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7. UN EBREO NON POTEVA INVENTARE LA RESURREZIONE DI GESU’.


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Uno degli argomenti ritenuti più “forti” e statisticamente più citati a favore della storicità della resurrezione emerge dallo studio del pensiero giudaico del I secolo.


Per un ebreo del I secolo sarebbe stato impossibile inventare la resurrezione di Gesù a causa del background giudaico, non l’avrebbe nemmeno compresa. Né loro, né le persone a cui si rivolgevano. Oltretutto, nessuno si aspettava nemmeno che il Messia atteso da Israele potesse essere crocifisso e maledetto da Dio in croce, tanto meno che potesse risorgere corporalmente prima della fine dei tempi.


A volte si dà per scontato che nel I secolo fosse familiare il concetto di resurrezione com’è per noi oggi e ci si dimentica che i primi cristiani non erano rabbini di Gerusalemme, teologi, esegeti dell’Antico Testamento o alte autorità ebraiche, ma un piccolo gruppo di umili pescatori ebrei, pubblicani e qualche donna, provenienti dai piccoli e poveri villaggi della Galilea. Probabilmente erano anche analfabeti.


Nessuno avrebbe inventato dal nulla qualcosa di così inedito per l’ebraismo e per le Scritture stesse come la resurrezione di Gesù. Ed anche se mai avessero anche potuto idearla, chi avrebbero sperato di convincere? Come se non bastasse, lo abbiamo visto, hanno anche aggiunto dettagli per accrescere ancora più dubbi (come il ruolo centrale delle donne).


«Per gli ebrei quella pretesa -al cuore della professione di fede cristiana- era assurda, offensiva e potenzialmente blasfema», ha scritto lo studioso americano B.D. Ehrman. «Eppure era proprio ciò che, poco prima dell’anno 32, andava dicendo di Gesù un gruppetto di cristiani. E’ quasi impossibile spiegare un’asserzione simile, in quel luogo, in quell’epoca, tra quella gente»141.


Joachim Jeremias, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga, ha a lungo esaminato la letteratura ebraica antica, concludendo: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù»142.


Questo è stato confermato anche da N.T. Wright, eminente professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews ed uno tra i principali esperti del mondo anglosassone. Anch’egli è autore di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico del I secolo:




«A differenza dei greci e dei romani la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile. Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco»143.




Per gli ebrei il Messia avrebbe sconfitto i nemici di Israele, ricostruito il tempio, restaurato il trono di Davide e compiuto le profezie ebraiche. Non sarebbe stato vergognosamente giustiziato come un “maledetto da Dio” dal tribunale ebraico.


L’ignominiosa esecuzione di Gesù fu una smentita clamorosa agli occhi degli ebrei sul fatto che fosse l’atteso Messia di Israele. Egli era semplicemente un altro pretendente fallito, non una novità per quei tempi (si pensi a Simone Bar Giora). Solitamente i seguaci avevano solo due alternative: rinunciare o trovare un nuovo Messia.


Alcuni gruppi del giudaismo, quando il loro leader veniva ucciso, semplicemente trovarono un nuovo Messia, «magari suo fratello, suo cugino, suo nipote o suo figlio», ha spiegato C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College. «Il più autorevole capo nella prima Chiesa era Giacomo, fratello del Signore. Era una figura assai rispettata dai cristiani e dalle autorità giudaiche, un uomo di preghiera, un eccellente maestro. Tutti sapevano che era uno dei familiari di Gesù, eppure nessuno si sognava di dire che fosse il Messia. Secondo l’usanza avrebbero dovuto farlo, ma se non lo fecero è per via di una buonissima ragione: credevano che Gesù fosse davvero il Messia, E l’unico motivo valido per credere una cosa del genere di qualcuno che era stato crocifisso era che egli fosse veramente risorto dai morti»144.


