’utilità sempre più dubbia, dalla vita utile sempre più breve e dal grande spreco. Pensiamo al fatto che la nostra automobile rimane ferma (non mobile) in media per il 95% della sua vita.

    E’ possibile affermare che  la realtà è che il modello di “sviluppo” vigente è arrivato al capolinea. Solo ridefinendo gli stili di vita e riscoprendo l’individuo è possibile uscire rafforzati da questo momento storico.

    Accettando queste ipotesi, alquanto catastrofiste, potremmo affermare che  “consumatore” è una persona che non sceglie un prodotto perché costa meno, perché è più salutare, perché appartiene alla propria tradizione gastronomica; lo sceglie perché è indotto a farlo e non può farne a meno. E quindi il marketing, la promozione, la pubblicità sono il diavolo.

    In effetti è forse venuto il momento di passare a un atteggiamento responsabile, consapevole e  rispettoso verso l’ambiente in cui viviamo, un atteggiamento che si basi sulla semplicità volontaria.
    Questo è il messaggio importante e decisivo per il nostro futuro che anche un momento difficile come l’attuale crisi economica può comunicarci.
    E’ importante, a questo punto, rilevare il pericolo di cadere in qualche estremismo oppure nel fatale errore di voler risolvere problemi complessi con decisioni semplici.
    Erich Fromm parla di “consumo ragionevole“, oggi si parla di “consumo sostenibile“.

    Già nel 1936 Richard Gregg aveva formulato il concetto del “Voluntary Simplicity”.

    Questo si basa su una volontaria semplicità nello stile di vita, tende ad un basso consumo (di beni di consumo, di energia) e preferisce valori quali l’indipendenza, l’autostima e una responsabilità ecologica. Si tratta quindi di privilegiare l’essere sull’avere.

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    Coordin.
    00 10/09/2010 17:20

    Salvata Sakineh, ma lapidato il Medioevo

    C’è un diritto all’ignoranza, ma per la povera gente che non ha potuto studiare, non per i premi Nobel, né per i “maestri del pensiero” che pontificano dalle prime pagine dei giornali prendendo topiche imbarazzanti.

    Non si può far la guerra al pregiudizio usando i pregiudizi (più sciocchi), non si può combattere l’oscurantismo esibendo la più crassa ignoranza.

    Tanto meno per una causa nobile come la salvezza definitiva della povera Sakineh, la ragazza iraniana dallo sguardo dolce e triste, di cui ieri è stata sospesa la lapidazione.

    A cosa mi riferisco? Alla prima pagina della Repubblica di ieri. Che, sotto il titolo “L’appello dei Nobel ‘Salvate Sakineh’ ” riportava, in caratteri grandi, questo testuale virgolettato: “Fermiamo l’orrore sul corpo di quella donna. La lapidazione è medievale, una punizione che non esiste nel Corano”.

    Assurdità

    Mi sono stropicciato gli occhi e ho riletto: “la lapidazione è medievale”. Sotto questa colossale baggianata, riprodotta fra virgolette e in caratteri grandi, la Repubblica ha riportato i nomi dei Premi Nobel Shirin Ebadi, Luc Montagnier, Rita Levi Montalcini, Harald Zur Hausen, Claude Cohen-Tannoudji e Gerhard Ertl.

    Ma dall’articolo si evince che la frase è dell’avvocatessa iraniana, premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi che ha testualmente detto: “La lapidazione è una forma di punizione medievale che non esiste sul Corano”.

    Lasciamo perdere la seconda parte della frase (“una punizione che non esiste nel Corano”), anche se sospetto che i mullah di Teheran conoscano ciò che dicono il Corano e gli altri testi normativi dell’Islam meglio di noi.

    La cosa che mi ha fatto sobbalzare è quell’altra, perché è platealmente falsa: “la lapidazione è medievale”. Non so se la Ebadi intendeva parlare del “Medioevo islamico”, ne dubito perché altrimenti avrebbe dovuto dirlo.

    In ogni caso, siccome la Repubblica non esce in Iran, ma in Italia, siccome ha scritto Medioevo tout-court (senza l’aggettivo islamico), siccome questa è la definizione dell’epoca cristiana data dall’Illuminismo e siccome è tipico della cultura europea post-illuminista attribuire al Medioevo cristiano ogni turpitudine, è naturale intendere il “proclama” che ieri stava sulla prima pagina di Repubblica come un anatema contro il Medioevo per antonomasia, il nostro Medioevo.

