00 12/07/2019 19:50

5.1 Gesù è condotto da Pilato


 


 


I membri del Sinedrio decidono però di portare Gesù davanti a Pilato anziché seguire le procedure formali. Abbiamo avanzato nei capitoli precedenti alcune possibili spiegazioni (fretta per l’approssimarsi della Pasqua dei giudei, paura della folla, timore che una votazione “regolare” potesse far propendere i membri “incerti” del sinedrio verso l’innocenza, impossibilità di eseguire la condanna a morte). Gesù viene presentato quindi a Pilato accentuando gli aspetti politici. Tre sono gli elementi presentati per ottenere una condanna: Gesù avrebbe impedito di pagare i tributi a Roma, sobillato il popolo e affermato di essere Cristo Re. Tutti elementi che agli occhi di Pilato presentano Gesù come uno dei tanti ribelli ostili ai romani. Ma il governatore non è convinto delle affermazioni dei giudei. E allora compie una azione che non ci è raccontata dagli altri evangelisti. Poiché Erode Antipa, re della Galilea e della Perea, si trova in città a Gerusalemme Pilato pensa di fare esaminare preliminarmente Gesù dal re, che sicuramente conosce molto meglio di lui le questioni ebraiche. Secondo Luca sono presenti in quei giorni a Gerusalemme il procuratore Pilato (che solitamente risiedeva a Cesarea Marittima) ed il re Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande. Antipa si trovava occasionalmente a Gerusalemme (forse per la Pasqua?) in quanto re della Galilea e della Perea.


 


Luca 23:4-12 Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo». Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.


 


Va qui osservato che il fatto che Erode Antipa rilasci Gesù senza accusarlo di nulla (come si vedrà anche in seguito) è molto strano. Infatti è lo stesso Luca ad informarci dell’ostilità di Erode Antipa nei confronti di Gesù:


 


Luca 13:31 In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».


 


Erode Antipa era in genere molto sospettoso con i profeti o presunti tali che sobillavano il popolo ed attiravano a se grandi folle. I Vangeli raccontano che fu proprio Erode Antipa a fare incarcerare e giustiziare Giovanni Battista. Anche lo storico giudeo Giuseppe Flavio racconta dell’uccisione di Giovanni Battista imputandola a Erode Antipa, timoroso del potere carismatico esercitato sulle folle da Giovanni. Pilato, vedendosi rimandato senza colpa Gesù, è molto riluttante nel condannare Gesù:


 


Luca 23:13-16 Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».


 


Nonostante il tentativo di Pilato, l’ira dei sacerdoti non si placa. Ormai sono decisi ad andare fino in fondo. Luca non racconta direttamente dell’usanza di liberare un detenuto per la Pasqua dei giudei. Tuttavia anche secondo Luca viene rilasciato il misterioso Barabba mentre alla fine Gesù viene condannato. Barabba è secondo Luca un prigioniero arrestato per “sommossa ed omicidio”. Questi fatti sarebbero stati commessi a Gerusalemme.


 


Luca 23:18-25 Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.


 


Dal racconto di Luca sembra che la folla presente presso Pilato non sia numerosissima come in Mt. Questo è coerente con il fatto che sin dall’inizio della vicenda Luca ci informa che i sacerdoti temevano la folla perché favorevole a Gesù. Infatti non si capisce perché solo qualche giorno prima la folla accoglie festante Gesù e qualche giorno dopo all’unanimità è pronta a richiederne in massa la morte presso Pilato. Dove sono tutte quelle persone che accoglievano Gesù all’ingresso in Gerusalemme? Sono state avanzate varie ipotesi e teorie per spiegare questa contraddizione. Per alcuni studiosi Gesù era il Messia degli “esseni”, la setta ebraica di cui si ritiene di avere trovato l’antico insediamento a Qumran in Galilea presso il Mar Morto. Gli esseni non erano confinati solo a Qumran e dintorni, molti ebrei esseni erano presenti anche a Gerusalemme e in altre città della Palestina. Secondo queste teorie, Gesù avrebbe proprio celebrato la Pasqua secondo il calendario e le usanze degli esseni, nel corso dell’ultima cena. La Pasqua essenza cadeva qualche giorno prima della Pasqua dei Giudei, perché era diverso il modo di computare il tempo presso gli esseni. I sommi sacerdoti, che già da tempo avevano stabilito di eliminare Gesù, avrebbero quindi individuato il momento propizio per compiere l’azione nell’intervallo di tempo che va dalla Pasqua essena alla Pasqua dei giudei. Nella notte della Pasqua essena e nel giorno degli Azzimi “esseno” infatti era facile catturare Gesù senza l’intervento della componente ebraica essena. Ma per fare ciò occorreva fare molto in fretta, sia per evitare il più possibile l’intervento della folla favorevole a Gesù, sia perché la Pasqua giudea era alle porte e non si poteva operare in quel periodo. Di qui l’idea di catturare Gesù e consegnarlo ai romani per la parte sporca del lavoro. Affinché il procuratore romano lo condannasse a morte, era però necessario presentare Gesù come rivoltoso e sobillatore del popolo, come un sedicente e usurpatore (del potere di Roma) “re dei Giudei”. E così fecero:


 


Luca 23:38 C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.