Il solo fatto di considerare Gesù crocifisso il Messia era assurdo. «Gesù fu talmente diverso dalle aspettative di tutti i Giudei riguardo al Figlio di Davide, che i suoi stessi discepoli trovarono quasi impossibile riferire a lui l’idea del Messia»145, ha scritto Millar Burrows, una delle principali autorità sui rotoli del Mar Morto e professore emerito alla Yale Divinity School.


A sua volta Donald Juel, docente di Nuovo Testamento al Luther Seminary di Saint Paul e membro della Society for the Study of the New Testament, ha sottolineato che «l’idea di un Messia crocifisso non è solo senza precedenti nella tradizione ebraica; è così contrario all’intera narrazione biblica di una liberazione dalla linea di Davide, così poco in armonia con la costellazione dei testi biblici che termini come “scandalo” e “follia” sono le uniche risposte appropriate. L’ironia è l’unico mezzo per raccontare una storia del genere tanto risultò essere controintuitiva»146.


Lo stesso Paolo riconobbe che la predicazione del Messia atteso come Gesù, crocifisso e risorto, era «pietra d’inciampo per gli ebrei e stoltezza per i pagani» (1 Cor. 1,21-22). Anche i pagani, non solo gli ebrei, respingevano totalmente l’idea di una risurrezione corporale. «L’antico paganesimo racchiude ogni genere di teorie», ha dichiarato N.T. Wright, «ma quando viene menzionata la risurrezione la risposta è fermamente negativa: noi sappiamo che non succede»147.


Su questo è intervenuto anche Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary, sorpreso dal linguaggio usato dai primi cristiani: «Perché una comunità che cerca di attirare i gentili costituirebbe una storia della risurrezione, addirittura sottolineando una risurrezione corporale di Gesù? Questa nozione non era affatto parte del regolare lessico pagano dell’aldilà. In effetti, come suggerisce Atti 17, i pagani erano più propensi a ridicolizzare un’idea del genere»148.


Gli storici sanno che quel gruppo di ebrei pescatori non avrebbe mai potuto creare dal nulla o attingere dalla letteratura precedente, pagana o ebraica uno spunto per la resurrezione di Gesù. Lo scrive B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina:




«La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità […]. La morte e risurrezione di Gesù vanno considerate un evento unico. Inoltre, la morte è stata ritenuta un sostituto dell’espiazione dei peccati. Tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile»149.




Anche Mariano Herranz Marco, professore di Esegesi del Nuovo Testamento e di Lingue Semitiche e Orientali al Seminario di Madrid e noto esponente della Scuola esegetica spagnola, ha osservato che «nel giudaismo la resurrezione dai morti era attesa come un evento che avrebbe avuto luogo alla fine dei tempi; resurrezione dai morti e fine del mondo erano strettamente collegate tra loro».


Al contrario, poco dopo la morte di Gesù gli apostoli iniziano a proclamare qualcosa di radicalmente diverso, cioè che «il mondo va avanti come prima, e ciò nonostante questi uomini annunciano che è iniziata la resurrezione dai morti, che in Gesù risorto è già iniziata la fine del mondo e la nuova creazione»150. Nella letteratura antica «abbiamo, sì, racconti di risurrezioni di morti, in cui il defunto torna alla vita che la morte aveva interrotto, ma la resurrezione di Gesù predicata dagli apostoli è radicalmente diversa»151.


Se il biblista tedesco Ben Witherington III ritiene che «non vi sono motivi validi per pensare che questi racconti sulle apparizioni avessero la propria origine nell’Antico Testamento, che a stento menziona il concetto della resurrezione dai morti»152, anche il teologo (laico) Gerd Lüdemann riconosce che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli»153.


