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6.2 Come i Giudei decidono di eliminare Gesù


 


 


Giovanni è l’autore che più di altri racconta di come i Giudei tentassero in ogni modo di eliminare Gesù, come visto nel paragrafo precedente. Il Capitolo 11 del Vangelo di Gv racconta con grande cura il miracolo della risurrezione di Lazzaro e l’autore prende le mosse da questo evento per spiegare perché il Sinedrio avesse deciso di eliminare Gesù:


 


Giovanni 11:45-54 Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli.


 


Secondo Giovanni accanto alle grosse violazioni della dottrina mosaica formale, alle violazioni del sabato i capi dei giudei sono anche preoccupati del fatto che molta gente si sta raccogliendo attorno a Gesù e agli apostoli. Giovanni non parla, come i sinottici, di accuse di Gesù e discorsi pubblici contro i farisei e i sadducei. Piuttosto pone l’enfasi sulla paura che il movimento che si stava creando attorno a Gesù potesse diventare “pericoloso”. E’ il sommo sacerdote capo del Sinedrio che delibera di uccidere Gesù per evitare che il suo movimento cresca troppo e provochi l’intervento dei romani o una rivolta generalizzata contro l’autorità. Nella Palestina di quel periodo ci furono vari predicatori e messia sia prima di Gesù, sia dopo la morte di Gesù. I movimenti politici di ribellione culmineranno, come noto, con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio ad opera dei romani nel 70 d.C., dopo la guerra giudaica. In un certo senso quindi Caifa aveva ragione a temere i movimenti messianici. Giuseppe Flavio ci racconta che Giovanni Battista, personaggio aggregatore di folle molto simile a Gesù, venne eliminato da Erode Antipa perché questi temeva il potere carismatico di Giovanni e le folle che via via andavano sempre più raccogliendosi attorno a lui. Anche Giovanni ci da notizia che l’ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme avviene durante una Pasqua, detta dei “giudei” per distinguerla probabilmente dalla Pasqua festeggiata da Gesù. Dopo la riunione del Sinedrio e il pronunciamento di Caifa, dopo i vari tentativi di arrestare Gesù o lapidarlo come bestemmiatore o falso profeta a Gerusalemme ormai si è stabilito di prenderlo a tutti i costi:


 


Giovanni 11:55-57 Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: «Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?». Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo.


 


Secondo Giovanni proprio l’ingresso trionfale a Gerusalemme è motivo di forte preoccupazione per Gesù. Infatti il numero dei seguaci cresce giorno dopo giorno, così che è sempre meno facile arrestare Gesù e condannarlo a morte pubblicamente davanti a tutti. Oltretutto il Sinedrio, organo supremo che amministrava i processi capitali, aveva all’interno alcuni membri favorevoli a Gesù così che un processo regolare poteva avere un esito niente affatto scontato.


 


Giovanni 12:17 Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno. I farisei allora dissero tra di loro: «Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!».


 


Inizia quindi il racconto dell’ultima cena, la cena di Pasqua del Signore. Vedremo più avanti che Giovanni fa coincidere la Pasqua dei Giudei con il sabato. L’ultima cena avviene qualche giorno prima. Giovanni tuttavia – e questo è un punto importante – non afferma mai che Gesù nell’ultima cena abbia festeggiato una Pasqua (diversa da quella dei giudei). Di Pasqua ed Azzimi festeggiati da Gesù parlano solo i sinottici (Mt, Mc e Lc). Poiché risulta arduo credere che Gesù sia stato processato ed ucciso durante la settimana della Pasqua dei Giudei, e poiché i sinottici ci dicono che egli ha festeggiato una Pasqua, è evidente che la Pasqua di Gesù è diversa da quella dei Giudei, e cade qualche giorno prima. Non è inverosimile che coincida con la Pasqua degli Esseni, che cadeva qualche giorno prima della Pasqua dei Giudei. Questa soluzione mette d’accordo Giovanni con i sinottici e con la logica che vuole che nessun processo o condanna a morte fosse possibile durante la settimana della Pasqua giudaica.


 


Giovanni 13:1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.


 


Il racconto dell’arresto, del tutto irregolare, è simile a quello dei sinottici:


 


Giovanni 18:1 Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?».


