00 26/12/2021 16:32
CONCLUSIONE

Lo scopo che ci siamo prefissi
nel prendere in esame il sinedrio che giudicò il Cristo ha un duplice aspetto:
esaminare dapprima i suoi membri, quindi il valore degli atti dibattuti.

Adesso che siamo giunti al termine di molte, (e a nostro avviso, possiamo aggiungere
leali e scrupolose) ricerche, cosa abbiamo ottenuto?

Nei membri che la componevano, questa corte d’assise che si chiama sinedrio ci si
è presentata come un coacervo di uomini per la maggior parte indegni delle
funzioni che erano chiamati a svolgere. Privi di pietà, di dirittura e di
valore morale: perfino gli storici della nostra stessa nazione li hanno bollati.

Nei loro atti giudiziari, – ossia nella loro maniera di procedere – abbiamo constatato
un numero impressionante di enormità, ben ventisette irregolarità,
delle quali sarebbe bastata una sola per rendere invalido il giudizio! Quelle irregolarità
le abbiamo individuate confrontando l’operato del sinedrio con il diritto penale
ebraico allora in vigore; e qualora lo commisurassimo con il più raffinato
diritto dei popoli moderni, ne scopriremmo chissà quante di più.

Nessun valore morale nei giudici, nessun valore giuridico nella loro sentenza; ecco,
israeliti, la valutazione che siamo costretti a emettere (e lo stesso farebbe qualunque
spirito sincero, qualsiasi coscienza onesta) dopo aver letto queste pagine.

Ebbene, lasciateci chiedere: dinanzi a simile spettacolo: non esiste per ogni ebreo
una ragione d’onore, diremmo di più, una ragione di giustizia che obbliga
a non ratificare il giudizio del sinedrio, prima d’aver esaminato personalmente chi
era in realtà il Cristo?

Di certo, egli non doveva essere un uomo ordinario: lo dimostra da sola l’inusitata
procedura che fu seguita nei suoi riguardi. Quando, in un processo, una irregolarità
viene a essere individuata, da sola non equivale a una giustificazione dell’imputato,
potendo trattarsi di una disattenzione o di un caso. Però se, nell’intera
trama di una procedura, da un capo all’altro di una seduta in tribunale, vedessimo
apparire e accavallarsi l’una all’altra ben ventisette irregolarità, tutte
gravi, tutte scandalose, tutte ostinatamente prodotte dagli attori, non è
questa una prova irrefragabile che l’accusato, vittima di simili maniere di procedere,
doveva essere una persona eccezionale?…

Dunque, chi poteva essere questo eccezionale accusato?…

Il giorno in cui egli fece l’ingresso trionfale (ne mancavano cinque al processo),
dei giudei venuti da lontano per partecipare alle feste di Pasqua, provenienti dal
paese dei Parti, dalla Media, dalla Persia, dalla Mesopotamia, dal Ponto, dalla Frigia,
da ogni località dell’Asia, dai confini della Libia, della Cirenaica, da Creta,
dall’Egitto, dall’Arabia e da Roma, questi giudei, davanti allo spettacolo del suo
trionfo e all’entusiasmo popolare, si chiedevano, ciascuno nella propria lingua:
“Quis est hic: chi è mai costui?” (Mt 21, 10).

Tale questione, israeliti, lo spettacolo dell’ingiustizia [di cui il Cristo sarà
presto vittima], più ancora che quello del trionfo, vi pone innanzi oggi una
precisa domanda

“Chi è costui?”, nei cui riguardi il sinedrio ha violato ogni forma
di giustizia…

“Chi è costui?”, che non ha opposto altro che dolcezza alla violenza
e ai soprusi dei propri giudici…

“Chi è costui?”, che ha bevuto l’amara acqua del torrente Cedron
come Davide, ed è stato venduto come Giuseppe…

A diciannove secoli di distanza e quando gli animi si sono placati, è una
questione che ogni ebreo leale, tenendo nelle mani la Bibbia, può agevolmente
risolvere.

