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6. NESSUNA VERSIONE ALTERNATIVA PLAUSIBILE.


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Nel corso della storia sono state offerte varie spiegazioni alternative degli eventi pasquali (le più plausibili sono citate in questo dossier): la teoria del complotto, la teoria della morte apparente, la teoria delle allucinazioni e così via. Ma tutte queste diverse versioni sono state respinte dagli studiosi contemporanei.


Questo può essere sostenuto come argomento a favore della storicità della versione originale degli eventi pasquali, seguendo il seguente principio: più un’opzione fallisce, più sono probabili le altre. E più è convincente un’opzione, più le altre lo sono meno.


Il criterio storico della “superiorità rispetto alle ipotesi rivali” è infatti preso molto seriamente dagli studiosi che indagano sulla storicità di un racconto rispetto alle versioni alternative. Nessuna delle tante spiegazioni alternative alla resurrezione proposte nel corso della storia ha mai raggiunto uno status di plausibilità accettabile ed al momento non esiste nessun’altra spiegazione realmente in competizione con quella esposta dalle fonti primarie.


Nonostante lo scetticismo, Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, individua proprio nell’incapacità dei critici di fornire una possibile spiegazione naturalistica alla successione degli eventi pasquali una delle prove che la risurrezione di Gesù è «la spiegazione più plausibile di questi fatti»115.


Inoltre, non esistono nemmeno versioni cristiane alternative. Ovvero, fonti antiche scritte da cristiani in un periodo più o meno contemporaneo a quelle originali che contengano attestazioni alternative, diverse ed in competizione. Come ha ricordato William L. Craig, docente di Filosofia al Talbot School of Theology di Los Angeles, «da nessuna parte compaiono tradizioni in conflitto tra loro»116. Ad esempio, non esistono tradizioni funerarie concorrenti (né cristiane, né ebraiche, né pagane).


Eppure, tutti i racconti antichi riguardanti ad esempio le divinità pagane, oltre ad essere palesemente leggendarie e prive di fatti ritenuti storici (nemmeno dagli stessi autori), sono tramandate con molte versioni alternative le une dalle altre. Al contrario, non c’è alcun resoconto contrastante da parte di qualche discepolo di Gesù, qualche familiare, qualche testimone oculare (ma anche qualche antagonista, ebreo o pagano) sui racconti pasquali. Le uniche variazioni note sono i vangeli apocrifi, chiaramente dipendenti dai vangeli canonici, non contemporanei alle fonti primarie e senza dubbio leggendari.


Non esistettero nemmeno “cristianesimi diversi”, dove ogni comunità contraddiceva l’altra come ci si aspetterebbe se tutto fosse nato da favole o leggende inventate a Gerusalemme. Uno dei principali biblisti contemporanei, J.P. Meier docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame, ha spiegato infatti che «non ci fu un periodo in cui parti di tradizione su Gesù circolavano in una chiesa priva della più ampia griglia costituita dalla vita, morte e risurrezione di Gesù»117, fondata sui testi del Nuovo Testamento.


Infine, nemmeno il rifiuto del soprannaturale è una valida spiegazione alternativa. Questi racconti si trovano allo stesso livello del racconto della crocifissione, ad esempio. Qualsiasi storico, in quanto storico, può porre la domanda: “Che ne è stato fatto del corpo di Gesù di Nazareth?”, con la stessa semplicità con cui può chiedere: “Come è morto Gesù di Nazareth?”. Se si respinge la forza delle prove cumulative per la sepoltura di Gesù, il ritrovamento del sepolcro vuoto (e le attestazioni del Gesù risorto), occorre avere prove almeno altrettanto convincenti di teorie alternative.



 


 


6.1 Obiezione: i miracoli non possono accadere.


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Questa obiezione ha più a che fare con il naturalismo metodologico che con l’indagine storica. Gli eventi miracolosi non possono verificarsi, quindi ci dev’essere senz’altro una spiegazione naturale alternativa alla resurrezione di Gesù.


