00 01/11/2018 18:59

DAL COMMENTO DEL MOVIMENTO APOSTOLICO
DELLA LETTERA DI S.PAOLO AGLI EFESINI

CAPITOLO PRIMO

INDIRIZZO E SALUTO

[1]Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso, credenti in Cristo Gesù:

Paolo è apostolo di Gesù Cristo. In quanto apostolo di Gesù Cristo egli scrive loro. In quanto parola di colui che nella Chiesa ha il posto di Cristo bisogna leggere quanto lui scrive.

Questa convinzione di fede dovrebbe sempre essere nel cuore di chi scrive e di chi legge.

Deve essere questa convinzione nel cuore di chi scrive, perché dica solo la volontà di Cristo Gesù, solo la sua verità, solo la sua dottrina, solo quella Parola che lo stesso Cristo gli ha consegnato il giorno in cui lo ha costituito suo apostolo nel suo gregge.

Se si ha questa convinzione, allora bisogna evitare che si dicano cose che non appartengono al cuore di Cristo, ma che sono del nostro cuore.

Perché questo avvenga è necessario che il cuore di Cristo sia il nostro cuore, lo Spirito di Gesù sia nel nostro spirito, i desideri di Cristo siano i nostri e la sua volontà la nostra.

Questo richiede un cammino nella santità di Cristo, in una perfetta obbedienza al Padre nostro che è nei cieli, in una sequela santa del Vangelo che ci è stato dato non perché venga annunziato, ma perché venga vissuto e mentre lo si vive lo si annunzi, lo si predichi, lo si proclami.

Questa stessa convinzione deve anche regnare nel cuore di chi riceve la parola degli Apostoli. Vi regnerà se c’è in essi desiderio di conoscere la verità, di ascoltare la vera Parola di Cristo Gesù, di vivere l’obbedienza perfetta a Dio che avviene e si compie solo nella conoscenza della vera Parola di Gesù Signore.

Quando non c’è desiderio di ascoltare e di vivere la vera Parola di Cristo Gesù, neanche si accoglie la Parola dell’apostolo come Parola di Cristo e quindi si vive solo un’appartenenza formale a Cristo, ma non sostanziale, perché l’appartenenza sostanziale a Cristo si ha solo nella vita secondo la sua Parola.

Questa convinzione, anche se c’è, muore nel cuore di chi ascolta, se l’Apostolo del Signore non vive la sua appartenenza a Cristo in modo totalizzante il suo essere, se non dice la Parola di Cristo Gesù nella sua piena e perfetta verità.

Questa è una delle cause per cui c’è quel distacco tra la Parola degli apostoli e i loro fedeli, tra pastori e pecore, tra guida e gregge. Il gregge non vede e non considera come suoi pastori coloro che non vede con i tratti e i lineamenti di Cristo Gesù e di conseguenza neanche ascolta la loro parola come Parola di Cristo. Avviene quel distacco di ascolto tra gregge e pastori che tanto danno provoca nella comunità cristiana. È il distacco di una vita senza più la Parola di Dio. È il distacco di una vita ricondotta nelle tenebre.

Che uno sia apostolo di Gesù Cristo non lo deve a se stesso, alle sue doti, alla sua bravura, alla sua volontà.

Essere apostolo di Gesù Cristo è solo un suo dono d’amore, una sua chiamata che ha la sua spiegazione non in noi, ma solo ed esclusivamente nell’amore di Dio. L’apostolo di Gesù Cristo, più di ogni altra vocazione, ha la sua origine nell’amore di Dio Padre, in quello stesso amore di salvezza e di redenzione che ha chiesto al Figlio l’incarnazione, la passione, morte e risurrezione per l’umanità che era precipitata nel peccato, che nella sua scienza e prescienza divina aveva già visto nel peccato e nelle ombre della morte.

Se non si vede una vocazione come una sorgente di grazia che ha il suo principio eterno nell’amore di Dio, mai si comprenderà a sufficienza la grandezza di essa. Dio associa l’apostolo al mistero della salvezza, mistero d’amore per il mondo intero che lui ha consegnato al suo Figlio unigenito.

La vocazione ad essere apostolo di Gesù Cristo deve essere sempre vista in quest’unico mistero di amore, in questo solo mistero di salvezza e di redenzione; bisogna sempre vederla in quest’unica e sola volontà di Dio che chiede al Figlio nell’eternità e nell’eternità ad ogni altro suo figlio adottivo, divenuto tale per opera dello Spirito Santo in Cristo, di volersi consegnare al suo amore di salvezza e di redenzione.

