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11. LE CONTRADDIZIONI TRA GLI EVANGELISTI.


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L’ultimo argomento a favore della storicità dei racconti pasquali dei vangeli è paradossalmente usato da molti studiosi contro l’attendibilità storica.


Esistono infatti differenze e contraddizioni tra i quattro evangelisti a proposito della narrazione dei fatti avvenuti dopo la morte di Gesù. «Lettore, tu che sei serio e amico della verità, dimmi davanti a Dio: potresti accettare come unanime e sincera una testimonianza, rispetto a un argomento così importante, che così spesso e con tanta chiarezza si contraddice in quanto a persone, tempo, luogo, modo, fine, parole, narrazione?»263, scrisse l’illuminista Hermann Samuel Reimarus, basandosi proprio sulle discrepanze tra i quattro vangeli.


Più recentemente, è stato Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’University of North Carolina ad assumere la leadership tra i principali studiosi che indicano tali discrepanze per dubitare dell’attendibilità storica.


Soprattutto nei brani che parlano del sepolcro vuoto e delle apparizioni di Gesù risorto (molto più che negli altri racconti della passione, i quali riflettono uno schema più fisso e coerente), gli evangelisti presentano dati e particolari discordanti tra loro, difficilmente armonizzabili. Li riassumiamo brevemente:


a) A scoprire la tomba vuota furono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salomé come scrive Marco (Mc 16,1); oppure Maria di Magdala e l’altra Maria, secondo Matteo (Mt 28,1); oppure tre donne, secondo Luca (Lc 24,10); oppure solo Maria di Magdala, come riporta Giovanni (Gv 20,1-2)?


b) Chi apparve alle donne recatesi al sepolcro, annunciano la resurrezione? Un giovane, come scrive Marco (Mc 16,5), un angelo, come riporta Matteo (Mt 28,2-3) oppure due angeli, secondo Luca (Lc 24,4) e Giovanni (Gv 20,12)?


c) Le donne non dissero niente a nessuno, come scrive Marco (Mc 16,8), oppure no, come riferiscono gli altri evangelisti (Mt 28,8; Lc 24,22-24)? E’ evidente che secondo gli avvenimenti successivi gli apostoli vennero informati dalle stesse donne.


d) Il sepolcro era custodito da alcuni guardiani, come scrive Matteo (Mt 27,62-66)? Perché gli altri evangelisti non riportano nulla a proposito?


e) Vi sono poi divergenze minori, come l’ora del ritrovamento del sepolcro vuoto, lo scopo della visita delle donne, il modo in cui la pietra si è ribaltata dall’entrata del sepolcro.


f) Secondo l’antica fonte pre-paolina (1Cor 15,1-8), i destinatari delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione furono Pietro, i dodici apostoli, 500 fratelli assieme, Giacomo e Paolo; Marco invece conclude bruscamente il suo racconto senza citare alcuna apparizione (sono state formulate alcune alcune spiegazioni in proposito); Matteo racconta delle apparizioni alle donne al sepolcro (Mt 28,9-10) e agli undici apostoli (senza Giuda) su un monte della Galilea (Mt 28,16-20); Luca racconta l’apparizione ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), agli undici apostoli (senza Giuda) nel cenacolo (Lc 24,36-49) ed allude a un’apparizione concessa a Pietro (Lc 24,24-34); Giovanni riferisce un’apparizione a Maria di Magdala al sepolcro (Gv 20,11-18), una ai discepoli senza Tommaso (Gv 20,18-19), un’altra ai discepoli con Tommaso presente (Gv, 20,24-29) e un’apparizione ad alcuni discepoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14).


Di fronte a ciò alcuni critici affermano che queste discrepanze sono un chiaro segnale del fatto che siano testimonianze poco attendibili, sarebbero narrazioni di fede e non una storia realmente accaduta.



 


 


10.1 Proposte di soluzione alle contraddizioni.


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Esistono molte risposte che risolvono molte di queste contraddizioni e, soprattutto, argomentano che proprio la loro presenza andrebbe a favore della storicità degli eventi e contro l’ipotesi di un’invenzione da parte degli evangelisti.


Sono stati pubblicati interi libri sullo studio di queste discrepanze, ne citiamo solo una come esempio che risolve l’enigma di chi furono le donne che trovarono il sepolcro vuoto. Mentre Marco, Matteo e Luca parlano di due o tre donne (pur non concordando sempre sui nomi), Giovanni in controtendenza riferisce solo Maria di Magdala (Gv 20,1).


Il teologo americano M.R. Licona, docente presso la Houston Baptist University, ha risolto spiegando che probabilmente la scelta di Giovanni è un «dispositivo letterario utilizzato anche da Plutarco, cioè puntare il riflettore su un certo attore. Nel suo racconto sulla risurrezione, penso che Giovanni stia illuminando Maria di Magdala pur essendo comunque a conoscenza della presenza di altre donne»264.


Infatti, ha spiegato lo studioso, è sufficiente andare al versetto successivo (Gv 20,2) per leggere che Maria corre dai discepoli e riferisce: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». A chi si riferisce con quel “noi”? Molto probabilmente alle altre donne presenti assieme a lei non citate da Giovanni (ma citate dagli altri evangelisti).


