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 Il “segno” qui profetizzato è il “figlio” partorito, non il suo miracoloso concepimento (che, del resto, non poteva essere documentato, vanificando così il segno). Se il punto centrale fosse stato il concepimento verginale da parte della madre, Isaia lo avrebbe messo maggiormente in rilievo con una espressione simile a questa: ‘la vergine, senza aver conosciuto uomo, concepirà un figlio’.


   Questo figlio nascituro doveva essere partorito da una ragazza ben nota, dato che essa assume l’articolo determinativo: “la ragazza” (הָעַלְמָה, haalmàh; in ebraico l’articolo הָ, ha, viene attaccato all’inizio del vocabolo come un prefisso). L’obiezione che poiché tale ragazza non è stata nominata prima non può essere ritenuta nota, nonostante l’articolo determinativo, non può essere accolta: nella Bibbia, infatti, abbiamo casi simili; casi in cui un personaggio non ancora noto (ma la cui identità verrà svelata in seguito) viene indicato con l’articolo determinativo. In Gn 14:13 abbiamo in italiano: “Uno degli scampati venne a informare Abramo, l’Ebreo”, ma nel testo ebraico si ha “lo scampato” (הַפָּלִיט, hapalìt – l’articolo הַ, ha, viene scritto in ebraico attaccato al nome); in Nm 11:27 abbiamo in italiano: “Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè”, ma nel testo ebraico si ha הַנַּעַר (hanàar), “il giovane”; in 2Sam 15:13 leggiamo nella traduzione italiana: “Venne a Davide un messaggero”, ma nell’originale troviamo “il messaggero” (ebraico הַמַּגִּיד, hamaghìd). Forse l’articolo doveva servire a suscitare ancora di più la curiosità degli uditori che si dovevano domandare chi mai fosse questa ragazza destinata a partorire un figlio che doveva servire da segno alla gente.


   Se tale ragazza fosse Miryàm, non si capirebbe come Yeshùa potesse servire da segno ad Acaz vissuto oltre settecento anni prima.


   Questo bambino nato dalla ragazza sarebbe stato a un tempo “segno” di benedizione divina e di punizione: “Finché sappia rigettare il male e scegliere il bene” (Is 7:15). In quanto segno di benedizione, il bambino si sarebbe chiamato “Dio-con-noi” (“Emanuele”), perché nel momento del pericolo Dio non abbandona il suo popolo e la dinastia davidica. In quanto segno di punizione, avrebbe passato i suoi primi anni in povertà, dato che è detto che “mangerà panna e miele” (v. 15). Occorre comprendere bene queste parole. L’espressione “panna e miele” va distinta dall’altra simile, ma diversa, di “latte e miele”. “Latte e miele” – prodotti che costituiscono l’alimentazione ideale per i nomadi – era un proverbio o modo di dire molto usato per indicare la fertilità della terra promessa (Nm 13:27; Es 3:8). L’espressione “panna e miele”, invece, non assume mai nella Bibbia il valore proverbiale di felicità e benessere. La “panna” è qualcosa di simile al latte rappreso (usato ancora oggi dagli arabi come dissetante), che pur essendo gustoso era un cibo di emergenza per i tempi difficili. La parola ebraica tradotta con “panna” è חֶמְאָה (khemàh). Nonostante la TNM traduca “Egli mangerà burro e miele”, la parola ebraica non indica affatto il burro. F. Zorell spiega che questo termine si riferisce al “latte rappreso, cagliato” (Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti, Roma, 1984, p. 248). Era una emulsione prevalentemente di grasso ottenuta agitando o sbattendo il latte. Invece di essere allo stato solido – come il moderno burro del mondo occidentale – era allo stato semifluido, come indicato in Gb 20:17: “Non godrà più la vista d’acque perenni, né di rivi fluenti di miele e di panna [ebraico חֶמְאָה (khemàh)]”. Tuttavia, essendo questa “panna” abbinata al “miele” (simbolo di abbondanza – 2Re 18:2; Sl 81:16; Ez 27:17), significa che Dio benedirà il bambino nonostante le difficoltà. Lo stesso concetto riappare anche al v. 22, dove assieme alla dura opposizione assira che avrebbe fatto piazza pulita come un rasoio affilato, si afferma che – nonostante la desolazione della terra ridotta a deserto – i superstiti potranno possedere solo una mucca e due pecore a famiglia, ma ognuno potrà saziarsi di “panna [latte rappreso] e miele”: “In quel giorno, il Signore, con un rasoio preso a noleggio di là dal fiume, cioè con il re d’Assiria, raderà la testa, i peli dei piedi e porterà via anche la barba. In quel giorno avverrà che uno nutrirà una giovenca e due pecore, ed esse daranno tale abbondanza di latte, che egli mangerà panna; poiché panna e miele mangerà chiunque sarà rimasto superstite nel paese” (Is 7:20-22). Così, si può concludere che anche il bambino, di cui si profetizza la nascita, vivrà in tempi calamitosi (“panna”, latte rappreso) ma sarà benedetto da Dio (“miele”).