I destinatari della Lettera sono gli Efesini, chiamati santi. Paolo scrive ai santi che sono in Efeso e sono santi perché credenti in Cristo Gesù.

Anche la santità è partecipazione, anzi vocazione ad inserirsi nel mistero dell’amore di Dio, a divenire parte di questo amore eterno che si dona, che si comunica, che si fa in Cristo sacrificio per la salvezza del mondo.

La santità è solo di Dio. Tutti gli altri sono santi per partecipazione, per esposizione alla santità di Dio.

La santità di Dio sulla terra è Cristo Gesù. Ci si espone alla santità di Dio se si diviene una cosa sola con Cristo, in Cristo, per Cristo.

Chi deve operare questo mistero di unità perché si diventi santi è lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo. È Lui che ci immette in questa comunione di vita con Cristo e in Cristo con Dio.

La santità, come la fede in Cristo Gesù, è una realtà dinamica, in progresso, in perfezione. Santi e credenti bisogna ogni giorno esserlo, si cresce in santità e in fede. La crescita nella santità e nella fede è la vita stessa sia della santità come della fede. Nel momento in cui non si cresce più in santità e non si cresce in fede, sia la santità che la fede sono morte in noi e noi siamo morti sia alla santità che alla fede.

C’è pertanto una responsabilità in chi è stato chiamato alla santità e alla fede in Cristo Gesù. È la responsabilità di chi ha ricevuto un dono di Dio e non deve farlo morire in lui, non deve nasconderlo nel suo cuore, anzi è chiamato a farlo fruttificare secondo tutta la potenza di grazia e di verità che Dio ha versato in noi al momento di concederci questi doni divini.

Così c’è anche da dire che questi doni sono dati al mondo, generalmente, per via ordinaria, dalla Chiesa in tutti i suoi membri, anche se la responsabilità nel conferire questi doni varia da persona a persona, in relazione al ministero che si svolge nella comunità.

L’apostolo del Signore in ordine alla santità e alla fede ha la stessa responsabilità di Cristo Gesù, perché suo vicario sulla terra, perché come Cristo è chiamato a morire per attrarre a Dio ogni uomo.

La sua è una responsabilità che si realizza con la sua crocifissione e morte, consegna al sacrificio, per amore della salvezza dell’umanità.

La sua è una vita donata, è il seme che cade in terra, muore, per produrre molti frutti, molti altri semi di vita eterna, di santità e di fede.

[2]grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Poiché egli è apostolo di Gesù Cristo, per volontà di Dio, egli in nome di Cristo, con la sua autorità, in nome di Dio, con la sua autorità, augura e dona agli Efesini la grazia e la pace.

Di chi sono questa grazia e questa pace? Sono da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo.

Dio lo ha mandato nel mondo per portare questi doni. I doni sono di Dio, ma è l’apostolo che li elargisce. Li elargisce perché Dio Padre e Cristo Gesù li hanno messi nelle sue mani perché sia lui a darli a quanti sono santi e credenti in Cristo Gesù.

La grazia è il dono della salvezza, della redenzione, della giustificazione, della carità, dell’amore. La grazia è tutto ciò che è dono di Dio e che discende sulla terra in virtù della morte e della risurrezione di Cristo Signore.

Augurare la grazia, dare la grazia è augurare e donare all’uomo la vita stessa di Dio. Dio è la grazia dell’uomo, perché Dio è la vita.

Quando la vita di Dio diventa la vita dell’uomo, l’uomo è in grazia, vive nella grazia, cresce in essa.

La pace invece è il frutto, uno dei frutti della grazia. È il ristabilimento dell’uomo nel posto che ha in Dio, in se stesso, negli altri fratelli, nell’intera creazione.

La pace è pertanto una vita che è senza il disordine del peccato, senza i frutti del peccato.

La pace è la vita che risplende tutta di verità, di luce eterna, di chiarezza di cielo, perché in essa non c’è la menzogna, non ci sono le tenebre, non c’è l’ambiguità e la stoltezza che la conduce.

La pace è la vita che viene ridonata interamente a Dio, perché a Dio essa appartiene, perché attraverso di essa si compia solo la volontà del Padre, volontà che il Padre ci ha manifestato tutta in Cristo Gesù. Consegnata a Dio, essa si fa e diviene un dono di pace per i fratelli, un dono d’amore, di benevolenza, di gioia, di serenità, di fratellanza, di ogni altro bene che è necessario all’uomo perché viva una esistenza degna della creatura che è stata fatta ad immagine e a somiglianza di Dio.

