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3.8 Gesù portato dal prefetto Ponzio Pilato


 


 


3.8.1 Pilato governatore della Giudea


 


 


Ponzio Pilato fu il quinto (ma secondo alcuni studiosi solo il quarto) governatore della provincia romana della Giudea. Come testimonia una epigrafe ritrovata a Cesarea Marittima nel 1961 il titolo di Pilato era prefetto (lat.: praefectus); solo in anni successivi i governatori della Giudea verranno chiamati col titolo di procuratori e il titolo di prefetto cadrà in disuso. Secondo lo storico giudeo Giuseppe Flavio il suo mandato cominciò nel 27 d.C. e terminò nel 37 d.C. La regione amministrata da Pilato comprendeva non solo la Giudea, ma anche la Samaria e l’Indumea. Sotto questo territorio si trovavano due città importanti: Gerusalemme, centro religioso ebreo e città santa, e Cesarea Marittima che era invece la residenza ufficiale del prefetto romano e il quartier generale delle truppe ausiliarie. Cesarea Marittima era una grande città portuale sul Mar Mediterraneo costruita da Erode il Grande, capitale romana della provincia di Giudea e di Samaria. Questa città non è da confondere con Cesarea di Filippo, un’altra città che sorgeva nell’interno, nell’Iturea, a nord del Mare di Galilea. Il procuratore formalmente dipendeva dal Legato di Siria, che era il suo diretto superiore, ma di fatto conservava grande autonomia per quanto riguardava la sua zona da amministrare. Prima del suo arrivo in Giudea Pilato è uno sconosciuto e non sappiamo che incarichi ricoprisse. Sicuramente doveva possedere relazioni influenti alla corte imperiale di Roma, requisito indispensabile per ottenere incarichi di alto livello politico. Di fatto per i primi sei anni del mandato di Pilato non esisteva un Legato in Siria e quindi Pilato aveva delle serie difficoltà a richiedere truppe e rinforzi in caso di necessità in quanto mancava un diretto superiore al quale rivolgersi. Questo è stato visto da alcuni come uno dei motivi della particolare durezza di Pilato nel reprimere i minimi accenni di rivolta o di protesta: bisognava difatti spegnere sul nascere ogni minimo tentativo di ribellione prima che queste diventassero troppo vaste per essere fermate. Il predecessore di Pilato, Valerio Grato, nominò ben quattro sommi sacerdoti (questa nomina era a carico dell’autorità romana) l’ultimo dei quali fu Caifa. Pilato invece pare che non ne abbia mai nominato nessuno durante il suo mandato (Caifa, nominato da Grato, restò quindi in carica fino dal 37 d.C. e poco oltre).


 


Nel corso del suo mandato si verificarono alcuni incidenti, quelli noti oggi sono:


 



  •  Episodio degli stendardi: Ponzio Pilato, secondo Giuseppe Flavio, fa portare in piena notte in Gerusalemme degli stendardi che recavano le immagini degli imperatori di Roma. Questa era una grave offesa per i costumi ebraici, secondo i quali erano proibite le immagini, che non potevano essere ammesse all'interno della città santa, e il loro culto era un abominio. Di conseguenza vi furono grandi proteste a Gerusalemme e davanti alla residenza di Pilato a Cesarea Marittima, dove i contestatori si sdraiarono per cinque giorni e cinque notti. Alla fine Pilato cedette e fece ordinare il ritiro delle immagini offensive. Questo episodio è datato dagli studiosi fra il 26 e il 27 d.C. L'episodio è narrato sia nella Guerra Giudaica (2,169-174) che nelle Antichità Giudaiche (18,55-59) di Giuseppe Flavio.


 



  •  Episodio dell’acquedotto: Giuseppe Flavio racconta che Pilato utilizzò parte del sacro tesoro del tempio per costruire un acquedotto. Ci furono molti tumulti in occasione di una visita a Gerusalemme di Pilato, che il procuratore non esitò a far reprimere nel sangue. I morti furono numerosi. L'episodio è narrato sia nella Guerra Giudaica (2,175-177) che nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio (18,60-62).


 



  •  Episodio degli scudi: Pilato fece appendere degli scudi nell’ex palazzo di Erode il Grande a Gerusalemme. Seppure privi di immagini gli scudi destarono scandalo in quanto facevano esplicito riferimento alla divinità dell’imperatore di Roma, un sacrilegio per i Giudei. Questo episodio ci è stato tramandato da Filone di Alessandria (cfr. Legatio ad Caium, 299-305) ma non da Giuseppe Flavio.


