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Marina Montesano, ricercatore di storia medievale presso l’Università di Genova , in un articolo per “Il Manifesto”, recensisce due libri storici sulla “caccia alle streghe” .


Il suo giudizio a ristabilire la verità sul Medioevo è netto:«proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». Continua, «per la caccia alle streghe si può schematicamente delineare uno sviluppo in tre fasi differenti: un diffondersi sporadico di processi e condanne capitali che terminò intorno al 1550-1560; un incremento notevole tra quest’epoca e il 1660, fase che costituì l’apice della caccia in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo si ebbe una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro arrivo in aree precedentemente risparmiate». I numeri non sono poi certo quelli propagandati dai vari Corrado Augias & Co: «la storiografia è in grado di proporre dati probabili: nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime».


E’ importante anche concentrarsi sull’area geografica maggiormente coinvolta in questa pratica, ovvero quella germanica e protestantizzata«un’area, quella tedesca del Sacro Romano Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, in cui la caccia alle streghe mieté il numero maggiore di vittime. È una disparità che colpiva anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la Germania sembrava essere «tot sagarum mater»: «madre di così tante streghe». Circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania». E la causa, continua la storica, fu sopratutto la Riforma e l’estrema frammentazione del potere politico: «Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo; i riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una «caccia» intensa e determinata».


I revisionisti anti-cattolici citano anche ossessivamente l’Inquisizione spagnola (area cattolica) come il capro espiatorio della caccia alle streghe. Ma la Montesano chiarisce: «Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima di una secolare «leggenda nera», si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per così dire «moderna», cioè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo». Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna?«più di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta sotto l’Inquisizione negli oltre cento  anni tra 1498 e 1610. In totale le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle 300». Ancora meno se l’autorità centralizzata fosse stata forte e capace di incidere.


Riassumendo dunque si può dire che il Medioevo ebbe davvero poco a che vedere con la “caccia alle streghe”, attività che in grandissima parte avvenne in ambito protestante. Il pensiero è decisamente simile a quello di Jean Dumont, uno dei maggiori specialisti mondiali sull’Inquisizione spagnola, il quale in quest’interessante intervista aggiunge un dato sulla presunta e “terribile macchina da morte” spagnola: «nell’epoca di maggiore voga della tortura, in Spagna, a Valenza, su duemila processi dell’Inquisizione, nell’arco che va dal 1480 al 1530, sono stati ritrovati dodici casi di tortura».