Tutti questi beni divini, questi grandissimi doni, sono posti da Dio nelle mani dei suoi apostoli. Sono essi incaricati di offrirli all’umanità intera.

Questa la loro responsabilità: quella di offrirli alla stessa maniera che fu di Cristo Gesù. Si offrono all’umanità alla maniera di Cristo, se la loro vita è offerta tutta al Padre per manifestare la sua gloria, in una obbedienza perfetta, che diviene il nostro cibo quotidiano.

Se questo avviene ed è fatto dall’apostolo, egli ha assolto il ministero dell’amore che gli è stato affidato. Egli è servo buono e fedele che è chiamato a prendere parte alla gioia del suo Signore.

Se questo non lo ha fatto, egli è responsabile dei mancati frutti che la grazia e la pace generano nel mondo. Di questo deve rendere conto a Dio il giorno in cui si presenterà al suo cospetto per il giudizio.

Quanti non hanno ricevuto il dono di Dio per omissione dell’apostolo del Signore, hanno la responsabilità che deriva loro dalla coscienza non formata, non illuminata dalla grazia, non resa perfetta dalla pace di Dio.

Quanti invece hanno ricevuto i doni della grazia e della pace, ma li hanno rifiutati sono responsabili dinanzi a Dio di questo rifiuto. A Dio dovranno rendere conto il giorno del giudizio, quando anche loro si presenteranno dinanzi a Lui per rendere ragione di ogni loro azione, decisione, omissione, opera, sia in bene che in male.

[3]Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

I versetti che seguono sono così pieni di contenuti essenziali nella verità della fede che bisogna che procediamo analizzando concetto per concetto e singola verità per singola verità.

Alla fine mettendo tutte le verità insieme, l’una accanto all’altra e l’una anche nell’altra, si evidenzierà in tutta la sua chiarezza, in tutto il suo splendore il mistero di Dio e dell’uomo, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il mistero eterno che si vive in Dio, il mistero di salvezza, ma ancor prima di creazione e di grazia che si vive sulla terra. Si evidenzierà il prima della creazione e il dopo e tutto avrà significato nell’amore del Padre, nella redenzione di Cristo, nella santificazione dello Spirito Santo.

Benedetto sia Dio: Dio solo è da benedire, lodare, glorificare, magnificare, esaltare, celebrare, osannare, innalzare.

Dio è da benedire perché è il Santo, il Giusto, il Salvatore, il Redentore, il Liberatore, il Creatore.

Dio è da benedire perché nella sua essenza è carità infinita, eterna, carità che si riversa verso l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza; carità che si dona e si comunica all’uomo per creazione, per redenzione, per giustificazione, per elevazione, per santificazione, per il dono della vita eterna.

La benedizione è la prima preghiera che deve innalzarsi dal cuore dell’uomo verso il cuore di Dio. L’uomo riconosce Dio in se stesso, lo riconosce e lo confessa nella sua divina essenza e lo benedice, lo dichiara bene, lo proclama bene. Dice che tutto ciò che Dio è e fa, è bene, è il bene, è il sommo bene, è l’eterno bene.

Al di fuori del bene che è Dio, che è in Dio, che viene da Dio, non c’è altro bene sulla terra, nell’universo, nell’uomo.

Benedire il Signore diviene pertanto proclamazione, attestazione, confessione che il bene si addice a Dio per natura, poiché Dio è il bene soprannaturale da quale ogni altro bene discende.

È dovere dell’uomo benedire il Signore; è retta confessione manifestare al mondo intero, ma prima di tutto alla propria coscienza, che la bontà è solo del Signore.

Purtroppo molti cristiani non elevano a Dio quest’inno di benedizione. Non lo elevano per due motivi: perché bestemmiamo il suo nome, lo maledicono. Ma anche perché attribuiscono a Dio tutto ciò che di non buono, di non santo, di non onesto, di non vero e non bello avviene nella vita, sulla terra.

Si rende così Dio autore di ciò che bene non è, bello non è, giusto non è. Si rende Dio autore di tutto il male che accade sulla nostra terra e questo è un grande peccato che non si addice a nessun cristiano.