 



  •  Episodio dei Samaritani. Questo episodio, accaduto dopo la condanna di Gesù Cristo, segnò di fatto la fine della carriera politica di Pilato, almeno in Palestina. Una figura Messianica convinse un gruppo di Samaritani, debitamente armati, a salire sul sacro monte Garizìm. Pilato li fece bloccare dalle sue truppe e ci furono scontri con numerosi morti, seguiti da arresti ed esecuzioni capitali. I Samaritani allora protestarono presso il Legato di Siria Vitellio per quanto era successo. La Samaria era una regione da sempre fedele a Roma e Vitellio destituì Pilato rimandandolo a Roma (prime settimane del 37 d.C.). Di questo fatto ci è stata data notizia da Giuseppe Flavio (cfr. Ant. 18,85-89).


 


La figura storica di Pilato ci è stata raccontata da un punto di vista letterario da Giuseppe Flavio (nelle Antichità Giudaiche e nella Guerra Giudaica) e da Filone di Alessandria. Ma esiste anche una testimonianza archeologica diretta: nel 1961 a Cesarea Marittima (residenza ufficiale di Pilato) è stata trovata una lapide recante una iscrizione con il suo nome e l'indicazione di "Ponzio Pilato prefetto della Giudea". Sono poi state ritrovate varie monete di bronzo, coniate fra il 29 d.C. e il 32 d.C. Queste monete non vennero evidentemente considerate offensive, malgrado le immagini, in quanto il loro utilizzo proseguì indisturbato anche nei primi anni del regno di Agrippa.


 


 


3.8.2 Pilato a Gerusalemme


 


 


Da molti anni gli archeologi stanno cercando di identificare dove potesse essere la residenza di Pilato a Gerusalemme, il pretorio. Non va poi dimenticato che a Gerusalemme risiedeva stabilmente anche un tribuno. Il tribuno comandava una guarnigione romana costituita da una coorte di circa mille uomini tra fanti e cavalieri. Il tribuno era un alto ufficiale che aveva come inferiori un certo numero di centurioni. In quei giorni quindi Gerusalemme sarebbe stata doppiamente sorvegliata, dai soldati del tribuno e da quelli del procuratore. Inoltre secondo Luca in quei giorni si trovava a Gerusalemme anche il re Erode Antipa che non governava la Giudea ma la Galilea. Secondo Filone di Alessandria l’episodio degli scudi sarebbe avvenuto nel palazzo di Erode il Grande quindi sembrerebbe ovvio che Pilato risiedesse in quel luogo quando si trovava a Gerusalemme. Tuttavia in prossimità del Palazzo di Erode il Grande non è stato ritrovato alcun luogo che possa rassomigliare al Litostroto di cui ci racconta Giovanni, un luogo costituito da un grande pavimento lastricato, da cui il nome, posizionato in posizione sopraelevata. Un luogo del genere è stato ritrovato invece vicino alla Torre Antonia. Nella Guerra Giudaica, Giuseppe Flavio descrive in questi termini la Torre Antonia:


 


Guerra Giudaica, 5.5.8 Sorgeva all’angolo dove si incontravano l’ala nord e l’ala ovest del portico di recinzione del Tempio, su una prominenza rocciosa. […] Era stata fabbricata da Erode [il Grande], che vi aveva sfoggiato tutto il suo naturale trasporto per la sontuosità. […] L’interno aveva l’ampiezza e la sistemazione di una reggia; infatti era suddiviso in appartamenti di ogni forma e destinazione, con bagni e ampie cisterne, sì da sembrare una città perché era fornita di tutto il necessario, ed una reggia per la sua magnificenza. […] Aveva quattro torri […] e dalla sua sommità si poteva spaziare su tutto il Tempio. […] Al suo interno era sempre acquartierata una coorte romana, che nelle feste si schierava in armi sopra ai portici per vigilare sul popolo e impedire qualche sommossa. Se il Tempio dominava la città come una fortezza, l’Antonia a sua volta dominava il Tempio, e chi la occupava dominava su tutti e tre, anche se la città aveva la propria rocca nel Palazzo di Erode [il Grande].


 


Il passo citato, fra l’altro, mette in evidenza la particolare cura e attenzione con cui venivano seguite le feste religiose dei giudei, per paura di tumulti e turbative dell’ordine pubblico. Se si seguono le argomentazioni storiche e letterarie (Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio) Pilato quando si trovava a Gerusalemme doveva risiedere nel Palazzo di Erode il Grande e il tribuno nella Torre Antonia. Ma se si seguono invece le indicazioni archeologiche sin qui note allora Pilato doveva risiedere nella Torre Antonia e il Tribuno nel Palazzo di Erode il Grande. Erode Antipa in quei giorni poteva risiedere in un altro palazzo importante di Gerusalemme, il Palazzo degli Asmonei. L’esistenza di questo antico palazzo ci è stata tramandata dagli scritti di Giuseppe Flavio, ma bisogna sottolineare che nessuno scavo archeologico ha mai messo in evidenza resti di questo edificio, fino a questo momento.