    E allora qui c’è da trasecolare. Quando mai nel Medioevo si sono lapidate le presunte donne adultere? Per scrupolo professionale ho voluto consultare un medievista a 24 carati come Franco Cardini che, ovviamente, ha negato che nel Medioevo i cristiani lapidassero le donne ritenute adultere.

    Anzi. La celeberrima pagina del Vangelo in cui Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, prevista dalla legge ebraica di quel tempo, ha segnato una svolta storica. La pietà e il perdono di Dio irrompono nel mondo e lo ricreano.

    Gesù liberatore delle donne

    Quella pagina è una pietra miliare perché rappresenta in modo drammatico tutta la novità portata da Gesù rispetto all’antica Legge. E’ una rivoluzione che lui dovrà pagare con la vita.

    Gesù mostra al mondo la struggente tenerezza di Dio verso i peccatori, rivela il “Padre misericordioso” che corre incontro al figlio scialacquatore pentito e lo riempie di abbracci e onori.

    Gesù pronuncia parole durissime proprio contro quelli che si ritengono “perbene”, contro chi pretende di non essere peccatore, di non aver bisogno di perdono e di aver diritto di lapidare gli altri.

    Questi “maestri della legge” vengono da lui chiamati “ipocriti” e “sepolcri imbiancati”. Gesù tuona: “Serpenti, razza di vipere! Come potrete evitare i castighi dell’inferno?” (Matteo 23, 4 e sgg). Gesù dice loro provocatoriamente: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno dei cieli” (Mt 21, 31).

    Dopo Gesù il mondo non è più lo stesso. Finisce anche l’orrore della schiavitù femminile. Non si uccide più una donna per un suo presunto peccato. Era un orrore che accomunava tutte le civiltà antiche: nella Roma imperiale, patria del diritto, una donna poteva essere ammazzata dal marito o anche dal suocero perfino per motivi futili, come aver bevuto del vino.

    Eva Cantarella, nel suo libro “Passato prossimo”, spiega che su una figlia il padre ha diritto di vita o di morte (Ponzio Aufidiano per esempio uccise la figlia innocente quando scoprì che era stata violentata).

    E ovviamente il marito può uccidere la moglie in caso di adulterio di lei. Ma non viceversa. Catone diceva: “se sorprendi tua moglie mentre commette adulterio, puoi ucciderla impunemente; se lei sorprende te invece non può toccarti nemmeno con un dito”.

    Era pratica sociale accettata la soppressione o l’abbandono delle figlie femmine o anche il cedere la propria moglie come Catone che dette Marzia all’amico Ortensio (anche Ottaviano si fece cedere Livia dal marito).

    Con il cristianesimo inizia l’unica, vera e duratura rivoluzione per le donne. E’ con Gesù, letteralmente con la sua venuta, che la donna acquista una dignità che non aveva mai avuto e che, anche giuridicamente, è pari all’uomo. E la più alta fra le creature sarà la Madonna.

    Ricordo che perfino Roberto Benigni, nelle sue letture della Commedia dantesca, commentando il XXXIII del Paradiso, che inizia con la celebre preghiera alla Vergine, diceva: “la donna ha cominciato ad avere la possibilità di dire ‘sì’ o ‘no’ da quando Dio stesso ha chiesto a Maria di Nazaret il suo libero sì o no”.

    Il medioevo è la prima, grande fioritura della civiltà cristiana ed è finalmente l’epoca della storia in cui non si è più potuto lapidare la donna adultera, né considerare la donna un oggetto su cui esercitare diritto di vita o di morte.

    Qualcuno obietterà: ma come, stiamo dandoci da fare per salvare una povera donna dalla barbara lapidazione e tu pianti una grana in difesa del Medioevo. Sì. Perché in definitiva la salvezza delle tante Sakineh sta solo nella novità portata dal cristianesimo. Come è stato per l’Europa.

    E’ vero quindi l’esatto contrario di quanto proclamato dalla prima pagina di Repubblica. Proprio il Medioevo segna, nella storia mondiale, la fine di quell’orrore. La Ebadi avrebbe dovuto dire: purtroppo non siamo al Medioevo cristiano.

