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CONTINUAZIONE

2.2 Tutela dell’imputato

  

L’imputato aveva il diritto di utilizzare consulenza legale. Se non poteva disporre di un difensore, o non aveva le possibilità economiche per pagarlo, ne veniva nominato appositamente uno per lui che agisse in sua difesa. Per la legge mosaica non poteva venire richiesto a un accusato di testimoniare a proprio sfavore. Anche per la legge ebraica in generale una confessione volontaria non sembra essere sufficiente per ottenere una condanna. In pratica la legge ebraica non ammetteva la “confessione” del crimine da parte di un imputato. L'esame dei testimoni era eseguito molto scrupolosamente per evitare che un imputato venisse accusato ingiustamente. Quando un processo capitale è terminato e l'accusato è riconosciuto colpevole del reato il condannato è portato via per essere giustiziato.  La condanna più diffusa nel mondo ebraico era la lapidazione. Prima dell'esecuzione o durante la stessa, è possibile che intervenga qualcuno a portare nuovi elementi a discolpa del condannato; persino lo stesso condannato può interrompere l'esecuzione chiedendo di ritornare in tribunale e fino a quattro cinque volte, purchè le sue dichiarazioni siano significative (Sanhedrin, Cap. VI, folio 42b). Inoltre un araldo deve annunciare la sentenza di condanna a morte in modo che questa sia resa pubblica ed eventuali testimoni possano ancora intervenire per discolpare l'imputato. Viene raccontato il caso di Gesù secondo cui la sua condanna venne annunciata per ben quaranta giorni, sebbene la Ghemarah, il commento alla Misnah, lo citi come palese esagerazione, in realtà il tempo che deve trascorrere dall'emissione del verdetto all'esecuzione materiale della condanna è molto breve (Sanhedrin, Cap. VI, folio 43a). Queste procedure descritte nel Talmud Babilonese dimostrano comunque una certa tutela dell'imputato, si cerava di impedire che qualcuno potesse essere ucciso ingiustamente.

 

2.3 I testimoni

  

Il ruolo dei testimoni nel processo ebraico è di fondamentale importanza. Infatti non c’è una accusa ufficiale o un pubblico ministero che accusa di qualche reato l’imputato. Sono i testimoni che fungono da pubblica accusa. Oppure sostengono la tesi di una parte piuttosto che dell'altra. In genere venivano ascoltati, singolarmente uno dopo l’altro, prima i testimoni dell’accusa e poi quelli che parlavano a difesa dell’imputato. Risulterebbe certo che la condanna per un reato capitale non è possibile se questa è basata sulla testimonianza accusatoria di un solo testimone. Un solo testimone sembra avere lo stesso valore di nessun testimone. Nel caso ci siano solo due testimoni, cioè il numero legale minimo, questi devono concordare in ogni più piccolo particolare nelle loro versioni dei fatti. Il fondamento di questa norma del resto lo troviamo ancora oggi nel Deuteronomio e nei Numeri:

 

Deuteronomio 17:6 Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimonio.

 

Deuteronomio 19:15 Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni.

 

Numeri 35:30 Se uno uccide un altro, l'omicida sarà messo a morte in seguito a deposizione di testimoni, ma un unico testimone non basterà per condannare a morte una persona.

 

Del resto anche il Sanhedrin prevedeva almeno due testimoni concordi tra loro nel formulare un capo di accusa per procedere nel dibattimento, prendendo ispirazione da questi passi della Torah. I testimoni venivano portati in una stanza e  letteralmente "terrorizzati". Il ruolo fondamentale da loro giocato doveva essere ben chiaro onde evitare che potessero dichiariare il falso. Dopodichè iniziava un esame dei testimoni ad uno ad uno, iniziando da quello più anziano. Dopo l'interrogatorio del primo testimone veniva data udienza a un secondo testimone. Se le due testimonianze erano concordi si procedeva all'esame del caso. Altrimenti si procedeva a incrociare le varie testimonianze in modo da trovarne almeno due tra loro concordi e coerenti. L'affidabilità dei testimoni veniva valutata molto attentamente (Sanhedrin, Cap. 3, folio 29a).  Nelle cause monetarie non capitali i falsi testimoni potevano riparare pagando ma nel caso una falsa testimonianza provocasse la morte di un imputato innocente il falso testimone poteva essere processato e se la sua falsa testimonianza veniva provata allora veniva condannato a morte (Sanhedrin, Cap. IV, folia 37a e 37b).

 

Non risulta che i testimoni dovessero sottostare ad alcun giuramento. Si supponeva infatti che il comandamento mosaico “non fornirai falsa testimonianza” fosse sufficiente ad evitare spergiuri e menzogne. A questo si aggiungevano ulteriori deterrenti: un testimone che mentiva nel corso di un processo per reati capitali punibili con la pena di morte diventava lui medesimo passibile di condanna capitale. Quindi è presumibile che i testimoni pesassero con cura le proprie dichiarazioni in tali circostanze per non subire sanzioni. Se l’accusato veniva condannato alla pena di morte i testimoni erano obbligati a presenziare all’esecuzione, nel caso della lapidazione dovevano iniziare a scagliare per primi le pietre. Secondo il Deuteronomio i testimoni che avevano causato la messa a morte dovevano essere i primi ad eseguire la sentenza di morte. L'usanza è del resto raccolta anche nel Sanhedrin. Questo coinvolgimento in prima persona e responsabilizzazione della figura del testimone si rendevano necessari data la particolare delicatezza della funzione che essi espletavano.

