00 12/07/2019 19:46

3.7 Procedure seguite dal Sinedrio in altri processi


 


 


3.7.1 Il processo a Stefano


 


 


 


Ci sono anche forti interrogativi sulla reale possibilità che aveva il Sinedrio, ai tempi di Gesù, di eseguire una condanna a morte. Alcune considerazioni generali sono state riportate nel Capitolo 2.1 di questo articolo. Mancano tuttavia certezze storiche relativamente al periodo in cui venne condannato Gesù, ovvero al tempo in cui era governatore della Giuda Ponzio Pilato (26-36 d.C.). Era tra i poteri del Sinedrio condannare a morte un cittadino durante il periodo di Gesù? Gesù non fu lapidato o giustiziato dai Giudei per una precisa volontà oppure perchè il Sinedrio non aveva formalmente il potere di eseguire una condanna a morte? Oppure in alcuni periodi dell'anno questa pratica era vietata da particolari leggi religiose? Sappiamo che qualche anno dopo i fatti di Gesù Stefano verrà condannato a morte direttamente dal Sinedrio, presieduto da Sommo Sacerdote, come riportato negli Atti degli Apostoli. Questo episodio viene fatto risalire al 36-37 dopo Cristo, stando almeno alla nota della Bibbia edizione C.E.I., qualche anno dopo il processo di Gesù ma comunque nel periodo dei procuratori romani. Resta da verificare se è possibile che la condanna a morte di Stefano sia avvenuta al tempo del regno di Agrippa I (41-44 d.C.), in tal caso sembra logico che il Sinedrio potesse autonomamente condannare a morte un imputato dal momento che l'autorità romana era assente.


 


Atti 7:54-60 All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.


 


Questo brano racconta la conclusione del processo a Stefano. Esso ci mostra chiaramente come al termine della seduta Stefano viene lapidato dagli stessi Giudei senza coinvolgere l'amministrazione romana. Nulla comunque viene raccontato sulla regolarità del processo. Stefano viene accusato, portato davanti al Sinedrio e quindi condannato a morte. Non è precisato se in realtà la procedura sia stata più complessa e si siano tenute due sedute. Stefano viene condannato a morte per lapidazione per motivi esclusivamente religiosi. E’ possibile che il Sinedrio potesse avere il potere di condannare a morte per gravi reati religiosi ma non per altri reati e che il reato di “sedizione” e di “ribellione” politica fosse sanzionato dall’autorità romana. La dinamica dell’accusa e del processo a Stefano è raccontata in Atti 6: 8-14:


 


Atti 6:18-14 Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».


 


Il tema della distruzione del luogo santo è comparso anche in occasione del processo a Gesù: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». Ma in occasione del processo a Stefano l’accusa sembra riguardare più motivazioni religiose che non di sedizione o di rivolta: «Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».


 


 


3.7.2 Processo a Pietro e a Giovanni


 


 


 


Un altro processo che viene raccontato nel Nuovo Testamento è quello agli Apostoli Pietro e Giovanni che vengono però liberati. L’episodio è importante in quanto viene riportato all’inizio degli Atti e quindi sembra molto vicino nel tempo ai fatti di Gesù. Pietro e Giovanni vengono arrestati perché si trovano nel tempio a Gerusalemme e parlano al pubblico ivi presente di Gesù. E’ interessante notare che l’arresto avviene di giorno e viene eseguito dal corpo di guardia del tempio (l’autore del brano cita l’intervento del capitano del tempio). Sembra qui rispettata la procedura formale dell’arresto secondo le leggi giudaiche: esso avviene di giorno e siccome sta per farsi sera, Pietro e Giovanni sono condotti in carcere perché il giudizio può avvenire solo di giorno.


 


Atti 4:1-21 Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti. Li arrestarono e li portarono in prigione fino al giorno dopo, dato che era ormai sera. Molti però di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila. Il giorno dopo si radunarono in Gerusalemme i capi, gli anziani e gli scribi, il sommo sacerdote Anna, Caifa, Giovanni, Alessandro e quanti appartenevano a famiglie di sommi sacerdoti. Fattili comparire davanti a loro, li interrogavano: «Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?». Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è


 


la pietra che, scartata da voi, costruttori,


è diventata testata d'angolo.