    Ovviamente non è che il Medioevo sia stato pieno solo di santi: gli uomini continuavano a essere peccatori e barbari. Ma si era invertito il corso della storia che andava verso la sopraffazione e la violenza sistematica sui deboli, i vecchi, i malati, i bambini e le donne. Il Medioevo avrà avuto i suoi difetti, ma non lapidava le donne.

    Umberto Eco, che è una firma autorevole di Repubblica ed è un appassionato di quell’epoca potrebbe spiegarlo in un attimo alla redazione di quel giornale. Perché è incredibile che il quotidiano più diffuso, un giornale importante come Repubblica cada in questo colossale errore.

    Pregiudizi

    Come può accadere? Mi dice Cardini: “perché sui media ci sono cose di cui si può parlare male impunemente: il Medioevo è una di queste. E lo si fa per parlar male del cristianesimo su cui tutti si sentono in diritto di sputare”.

    C’è un meraviglioso libro della medievista francese Régine Pernoud, pubblicato da Bompiani, “Medioevo. Un secolare pregiudizio”, che demolisce proprio i tanti luoghi comuni calunniosi che dal Settecento sono stati ingiustamente diffusi sul Medioevo. Basati su falsità e ignoranza.

    L’ignoranza, il preconcetto nutrito di luoghi comuni, la scarsa conoscenza della storia sono tutti ingredienti di quel, più ampio, planetario pregiudizio anticristiano, anzi “pregiudizio anticattolico”, che il sociologo Philip Jenkins, in un suo libro, ha definito “l’unico pregiudizio ammesso”.

    In effetti l’epoca del “politically correct”, che ha messo al bando tutti i pregiudizi basati sull’appartenenza etnica, religiosa, sessuale o sociale, ammette solo quello contro la Chiesa cattolica.

    Sulla Chiesa e sui cattolici di oggi e di ieri si possono impunemente sparare sentenze di condanna morale e culturale, immotivate e ingiuste.

     

    Antonio Socci

    Da “Libero” 9 settembre 2010

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    AmarDio
    00 17/09/2010 13:02

    Atei contro credenti

    Si riaccende il dibattito sull’esistenza di Dio

     (ZENIT.org).- L’attacco contro la religione avviato da Richard Dawkins con il suo libro “The God Delusion” non dà segni di cedimento.

    Nel libro “God: The Failed Hypothesis”, Victor J. Stenger sostiene di poter fornire una sorta di prova scientifica dell’inesistenza di Dio.

    Stenger, professore a riposo di fisica e astronomia dell’Università delle Hawaii, sostiene che il ragionamento scientifico è progredito al punto tale da poter assicurare “un’affermazione definitiva sull’esistenza o non esistenza di un Dio avente quelle caratteristiche tradizionalmente associate al Dio giudeo-cristiano-islamico”.

    Considerando il ruolo che gli si attribuisce nell’universo e nella vita umana, l’autore sostiene che Dio dovrebbe essere individuabile attraverso mezzi scientifici. Ma un esame in questo senso, secondo l’autore, confuta la tesi dell’esistenza di Dio.

    Un altro contributo proviene dal filosofo inglese A.C. Grayling. In una raccolta di brevi saggi dal titolo “Against All Gods”, egli sostiene di poter fornire un’alternativa alla religione, basata sulla tradizione filosofica occidentale.

    Grayling illustra la sua obiezione alla religione sia in termini di sistema di credenze, sia in relazione al suo ruolo istituzionale. Egli accusa inoltre la fede di essere “una comunità evasiva che cerca di evitare o deflettere le critiche nascondendosi dietro le astrazioni di una teologia più elevata”.

    Grayling sostiene quindi che la religione si trova oggi al suo stadio terminale e che sarà presto sostituita da un umanesimo ben più benigno.

    Ulteriori spunti di polemica contro la fede provengono dal libro di Christopher Hichens “Godi s not Great: How Religion Poisons Everything ”.

    La qualità delle argomentazioni riportate nel libro, tuttavia, secondo molti recensori lascia alquanto a desiderare. Ad esempio, secondo una recensione di Michael Skapinker, redattore dell’edizione del fine settimana del Financial Times, si descrive il lavoro usando termini come “sciatteria intellettuale e morale”.