 


 



  1.  Condanna a morte di Gesù secondo Giovanni


 


 


Il racconto di Giovanni è molto interessante in quanto è molto chiaro e preciso nel testimoniare che la Pasqua giudaica avviene sicuramente dopo l’arresto e la condanna di Gesù, tanto che esso diventa conciliabile con i racconti di Mt, Lc e Gv solo se si ammette che “il primo giorno degli Azzimi” di cui parlano i tre sinottici non è quello della Pasqua dei Giudei e che l’ultima cena non avviene il 14 di Nisan secondo il calendario dei Giudei. Giovanni non parla dell’ultima cena come se fosse un banchetto pasquale, sembra essere una cena qualunque in una sera qualunque prossima alla Pasqua dei Giudei. Sono i sinottici a dire che l’ultima cena è una cena Pasquale. Anche se per tutto quello che segue quella cena è davvero arduo pensare che la cena pasquale dei sinottici possa essere avvenuta la sera della Pasqua ebraica. Durante la settimana di Pasqua era infatti impossibile condannare a morte qualcuno, i sacerdoti non si impegnavano in processi di qualunque tipo e inoltre dal sommo sacerdote in giù erano impegnati nelle solenni celebrazioni della Pasqua. Come vedremo secondo Giovanni la Pasqua dei Giudei cadeva di sabato, nell’anno della crocifissione di Gesù. Una anomalia nel Vangelo di Giovanni è la collocazione dell’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio di Gerusalemme. I tre sinottici infatti collocano questo importante episodio in occasione dell’ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme, in occasione della Pasqua ebraica. Giovanni invece colloca questo episodio sempre durante una Pasqua, ma in apertura del suo Vangelo.


 


Giovanni 2:13-21 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.


 


Il gesto di Gesù sembra molto forte, in quanto l’evangelista afferma che tutti vennero cacciati fuori dal tempio. In realtà è molto difficile che Gesù abbia potuto disturbare sino a questo punto le ordinarie attività che si svolgevano nel tempio, senza provocare l’intervento immediato del corpo di guardia e del capitano del tempio. A meno che Gesù non fosse il capo di una banda armata che aveva occupato con la forza il tempio. La questione della “distruzione del tempio” come abbiamo visto è l’elemento che mette d’accordo i due testimoni nei Vangeli di Mt e di Mc. Questi Vangeli narrano che durante il primo interrogatorio di Gesù (immediatamente dopo l’arresto) si trovarono con molta fatica i due testimoni concordi tra loro (necessari per una parvenza di regolarità a un processo macchiato di gravissime scorrettezze) sulla base di questa affermazione fatta da Gesù. E’ possibile ipotizzare che questo episodio sia avvenuto durante l’ultima Pasqua vissuta da Gesù, quella dell’arresto e della condanna, quando era ancora vivo il ricordo della frase «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» da poter essere citato dai testimoni.


 


 


6.1 I precedenti nel Vangelo di Giovanni


 


 


Giovanni riporta numerosi episodi in cui si cerca di eliminare Gesù. L’episodio seguente secondo Giovanni avvenne a Gerusalemme, e potrebbe essere avvenuto durante una Pasqua:


 


Gv 5:1-18 Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.] Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».  Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio». Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.  Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero». Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.


 


Questo è il primo scontro tra i farisei e Gesù di cui ci da testimonianza Giovanni. Gesù viene accusato secondo Giovanni sia di violare le sacre leggi relative al sabato ebraico, sia di affermare di avere un rapporto molto speciale con Dio. Entrambe queste imputazioni sono di natura esclusivamente religiosa. Abbiamo visto che violare le leggi del sabato era considerato gravissimo, nel libro dell’Esodo (31:12-17) è prevista addirittura la condanna a morte e nel libro dei Numeri (15:32-36) troviamo un esempio di applicazione di questo. In questo primo episodio, non ci sono accuse di Gesù nei confronti dei farisei, non leggiamo le invettive che compaiono invece ad esempio in Mt e che potevano effettivamente destare le ire dei farisei e dei sadducei. Secondo Giovanni, Gesù si manifesta in pubblico molto più apertamente che non quanto raccontano i sinottici. Frasi del tipo:


 


Giovanni 5:36-40 Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita.


 


Giovanni 5:43 Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste.


 


Giovanni 5:46-47 Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».