La vocazione del cristiano è quella di benedire Dio, di confessare che tutto il bene discende da lui, di gridare al mondo che niente di non buono, di meno buono, di cattivo viene da Lui e questo in ragione della sua natura che è bontà eterna e divina, nella quale e dalla quale non può sorgere il male.

Padre del Signore nostro Gesù Cristo: Il Dio che si benedice è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Dio è Padre; Gesù è il nostro Signore.

C’è in questa affermazione di Paolo una duplice confessione: si proclama che Dio è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ma si riconosce anche che Gesù è il nostro Signore.

La paternità di Dio nei confronti di Cristo Gesù e nei confronti dell’uomo non è la stessa. Cristo Gesù è generato da Dio. Quella di Dio verso Cristo è una paternità di natura, di sostanza, di generazione eterna, di nascita dalla stessa natura.

Quella di Cristo Gesù è l’unica generazione di Dio, che avviene oggi, nell’eternità. L’altra paternità, quella verso di noi, è una paternità adottiva, di creazione, di elezione. Non è però una paternità per generazione, per partecipazione della propria natura, come avviene anche nella creazione tra gli esseri viventi.

Noi siamo stati creati da Dio, in tal senso Dio è nostro Padre, veniamo dalla sua Parola onnipotente. Cristo Gesù invece non viene dalla Parola onnipotente del Padre, lui è la Parola onnipotente, eterna, divina, increata del Padre.

Questa è differenza sostanziale tra noi e Cristo Gesù. Egli è di origine divina: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre. Cristo e il Padre nella comunione dello Spirito Santo sussistono nell’unica natura divina.

Questa differenza di paternità dice anche differenza di figliolanza. C’è una differenza sostanziale, naturale tra la nostra figliolanza e quella di Cristo Signore. Questa differente figliolanza pone anche una differenza nell’incarnazione.

Colui che nasce dal seno di Maria è il Figlio eterno del Padre, Colui che il Padre aveva generato dall’eternità, nell’eternità. Ciò significa che Cristo è vero Dio e vero uomo, è il vero Dio che si è fatto carne ed è diventato vero uomo. Questo è il mistero di Cristo Gesù, differente dal nostro. Lui è Dio e uomo, vero Dio e vero uomo, nell’unica Persona: quella eterna del Verbo della vita.

Noi invece siamo semplicemente uomini. Siamo solo figli di Adamo per natura; di Dio possiamo solo essere figli di adozione.

Gesù Cristo è il nostro Signore. Gesù è Signore perché Dio. La signoria è proprio della natura divina. È anche Signore in quanto uomo, perché tale costituito da Dio al momento della sua incarnazione. Signoria che ora egli vive nel cielo, dove è assiso alla destra del Padre anche nella sua umanità, che risorta siede nel Cielo presso Dio.

Che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli: Il Dio che Paolo benedice ha benedetto gli uomini con ogni benedizione spirituale nei cieli.

Questa benedizione prima di tutto è il dono della creazione. Siamo stati creati dalla bontà di Dio. Da lui veniamo per un atto di creazione che è fuori della natura di Dio, anche se la nostra creazione è del tutto differente da quanto esiste nel creato, perché noi siamo stati fatti ad immagine e a somiglianza del Creatore.

Ci ha benedetti con la grazia della redenzione e della giustificazione che ha come finalità proprio quella di farci bene, di farci giusti, di farci santi, di elevarci alla dignità di figli suoi.

C’è la benedizione con la quale siamo stati creati buoni, ma c’è anche la benedizione della redenzione attraverso la quale siamo fatti santi, giusti, elevati alla dignità di figli adottivi di Dio.

C’è infine la benedizione della santificazione ed è quell’aiuto indispensabile e necessario che Dio riversa su di noi affinché possiamo raggiungere la gloria del Cielo, in modo da godere eternamente con Dio nel suo regno dei cieli.

In Cristo: Tutte queste benedizioni ci sono state donate in Cristo Gesù, che è la discendenza di Abramo nella quale Dio ha posto ogni benedizione. Cristo è il frutto benedetto della Vergine Maria, dal quale ogni benedizione si riversa sulla terra.

Cristo è la benedizione di Dio. In Cristo è ogni nostra benedizione. Chi vuole divenire benedetto, perseverare nella benedizione, acquisire di nuovo la benedizione smarrita, altro non deve fare che attingere in Cristo la benedizione di Dio e Cristo ce la dona attraverso il suo Santo Spirito, versato sugli Apostoli e sulla Chiesa perché crei in noi il desiderio, la volontà di lasciarci benedire da Cristo Gesù attraverso l’invocazione del suo Santo nome.

