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3.2 La fonte pre-marciana (37 d.C.).


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Oltre all’antichissima tradizione pre-paolina, gli storici identificano una fonte a lui precedente di cui si è servito l’evangelista Marco. Mentre il suo vangelo è datato al più tardi al 70 d.C., la fonte da lui utilizzata risale al 37 d.C., solo 7 anni dalla crocifissione di Gesù.


A sostenerlo è stato in particolare Rudolf Pesch, il principale studioso internazionale del testo marciano, il quale ad esempio ha sottolineato la presenza di «particolari di lingua e di contenuto» che risultano più «connessi alla situazione concreta che non adattate ad una cristologia post-pasquale» ed indicano «l’origine antica del testo»63.


E’ complicato riportare qui tutti gli elementi raccolti da Pesch, ne citiamo solo un altro. L’evangelista Marco sorprendentemente non si riferisce mai al Sommo sacerdote chiamandolo per nome, presupponendo che «gli ascoltatori della storia della passione conoscessero la situazione locale e ci induce alla deduzione, pressoché inevitabile, che Caifa rivestisse ancora la funzione di sommo sacerdote quando la storia premarciana della passione venne composta e narrata per la prima volta». Considerando che Caifa esercitò dal 18 al 37 d.C., il limite massimo «per l’origine della storia premarciana della passione va indicato conseguentemente l’anno 37 d.C.»64.


Dopo aver trattato molti altri motivi, Pesch giunge così a concludere che «nel complesso, tutti questi indizi indicano chiaramente che la storia premarciana della passione ebbe origine a breve distanza dai fatti narrati nell’ambito della prima comunità di lingua aramaica in Gerusalemme»65.


Conferme sull’antichità della fonte pre-marciana sono giunte da diversi altri studiosi, per i quali, ad esempio, il testo degli altri vangeli canonici suggerisce che il racconto di Marco non fosse la loro unica fonte, ma che utilizzarono ulteriori fonti per i racconti della sepoltura e del ritrovamento della tomba vuota.


Marcus Borg, docente di Nuovo Testamento all’Oregon State University, ha spiegato che questa molteplicità di fonti indipendenti è importante perché «se una tradizione compare in una fonte antica ed in un’altra fonte indipendente, allora non solo è certamente precoce, ma è anche improbabile che sia stata inventata»66.



 


 


3.3 La tradizione inclusa in Atti degli Apostoli (30-35 d.C.).


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Una terza fonte molto antica in cui viene attestato il Gesù risorto si trova nella primitiva tradizione (At 13,29-31; At 13,36-37) contenuta negli Atti degli Apostoli, un altro libro del Nuovo Testamento.


Craig Keener, professore di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary ed autore di un’opera monumentale sulla storicità degli Atti degli Apostoli (4 volumi complessivi ed oltre 4.000 pagine), è giunto alla conclusione67 che l’autore del libro degli Atti è lo stesso del vangelo di Luca e fu un compagno di viaggio di Paolo. Da ciò ne deduce che fu in grado di riferire come testimone oculare il contenuto della predicazione di Paolo, avendo così familiarità con la prima predicazione apostolica (pertanto anche gli Atti degli Apostoli sono considerati una fonte primaria).


Il libro degli Atti è datato verso l’80 d.C. ma alcuni studiosi chiedono una retrodatazione a poco dopo il 60 d.C., in particolare osservandone la brusca interruzione dopo aver a lungo raccontano la seconda prigionia di Paolo e quand’egli ancora attendeva la sua comparizione (verso il 63 d.C.) Se gli Atti degli Apostoli fossero stati composti successivamente non si sarebbero certamente astenuti dal raccontare l’esecuzione ed il martirio di Paolo (avvenuto nel 66 d.C.)68. La retrodatazione è stata sostenuta anche dal razionalista e storico del cristianesimo Adolf von Harnack69.


Ma non è tanto la datazione del libro degli Atti che interessa qui, piuttosto l’antica formula al suo interno. La tradizione sui fatti pasquali contenuta negli Atti degli Apostoli, infatti, vanta anch’essa un’alta datazione.


Se Gerald O’Collins della Pontificia Università Gregoriana ritiene che il testo «incorpora formule di resurrezione che derivano dagli anni Trenta»70, il teologo scozzese John Drane conclude che questo materiale «quasi certamente risale al tempo immediatamente successivo alla presunta risurrezione»71.


Seppur in questo caso non si riscontri la stessa unanimità di giudizio tra gli specialisti, tuttavia «la maggioranza degli studiosi conclude che alcuni di questi brani riflettano la prima predicazione del messaggio del Vangelo»72, ha riferito Gary Habermas.


B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, riconosce innanzitutto che «il libro degli Atti rappresenta una tradizione indipendente»73 dai vangeli, inoltre «registra tradizioni che provenivano come minimo da mezzo secolo prima, risalenti alla primitiva comunità cristiana della Palestina»74, addirittura «assai precedente a quello dei vangeli»75, soprattutto per quanto riguarda i racconti della Pasqua.


In linea generale, tutto il testo contenuto negli Atti degli Apostoli è stato oggetto di approfonditi studi nel corso degli anni. In particolare, la scuola anglosassone ha confrontato i dati storici, geografici, politici e religiosi descritti in questo testo con le fonti antiche conosciute e ha constatato che le informazioni che essi contengono sono coerenti. Inoltre, gli studi comparativi tra gli Atti e gli autori ellenistici dimostrano che Luca è fedele a tutti i parametri della storiografia del tempo e molte delle sue informazioni esclusive sono state avvalorate dai ritrovamenti archeologici e papirologi.


Per questo l’archeologo William M. Ramsay esclamò: «Luca è uno storico con i fiocchi!»76, mentre L.T. Johnson, docente di Cristianesimo antico alla Candler School of Theology, ha riferito che «Luca, secondo gli standard della storiografia ellenistica, è preciso in ciò che afferma»77.


Per un approfondimento su questo consigliamo in particolare gli studi di A.N. Sherwin-White78, Edward Plumacher79, Martin Hengel80, Colin J Hemer81 e William Mitchell Ramsay82.



 


 


3.4 La Prima lettera ai Tessalonicesi (49 d.C.).


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Una quarta fonte molto antica è un’altra lettera di Paolo, la Prima lettera ai Tessalonicesi. In essa si parla chiaramente di Dio che «ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Tess 1,10), definito anche «suo Figlio (1Tess 1,10).


Questo scritto non fa altro che confermare quanto contenuto nella fonte pre-paolina già citata più sopra, datata a soli 2 anni dai fatti narrati. Tuttavia, è bene citare comunque anche questa seconda lettera per completare l’organicità delle fonti più antiche.


Lo studioso B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina, ha riferito che il brano paolino «è stato scritto attorno all’anno 49 d.C.»83, quindi a soli 19 anni dagli eventi narrati.


In una seconda opera ha sostenuto che la Prima lettera ai Tessalonicesi può «essere plausibilmente collocata nel movimento paleocristiano degli anni ’40 e ’50 dell’era volgare, quando Paolo era attivo come apostolo e missionario»84. Datazione confermata anche da J.M. Garcia85, teologo spagnolo all’Università Complutense di Madrid.


Lo studioso statunitense ha anche respinto, con buone argomentazioni, la tesi minoritaria di un’interpolazione successiva: «Ritengo che sia stato Paolo a scrivere quel paragrafo della lettera ai Tessalonicesi. E’ certamente di suo pugno fino al sedicesimo versetto»86.



continua