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3.5 Nessun altro evento antico vanta fonti storiche così vicine.


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Esistono quindi 4 fonti antichissime che riflettono in maniera coerente la predicazione della primissima comunità cristiana, immediatamente dopo la morte di Gesù. Il cuore di questa tradizione è la resurrezione di Gesù e le sue apparizioni ad alcuni discepoli.


Questo non dimostra direttamente che la resurrezione debba essere storicamente avvenuta, piuttosto che questo fu certamente ciò che dissero improvvisamente i primi apostoli dopo il ritrovamento del sepolcro vuoto, benché non si aspettassero nulla del genere e, come nessun altro ebreo loro contemporaneo, non lo ritenessero nemmeno concepibile (lo vedremo più avanti).


In secondo luogo, l’antichità delle fonti smentisce anche una costruzione teologica posteriore e tardiva degli eventi pasquali. Se esse contengono le stesse informazioni che saranno incluse successivamente dai vangeli, non esiste nessuna finzione leggendaria come invece sostennero David Friedrich Strauss e la teologia liberale dei secoli scorsi (guidata da Karl Barth e Rudolf Bultmann) fino alla seconda metà del XX secolo.


In terzo luogo, sottolineiamo che fonti storiche così vicine agli eventi sono una rarissima eccezione in tutta la letteratura antica. Qualche esempio: la prima menzione di Erodoto è di Aristotele 100 anni dopo la morte; le gesta di Augusto sono narrate 105 anni dopo la sua morte da Svetonio; la prima storia di Roma è stata scritta in greco dal senatore romano Fabio Pittore verso il 200 a.C., circa 300 anni dopo la nascita di una forma di governo repubblicano a Roma; le principali informazioni su Alessandro Magno provengono da Plutarco e sono scritte 260 anni dopo la sua morte, e la più fonte affidabile è a più di 370 anni di distanza. Eppure gli storici hanno pochi dubbi nel ritenere credibili e storici questi racconti.


Per questo, il celebre studioso John AT Robinson ha riferito che il Nuovo Testamento «è di gran lunga il libro meglio attestato di qualsiasi scrittura antica al mondo»87, confermato dallo scettico Helmut Koester della Harvard Divinity School quando attesta che «la critica testuale del Nuovo Testamento possieda una base molto più vantaggiosa di quella per la critica testuale degli autori classici»88.


E’ illuminante come A.N. Sherwin-White, presidente della Society for the Promotion of Roman Studies ed uno dei più importanti storici contemporanei dell’epoca romana e greca, ha spiegato che le fonti romane sono generalmente parziali e composte almeno una o due generazioni o addirittura a secoli di distanza dagli eventi che raccontano. Eppure, osserva, gli studiosi non si fanno problemi ad utilizzarle per ricostruire con sicurezza ciò che è realmente accaduto89.


Così, nel suo famoso studio, l’eminente storico ha rimproverato i critici del Nuovo Testamento accusandoli di non capire quali inestimabili fonti storiche siano i vangeli, una molteplice attestazione indipendente scritta a poca distanza dagli eventi e contenente tradizioni risalenti alla quasi contemporaneità dai fatti. Se il “tasso di accumulazione leggendaria” viene invocato quando trascorrono più generazioni tra gli eventi ed il loro primo racconto, è esattamente l’opposto di quanto avvenne per il Nuovo Testamento. «Semplicemente non c’era tempo sufficiente per accumulare una leggenda significativa al momento della composizione dei vangeli»90, ha concluso.



 


 


3.6 Obiezione: San Paolo non cita la tomba vuota.


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Lo studioso Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, dopo aver svolto un’indagine su oltre 2.000 pubblicazioni accademiche che includono il tema della risurrezione di Gesù, pubblicate tra il 1975 ed il 2005 in lingua francese, tedesca ed inglese, ha concluso che una «posizione minoritaria» degli studiosi (il 25%) «accettava uno o più motivi contrari alla storicità del sepolcro vuoto»91.


Tra gli argomenti contrari più citati c’è la mancata citazione del ritrovamento del sepolcro vuoto da parte dell’antichissima fonte pre-paolina (datata, come si è visto, 2-3 anni dopo gli eventi) contenuta nella Prima lettera ai Corinzi. Effettivamente, l’autore scrive: «…fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1Cor 15,3-7).