    Ciò non ha impedito al libro di ottenere un buon successo. Secondo un servizio apparso il 22 giugno sul Wall Street Journal, il libro ha venduto quasi 300.000 copie nelle prime sette settimane.

    Risposte cristiane

    Gli attacchi ateistici non sono rimasti senza risposta. Negli ultimi mesi i cristiani evangelici degli Stati Uniti hanno pubblicato due libretti in risposta al saggio di Sam Harris, “Letter to a Christian Nation” del 2006.

    La prima è la “Letter from a Christian Citizen”, di Douglas Wilson, un ministro e senior fellow di teologia del New St Andrews College, nell’Idaho. Nella prefazione, Gay Demar riporta un’opinione comune diffusa tra coloro che hanno analizzato l’attuale ondata di libri anticristiani.
    “Le stesse argomentazioni già ampiamente confutate nel corso degli ultimi secoli sono state ripescate nella vana speranza di trovare nell’ateismo nuova risonanza”, ha osservato.

    Wilson accusa Harris di aver riportato ad arte citazioni tratte dalla Bibbia nel tentativo di mettere in difficoltà i credenti, mettendo in evidenza quelle regole socioculturali poi diventate anacronistiche. Uno studio meno tendenzioso della Bibbia e in particolare del Nuovo Testamento – sostiene Wilson – mostrerebbe invece la natura del tutto rivoluzionaria del Cristianesimo che ha rovesciato molte delle pratiche pagane indebite.

    Wilson osserva che Harris riduce la moralità ad un calcolo tra gioia e dolore. Se il comportamento umano deve essere regolato da questo criterio, facilmente può scadere in forme di prevaricazione nei confronti degli altri.

    Wilson accusa inoltre Harris di dare un’interpretazione superficiale del problema del male per il credente.

    Secondo Harris, la mera esistenza di un’azione cattiva è sufficiente per mettere in dubbio l’idea di un Dio buono.

    La seconda risposta a Harris è la “Letter to a Christian Nation: Counter Point”, di R.C. Metcalf. Harris – osserva l’autore – svolge una serie di argomentazioni fondate sulla presenza, nell’Antico Testamento, di leggi sulla schiavitù e sulla sessualità, nel tentativo di screditare la religione. Metcalf tratta ciascuna di queste questioni, in generale, dimostrando come il Cristianesimo abbia invece rappresentato una forza positiva per la società.

    Inoltre, sostiene Metcalf, il Cristianesimo costituisce una base sicura di un comportamento moralmente retto. L’ateo, invece, non dispone di simili fondamenti.

    Il contributo della religione

    Un’altra recente difesa della religione proviene dall’Arcivescovo canadese Thomas Collins, che ha ricevuto il pallio da Benedetto XVI il 29 giugno dopo essersi insediato come Arcivescovo di Toronto a gennaio.

    Il 31 maggio egli ha pronunciato un discorso davanti all’Empire Club of Canada intitolato “Il contributo della religione alla società”.

    L’Arcivescovo ha esordito affermando che la religione ci consente di percepire il senso sia del mondo materiale sia della vita umana.

    “Noi viviamo in una rete di rapporti e attraverso la fede scorgiamo l’insieme dei collegamenti che mostrano il senso del nostro breve viaggio in questo mondo”, ha affermato.

    Questo è particolarmente importante nel mondo di oggi, “in cui ci si ritrova con estrema facilità ad essere individui solitari, senza senso né orientamento, scollegati e privi di radici, che corrono sempre più velocemente verso il nulla”, ha proseguito l’Arcivescovo.

    Nel parte principale del suo discorso egli ha invece illustrato i quattro contributi della religione alla società.

    1. La religione migliora le comunità locali promuovendo i rapporti umani

    La Chiesa cattolica – ha spiegato – ripone grande importanza sulla sussidiarietà che rafforza le comunità più piccole. Questo aiuta le persone a entrare in rapporto l’una con l’altra in modo più umano, basandosi sul rispetto della dignità personale di ciascuno dei figli di Dio.