Qualche accenno anticotestamentario alla resurrezione è stato identificato da John Dominic Crossan, professore emerito di Studi religiosi alla DePaul University, nell’esaltazione ebraica: «All’interno della tradizione ebraica vi furono certamente persone sante che ascesero al cielo piuttosto che essere consegnate ad una tomba terrena, ad esempio Enoch tra i Patriarchi o Elia tra i profeti. L’equivalente greco-romano era l’apoteosi: le monete augustee mostravano lo spirito di Giulio Cesare ascendere come una stella verso l’alto, prendendo posto tra le divinità celesti. Quelli erano gli unici casi individuali, senza alcun rapporto con il destino di tutti gli altri. Se i discepoli avessero voluto dire questo di Gesù, avrebbero usato i termini propri di esaltazione, ascensione, apoteosi. Non di risurrezione»154.


Citiamo inusualmente anche le parole di un importante matematico, John C. Lennox, professore emerito all’Università di Oxford. Dopo essersi a lungo documentato su questo, ha riferito che «i primi cristiani non erano un gruppo di creduloni, ignari delle leggi di natura e perciò pronti a credere a qualunque storia miracolosa. La prima opposizione al messaggio cristiano della risurrezione di Gesù Cristo provenne non dagli atei ma dai sommi sacerdoti sadducei dell’ebraismo». Questi devoti ebrei, ha proseguito Lennox, «quando per la prima volta udirono l’affermazione secondo cui Gesù era risorto non ci credettero. Avevano abbracciato una visione del mondo che negava la possibilità della risurrezione fisica di chiunque, tanto meno quella di Gesù Cristo»155.


Un’altra conferma arriva da Ulrich Wilckens, importante docente di Nuovo Testamento all’Università di Berlino: «Da nessuna parte i testi ebraici parlano della risurrezione di un individuo che avviene già prima della risurrezione finale dei giusti; da nessuna parte la partecipazione dei giusti alla salvezza dipende dalla loro appartenenza al Messia, che sarebbe resuscitato in anticipo “primizia di coloro che sono morti”(1Cor 15,20)»156.


Per gli ebrei la resurrezione sarebbe stata spirituale e sarebbe avvenuta dopo la fine del mondo e per tutti i membri del popolo d’Israele. Dio avrebbe risuscitato i giusti dalla morte e li avrebbe ricevuti nel Suo Regno. Al contrario, la risurrezione di Gesù annunciata dai suoi seguaci ebrei è stata corporale, nella storia e ad una singola persona.


Uno degli studenti di Rudolf Bultmann, Heinrich Schlier, docente di Nuovo Testamento all’Università di Bonn, abbandonò le tesi scettiche del maestro per aderire convintamente alla divinità di Cristo. «Il racconto che fa il Nuovo Testamento della risurrezione», scrisse, «non ha alcun carattere mitologico, non può essere portato alcun valido parallelo tratto dalle religioni e dalla mitologia antica. Inoltre non viene in alcun modo presentata come un miracolo. E’ piuttosto […] descritta come un avvenimento reale sui generis di inusitata forza e portata»157.


Qualcuno obietta che lo stesso Gesù di Nazareth fece risorgere dalla morte la figlia di Giairo (Mc 5,22-24), il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-15) e Lazzaro (Gv 11,1-44). Quindi non sarebbe stata una cosa sconosciuta. José Miguel Garcia, specialista del Nuovo Testamento, ha risposto che il racconto evangelico «esprime con chiarezza che si tratta di un ritorno alla vita temporale, quindi soggetta alla morte».


La stessa sorella di Lazzaro, Marta, infatti, rispose così quando Gesù le annunciò la resurrezione di suo fratello: «So che risusciterà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24). Non aveva idea che il fratello stava per essere riportato in vita in quel momento. Quando Gesù annuncia ai suoi discepoli che sarebbe risorto dai morti, loro pensano che intenda alla fine del mondo (cfr. Mc 9,9-13). Questo è ciò che credevano gli ebrei.