Sembra però abbastanza implicito che la sepoltura in un sepolcro ed una successiva resurrezione corporale implichi qualcosa nel mezzo, ossia che tale sepolcro fosse stato ritrovato vuoto. Un ebreo del I secolo non avrebbe potuto pensare diversamente, pur ritenendola incomprensibile ed estranea al pensiero giudaico.


«Non c’è dubbio che sia Paolo che la formula paleocristiana da lui citata presuppongano l’esistenza della tomba vuota»92, ha scritto il filosofo William Lane Craig, della Houston Baptist University di Houston.


Poiché Paolo scrisse lettere e non un racconto organico, comprensibilmente non entrò nei dettagli riguardanti la risurrezione di Gesù. La formula pre-paolina è una breve sintesi di ciò che verrà riferito più dettagliatamente in Atti degli Apostoli (cfr. At 13,28-31) e nel Vangelo di Marco (cfr. Mc 15,37-16) in maniera assolutamente coerente e corrispondente. Si veda il confronto che abbiamo graficamente creato.


Infine, la fonte pre-paolina riferisce che Gesù resuscitò “il terzo giorno”: dato che nessuno ha effettivamente assistito alla risurrezione di Gesù, come hanno fatto i cristiani a datarla “il terzo giorno?” Il terzo giorno coincise con il ritrovamento della tomba vuota da parte delle donne seguaci di Gesù, così la stessa risurrezione è stata datata a quel giorno. Ciò mostra che Paolo, riferendo l’antica formula cristiana diffusa dalla primitiva comunità di Gerusalemme, fosse a conoscenza del ritrovamento del sepolcro vuoto.



 


 


3.7 Obiezione: le fonti cristiane non sono imparziali.


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Un’obiezione proveniente quasi esclusivamente da ambienti antireligiosi e non accademici sostiene che le fonti cristiane non sarebbero attendibili in quanto cristiane, quindi di parte. “Non si può usare la Bibbia per provare la Bibbia!”, dicono.

Chi sostiene questa leggerezza semplicemente non conosce i metodi dell’analisi critica dei testi. Gli storici sanno bene che tutte le fonti sono “di parte” ed anche loro stessi hanno interessi ed opinioni personali non imparziali. Eppure, non hanno problemi a scindere la verità di un testo dall’apologetica, quando esse non coincidono.

Gli studiosi usano la stessa analisi critica (in molti casi perfino più severa) nell’affrontare le fonti cristiane, così come per tutti i testi antichi. E cercano di capire: chi sono gli autori? Qual è la data di composizione? Quali potrebbero essere state le loro fonti? Per chi sono stati scritti? Per quale motivo? In quale contesto? Qual era l’obiettivo dell’autore? Quali pregiudizi può avere avuto? Questo è l’esame critico e forense dei testi adottato anche per i vangeli.

Il fatto che altri cristiani, molto tempo dopo la morte degli autori, abbiano collocato i testi evangelici nel canone chiamato Nuovo Testamento non ha niente a che vedere con la veridicità dei racconti.

Gli evangelisti raccontarono e descrissero un fatto storico, pur inedito, complicato da credere e assolutamente inverosimile per i loro contemporanei, non vollero creare dei libri sacri di una religione, seppur fu ciò che avvenne in seguito. Questa “pretesa” è studiata seriamente in tutte le principali università del mondo nei corsi di studio del Nuovo Testamento.

Inoltre, se si dovessero realmente ritenere affidabili solo fonti imparziali, neutrali e disinteressate ai contenuti che raccontano, bisognerebbe eliminare tutte le opere dell’antichità. Ma anche tutti i testi che avversano il cristianesimo, antichi e moderni (i blog, gli articoli, i libri divulgativi), essendo anch’esse fonti di parte sarebbero inattendibili a priori. Le stesse persone che respingono come inaffidabili i vangeli sono soggetti per nulla imparziali. Siamo sicuri di voler procedere così?

Anche lo storico romano Tacito non fu imparziale quando scrisse l’Agricola nel 98 d.C., raccontando le gesta di suo suocero Giulio Agricola. Si tratta di un’opera di plateale favoritismo. La storia di Roma fu scritta da Tito Livio nel 9 d.C., il quale ammette di voler lodare le azioni gloriose del più grande popolo della terra, cioè i Romani. I resoconti bellici su cui lavorano gli studiosi sono scritti in prevalenza dai “vincitori” (come la Guerra d’indipendenza americana). Tutto inattendibile a priori perché imparziale?