Cristo non può essere escluso dalla nostra storia neanche per un istante. Quell’istante in cui si esclude Cristo Signore, ci si autoesclude dalla benedizione di Dio. L’uomo non è più bene, non cammina verso il bene, la sua corsa si arresta nella sua umanità, ma l’umanità senza Cristo ha poco peso in cielo e ha poco peso sulla terra, come avrà poco peso di vita eterna, perché sarà condannata all’inferno per sempre.

[4]In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,

Anche questo versetto contiene tre verità, che meritano di essere analizzate e presentate separatamente.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo: In questa prima frase appare chiaramente che il disegno di Dio sull’uomo è eterno, è nell’eternità, prima della creazione del mondo.

Prima c’è il progetto sull’uomo e poi viene la creazione del mondo; viene la creazione del mondo per attuare il progetto che Dio ha sull’uomo.

Se non partiamo da questa verità, diviene assai difficile comprendere il mistero di Cristo e lo si potrebbe anche comprendere e interpretare in modo errato, non vero, non del tutto esatto; si potrebbe accentuare una visione a discapito di un’altra; si potrebbe evidenziare una verità e tacerne un’altra, a motivo della prospettiva teologica secondo la quale il mistero di Cristo viene letto e interpretato.

Anche il mistero di Cristo, il mistero dell’Incarnazione del Verbo, trova il suo posto in questa elezione, in questa scelta prima della creazione del mondo.

Poiché in Dio non c’è il prima e il dopo, non c’è il prima della creazione e il dopo della creazione, sempre a livello di scienza e di conoscenza, il prima e il dopo esistono nella realizzazione del progetto, del disegno, della scelta.

Prima c’era il disegno, ma non la sua realizzazione; dopo c’è il disegno e la sua realizzazione. Ma Dio è nel disegno e nella sua realizzazione dall’eternità, nell’eternità. Solo con l’incarnazione Dio, in Cristo, si fa storia, tempo, progetto da realizzare, progetto realizzato.

Dio stesso, in Cristo, diviene parte di questo progetto, non solo in quanto autore di esso, ma anche in quanto attore. Lui è il creatore del progetto, è anche il redentore di esso, il suo salvatore.

Progettando la vocazione dell’uomo egli si fa parte di questa vocazione, si fa vocazione, diviene anche Lui un chiamato. Come? Assumendo la carne, facendosi uomo, divenendo Lui stesso progetto da realizzare nella storia. È questo il mistero che avvolge il nostro Dio ed è un mistero che sorpassa ogni umana intelligenza. Nessuno di noi può comprenderlo del tutto, neanche una scintilla di esso si riesce a penetrare con la sua umana intelligenza.

Con l’aiuto dello Spirito Santo questo progetto e il suo autore potranno divenire più chiari, più splendenti, ma per questo occorre una vera rivelazione di Dio, perché solo se il Padre lo rivela e il Figlio lo rivela e lo Spirito Santo lo rivela questo disegno di amore di Dio potrà essere compreso bene, anche se sempre in parte e non nella sua totalità, dai fedeli discepoli di Cristo Gesù.

Per essere santi e immacolati al suo cospetto: Viene qui specificata qual è la nostra vocazione, l’unica vocazione che è scritta nella nostra natura fin dall’eternità.

Questa vocazione ci chiama ad essere santi e immacolati al cospetto di Dio. Ci chiama a vivere conformemente alla nostra natura, che è natura fatta ad immagine e a somiglianza di Dio che è il Santo, il Senza Macchia, l’Immacolato.

La natura di Dio è carità eterna, infinita, divina, celeste. Essere santi e immacolati al suo cospetto significa vivere non di amore, ma essere perennemente inseriti nell’amore di Dio, essere nella sua carità, vivere la sua carità, essere ministri nel mondo di questa divina carità.

La santità è partecipazione in noi della santità di Dio, il solo Santo, il Santo, il senza Male.

In Dio non c’è male alcuno; nell’uomo, che è in Dio, che vive in Dio, che partecipa della natura divina, non deve esserci il male. In lui tutto deve essere bene, tutto deve fare bene, ma anche deve desiderare tutto il bene, in un amore che è dono totale della sua vita a Dio, perché solo nel dono della sua vita a Dio egli realizza il suo bene.

