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VIOLAZIONE
DA PARTE DEL SINEDRIO DI OGNI NORMA GIURIDICA

(Seduta del venerdi mattina)
“Dal mattino presto,
con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedríio dopo aver tenuto consiglio,
strinsero in catene Gesù, al fine di metterlo a morte, e lo consegnarono a
Pilato (Mc 15, 1; cf. Lc 22, 66; Mt 27, 1)”. Caifa e i
membri del sinedrio avevano ogni interesse a che l’illegale procedura notturna e
la condanna pronunziata contro Gesù non apparisse macchiata d’irregolarità.
Di irregolarità, come s’è visto, ne erano state commesse a non finire,
e era sempre possibile che dal popolo si levassero a un tratto voci di protesta:
quella riunione notturna, del tutto inusitata, i testimoni che si erano contraddetti,
quel giudizio precipitoso, ecc. D’altra parte, approfittando di una rinnovata confessione
dell’imputato si sarebbe potuto rinnovare con ogni solennità possibile la
sua condanna. Perciò l’intero sinedrio si radunò il mattino presto
per decidere contro Gesù, e mandarlo a morte.

Però, attenzione. Non si trattava di rivedere la sentenza pronunziata poche
ore prima. Gesù è condannato, irrevocabilmente condannato. Si tratta
unicamente di avviarlo a morte cercando di rispettare certe forme di giustizia e
un apparato legale che possa chiudere la bocca al popolo.

Resta solo da trovare una forma giuridica adatta; e vedremo che, rimanendo sempre
nella più ampia illegalità, si aggiungeranno nuove irregolarità
a quelle di già accumulatesi nella seduta notturna.

‘Fin dall’alba di quel gran giorno di festa, il sinedrio si riunì” (cf
Mc 15, 1; Lc 22, 66), e da questa riunione precipitosa scaturisce una
ventiduesima irregolarità. Infatti era vietato di incominciare una
riunione prima che avesse avuto termine il sacrificio del mattino: “Si raduneranno
dopo il sacrifico del mattino, fino all’ora in cui inizierà quello della sera”
(Talmud di Gerusalemme, trattato “Sanhédrin” cap. 1, 19).
Riunendosi fin dalle prime ore del giorno, i giudici non avevano atteso la fine del
primo sacrificio, dato che questo sacrificio iniziava precisamente all’alba di un
nuovo giorno (per fissare il tempo del sacrificio, la Bibbia si limita a parlare
di “mattino” e di “sera”: “Voi sacrificherete ogni giorno,
senza eccezioni, due agnelli di un anno, uno al mattino e l’altro la sera” (Es
29, 38-39). Ma lo storico Giuseppe Flavio fornisce particolari precisazioni: “La
Legge ordina che si immoli ogni giorno due agnelli d’un anno, quando comincia la
giornata, e quando essa termina”; “Antiq.” L. 3, c. 10, 1),
e occorreva almeno un’ora perché la vittima potesse dirsi immolata, scuoiata,
offerta e consumata tra le preghiere d’uso. Dunque era stato in un’ora indebita che
il sinedrio si era riunito.

E inoltre, era quel giorno la grande solennità di Pasqua, in cui ogni giudizio
era rigorosamente interdetto. Se infatti era stato vietato ogni processo di sabato
(“Non si giudicherà di sabato, né in altro giorno festivo”
– Mischna, trattato “Betza“, c. 5, 2), a più forte ragione
tale divieto valeva in un giorno tanto solenne qual’era quello della Pasqua. Perciò
ecco una ventitreesima irregolarità. Origene, uno dei più celebri
commentatori della Bibbia, riportando queste parole del Signore ai giudei contemporanei
d’Isaia: “Io detesto le vostre festività, non riesco a sopportarle”
(Is 1,14), aggiunge, con ragione, “Fu profeticamente che Dio fece dire
di aver in orrore le feste della Sinagoga, poiché, mettendo a morte Gesù
in giorno di Pasqua, i giudei hanno commesso un crimine” (“Comment.
in Joan.“).
NUOVO
E SOMMARIO INTERROGATORIO DI GESÙ
“Lo condussero davanti
al sinedrio, e gli chiesero: ‘Se tu sei il Cristo, diccelo'” (Lc 22,
66).