    La comunità fondamentale, ha affermato l’Arcivescovo Collins, è la famiglia, che oggi si trova sotto grande pressione. La Chiesa cattolica celebra il matrimonio come il vincolo stabile tra un uomo e una donna fedeli nell’amore e aperti al dono della vita, ha spiegato.

    2. Le comunità religiose danno un enorme contributo al bene comune dell’intera società, attraverso le opere di carità e di carattere sociale

    Basti pensare a cosa accadrebbe – ha detto rivolgendosi agli ascoltatori – se d’improvviso Toronto fosse privata dell’assistenza sociale che quotidianamente viene fornita ai più bisognosi dalle comunità e organizzazioni religiose. I cristiani svolgono queste opere di carità motivati dalle parole di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

    3. Le comunità religiose applicano il loro patrimonio di saggezza sulle questioni d’attualità

    I credenti effettivamente possono trovarsi in disaccordo su importanti questioni di dottrina, ha spiegato l’Arcivescovo Collins, ma essi comunque condividono il rispetto della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio e hanno in comune una tradizione di lavoro in base alla quale sono in grado di affrontare ogni questione di carattere sociale.

    Esiste una profonda saggezza nella tradizione religiosa – ha aggiunto – che deriva non solo da elementi di fede, ma anche dall’esperienza e dall’applicazione della ragione.

    “Nonostante l’irritazione che possa provocare nelle persone che professano una fede laica – e il secolarismo è in sé una sorta di fede –, è importante, per una società sana, che una voce religiosa si faccia sentire su tutte le questioni di rilevanza generale”, ha affermato l’Arcivescovo.

    Egli ha anche fatto riferimento ad argomentazioni antireligiose che si basano sulle violenze commesse in nome della fede. Sarebbe tuttavia più corretto che il giudizio sulla una religione si basi sull’esperienza di coloro che si impegnano a vivere in pienezza la realtà della loro fede.
    “L’onestà vuole che la religione sia giudicata dai suoi santi e noi dai suoi peccatori”, ha ricordato l’Arcivescovo.

    4. Le comunità religiose arricchiscono la società con la bellezza

    La bellezza, la verità e la bontà sono tutti segni della presenza di Dio e di ciò che c’è di più elevato nell’umanità, ha spiegato l’Arcivescovo Collins. Le comunità religiose arricchiscono la società con la bellezza, attraverso l’arte la musica e la letteratura.

    In conclusione, il presule ha asserito che ciò che conta di più nella vita non sono le cose che possono essere pesate o misurate sul piano materiale. A differenza del materialismo, che può essere definito come “la più grande delusione”, la religione ci consente di percepire l’armonia, la bellezza e soprattutto l’amore. Argomentazioni che gli atei non sono in grado di confutare.

    di padre John Flynn, L.C.
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    Coordin.
    00 26/09/2010 23:28

    Che Cristo ci tenda la mano…

    Posted: 25 Sep 2010 12:01 AM PDT

    Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me in questo modo doloroso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché, nonostante tutto, continua a essere una realtà illusoria da cui non riesco a liberarmi?”.

    Questo è il grido lanciato da Antonius Block, il cavaliere medievale protagonista del celebre film di Ingmar Bergman, “Il settimo sigillo”. E’ il cavaliere la cui condizione esistenziale sta tutta in quella famosa partita a scacchi con la Morte, giocata in riva al mare, per protrarre la sua vita.

    La sua disillusione e la sua angoscia, al ritorno dalle crociate, quindi con un passato cristiano alle spalle (Bergman era figlio di un pastore protestante), sono il perfetto ritratto della condizione dei moderni che hanno spazzato via Dio dal mondo e dalla loro vita, ma che non riescono a sradicarlo da se stessi perché il bisogno di Lui, il desiderio di infinito, di eternità, di significato, di amore – cioè il desiderio di Dio – grida nelle proprie stesse carni, nel profondo del cuore, nell’anima che si sente orfana.

    Proprio queste parole vengono in mente di fronte a quanto è successo in Gran Bretagna durante la visita di Benedetto XVI. “Un evento storico”. Così ieri il Papa ha commentato con entusiasmo il suo recente viaggio.

    Ratzinger non è tipo che usa le parole a vanvera. Non intendeva usare un’espressione enfatica per esaltare semplicemente il significato storico della visita del Pontefice romano nel Paese più laico d’Europa, il più storicamente “antipapista”.