Donando la vita a Dio, in una obbedienza perfetta alla sua volontà, egli si ricolma del bene di Dio, perché Dio in questo scambio di vita diventa il dono per l’uomo. Dio dona tutto se stesso all’uomo, l’uomo dona tutto se stesso a Dio, in un dono perenne, eterno.

Questa è la santità cui è chiamato l’uomo fin dall’eternità. In fondo è la stessa santità che avvolge fin dall’eternità il Padre e il Figlio nella comunione dello Spirito Santo.

Che cosa è la santità divina se non questo mutuo dono del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, dono totale, pieno, divino, eterno, senza né principio e né fine?

In questo stesso mistero d’amore e perché si compia in lui questo mistero d’amore, l’uomo è stato creato. Questa è la sua vocazione.

Non solo l’uomo deve essere santo, deve essere anche immacolato, senza macchia. In questo scambio di vita di niente si deve appropriare, tutto invece deve dare di sé a Dio.

Se egli si appropria anche di un solo istante, egli non è puro, non è immacolato, ha sottratto un tempo o più tempi o l’intero tempo della sua esistenza a Dio, l’ha consegnata a se stessa, l’ha data ad altri che non sono Dio.

L’esistenza dell’uomo è tutta per il Signore, per essere data a Lui. È in questo dono che l’uomo compie la sua vocazione, un solo istante sottratto a questa vocazione, è un istante di peccato, è un istante macchiato, è un istante che è uscito fuori della sua vocazione e per questo è un istante di male e non di bene, di morte e non di vita, di sottrazione e non di donazione ed offerta.

Nella carità: la carità è Dio, è la sua vita. L’uomo è chiamato ad essere santo e immacolato al cospetto di Dio, dinanzi a Dio, ma anche in Dio.

Da Dio l’uomo è uscito per creazione, per un dono di amore che non è generativo, ma creatore di una realtà fuori di sé. Ma questa realtà non è stata creata per rimanere fuori di Dio, è stata creata – ed è questa la specificità della creatura umana che la differenzia da tutte le altre creature che sono state create nell’universo – rivolta verso Dio, in cammino verso Dio, perché ricevesse attraverso il ritorno in Dio il suo compimento e la sua perfezione.

È come se l’uomo fosse creato da Dio non concluso in se stesso. Tutti gli altri esseri sono stati creati conclusi in se stessi, in se stessi hanno il fine della propria esistenza.

Con l’uomo questo non è avvenuto, con l’uomo non è così. Con l’uomo la creazione è solo l’inizio del compimento del suo essere che non è nell’uomo, ma in Dio. L’uomo è il solo essere creato che non si compie in sé, ma in Dio, ma si compie non attraverso un meccanismo automatico di ritorno nel Signore, si compie invece attraverso una volontà chiara, manifestata atto per atto, momento per momento, decisione per decisione di voler ritornare in Dio.

L’uomo è un essere che vive orientato verso la carità di Dio, ma vive nutrendosi di questa carità, alimentandosi di questa vita divina.

Nel momento in cui non potrà più alimentarsi di questa vita divina, di questa carità, perché volutamente, con decisione si è posto fuori, per lui è la fine del suo essere. Egli non si compie più, si è posto anche fuori del suo compimento e della sua realizzazione.

L’uomo per vivere deve nutrirsi di carità divina, è questo il suo alimento perenne. Verso la carità divina deve tendere, perché è in questa carità il suo compimento, la sua realizzazione eterna.

Questo compimento avviene nella sua forma perfetta nel cielo, quando diverremo una cosa sola, nel corpo e nell’anima, con Cristo Gesù, che è la carità del Padre, data per noi perché noi ritorniamo nella carità di Dio e verso la pienezza della sua carità e del suo amore camminiamo, manifestandola e realizzandola tutta in questo cammino del compimento della nostra vocazione.

[5]predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,

Anche in questo versetto sono espresse due verità che meritano una trattazione separata:

Predestinandoci a essere suoi figli adottivi: Fin dall’eternità, Dio pensò l’uomo e lo pensò come un suo figlio. Lo ha pensato creatura e figlio. È questo un altro mistero che caratterizza l’uomo.

Egli non è stato voluto solo come creatura dinanzi a Dio, anche se fatta in un modo del tutto particolare. Egli è stato pensato allo stesso tempo creatura e figlio. È stato pensato come creatura con la vocazione ad essere figlio di Dio.