Vale la pena ribadirlo di nuovo: il precedente sistema procedurale è stato
completamente abbandonato. Non ci si sforza di cercare e far venire avanti nuovi
testimoni; non si fa più conto di parole contro Gesù che egli non aveva
potuto pronunziare. Un tale modo di procedere si era rivelato inefficace la sera
avanti, e ormai il sinedrio si è reso conto che tornando su quella via non
potrà ottenere quel che si era proposto. Sa anche che Gesù non mentirà
mai né a se stesso, né ad altri, e che se gli fosse posta di nuovo
la stessa domanda, si potrà dalla sua risposta trovare conferma per la sentenza
di condanna.

“Gesù rispose loro: ‘Se ve lo dicessi, non mi credereste, e se vi interrogassi,
non potreste rispondermi. A ogni modo, d’ora in poi il Figlio dell’uomo si siederà
alla destra della potenza di Dio” (Lc 22, 67-69).

Da questa risposta Gesù fa chiaramente intendere ai giudici che essi non lo
interrogano spinti dal desiderio di conoscere la verità ma soltanto per trovarlo
in fallo, e ribadire la condanna. Tuttavia non tralascia di aggiungere: “Da
questa assemblea che ha congiurato ai miei danni e da questi legami che stringono
i miei polsi, io saprò liberarmi; e a dispetto di tutto quel che si potrebbe
escogitare contro di me, io andrò a sedermi sul trono dell’Onnipotente, alla
destra di Dio”.

“Allora gli chiesero tutti assieme: ‘Tu allora saresti il Figlio di Dio’? (Lc
22, 70).

La conclusione tratta dal sinedrio era di una rigorosa esattezza. L’espressione uscita
dalle labbra del Cristo – “sedersi alla destra di Dio”- non poteva convenire
a una semplice creatura. Perciò i giudici compresero perfettamente che dicendo
che lo avrebbero visto “seduto alla destra della potenza dell’Altissimo”,
Gesù si attribuiva il medesimo onore che appartiene a Dio, lo stesso potere,
la stessa maestà, e per conseguenza, la stessa natura di Dio.

“E Gesù rispose: ‘È come avete detto: io lo sono!'” (Lc
22, 70).

Gesù ripete le stesse parole e con identica solennità la confessione
che aveva rilasciato nella seduta notturna. All’interrogatorio di Caifa: “Sei
tu il Cristo, Figlio di Dio?”, egli aveva risposto: “Tu lo hai detto: lo
sono!”. E ora che il sinedrio gli chiede unanime: “Tu allora saresti il
Figlio di Dio?”, risponde: “Voi lo avete detto: io lo sono!”.
IL SINEDRIO
RINNOVA LA SENTENZA DELLA VIGILIA
“Ed essi ripeterono:
‘Che bisogno abbiamo di altre testimonianze? Lo abbiamo sentito dalla sua stessa
bocca!'” (Lc 22, 70-71).

In questo modo la seconda assemblea generale ha di che confermare la precedente sentenza.
Tutti i membri del sinedrio pronunziarono una identica sentenza di morte; e i giudici,
bramosi di passare all’esecuzione dell’imputato, dichiararono chiusa la seduta. Ogni
ulteriore esame, ogni indagine, per quanto minuziosa, sarà ormai inutile.

Il procedimento è chiuso, uomini del sinedrio, ma non l’accumularsi delle
vostre scorrettezze!

Siamo infatti a una ventiquattresima irregolarità poiché da
parte vostra, come pure vi era stata nella notte, ecco un’altra votazione in massa,
cosa assolutamente proibita dalla Legge: “Ciascuno, a suo turno, dovrà
esprimersi assolvendo o condannando” (Mischna, trattato “Sannédrin”
c. 5, 5).

E un’ennesima irregolarità viene adesso ad aggiungersi alle altre, poiché
avevate l’obbligo di controllare con attenzione la risposta dell’accusato. Avendo
voi postagli la questione: “Sei tu il Figlio di Dio?” e avendo egli risposto:
“Sì, lo sono!”, voi avevate il dovere di sottomettere immediatamente
al più accurato esame le due proposizioni contenute nella risposta data dal
Cristo: 1) 1l Messia dev’essere Figlio di Dio?”, e 2) Gesù è Figlio
di Dio?”. Non avendolo fatto, voi avete compiuto una venticinquesima
irregolarità.

