00 26/04/2021 09:42

Il parallelismo è impressionante:


   1. “La giovane” e “la profetessa”. Questa non può essere la moglie di Isaia: in tal caso sarebbe stata chiamata ‘sua moglie’. Inoltre, se fosse sua moglie avremmo l’unico caso della Bibbia in cui anziché dire che ‘si unì a sua moglie’ (come di consueto si dice nella Bibbia), si direbbe ‘si unì a…’ usando un altro nome al posto di moglie. La profetessa doveva essere una giovane donna nota per le sue doti profetiche. Forse viveva nel Tempio: si noti l’intervento del sacerdote. Si spiegherebbe così il nome di Emanuele (“Dio-con-noi”) che ella avrebbe dato al bambino, mentre il nome dato dal padre sarebbe stato Mahèr-shalàl-khash-bas (ebraico מַהֵר שָׁלָל חָשׁ בַּז). Inoltre, siccome nel parallelismo la profetessa è una giovane vergine, questo esclude la moglie. Non si deve intendere che la moglie di Isaia fosse morta. A quel tempo la poligamia, specialmente tra persone aristocratiche e nobili (come Isaia), era assai diffusa. Anzi, per tale unione era richiesto che la donna non fosse già unita ad altro uomo: fatto che avvalora l’identificazione con la vergine. Infine, chiamare la propria moglie “la profetessa” sarebbe molto strano.


   2. Il bambino è già un segno prima di nascere: prima ancora che sia concepito gli viene assegnato un nome che reca l’idea di liberazione dai nemici. Il regno di Giuda, che è in condizioni disperate, sarà quindi salvo.


   3. Il tempo della sconfitta dei due re alleati ad opera dell’Assiria è indicato in modo quasi identico. I due regni sono gli stessi: la Siria e il regno di Israele (Samaria). Prima che il bambino sappia discernere tra male e bene (7:16), prima che sappia dire con cognizione papà e mamma (8:4), ecco che la terra nemica sarà desolata (7:16) e le sue ricchezze portate in Assiria (8:4). La realtà storica confermò che Isaia aveva ragione di chiamare il suo bambino in modo così strano.


   4. Anche il modo eccezionale con cui il profeta preannuncia, alla presenza di testimoni, che il figlio della profetessa sarebbe stato un maschio con un nome simbolico riguardante appunto la sconfitta dei due re nemici, avvolge tutto il nascituro in un’aureola di “segno”.


   5. Dopo la liberazione dai due re coalizzati contro Acaz – proprio per la mancata fiducia in Dio – l’Assiria strariperà contro il regno di Giuda e lo inonderà tutto, lo punirà gravemente (“fino al collo”). C’è un perfetto parallelismo con Is 7:18-25. Anzi, il nome di “Emanuele” inserito in Is 8:8 dimostra che si tratta proprio dello stesso bambino di Is 7.


   6. Nello stesso capitolo 8, dopo aver riferito la nascita del bambino già profetizzato al capitolo 7, Isaia chiaramente dice che lui stesso e i “suoi figli” sono dei segni per i giudei: “Eccomi con i figli che il Signore mi ha dati; noi siamo dei segni e dei presagi in Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Siòn” (Is 8:18). Il richiamo al precedente “segno” (Is 7:14) è evidente. La conclusione è sempre la stessa: il bimbo già predetto da Isaia è proprio lo stesso figlio di Isaia, la cui nascita è descritta in modo tanto strano.


   7. Pur riconoscendo il senso letterale della profezia isaiana, ne rimane valida l’applicazione al Messia (Cristo), al consacrato, fatta da Matteo. Il primo evangelista coglie così il senso più profondo che è insito nella profezia di Isaia. Infatti, il “segno” presentato dal bambino vuole garantire la persistenza del regno di Giuda, con la sua dinastia davidica, in mezzo a minacce incombenti. La difesa divina si attua verso i giudei e il trono davidico proprio perché è da lì che deve venire colui che sarà “figlio di Davide” per eccellenza, il re messianico. Questi non solo sarà segno dell’amore provvidenziale di Dio per il suo popolo (come lo fu il figlio di Isaia), ma sarà anche l’esecutore di tale liberazione.


   La visione di Isaia abbraccia una visuale ampia: inizia con la salvezza dall’oppressione nemica (presignificata dal figlio di Isaia) e si spinge fino alla liberazione definitiva attuata da colui che in modo eminente sarebbe stato davvero il rappresentante massimo di Dio, vale a dire il “Dio-con-noi”, l’“Emanuele”.


   Mentre il figlio di Isaia, segno della presenza divina (“Dio-con-noi”), nasce in modo strano da una “profetessa”, il vero “Dio-con-noi” nascerà da una ragazza che Matteo chiamerà “vergine”. Di questa persona messianica che aveva in mente, Isaia passerà a cantare le meraviglie al capitolo 11.