 


In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e considerando che erano senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti riconoscendoli per coloro che erano stati con Gesù; quando poi videro in piedi vicino a loro l'uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa rispondere. Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: «Che dobbiamo fare a questi uomini? Un miracolo evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. Ma perché la cosa non si divulghi di più tra il popolo, diffidiamoli dal parlare più ad alcuno in nome di lui». E, richiamatili, ordinarono loro di non parlare assolutamente né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando motivi per punirli, li rilasciarono a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l'accaduto. L'uomo infatti sul quale era avvenuto il miracolo della guarigione aveva più di quarant'anni.


 


Dopo l’auto difesa di Pietro il Sinedrio tiene probabilmente una votazione al termine della quale riconosce la non colpevolezza dei due Apostoli. Questo processo, per quello che ci è dato di conoscere, avviene quindi nel pieno rispetto delle procedure del Sinedrio.


 


 


3.7.3 Secondo processo a Pietro e ad altri Apostoli


 


 


 


L’ordine di non parlare più di Gesù e di non diffondere le sue dottrine viene naturalmente infranto da Pietro, Giovanni e dagli altri Apostoli. Si giunge così poco tempo dopo a un nuovo arresto di Pietro ed alcuni Apostoli, eseguito sempre dal capitano del tempio. Questo episodio è importante in quanto mostra cosa sarebbe potuto accadere anche nel caso che il processo di Gesù si fosse svolto rispettando le regole del Sinedrio, con una discussione tra tutti i membri del sinedrio e una votazione. Non tutti i membri del Sinedrio, come abbiamo osservato, sono avversi a Gesù e ai suoi seguaci. In occasione di questo processo Gamaliele si alza e parla sostanzialmente a favore degli Apostoli. Non è escluso che anche altri sinedriti fossero dello stesso parere. La maggioranza del Sinedrio è quindi del parere di non condannare a morte gli Apostoli, Pietro e i suoi compagni se la cavano con la fustigazione.


 


Atti 5:26-40 Allora il capitano uscì con le sue guardie e li condusse via, ma senza violenza, per timore di esser presi a sassate dal popolo. Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote cominciò a interrogarli dicendo:  «Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui». All'udire queste cose essi si irritarono e volevano metterli a morte. Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, disse: «Uomini di Israele, badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini. Qualche tempo fa venne Tèuda, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti s'erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch'egli perì e quanti s'erano lasciati persuadere da lui furono dispersi. Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!». Seguirono il suo parere e, richiamati gli apostoli, li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù; quindi li rimisero in libertà.


 


 


3.7.4 Interrogatorio di Paolo


 


 


 


L’interrogatorio di Paolo, che secondo il Nuovo Testamento è un ebreo ma con cittadinanza romana, è più complesso dei casi precedenti. Pur essendo romano, Paolo viene fatto comparire davanti al Sinedrio. Gli Atti ci raccontano che in occasione di un viaggio a Gerusalemme Paolo è oggetto delle ire dei Giudei in prossimità del Tempio. Il tribuno Claudio Lisia, comandante della coorte acquartierata nella fortezza Antonia, all’angolo nord-ovest della spianata del tempio, interviene liberando Paolo dai Giudei. Paolo viene così arrestato dai romani, e secondo gli Atti sembra venire confuso dal tribuno probabilmente con il brigante Eleazaro, un egiziano di cui parla anche Giuseppe Flavio. Secondo lo storico romano Eleazaro raccolse una turba di circa trentamila persone con le quali si apprestava a entrare in Gerusalemme, ai tempi del procuratore Antonio Felice (il suo mandato fu nel periodo 52-60 d.C.). Prima che sia troppo tardi Paolo chiarisce l’equivoco con il tribuno romano, ma quest’ultimo obbliga il Sinedrio a riunirsi per capire perché Paolo è tanto inviso ai Giudei.