Si tratta di un’affermazione filosofica, sulla quale è parzialmente inciampato anche l’importante studioso (agnostico) B.D. Ehrman, quando ha scritto: «C’è un fraintendimento comune sul mio punto di vista. Ciò che affermo sulla risurrezione di Gesù o di altri suoi miracoli, o di qualunque altro miracolo (di Apollonio di Tiana o di Elia), è lo stesso che avevo quando ero un cristiano, quando credevo in Dio, quando credevo che i miracoli potevano accadere. Ora ho la stesso punto di vista di allora, quindi non è un punto di vista ateo. La mia visione è che anche se i miracoli sono accaduti in passato -diciamo semplicemente che concedo che siano accaduti- non c’è modo di stabilire se sono avvenuti utilizzando le discipline storiche»118.


Pur essendo corretto quanto riferisce Ehrman, il problema di queste obiezioni ai miracoli è non cogliere che si sta valutando l’ipotesi che Gesù sia risorto dai morti in modo soprannaturale, non in modo naturale! Non c’è motivo di ritenere improbabile che Dio abbia potuto risuscitare Gesù dai morti, la vera obiezione non è l’impossibilità dei miracoli piuttosto l’impossibilità o l’improbabilità dell’esistenza di un Creatore dell’Universo. Se Dio esiste, esistono i miracoli.


Lo ha spiegato con maggior eleganza Richard Swinburne, professore emerito di Filosofia all’Università di Oxford:




«Se non c’è Dio, l’ultima determinante di ciò che accade nel mondo sono le leggi di natura, e che qualcuno morto da 36 ore ritorni in vita è una chiara violazione di quelle leggi, ed è quindi impossibile. Ma se c’è un Dio del tipo tradizionale, le leggi della natura operano solo perché lui le fa operare ed ha il potere di sospenderle per un momento o per sempre. Quindi, se Gesù è risorto dai morti, Dio lo ha risuscitato»119.




Considerando che l’ipotesi dell’esistenza di Dio non risulta essere né impossibile, né improbabile (ancora oggi desta curiosità chi sostiene graniticamente il contrario), conseguentemente non è possibile affermare che la risurrezione di Gesù sia impossibile o improbabile da un punto di vista strettamente filosofico.


Va poi considerato che il dibattito è focalizzato non sulla probabilità della resurrezione di per sé e senza alcun elemento di prova, ma solo in seguito ad una serie di fatti storici che implicano l’ipotesi della risurrezione come migliore spiegazione (quello che stiamo facendo in questo dossier).


Il noto teologo Michel R. Licona sostiene che anche dal punto di vista storico si può indagare la resurrezione come ipotesi, senza valicare i confini tra storia e teologia: «Se l’ipotesi della Resurrezione è migliore nel soddisfare i criteri storici rispetto alle ipotesi alternative, lo storico può affermare che Gesù è risorto dai morti, pur non essendo in grado di sostenere che Dio sia stata la causa della rinascita miracolosa di Gesù alla vita (anche se potrebbe comunque suggerire che l’ipotesi di Dio è la miglior candidata alla causa). Quindi, si è liberi di suggerire che non ci sono prove sufficienti per confermare che Gesù è risorto dai morti, oppure che c’è un’ipotesi migliore per spiegare la sua resurrezione. Ma, in linea di principio, non vi è alcuna buona ragione per cui gli storici non possono indagare su una pretesa di miracolo»120.


Chiaramente il dibattito tra filosofi e storici è aperto su questo tema. Presentiamo una terza posizione.