 


che vengono pronunciate direttamente ai farisei (non ai discepoli) sono una manifestazione pubblica molto più aperta che non quanto appare in Mt ed in Mc. Parallelamente Giovanni fa qualche accenno alla visione “politica” del Messia. Dopo l’episodio della “moltiplicazione dei pani” la folla vuole addirittura nominare re Gesù:


 


Giovanni 6:15 Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.


 


Un episodio importante narrato da Giovanni è relativo alla partecipazione di Gesù alla festa delle capanne a Gerusalemme. Gesù si reca alla festa e insegna nel Tempio, dove sono presenti i sacerdoti, i farisei e i sadducei. Nel suo discorso, Gesù si dimostra consapevole che i giudei vogliono eliminarlo, infatti dice:


 


Giovanni 7:19 Non è stato forse Mosè a darvi la Legge? Eppure nessuno di voi osserva la Legge! Perché cercate di uccidermi?».


 


Tuttavia non è ben chiaro se l’affermazione di Gesù è di tipo profetico, ovvero Gesù afferma che i giudei vogliono eliminarlo prima che questi abbiano ancora concretamente deliberato di farlo, oppure se veramente i giudei avevano già stabilito di ucciderlo. Il discorso nel tempio prosegue con la difesa di Gesù dalle gravi accuse di violare il sabato (implicavano da sole la messa a morte secondo la legge mosaica):


 


Giovanni 7:21-24 Rispose Gesù: «Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne siete stupiti. Mosè vi ha dato la circoncisione - non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi circoncidete un uomo anche di sabato. Ora se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato? Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio!».


 


Sempre durante questa festa Gesù si manifesta sempre più apertamente alla folla. Giovanni ci narra che le guardie del tempio tentarono di arrestarlo per ben due volte, ma senza successo. Viene accennato anche alla figura di Nicodemo, un membro del Sinedrio che è dalla parte di Gesù (infatti aiuterà Giuseppe di Arimatea a seppellire il corpo di Gesù).


 


Giovanni 7:25-53 Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo?  Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora. Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: «Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?».  I farisei intanto udirono che la gente sussurrava queste cose di lui e perciò i sommi sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. All'udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Questi è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Questi è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!». Ma i farisei replicarono loro: «Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea». E tornarono ciascuno a casa sua.


 


Giovanni 8:19-20 Gli dissero allora: «Dov'è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.


 


Durante la festa della Dedicazione, avviene un episodio chiave. Secondo Giovanni Gesù confessa in maniera equivocabile la sua messianicità: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. E’ chiaro che l’affermazione è gravissima e i giudei tentano di metterlo a morte direttamente.


 


Giovanni 10:22-33 Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola». I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».


 


I giudei probabilmente considerano Gesù un visionario, un pazzo, un falso profeta che parla falsamente nel nome di Dio. Nel Deuteronomio è bene espresso il trattamento che deve essere riservato ai falsi profeti:


 


Deuteronomio 13:2-6 Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore; perché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima. Seguirete il Signore vostro Dio, temerete lui, osserverete i suoi comandi, obbedirete alla sua voce, lo servirete e gli resterete fedeli. Quanto a quel profeta o a quel sognatore, egli dovrà essere messo a morte, perché ha proposto l'apostasia dal Signore, dal vostro Dio, che vi ha fatti uscire dal paese di Egitto e vi ha riscattati dalla condizione servile, per trascinarti fuori della via per la quale il Signore tuo Dio ti ha ordinato di camminare. Così estirperai il male da te.


 


In questo primo brano del Deuteronomio è scritto come deve essere considerato un falso profeta chi, pur compiendo segni e prodigi, cerca di distogliere il popolo dal culto ebraico e propone di adorare dei stranieri. Il falso profeta deve essere condannato a morte. Ma il falso profeta non è solo colui che, pur compiendo prodigi, propone al popolo di seguire un culto diverso da quello dell’ebraismo monoteistico; il falso profeta è anche colui che afferma di parlare in nome di Dio quando questo non è vero, oppure colui che profetizza opere che poi non si avverano:


 


Deuteronomio 18:20-22 Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire. Se tu pensi: Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore; l'ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura.


 


Affermare di essere Dio (concetto sintetizzato nella frase “Io e il Padre siamo una cosa sola”) oppure profetizzare fatti che difficilmente la mente umana può credere e concepire (sintetizzati nella affermazione: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», infatti i giudei increduli rispondono: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?») valgono la condanna a morte, ancor più della violazione del sacro giorno del sabato. Anche l’accusa di bestemmia è gravissima e vale la condanna a morte. Sappiamo che il Talmud Babilonese prevedeva la condanna a morte  per coloro che erano condannati come falsi profeti (cfr. Sanhedrin, Cap. 10, folio 89a).