Quando Paolo compare davanti al Sinedrio, il tribuno sa già che egli è un ebreo con cittadinanza romana. Il Sinedrio non può quindi che giudicarlo in modo non formale. Qualunque decisione sulla eventuale punizione per Paolo sarà comunque di competenza dell’autorità romana.


 


Atti 22:30-23:4 Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio; vi fece condurre Paolo e lo presentò davanti a loro. [Il tribuno romano ordina una convocazione del Sinedrio]. Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: «Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza». Ma il sommo sacerdote Anania ordinò ai suoi assistenti di percuoterlo sulla bocca. Paolo allora gli disse: «Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?». E i presenti dissero: «Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?». Rispose Paolo: «Non sapevo, fratelli, che è il sommo sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo».


 


Il brano ci mostra come essendo del tutto informale la seduta (il Sinedrio è stato fatto riunire dal tribuno, e si sa che è stato convocato per esprimere un parere e non per decidere alcunché) vengono violate le procedure formali del Sinedrio, analogamente a quanto successe nel caso di Gesù. Paolo viene percosso e Paolo stesso osserva: «Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?» rendendo testimonianza della irregolarità di quella seduta (e in effetti sappiamo che è irregolare).


 


Privata di qualunque autorità, l’assemblea degenera presto:


 


Atti 23:10 La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza. [Qui capiamo che il tribuno non ha consegnato Paolo al sinedrio perchè venga giudicato ma solo perchè venga interrogato e quindi chiarito il motivo della ostilità nei suoi confronti]


 


Ma Paolo è anche un cittadino romano e quindi il tribuno romano ordina di condurlo via. La sua sorte infatti non può venire certo decisa dal Sinedrio. Tuttavia i Giudei sono risoluti ad uccidere in qualunque modo Paolo. Alcuni di loro tentano di corrompere il Sinedrio per ordine un inganno e uccidere così Paolo:


 


Atti 23:12-15 Fattosi giorno, i Giudei ordirono una congiura e fecero voto con giuramento esecratorio di non toccare né cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo. Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura.  Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: «Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo. Voi dunque ora, insieme al sinedrio, fate dire al tribuno che ve lo riporti, col pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi».


 


In conclusione questo modo di comportarsi del Sinedrio (fretta nelle procedure, violazione delle procedure perché tanto la seduta è di per se irregolare) è caratteristico delle situazioni contingenti, dove si vuole a tutti i costi eliminare un imputato da parte di alcuni e dove gli accusatori sanno o di non avere alcun potere (come nel caso del processo di Paolo) o di non avere tutte le certezze che il processo si concluda a loro favore (come forse nel caso di Gesù). E’ in queste situazioni disperate che nascono gli inganni e vengono orditi tranelli, come quello di presentare Gesù ai romani e farlo accusare da loro come rivoltoso, oppure quello di assassinare con l’inganno Paolo.


 


 


3.7.5 Il processo a Giacomo il Giusto


 


 


Nelle Antichità Giudaiche (Libro 20, 197-203) lo storico ebreo Giuseppe Flavio ci fornisce un esempio di processo molto interessante. Siamo nel periodo in cui il procuratore della Giudea Festo è morto e il suo successore Albino, designato da Roma, è in viaggio e non è ancora arrivato a Cesarea, la sede dei procuratori romani di Giudea. L'episodio avviene quindi nel 62 dopo Cristo, circa trent'anni dopo il processo di Gesù. In questa situazione storica il sommo sacerdote Anano convoca il Sinedrio di cui è presidente e fa processare per violazione della legge mosaica un certo Giacomo identificato con Giacomo il Giusto (o, anche, il Minore), il fratello di Gesù Cristo dallo stesso Giuseppe Flavio. Il processo si conclude con la condanna a morte di Giacomo per lapidazione. Quello che qui interessa è che Anano poco dopo verrà punito da Albino e perderà la carica di Sommo Sacerdote perchè, secondo quanto riferisce Giuseppe Flavio, non aveva alcun potere di convocare il Sinedrio senza il consenso del procuratore.