 


 


3.8.3 L’interrogatorio: Gesù condannato e Barabba libero


 


 


Ritornando all’esito del processo a Gesù, il Sinedrio ha ormai stabilito di consegnare Gesù al governatore Ponzio Pilato. Il governatore romano in quei giorni si trovava a Gerusalemme. Abbiamo visto come la sua residenza ufficiale fosse a Cesarea Marittima, tuttavia pare che in alcune occasioni importanti egli si recasse a Gerusalemme. Giuseppe Flavio racconta che:


 


Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 2.223 - "Essendosi la folla raccolta a Gerusalemme per la festa degli Azzimi ed essendosi schierati la coorte romana sopra al portico del Tempio, giacchè usavano vigilare in armi in occasione delle feste per evitare che la folla, raccolta insieme, desse inizio a qualche sommossa [...]"


 


Questo passo riferisce un episodio che accadde quando Cumano era procuratore della Giudea (48-52 dopo Cristo) e testimonia come l'esercito romano presidiasse la città durante le feste principali per evitare tumulti nel popolo. La vicenda che stiamo esaminando avviene durante la Pasqua dei Giudei e secondo questa interpretazione Pilato sarebbe a Gerusalemme a capo delle sue truppe per controllare l’ordine pubblico e la città durante la festa.


 


Matteo 27:11-14 Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose attestano contro di te?». Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.


 


Il procuratore si dimostra subito alquanto perplesso. Gesù gli viene presentato come Re dei Giudei. Egli stesso ha dichiarato di essere il Messia davanti al sommo sacerdote. Se agli occhi degli ebrei essere Messia può anche avere un significato religioso e sacerdotale, come testimoniano i manoscritti di Qumran con la doppia visione del Messia di Israele e di Aronne, essere un Messia agli occhi dell'autorità romana era certamente molto negativo. L'ultimo Re dei Giudei era stato Archelao che nel 6 dopo Cristo era stato destituito e sostituito proprio dai governatori nominati direttamente da Roma. E' evidente che i sacerdoti hanno la necessità di far passare Gesù come rivoltoso, o come re usurpatore del potere del governatore e quindi di Roma. Hanno ormai scelto questa strada per sbarazzarsi di lui e stanno evidenziando davanti a Pilato gli aspetti più politici e pratici del titolo di Messia che Gesù si è auto attribuito, stanno presentando Gesù come Messia davidico o di Israele, per riprendere una definizione che compare nella letteratura qumranica. Accentuando il risvolto politico della faccenda possono sperare di ottenere l’interessamento al caso da parte dell'autorità romana e ottenere una condanna a morte. Ben difficilmente il governatore romano poteva essere competente in materia religiosa o intervenire nelle diatribe dei giudei sul ruolo dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei nell'ambito della società giudaica. L'unica preoccupazione del governatore era il mantenimento dell'ordine pubblico e della pace, quindi possiamo immaginare che un rivoltoso venisse evidentemente eliminato il prima possibile per evitare che coinvolgesse la popolazione in tumulti e rivolte. Matteo accenna poi a una sconosciuta usanza pasquale di liberare un carcerato in occasione della Pasqua dei Giudei a Gerusalemme. Questa presunta usanza desta molto scalpore in quanto non abbiamo alcuna testimonianza, al difuori dei Vangeli, che in Giudea i procuratori concedessero simili grazie. Giuseppe Flavio e altri storici non menzionano mai una simile pratica. L'unico documento attestante la scarcerazione di un detenuto in circostanze simili a quelle che stiamo indagando è un papiro datato all'85 dopo Cristo dal quale apprendiamo che il prefetto d'Egitto rilasciò un malfattore che era stato condannato alla flagellazione in grazia alle folle (cfr. G. Vitelli, Papiri Fiorentini, Milano, 1906, Vol. I, pp. 113-116). Il detenuto che viene liberato al posto di Gesù si chiama Barabba. In aramaico Bar Abbà significa “Figlio del Padre”. Oltretutto in alcuni manoscritti del Vangelo di Matteo, vedi ad esempio il codice Koridethianus, il vero nome del prigioniero Barabba sarebbe curiosamente Gesù Barabba che significherebbe in aramaico Gesù Bar Abbà = Gesù “Figlio del Padre”. E’ singolare quindi che venga rilasciato questo Gesù “Figlio del Padre” mentre viene giustiziato un altro Gesù, presentato come re dei Giudei. Mt non fornisce molte informazioni sull’identità di questo detenuto, è detto soltanto che si trattava di un “prigioniero famoso”. Probabilmente un rivoltoso, un capo politico. Ma non è molto semplice credere che Pilato liberasse un capo popolo, soprattutto in una terra ribelle come la Palestina di quegli anni, con sommosse e rivolte che scoppiavano dappertutto. Questa doppia presenza di Gesù Cristo e di (Gesù) Figlio del Padre è stata interpretata da alcuni come se fossero davvero presenti due figure e non un solo Gesù, un Messia davidico avente pretese regali e politiche (sarebbe il Gesù condannato a morte da Pilato) e un Messia aronitico, sacerdotale, liberato da Pilato.