L’ha esposta J.P. Meier, uno dei maggiori biblisti contemporanei e docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame: «Simili questioni, come il fatto che i miracoli possano accadere, sono legittime in ambito filosofico e teologico, ma sono illegittime o quanto meno irrisolvibili all’interno di un’indagine storica che voglia limitarsi alla documentazione empirica e alle deduzioni razionali che da tale documentazione si possono trarre»121. Secondo Meier, è sbagliato sia perseguire una finalità apologetica aprioristicamente a favore dei miracoli che «perseguire un approccio critico alla storia» assolutamente naturalistico, per il quale «i miracoli non possono accadere e quindi non accadono»122. Infatti, «il giudizio dell’ateo è altrettanto filosofico e teologico come quello del credente, determinato da una particolare visione del mondo e non un giudizio derivato semplicemente, solamente e necessariamente dall’analisi della documentazione»123.


Fino a dove può spingersi uno storico? La risposta di J.P. Meier non è così distante da quella di Licona:




«Lo storico può accertare se un evento straordinario ha avuto luogo in un contesto religioso, se qualcuno ha sostenuto che si è trattato di un miracolo, e -ammesso che vi sia documentazione sufficiente- se una iniziativa umana, o forze fisiche dell’universo o l’errore di percezione, l’illusione o la frode possano spiegare l’episodio. Se tutte queste spiegazioni vengono escluse, lo storico può concludere che un evento di cui si sostiene da parte di alcuni che è un miracolo non ha una spiegazione ragionevole o causa adeguata in qualsivoglia attività umana o forza fisica. Andare oltre a tale giudizio e affermare o che Dio ha agito direttamente per realizzare questo evento sorprendente, o che Dio non l’ha fatto, vuol dire andare al di là di quello che ogni storico può affermare nella sua capacità di storico ed entrare nell’ambito della filosofia e della teologia»124.




Questi tre studiosi, le cui posizioni non sono per forza inconciliabili tra loro, sono comunque concordi nel sostenere che sia in ambito filosofico che in quello prettamente storico non si può aprioristicamente negare la possibilità dell’esistenza dei miracoli.


Un ulteriore problema con l’obiezione “anti-miracolistica” (già accennato da Meier) è che è estremamente dogmatica, non conciliabile con un’indagine storica libera da preconcetti. I naturalisti impediscono a priori che le spiegazioni soprannaturali possano anche esistere come ipotetiche nel pool delle varie opzioni da indagare, violando così i criteri standard di ricerca che chiedono di non scartare alcuna ipotesi a priori, indipendentemente da quanto sia scomoda o inaccettabile per la visione soggettiva del ricercatore e per l’orientamento culturale dominante in cui vive.


Innumerevoli filosofi, inoltre, hanno respinto in generale la negazione della possibilità dell’esistenza dei miracoli, ad esempio Rodney D. Holder125, direttore del Faraday Institute di Cambridge; George N. Schlesinger126, docente di Filosofia alla University of North Carolina; John Earman127, professore emerito di Filosofia all’Università di Pittsburgh; Richard Otte128, professore emerito di Filosofia alla University of California at Santa Cruz.


Infine, osserviamo che solitamente chi si appella al naturalismo metodologico chiama in causa le antiche asserzioni di David Hume e Immanuel Kant. Ma, come spiegato da Thomas V. Morris, già docente all’Università di Notre Dame, «nei riferimenti che i teologi fanno a Kant o a Hume, il più delle volte troviamo questi filosofi semplicemente menzionati. Raramente, se non mai, vediamo un resoconto di quali argomenti si suppone abbiano usato per la presunta demolizione dei miracoli»129.


Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, pur respingendo la resurrezione per motivi filosofici (mentre storicamente la ritiene «la spiegazione più plausibile»130), riconosce tuttavia che «è generalmente riconosciuto che Hume sopravvaluta la sua tesi. Non si può escludere a priori la possibilità dei miracoli»131.


Ed effettivamente, nonostante sia ben nota la legge generale che i morti rimangano tali, questo non può escludere automaticamente un caso specifico se esistono prove convincenti in difesa di una tale eccezione.