Quanto a noi, vostri fratelli nella carne, dopo vent’anni di studi oggi sappiamo
chi egli sia; e non ci torna mai alla memoria e agli occhi una pagina ispirata della
Bibbia, che ci permetterete di collocare davanti ai vostri sguardi. Meditatela, quella
pagina, o israeliti; essa vi rivelerà chi fu in realtà il condannato
dal sinedrio, mentre vi aiuterà a conoscere quale dev’essere, qui in terra
l’ultimo atto del popolo giudaico prima di entrare con le sue tribù e le sue
famiglie nella terra promessa della Chiesa, e più tardi nella terra promessa
dell’eternità.

Ed ecco finalmente la pagina cui abbiamo fatto cenno, del profeta Zaccaria: “In
quel giorno il Signore proteggerà gli abitanti di Gerusalemme; il più
debole di loro diverrà come Davide medesimo e la casa di Davide come Dio.
Effonderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito
di grazia e di implorazione: essi si volgeranno a me che hanno trafitto. E piangeranno
su di lui come si piange per un figlio unico; faranno per lui amaro cordoglio quale
si fa per un primogenito. In quel giorno si leverà un gran pianto in Gerusalemme
[…]. Il paese sarà in pianto, clan per clan: il clan della casa di Davide
da sé e le loro mogli da sé; a clan della casa di Natan da sé
e le loro mogli da sé; il clan della casa di Levi da sé e le loro mogli
da sé; il clan della casa di Simei e le loro mogli da sé: Così
tutti gli altri clan: ogni clan da sé e le loro mogli da sé […] E
se qualcuno gli domanderà: ‘Che sono quelle cicatrici sopra le tue mani?’,
egli risponderà: ‘Quelle che ho ricevute in casa dei miei amici'” (Zc
12, 8-14; 13, 6-9).

Davanti a questa descrizione, davanti a questo dialogo e alle piaghe di quelle mani
e di quei piedi, chi di voialtri, Israeliti, non riconoscerà, se agisce in
buona fede e se la grazia si degnerà di aiutarlo, l’Uomo-Dio condannato dal
sinedrio? Poiché le Scritture vi dicono il suo nome: era il Messia, il Signore!
I nostri padri, purtroppo, non lo riconobbero. Ma i loro figli un giorno lo potranno
riconoscere; ognuno di essi dirà: “Signor mio e Dio mio! ” E, nel
riconoscerlo, gli chiederanno che conceda loro di poter contemplare ancora le piaghe
delle mani e dei piedi; e su quelle piaghe lasceranno scorrere torrenti di lacrime.
E la terra intera si commuoverà a quello spettacolo; tutti gli uomini si uniranno
al pianto, “famiglia per famiglia”.

Quel giorno meraviglioso per il commosso riconoscimento, a noialtri che scriviamo
queste righe non sarà concesso di vederlo qui in terra: l’avremo abbandonata
da molto tempo. Ma, dall’alto del cielo, dove Dio, così speriamo, ci farà
la grazia di riceverci, ci uniremo al nostro popolo convertito e pentito. In cielo
non vi sono lacrime: per questo motivo vi chiederemo in prestito un poco delle vostre,
per offrire al Signore le lacrime della casa di Davide, della casa di Natan, della
casa di Levi, della casa di Simei, quando finalmente albeggi il giorno di quel collettivo
singhiozzare (“cosa sono quelle ferite che hai sulle mani?”); in quel giorno,
sì, ricordatevi di questi due figli di Israele, sacerdoti di Gesù Cristo,
che scrissero queste pagine. E in cambio delle ore che abbiamo dedicato a questo
lavoro, versate in omaggio qualcuna delle vostre lacrime! Versatele nel suo nome!

PER CHRISTUM ET CUM
CHRISTO

PAX SUPER ISRAEL

testo tratto da: Agostino
e Giuseppe Lémann, L’assembea che condannò il Messia, Firenze: LEF,
pp. 17 e 98-130.