 


C’è un particolare aggiuntivo in Giovanni che non compare nei sinottici. Infatti l’autore dice espressamente che il discepolo che colpì il servo del sommo sacerdote era Pietro, mentre nei sinottici l’autore del gesto è (volutamente?) celato. Una spiegazione potrebbe essere che i sinottici volevano proteggere l’identità dell’autore del gesto (forse perché era ancora perseguibile quando sono stati scritti?) mentre quando è stato scritto il testo di Giovanni (abbondantemente dopo i sinottici, e con Pietro sicuramente non più in vita) ormai era superfluo proteggere l’identità del discepolo. Inoltre Giovanni sembra essere molto preciso relativamente all’indicazione numerica delle forze che arrestarono Gesù. Il brano di sopra è la traduzione C.E.I. del Nuovo Testamento e indica che Gesù venne arrestato da un “distaccamento di soldati” e delle “guardie fornite dai sommi sacerdoti e farisei”. Se leggiamo il testo latino della Vulgata abbiamo:


 


Giovanni 18:3 Iudas ergo cum accepisset cohortem et a pontificibus et Pharisaeis ministros venit illuc cum lanternis et facibus et armis.


 


Il testo latino riporta la parola cohortem che deriva dal latino cohors, parola che indica una coorte romana costituita da ben seicento soldati armati. In latino cohors può anche significare “stuolo”, “corteo”, “turba”, “moltitudine”, “folla numerosa” di persone o anche di cose. Per esempio Orazio Flacco parla di cohors febrium per dire una “moltitudine di mali”. Tuttavia il testo greco riporta la parola speiran che è la forma accusativa di speira, termine che viene fatto derivare proprio dal latino cohors che significa coorte. Questo fa pensare che l’autore si riferisca proprio a una coorte di seicento soldati armati. In effetti nel versetto:


 


Giovanni 18:12 cohors ergo et tribunus et ministri Iudaeorum conprenhenderunt Iesum et ligaverunt eum.


 


si dice che la coorte, il tribuno e i servi dei giudei misero le mani addosso a Gesù e lo legarono. Dunque l’unità militare era comandata da un tribuno, che era proprio il comandante di una coorte. Da notare che questi stessi termini vengono utilizzati in At 21:17-40 per descrivere l’arresto di Paolo ad opera di un tribuno che comandava una coorte, anche se la coorte era stata mobilitata in questo caso per sedare un tumulto in città e occasionalmente si occupa dell’arresto di Paolo. Rimane da spiegare perché una forza così ingente sia stata mandata ad arrestare Gesù. I sinottici non fanno riferimento alla presenza di una intera coorte romana comandata addirittura dal suo tribuno sul Monte degli Ulivi, e si esprimono in termini molto più vaghi. Per esempio in Mc e Lc (versione della Vulgata latina) al posto del termine cohortem troviamo il termine turba che significa moltitudine o folla disordinata; Mt parla invece di turba multa ovvero di gran moltitudine o gran folla. Nessuno dei tre sinottici accenna poi alla presenza di un tribunus nella folla che arresta Gesù.


 


Giovanni si discosta dal racconto dei sinottici. Infatti secondo l’evangelista Gesù viene prima di tutto portato davanti ad Anna. Da quello che sappiamo, Anna era una sorta di eminenza grigia del Sinedrio. Era stato sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C.; dopo di lui e prima di Caifa, che è suo suocero, erano stati sommi sacerdoti tutti i suoi figli. Anna non ha più un peso politico, ma ha un peso morale come consigliere autorevole del Sinedrio. Da notare come la traduzione C.E.I. del Nuovo testamento sostituisca alla parola “coorte” intesa come unità militare di seicento uomini la parola “distaccamento” e alla parola “tribuno” intesa come comandante di una coorte, la parola generica di “comandante”.


 


Giovanni 18:12-14 Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo».


 


Anche secondo Giovanni questo primo interrogatorio pare svolgersi in piena notte in quanto fa freddo e viene acceso il fuoco. L’interrogatorio non può quindi essere regolare perché avviene di notte e alla presenza di Caifa.


 


Giovanni 18:18 Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.


 


Anna interroga direttamente Gesù. Giovanni a differenza dei sinottici non racconta i problemi che ci furono con i testimoni, anche se questi sono messi in relazione all’interrogatorio di Caifa.


 


Giovanni 18:19 Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote.