   Sarà proprio questa situazione che gli conferirà un’esperienza pratica del bene e del male: “Egli mangerà panna e miele finché sappia rigettare il male e scegliere il bene” (v. 15). Quel “finché” usato dalle moderne traduzioni italiane non è corrispondente al testo ebraico: nel testo originale si ha infatti un infinito preceduto dalla preposizione làmed (ל, l), costruzione che di solito indica un senso finale: affinché. Bene traduce la Vulgata latina: “Ut [affinché] sciat reprobare malum et eligere bonum”. Fuori dal coro, la TNM traduce: “Egli mangerà burro e miele per il tempo in cui saprà rigettare il male e scegliere il bene”; a parte l’anacronistico burro, “per il tempo in cui”? Cosa significa?


   Il bimbo potrà così comprendere che tutta la benedizione viene dalla fiducia in Dio, mentre il male proviene dagli uomini (anche se sono chiamati in aiuto). Egli porterà con sé il monito perenne di abbandonare ogni alleanza umana per riporre la propria fiducia in Dio.


   Prima che questo bambino raggiunga tale esperienza, i due re – di cui Acaz ha terrore – saranno sconfitti e il loro territorio devastato: “Prima che il bambino sappia rigettare il male e scegliere il bene, il paese del quale tu temi i due re, sarà devastato”. – V. 16.


   NR traduce l’inizio del v. 16 così: “Ma prima che”. Tuttavia, l’ebraico ha כִּי (ki), “perché” o “poiché”. Questo כִּי (ki) non è da intendersi come causale, come se fosse: il bambino mangerà panna e miele per il motivo che ci sarà desolazione. È piuttosto un כִּי (ki) asseverativo o affermativo, come se fosse: ‘sì, prima che…’ (Grammaire de l’hébreu biblique, Roma, 1948, § 164 b). È lo stesso כִּי (ki) di Is 1:20;40:5;45:23, in cui ha lo stesso senso.


   “Prima che il bambino sappia rigettare il male e scegliere il bene” indica un certo sviluppo, ma non necessariamente che egli giunga all’età di vent’anni, come nella Regola della Comunità a Qumràn, dove la frase assume un colorito sessuale: “Non si accosti a donna per conoscerla con un contatto maschile se non quando, compiuti i vent’anni, sappia conoscere il bene e il male” (1QSa colonna 1, linea 9 e sgg.). Sulla scorta di Dt 1:39 si può pensare ad una età sui sette anni: “I vostri bambini, […] i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male”.


   “Prima che il bambino sappia rigettare il male e scegliere il bene, il paese del quale tu temi i due re, sarà devastato” (v. 16). Ciò di fatto avvenne: il regno di Damasco (Siria) fu annientato e quello di Israele fu mutilato di vasti territori così da divenire inoffensivo.


   Tuttavia, l’imprudente richiesta di soccorso rivolta all’Assiria da Acaz si sarebbe rivelata un disastro. “Acaz inviò dei messaggeri a Tiglat-Pileser, re degli Assiri, per dirgli: ‘Io sono tuo servo e tuo figlio; sali qua e liberami dalle mani del re di Siria e dalle mani del re d’Israele, che hanno marciato contro di me’. Acaz prese l’argento e l’oro che si poté trovare nella casa del Signore e nei tesori del palazzo reale, e li mandò in dono al re degli Assiri” (2Re 16:7,8). “Acaz aveva spogliato la casa del Signore, il palazzo del re e dei capi, e aveva dato tutto al re d’Assiria; ma a nulla gli era giovato” (2Cron 28:21). Dopo la morte di Acaz, Sennacherib (re dell’Assiria) invase il regno di Giuda.


   Questa l’analisi della profezia di Isaia. Ma si può approfondire ancora di più il passo isaiano e individuare la donna e il ragazzo di cui parla Isaia? Sì.