Per inciso, l’argomento di Hume contro i miracoli è stato confutato già nel XVIII secolo da Gottfried Less e George Campbell, e numerosi filosofi contemporanei lo rifiutano come fallace, a partire da Richard Swinburne132, John Earman133, George Mavrodes134, Antony Flew135 e William Alston136.



 


 


6.2 Obiezione: gli studiosi sono tutti cristiani.


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Un’obiezione ancor più superficiale viaggia solitamente sui social e sul web in generale: i docenti universitari ed i ricercatori specializzati nelle origini cristiane, nello studio biblico e del Nuovo Testamento e nelle fonti cristiane, sarebbero cristiani. Perciò, le loro conclusioni non avrebbero significato.


Chi avanza questa opinione dimostra di non conoscere il sistema di pubblicazione accademico, che aborrisce il principio d’autorità e si fonda sulla dimostrazione (o argomentazione) oggettiva e razionale delle tesi di fronte alla comunità scientifica. L’orientamento personale del singolo non conta nulla in ambito strettamente scientifico (altro sono le divulgazioni popolari), l’autorevolezza in ambito accademico è creata solo dalla validità tecnica del contenuto e dal consenso generale delle proprie tesi tra gli studiosi.


Inoltre, è falso che tutti gli storici del cristianesimo sono cristiani. Gary Habermas, autore di un imponente studio di revisione di migliaia di pubblicazioni specialistiche degli ultimi cinquant’anni, ha precisato che «i cristiani tradizionali costituiscono solo una piccola percentuale degli studiosi»137.


Tra i maggiori specialisti dello studio delle prime fonti cristiane vi sono studiosi di ogni credo (e con varie sensibilità di credo): progressisti, protestanti, ebrei, evangelici, agnostici, cattolici, atei, scettici, cristiani nominali e iper-tradizionalisti. E, tuttavia, «anche la maggioranza degli studiosi non credenti»138, riferisce Habermas (citando nomi, cognomi e opere), accetta una buona parte delle conclusioni sulla storicità degli eventi pasquali, fermandosi chi molto, chi poco prima, dell’ipotesi soprannaturale. Alcuni di essi sono citati anche in questo dossier (Geza Vermes, Michael Goulder, Gerd Lüdemann, John Dominic Crossan, B.D. Ehrman, Pieter F. Craffert, Dale Allison ecc.).


A ben vedere, inoltre, lo stesso conflitto di interesse risulta allora presente anche negli studiosi dichiaratamente atei o scettici. Indipendentemente dalle loro pubblicazioni, infatti, si saprebbe già in anticipo che rifiutano l’ipotesi della resurrezione come reale. Lo stesso dicasi per gli studiosi ebrei, islamici o induisti. Chi rimarrebbe autorizzato a poter studiare il Gesù storico?


Se pensiamo a B.D. Ehrman, agnostico e docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, abbiamo già sottolineato la sua ritrosia a ricordare che l’antica fonte pre-paolina (datata a 2 anni dopo gli eventi) includa anche la resurrezione di Gesù. In un’altra occasione ha scritto: «In tutte le tradizioni giunte a noi, Cefa e Giacomo sono sempre schierati dalla stessa parte. Sono due ebrei, credono nella risurrezione di Gesù, guidano attivamente la comunità ecclesiale della loro città»139. Poche pagine prima aveva riferito: «Simon Pietro e Giacomo sono due ottime persone da conoscere se si vuole sapere qualcosa del Gesù storico»140.


In quest’ultimo caso Ehrman ha riconosciuto Pietro e Giacomo come fonti attendibili per conoscere il Gesù storico, sottolinea che Pietro è proprio la fonte di Paolo, quando quest’ultimo riferisce della resurrezione di Gesù ma, nonostante questo, per motivi personali sceglie di sospendere il giudizio (o darne uno negativo) sulla realtà della storicità della resurrezione. Fino al ritrovamento del sepolcro vuoto, tuttavia, condivide le tesi degli studiosi cristiani.