 


Giovanni non chiarisce se effettivamente quella notte ci fu un solo interrogatorio (irregolare, si vedano anche le percosse da parte della guardia) da parte di Anna, oppure se ci fu anche un secondo interrogatorio da parte di Caifa o se suocero e genero abbiano ascoltato Gesù assieme. All’alba del giorno successivo Gesù viene preso e portato nel pretorio, che era la residenza del procuratore romano (Ponzio Pilato) a Gerusalemme. A quanto pare questo avviene proprio il 14 di Nisan ebraico, cioè la vigilia di Pasqua. Nel pomeriggio si dovevano immolare gli agnelli nel tempio e la sera i giudei dovevano festeggiare la Pasqua ebraica (la Pasqua dei giudei di Giovanni):


 


Giovanni 18:28 Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua.


 


 


6.3 Gesù davanti a Pilato


 


 


Anche il Vangelo di Giovanni afferma dunque che Gesù viene portato da Pilato per essere giudicato. Il procuratore romano, che solitamente risiedeva a Cesare Marittima, in occasione della festa di Pasqua si trovava a Gerusalemme per controllare l’ordine pubblico. Con il termine pretorio si intende infatti la residenza del procuratore romano a Gerusalemme. Per ottenere una condanna da parte di Pilato che deresponsabilizzi il Sinedrio agli occhi del popolo occorre naturalmente presentare Gesù come un malfattore o un rivoltoso. Mai e poi mai i romani avrebbero messo a morte Gesù per motivazioni legate alla legge ebraica che neppure conoscevano approfonditamente. Anche Giovanni parla della misteriosa usanza di liberare un detenuto per la festa di Pasqua che vale la salvezza a Barabba, questo misterioso personaggio ci cui abbiamo già parlato. Anche Giovanni definisce Barabba come un “brigante”: sembra strano che Pilato abbia potuto liberare un personaggio del genere. Giovanni afferma che Gesù viene in un primo momento portato nel pretorio cioè presso la residenza di Pilato a Gerusalemme. Pilato interroga Gesù ma non pare trovare elementi per condannarlo a morte e cerca di convincere anche la folla che glielo ha consegnato.


 


Giovanni 18:29-40 Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest'uomo?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.


 


I Giudei però sono irremovibili nelle loro posizioni. Piuttosto preferiscono la liberazione del misterioso Barabba (secondo una usanza, quella di liberare un detenuto per la Pasqua, di cui non abbiamo tracce se non nei Vangeli). Pilato fa allora flagellare Gesù ipotizzando che questa severa punizione sia sufficiente a placare le ire dei Giudei. Ma si sbaglia: i Giudei pretendono una condanna a morte.


 


Gv 19:1-12 Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare».


 


L’interrogatorio di Gesù non avviene dentro il pretorio nel quale peraltro i Giudei non possono entrare perché lo considerano un luogo pagano e quindi impuro (siamo proprio alla vigilia della Pasqua). Esso avviene in un luogo detto in greco Lithostrotos che indica un luogo lastricato con grosse pietre. Il termine Gabbatà in realtà non è ebraico bensì aramaico e indica un luogo posto in alto, una altura. In questo luogo, fuori dal pretorio, si trova il tribunale dove Pilato interroga e ascolta Gesù.


 


Gv 19:13-16 Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.


 


Il processo e la condanna da parte di Pilato avvengono il 14 di Nisan, che secondo la cronologia di Giovanni è un venerdì. Quella sera al tramonto si festeggia la Pasqua ebraica (al tramonto scatta il 15 di Nisan, il primo giorno degli Azzimi che da inizio alla settimana pasquale, perché gli ebrei usavano far iniziare le giornate dal tramonto). Il processo termina presumibilmente la mattina e Gesù viene condotto per essere crocifisso. La morte sulla croce avviene quindi nel pomeriggio del 14 di Nisan, secondo il calendario dei giudei. Mentre Gesù è in agonia e sta morendo alle tre del pomeriggio parallelamente al tempio di Gerusalemme iniziano i sacrifici degli agnelli che vengono sgozzati per essere mangiati quella sera in occasione della Pasqua ebraica. Giovanni accosta quindi la morte in croce di Gesù alla morte degli agnelli nel tempio. Nel versetto 19:31 difatti la Pasqua ebraica secondo Giovanni veniva festeggiata quell’anno un Sabato (la Preparazione sarebbe il 14 di Nisan, un venerdì, il 15 di Nisan, sabato solenne, inizia la sera del 14 di Nisan).


 


Giovanni 19:31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via

tratto dal sito:

https://digilander.libero.it/Hard_Rain/processogesu.htm