    Ha spiegato che è stato un evento storico anzitutto perché ha rovesciato tutte le previsioni. Tutti avevano annunciato che il Successore di Pietro sarebbe stato accolto da ostilità laica, contestazioni, gelo anglicano, formalismo delle autorità e indifferenza della gente comune.

    Invece è accaduto l’opposto e perfino i giornali britannici, solitamente acidi con la Chiesa di Roma hanno riconosciuto di essersi sbagliati e hanno sottolineato la sorpresa che è stata la scoperta di questo Papa, umile, buono e sapiente. In fin dei conti hanno ammesso il grande fascino del cattolicesimo che parla loro dalle proprie stesse radici, dai secoli della loro grande storia cattolica.

    Infatti ieri, il Papa, all’udienza del mercoledì, ha detto: “nelle quattro intense e bellissime giornate trascorse in quella nobile terra ho avuto la grande gioia di parlare al cuore degli abitanti del Regno Unito, ed essi hanno parlato al mio, specialmente con la loro presenza e con la testimonianza della loro fede. Ho potuto infatti constatare quanto l’eredità cristiana sia ancora forte e tuttora attiva in ogni strato della vita sociale. Il cuore dei britannici e la loro esistenza sono aperti alla realtà di Dio e vi sono numerose espressioni di religiosità che questa mia visita ha posto ancora più in evidenza”.

    Poi è sceso nel dettaglio per sottolineare come tutti abbiano accolto con “grande calore ed entusiasmo” lui e ciò che rappresenta: dalle autorità agli esponenti delle altre confessioni, dai giovani a tanta gente comune.

    Ha concluso: “Nel rivolgermi ai cittadini di quel Paese, crocevia della cultura e dell’economia mondiale, ho tenuto presente l’intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà e comunicando l’intramontabile novità del Vangelo, di cui essa è impregnata. Questo viaggio apostolico ha confermato in me una profonda convinzione: le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col ‘genio’ e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale”.

     Dunque non si tratta solo dell’inestirpabile e generico desiderio di Dio, che grida in tutti gli esseri umani anche nel secolo che ha preteso di uccidere Dio. Ma è proprio l’antica anima cristiana, un’attesa di Cristo vivo, quella che si agita nel cuore dei popoli europei, degli uomini e delle donne del nostro tempo (perfino in tanti intellettuali che si proclamano laici).

    Perché quando si è conosciuto Gesù Cristo – e chiunque sia nato in Europa ne ha visto il volto per il fatto stesso di essere stato battezzato – quando si è vista la luce, in qualunque notte poi ci ritroviamo la nostalgia di quella Luce non si estirpa più. Prima o poi ti riprende perché col battesimo gli apparteniamo.

    Come racconta un grande scrittore cattolico inglese, Graham Greene nel romanzo “La fine dell’avventura”, una storia d’amore ambientata nella Londra devastata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale (è stato ristampato ora col titolo “Fine di una storia”).

    Una storia che fa vedere come Gesù Cristo non si lascia rapire nessuno che gli sia stato dato nelle mani.

    Il Papa in Gran Bretagna ha parlato di questa nostalgia di un amore perduto, dell’Amore perduto. A questa nostalgia cristiana, a questo desiderio della grazia, del rivelarsi di Dio nella carne della vita quotidiana, Bergman di nuovo dava espressione in quel film con queste parole del cavaliere: “il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura”.

    Questa esperienza di sé diventa domanda, grido, preghiera che il Salvatore gli si faccia tangibilmente incontro: “E’ così crudelmente impensabile percepire Dio con i propri sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezze promesse e di miracoli che nessuno ha visto? (…). Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli” (Antonius Blok).

    E’ precisamente questo Dio che si è fatto uomo e tende la mano a ciascuno di noi, è questa la notizia che Benedetto XVI è andato a far conoscere: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi” (Gv 1,14).

    Con umiltà – come ha sottolineato il papa – risuona nel mondo questo annuncio: “ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…), noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1-3).

    Il risuonare di questa notizia, nella laica Londra, “la città preda del tempo”, ha commosso i cuori. E’ un segno di tempi nuovi?

     

    Antonio Socci

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