Anche J.P. Meier, celebre biblista americano, ha sottolineato l’unicità del fenomeno: «La risurrezione specifica di Gesù è fondamentalmente diversa nel contenuto: non è pensata in termini di un “ritorno” alla vita terrena. In questo i vangeli concordano con Paolo: “Cristo, essendo stato risuscitato dai morti, non morrà mai più, la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6, 9-10) […]. Inoltre, durante il suo ministero pubblico, Gesù stesso è stato l’agente che ha risuscitato alcuni dalla morte. Invece, il Nuovo Testamento attribuisce la risurrezione di Gesù all’azione di Dio Padre»158. Ed anche la forma letteraria è diversa: «Sorprendentemente, non esiste in assoluto alcun racconto sulla risurrezione di Gesù, l’evento non è mai raccontato direttamente. In questo i vangeli canonici divergono marcatamente nella loro sobrietà dai tardivi vangeli apocrifi»159.


Lo studioso italiano Mauro Pesce, antropologo ed ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha inoltre osservato che «dal punto di vista storico, religioso o antropologico, è chiaro che il veggente “vede” solo ciò che gli consentono gli schemi culturali che possiede»160. Gli schemi culturali ebraici dei discepoli non poterono produrre ciò che annunciarono.


A distanza di un secolo dagli eventi, Tertulliano scrisse a proposito della resurrezione di Cristo: «Credo ciò, perché è un fatto assurdo». Egli impiegò una forma argomentativa classica dell’aristotelismo secondo la quale tanto più un evento è improbabile, quanto meno probabile è il fatto che qualcuno lo creda, senza l’intervento di una prova stringente.


Il filosofo della scienza David C. Lindberg, già presidente della History of Science Society, ha spiegato a tal proposito che «in altri termini, la resurrezione dei morti è un fatto così improbabile che gli apostoli non avrebbero prestato fede alla resurrezione di Cristo, se non si fossero trovati di fronte un’evidenza tanto incontestabile, che, nel caso in questione, l’improbabile doveva essere accaduto. Tale verità rende la Resurrezione di Cristo più probabile di qualche altro evento, la cui realtà sia stata accettata meramente sulla base di una generica plausibilità»161.


In linea con questo, N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno spiegato:




«Dopo l’esecuzione di Gesù di Nazareth nessuno avrebbe mai affermato che egli fosse il Messia dopo due giorni, tre giorni, tre settimane o anche tre anni a meno che non accaduto qualcosa di straordinario: qualcosa capace di convincere del fatto che Dio lo avesse riscattato; qualcosa di più importante del semplice andare in cielo in qualche stato di esaltazione gloriosa. E’ questo che credevano succedesse ai martiri, e c’erano molte maniere diverse per parlarne. Avrebbero quindi quasi certamente detto che Gesù sarebbe risorto dai morti in futuro, ma mai che una tal cosa fosse già avvenuta»162.




Val la pena citare integralmente anche le parole del filosofo Wiliiam Lane Craig:




«Tra i fatti riguardanti Gesù generalmente accettati dagli studiosi storici, c’è l’improvvisa e sincera persuasione dei descipoli che Gesù era risorto dai morti nonostante avessero ogni predisposizione contraria e che le credenze ebraiche sull’aldilà impedivano a chiunque di risorgere nella gloria e nell’immortalità prima della risurrezione generale dei morti alla fine del mondo. E né la storia della trasfigurazione né la storia biblica della strega di Endor sono racconti di resurrezione dai morti. Poiché questo è esattamente ciò che i primi discepoli giunsero a credere, sorge la domanda su cosa li abbia indotti a credere a qualcosa di così poco ebreo e altamente stravagante. Perché non raccontare che apparve loro in gloria, proprio come Elia e Mosè?»163.




I discepoli dopo la morte di Gesù si apprestavano ad attendere il giorno finale in cui tutti i giusti d’Israele sarebbero stati innalzati da Dio alla gloria. Nel frattempo avrebbero probabilmente conservato con cura la tomba del loro Maestro come un santuario, dove far risiedere i suoi resti mortali. Nessuno aveva idea o poteva lontanamente immaginare che egli sarebbe risorto corporalmente dopo tre giorni.