Diversi anni fa è stata proposta anche un’ipotesi di soluzione radicale che ha diviso però la comunità scientifica. L’importante scuola esegetica di Madrid sostenne infatti il substrato semitico (aramaico) alla base dei vangeli, la lingua parlata da Gesù e dagli apostoli. Le contraddizioni sarebbero frutto di semplici errori di traduzione che svaniscono se riportati nel loro originale aramaico. Questo vale anche per alcune affermazioni incomprensibili contenute nei vangeli.


Gli esegeti spagnoli, correggendo gli errori della traduzione greca, hanno ad esempio risolto le (apparentemente) incomprensibili ingiunzioni di silenzio da parte di Gesù sulla sua realtà divina (cfr. Mc 5,40 e Mc, 8,30). Perché avrebbe dovuto intimare il silenzio? Sembra contraddittorio. Oppure al terrore delle donne che trovano il sepolcro vuoto ed escono fuggendo, come riferito dall’evangelista Marco. Da cosa scappano o di cosa avrebbero avuto paura?


E’ impossibile in questa sede riprendere dettagliatamente i contenuti delle loro pubblicazioni e le soluzioni (spesso illuminanti!) da loro offerte, rimandiamo direttamente ad esse consigliando in lingua italiana: La nascita dei Vangeli sinottici (San Paolo 2009) di J. Carmignac e La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli (Rizzoli 2005) di J.M. García.


Il teologo e storico ebreo Pinchas Lapide, ad esempio, applicando questa tesi pare aver risolto brillantemente l’enigma della metafora di Gesù sul “cammello” che passa in una “cruna di un ago” (Mt 19,24). Sembra apparentemente un’iperbole eccessiva: cosa c’entra il cammello con l’ago? Lapide scoprì che il testo semitico originale parlava di una gomena (un grosso cavo usato dai pescatori) e non di un cammello, ma, «a causa di una consonante sbagliata nel testo originale ebraico la gomena (gamta) della parabola diventa un cammello (gamal)»265.


«Per trovare una spiegazione di queste anomalie e incongruenze è necessario ricorrere al sostrato aramaico della tradizione evangelica»266, ha spiegato J.M. Garcia, uno degli esponenti della scuola esegetica di Madrid.


Questa tesi ha trovato molta opposizione nella comunità scientifica ed oggi la tendenza è di ritenerla un’ipotesi non verificata o contraddetta. Difficile però valutare la genuinità di opposizioni sorprendentemente così feroci verso una dignitosa ipotesi scientifica alternativa, il sospetto di molti è che un nutrito gruppo di oppositori (pochi sono quelli realmente esperti di lingua semitica) non sia a suo agio con una delle conseguenze dell’accettazione di questa tesi: la retrodatazione dei vangeli stessi, oggi comunemente indicata tra gli anni 60 e 90 d.C.


Il substrato semitico, infatti, li collocherebbe immediatamente a ridosso degli avvenimenti descritti, accreditando gli evangelisti come contemporanei ai protagonisti degli eventi o addirittura testimoni oculari. Secondo Stefano Alberto, docente di Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sarebbe proprio questa la ragione della veemente e pregiudiziale «ostilità» di una parte del mondo accademico verso questa ipotesi.


Secondo José Miguel Garcia, docente all’Università Complutense di Madrid, la scarsità delle pubblicazioni contemporanee sul substrato semitico rispetto al passato «si deve in parte alla decadenza degli studi umanistici e filologici, ma anche a ragioni ideologiche. Ammettere il substrato semitico dei Vangeli e di altri libri del Nuovo Testamento, mette in questione certi schemi esistenti sull’evoluzione e lo sviluppo della primitiva tradizione cristiana. Certamente la dimenticanza di questo dato favorisce il permanere di certi schemi e cliché di interpretazione esegetica, ma soprattutto ostacola la comprensione viva dei testi sacri. Perché le traduzioni sbagliate hanno introdotto in essi non solo oscurità o stranezze, ma a volte hanno occultato dati significativi e bellissimi della vita reale o della teologia, che rimasero sepolti sotto le macerie di traduzioni sbagliate»267.


Tanti esperti hanno invece aderito alla tesi del substrato semitico dei vangeli, ad esempio: Charles Cutler Torrey268, docente di Lingue semitiche alla Yale University; Maurice Casey269, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Nottingham, Claude Tresmontant, filosofo della Sorbona di Parigi, Jean Héring, biblista della Facoltà Teologica a Strasburgo270; J. de Zwaan, autore di John Wrote in Aramaic pubblicato sul Journal of Biblical Literature; David Flusser, storico del primo cristianesimo all’Università ebraica di Gerusalemme ecc.


In Italia a schierarsi a favore è stato Paolo Sacchi, professore di Filologia biblica all’Università di Torino e luminare in studi giudaici, per il quale che «il testo greco derivi da una traduzione ebraica è semplicemente ovvio. Basta conoscere il greco e l’ebraico per accorgersene»271. A conferma vi sono anche numerose ricerche realizzate da studiosi ebrei, come Zwi Perez Chajes, biblista e rabbino a Vienna e Trieste272 ed il già citato Pinchas Lapide273.


Tanti altri studiosi ritengono invece che fossero le fonti pre-evangeliche (non i vangeli direttamente) ad essere scritte in aramaico e quindi tradotte (spesso con errori) in greco dagli evangelisti274. Il principale biblista contemporaneo, J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento all’Univeristà di Notre Dame, ha riconosciuto che il substrato aramaico è «riflesso nei quattro Vangeli», tanto che diversi detti «sono proprio estranei all’ebraico e al greco»275.