E anche una ventiseiesima, poiché voi avete pronunziato immediatamente
una sentenza che, in ogni caso, doveva essere differita. Quella infrazione giudiziaria,
già commessa nella vigilia, voi la ripetete questa mattina. Per dargli una
forma regolare, la sentenza avrebbe dovuto essere rimandata al sabato mattina. Il
processo, infatti, iniziatosi nella notte tra il giovedì e il venerdì,
faceva parte del giorno di venerdì, giacché è usanza degli ebrei
contare un giorno da un tramonto all’altro. Il primo giorno del processo andava dal
giovedì sera al venerdì sera. Orbene, essendovi l’obbligo (lo abbiamo
di già fatto notare) di lasciar trascorrere una notte d’intervallo tra la
fine di un dibattimento e l’enunciazione della sentenza […], ne seguiva che non
poteva essere né il giovedì sera, né il venerdì mattina,
né il venerdì sera, ma unicamente il sabato mattina che la sentenza
poteva essere regolarmente emessa.

Ma questa non è l’ultima delle irregolarità: ve n’è ancora un’altra:
la ventisettesima.

La decisione di condannare a morte Gesù è invalida poiché era
stata emessa in un locale proibito, nella casa cioè di Caífa, mentre
doveva essere pronunziata nella sala delle pietre squadrate, obbligatoriamente stabilita
per ogni giudizio criminale, sotto pena di nullità: “Non poteva esservi
condanna a morte se non quando il sinedrio sedeva nella sala prefissata, ossia nella
sala delle pietre squadrate” (Talmud di Babilonia, trattato “Abboda-Zara
o dell’idolatria”, c. 14).. Gli autori talmudici han ben compreso la gravità
di quest’ultima irregolarità se si sono sforzati di precisare in vari luoghi
che Gesù sarebbe stato condotto, giudicato e condannato nella “sala delle
pietre squadrate”, dove il sinedrio si sarebbe recato espressamente per compiere
quest’atto. Perciò si legge nelle “Thosephthot o Aggiunte”
del Talmud di Babilonia, (trattato “Sanhédrin” c. 4, 37, recto):
‘Va messo in chiaro che ogni volta che lo richiedesse una causa, il sinedrio tornava
nella sala Gazitk o delle pietre squadrate, come fu fatto nella causa contro Gesù
e altre simili”.

Però non è null’altro che una supposizione ridicola, immaginata sei
secoli più tardi, nel tentativo di discolparsi. La verità storica infatti
stabilita dal Vangelo e confermata dal rapporto di testimoni oculari assicura invece
che Gesù venne condotto, giudicato e condannato in casa di Caifa. E nessuno
potrà mai smentire o cancellare la breve ma perentoria espressione che l’apostolo
Giovanni usa: “Essi condussero Gesù dalla casa di Caifa al pretorio di
Pilato! ” (Gv 18, 26).

E dunque, la cosa è fatta: il Cristo è stato condannato! I sacerdoti,
gli scribi e gli anziani si precipitano dai propri posti; e mentre la vittima viene
legata, si lanciano correndo dove si trova Pilato per richiedere la ratifica della
sentenza e far eseguire la condanna (cf Mt 27, Mc 15, 1; 2; Lc
18, 1; Gv 18, 28).

Molte e commoventi cose si potrebbero porre in luce sulla colpevolezza della folla
che, istigata dai sacerdoti e dagli scribi, prese a reclamare quanto prima la morte
di Gesù. Ma oltre a essere oggetto di un altro scritto, dobbiamo far attenzione
a non uscire dal tema che ci siamo proposti, e cioè stigmatizzare il sinedrio,
un’assemblea di iniqui. È stato appunto il sinedrio che ha chiesto la comparizione
del Cristo, che lo ha giudicato e infine condannato. La casa di Caifa, in cui costui
ha presieduto la riunione, si è tramutata in un antro inquinato dalla più
assoluta mancanza di giustizia: le enormità che stanno per verificarsi nel
pretorio non ne saranno che le conseguenze. È perciò il sinedrio, di
cui abbiamo fin qui studiato con cura le persone e gli atti giudiziari, che dev’essere
valutato in maniera definitiva!