 

Dt 17:7 La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire; poi la mano di tutto il popolo; così estirperai il male in mezzo a te.

 

Dt 19:16-20 Qualora un testimonio iniquo si alzi contro qualcuno per accusarlo di ribellione, i due uomini fra i quali ha luogo la causa compariranno davanti al Signore, davanti ai sacerdoti e ai giudici in carica in quei giorni. I giudici indagheranno con diligenza e, se quel testimonio risulta falso perché ha deposto il falso contro il suo fratello, farete a lui quello che egli aveva pensato di fare al suo fratello. Così estirperai il male di mezzo a te. Gli altri lo verranno a sapere e ne avranno paura e non commetteranno più in mezzo a te una tale azione malvagia.

 

 

2.4 La corte giudicante

 

 

La corte giudicante è il Sinedrio. Abbiamo accennato che per i reati minori esistevano dei tribunali più piccoli nelle varie città. Il Grande Sinedrio di Gerusalemme era probabilmente l’unica assise con giurisdizione sui crimini punibili con la pena di morte. Abbiamo comunque notizie dal Nuovo Testamento che alcuni Giudei tentano di lapidare Gesù anche in città diverse da Gerusalemme. Il Grande Sinedrio di Gerusalemme era una corte di settanta (o settantuno) membri, presieduta secondo il Nuovo Testamento dal Sommo Sacerdote (ma alcuni sostengono che invece fosse presieduta da due soggetti, per cui i membri sarebbero in questo caso settantuno invece che settanta) e composta da una “camera/sezione” religiosa di ventitrè membri (sadducei), da una “camera/sezione” legale di ventitrè scribi (esperti della Legge, di estrazione farisea) ed una terza “camera/sezione” popolare di ventitrè membri anziani (sadducei). L’istituzione di questa assise viene fatta risalire alle istruzioni impartite da Mosè (nel Libro dei Numeri, 11:16-17):

 

Numeri 11:16-17 Il Signore disse a Mosè: “Radunami settanta uomini tra gli anziani d’Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come loro scribi; conducili alla tenda del convegno; vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò in quel luogo con te; prenderò lo spirito che è su di te per metterlo su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo”.

 

In tutto l’A.T. si ha notizia di una “assemblea di sacerdoti” nel Primo Libro dei Maccabaei (14:28) ma il termine “Sinedrio” (che deriva dal greco synèdrion) compare in modo sistematico solo nel Nuovo Testamento. Nel Sinedrio erano presenti rappresentanti dei due maggiori partiti religiosi del periodo: i Sadducei ed i Farisei, la maggioranza dei membri (il 65% circa) era comunque di estrazione sadducea. I sadducei appartenevano alla classe più abbiente della società giudaica. I farisei invece erano di estrazione popolare, appartenevano alla gente comune, ed erano più legati alla Sinagoga che non al Tempio di Gerusalemme, al contrario dei Sadducei. Gli Scribi erano in maggioranza farisei, ed erano gli esperti della legge. Il gruppo degli anziani era invece costituita da persone altolocate, capi del popolo e notabili, quasi tutti sadducei. Veniva usata una grande cura nella scelta dei membri della corte giudicante. L’età minima era di quarant’anni ed ogni membro doveva avere avuto esperienze in almeno tre “uffici” pubblici di crescente dignità. Ogni membro doveva essere di impeccabile dignità e tenuto nella più alta considerazione dai suoi concittadini. Il Sanhedrin prescrive che per cause capitali dovevano essere scelti come giudici soltanto sacerdoti e scribi mentre per le cause civili potevano andare bene anche giudici di rango inferiore. I membri del Sinedrio agivano sia come giudici sia come giuria dovevano essere ebrei stretti (cioè sia da parte di madre che di padre). Ogni membro che avesse particolari interessi nell’esito del giudizio veniva escluso. La corte doveva decidere innocenza o colpevolezza solo sulla base delle prove e delle testimonianze presentate in aula. Il Sinedrio si riuniva in un’ala del Tempio di Gerusalemme. Il Sommo Sacerdote poteva giudicare ma anche essere a sua volta giudicato, poteva testimoniare ma subire anche una testimonianza contro di lui. Il re, invece, non poteva essere giudicato dal Sinedrio e non poteva neppure sedere in giudizio, nè poteva testimoniare o subire testimonianze. Il suo potere era quindi del tutto indipendente dal Sinedrio. (Sanhedrin, Cap. 2). Il Sinedrio aveva anche il dovere di proteggere e difendere l’accusato durante il processo, fino alla emissione della sentenza definitiva. In nessun caso i membri della corte potevano permettersi di colpire o percuotere l’accusato.