 


Matteo 27:15-23 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».


 


Il governatore secondo Mt pressato dalla folla alla fine rilascia Barabba e condanna alla crocifissione Gesù:


 


Matteo 27:24-26 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.


 


Ponzio Pilato era conosciuto come un governatore assai privo di scrupoli e piuttosto duro e severo nei suoi atti. Il ritratto che ci è pervenuto dagli scrittori antichi (v. Giuseppe Flavio) non è dei più lusinghieri. Resta quindi misterioso come il procuratore tentasse fino all’ultimo di non condannare Gesù, soprattutto se questo viene presentato come ribelle e rivoltoso. Altrettanto misteriosa è la liberazione di Barabba, chiunque egli fosse. In una terra ribelle e non facilmente governabile come la Palestina non è facile credere che dei pericolosi criminali e sobillatori venissero rilasciati con tanta leggerezza. Difatti nessuno scrittore antico, come detto, ci parla dell’usanza di liberare prigionieri Giudei in occasione della Pasqua ebraica. Seguendo la logica, risulta quindi difficile pensare che un governatore potesse liberare un capo di una rivolta, un "brigante" nella terminologia di Giuseppe Flavio. Tuttavia vogliamo qui segnalare la seguente pratica, riferita proprio da Giuseppe Flavio, vigente al tempo del mandato di Lucceio Albino (62-64 d.C.). Secondo Giuseppe Flavio Albino,


 


"...non soltanto commetteva ruberie a danno di tutti nella trattazione del pubblici affari nè si limitava a schiacciare tutto il popolo sotto il peso dei tributi ma prendeva denaro per riconsegnare in libertà ai parenti quelli che per brigantaggio erano stati carcerati dalle autorità delle loro città o dai precedenti procuratori, sicchè soltanto chi non pagava rimaneva in prigione come un delinquente. Allora a Gerusalemme crebbe l'ardire dei rivoluzionari poichè i loro capi comprarono per denaro Albino facendosi garantire da lui l'impunità per le loro macchinazioni e la parte del popolo che non era amante dell'ordine passò dalla parte dei complici di Albino" (Guerra Giudaica, 2.273-274)


 


Sebbene questi rivoltosi fossero una palese minaccia per la sicurezza dei Romani in Giudea e per la stabilità politica della regione Giuseppe riferisce che Albino, un procuratore evidentemente corrotto, dietro il versamento di illecite somme di denaro era solito liberarne qualcuno. Una pratica simile era probabilmente seguita anche dal successore di Albino, il procuratore Gessio Floro (64-66 d.C.) che secondo Giuseppe Flavio fu persino peggio di Albino, "nessun guadagno lo saziava, era una persona che ignorava la differenza tra i guadagni più grandi e i più modesti, tanto che si associava persino ai briganti" (Ant. 20,11,1). Contrariamente a ogni logica Albino e probabilmente anche Floro rilasciavano dei detenuti già arrestati e carcerati, proprio come Barabba, dietro il pagamento di vere e proprie tangenti. Se questi passi di Giuseppe Flavio certamente non provano nulla relativamente a Ponzio Pilato, testimoniano comunque come alcuni governatori rilasciassero dei pericolosi criminali per brama di guadagni personali.


 


Resta poi un ulteriore mistero, cioè come tanta folla potesse essere improvvisamente ostile a Gesù. Nel giro di pochi giorni tutta la folla che ha accolto Gesù al suo arrivo a Gerusalemme avrebbe all’improvviso cambiato opinione e sarebbe così sicura che Gesù è un malfattore da gridare: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Un’altra questione poco chiara è quella della doppia punizione. La flagellazione è già una condanna, seppure non a morte. La crocifissione sarebbe quindi una seconda, definitiva, condanna. Perché c’era bisogno di flagellare Gesù, se questi era già stato condannato a morte? L’iscrizione che viene posta sulla croce secondo Matteo reca scritto: “Questi è Gesù il re dei Giudei”. I romani condannano quindi Gesù come sedicente re dei Giudei e pericoloso ribelle. E’ l’accusa con la quale i sommi sacerdoti lo hanno condotto da Pilato, accentuando le accuse “politiche” al fine di ottenere una condanna dai romani altrimenti impossibile da ricevere.