«Per lo stesso motivo, si dovrebbe dubitare anche dei dati biografici di Socrate, trasmessi dai suoi discepoli Senofonte e Platone», ha commentato José Miguel Garcia, dell’Università Complutense di Madrid. «Che dire della veridicità delle gesta compiute da Cesare, narrate dall’imperatore stesso, giacché si tratta di informazioni che provengono da testimoni di parte? Nessuno studioso serio ha messo in discussione il valore di queste fonti per la ricostruzioni di tali avvenimenti storici»93.

Anche B.D. Ehrman, presidente del Dipartimento di Studi religiosi dell’Università della North Carolina, è intervenuto nel merito, commentando:

«Le storie su Gesù raccontate dagli evangelisti hanno peso né più né meno degli scritti di qualsiasi altro biografo antico (Svetonio, per esempio, o Plutarco) o forse, per fare un paragone più appropriato, di chiunque abbia scritto la biografia di una figura religiosa, per esempio Filostrato e il suo resoconto della vita di Apollonio di Tiana. Noi non accantoniamo i primi resoconti sulla Guerra di indipendenza perché sono stati scritti da americani. Teniamo conto della loro parzialità ma non ci rifiutiamo di utilizzarli come fonti storiche. Altrimenti significa sacrificare le nostre principali via di accesso al passato, e per ragioni meramente ideologiche, non storiche […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno fonti storiche ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti»94.

Con la sua proverbiale ironia, anche il filosofo francese Jean Guitton sottolineò l’assurdità di questa obiezione: «Gli increduli negano che i Vangeli siano documenti storici perché, dicono, sono scritti da credenti, cioè da uomini che prima degli avvenimenti non credevano, ma cambiarono opinione perché gli avvenimenti che raccontano li portò a modificare il loro primo stato d’animo […]. Gli increduli sono difficili, cosa richiedono perché risultiamo onesti davanti ai loro occhi? Esigono documenti scritti da testimoni che, avendo visti gli stessi avvenimenti, non concedano ad essi alcun significato. E’ contraddittorio»95.

Osserviamo inoltre che all’inizio del suo vangelo, Luca scrive di averlo pubblicato perché Teofilo (l’uomo a cui indirizza il suo testo) «possa conoscere la verità sulle cose su cui sei stato informato» (Lc 1,4). Qual è il problema? Era normale ed abituale dichiarare in maniera trasparente la tesi che si voleva difendere fin dall’inizio dell’opera, e l’evangelista era in buona compagnia con tutti gli storici antichi e romani.

Infine, ricordiamo ancora che la datazione delle fonti cristiane nell’imminenza degli eventi è un’eccezione unica rispetto a tutte le opere dell’antichità citate finora. Dal 48 d.C. al 70 d.C. (quindi dai 18 ai 40 anni dopo la morte di Cristo), Paolo di Tarso scrisse 13 lettere (di cui 6 certamente attribuibili a lui) che confermano totalmente il contenuto dei vangeli, e sia queste lettere che gli evangelisti includono tradizioni ancora più antiche, quasi contemporanee agli eventi. Nessun’altra biografia dell’antichità è meglio attestata di quella di Gesù di Nazareth.

Inoltre, abbiamo già sottolineato che nella Prima lettera ai Corinzi, Paolo cita un’antica formula (1Cor 15, 3-8) che gli storici datano a soli 2-3 anni dopo gli eventi (quindi 32 o 33 d.C.) e che include la resurrezione e le apparizioni post-mortem. Oltre a ciò, dal 70 al 90 d.C. (quindi dai 20 ai 70 anni dopo i fatti), gli evangelisti scrivono i loro racconti in perfetta coerenza con le lettere di Paolo, utilizzando fonti pre-evangeliche che vantano una datazione molto alta, risalenti ai primi vent’anni dagli eventi narrati.

Se il principio cardine dell’indagine storica è che più i testi sono vicini agli eventi narrati (e tanto meglio quanti più testi concordano l’un l’altro), più aumenta la probabilità che raccontino eventi realmente storici, i testi cristiani soddisfano in pieno questo principio. La loro datazione precoce impedisce qualunque possibilità di creazione teologica successiva e lo sviluppo di una leggenda inventata.

 continua