La predestinazione nella Scrittura è il disegno d’amore di Dio verso l’uomo. Dio ha un disegno d’amore e questo disegno non è soggetto all’approvazione dell’uomo.

Dio è il Signore dell’uomo, non è un suo partner, né un collega, o un amico, che insieme, in una discussione tra amici, anche se svolta nella santità, decidono cosa fare e cosa farsi, approvano questa loro decisione e poi iniziano a realizzarla nella loro vita, insieme. Con Dio non è così. Dio non sottopone il suo progetto sull’uomo all’approvazione dell’uomo. Egli lo stabilisce fin dall’eternità.

È Lui che decide di fare l’uomo e come farlo. Decide di farlo, decide di farlo a sua immagine e somiglianza, decide anche di farlo perché sia nella sua carità santo e immacolato, decide che lo vuole suo figlio.

Questa decisione, questa volontà, questo consiglio eterno di Dio con se stesso si chiama predestinazione.

Questa predestinazione però è in Dio, non nell’uomo. All’uomo, fatto ad immagine di Dio gli è stata data la volontà, altrimenti non sarebbe ad immagine di Dio, e gli è stato affidato il progetto da realizzare.

Il progetto uomo è da realizzare dall’uomo. Esso non è stato realizzato da Dio. Se fosse stato già realizzato da Dio, l’uomo non sarebbe più uomo. Sarebbe non un predestinato, ma un predeterminato, che è cosa ben differente.

Noi non siamo stati creati come figli di Dio, siamo stati creati ad immagine di Dio. Siamo però predestinati a divenire figli, ad essere figli adottivi di Dio.

Questa è l’altra vocazione dell’uomo. Se è vocazione, se è chiamata, deve essere l’uomo a volerla realizzare, deve essere l’uomo a portarla a compimento. Altrimenti non sarebbe vocazione, sarebbe semplicemente un dono datoci con la stessa creazione, come l’anima, il corpo e lo spirito, la volontà e i desideri.

Su questo ci sono molti errori oggi. Non si vede più la figliolanza adottiva di Dio come una vocazione. La si vede come un dono già conferito ad ogni uomo.

Non vedendola più come una vocazione, posta nelle mani dell’uomo, perché sia lui a dargli compimento, non si vede più neanche l’azione missionaria della Chiesa che ha come compito proprio quello di aiutare ogni uomo a realizzare a compiere questa sua vocazione.

Ma questa è solo ignoranza, grande ignoranza. A volte è anche mala fede e presunzione, che deriva da un volere annullare il progetto vocazionale di Dio sull’uomo. È come se ci si sostituisse a Dio e si decidesse per Lui, si stabilisse per Lui quello che è giusto e quello che non è giusto, ciò che è buono e ciò che non è buono.

Dire che ogni uomo è figlio adottivo di Dio è cambiare totalmente, radicalmente la vocazione dell’uomo. Noi siamo il progetto di Dio da realizzare, non il progetto già realizzato. Noi siamo la vocazione da portare a compimento, non la vocazione già portata a compimento.

Su questo bisogna essere seri, veri, convinti nella fede, altrimenti vanifichiamo tutta l’opera di Dio, perché annulliamo la sua volontà. Ora la sua volontà ci precede. Essa non è soggetta ai nostri sentimenti, alla nostra volontà, alle nostre decisioni, a quanto andiamo affermando.

Dire che siamo figli adottivi di Dio è una menzogna, una falsità, è un inganno, una illusione. Dire una cosa non è essere quella cosa. I molti teologi dicono oggi che l’uomo è già figlio adottivo di Dio, anzi neanche più si dice figlio adottivo, si dice semplicemente figlio – Figlio di Dio è solo Gesù Cristo –. Ma dirlo, non è farlo. Non siamo noi a fare un altro figlio di Dio; è lui che deve farsi, perché è sua la vocazione.

Posso anche dire che un uomo è sacerdote, che può consacrare. Ma quell’uomo sacerdote non è, perché il sacerdozio è una vocazione e la vocazione deve realizzarla la persona. Tutti gli altri possiamo aiutare a realizzarla, siamo inviati perché si aiuti a realizzarla, ma non possiamo né dirla, né proclamarla già realizzata, solo perché così piace a noi.

È questa la più grande stoltezza in teologia e in materia di fede; ragionare così, ma soprattutto così parlare e così predicare è da insipienti. È il segno che lo Spirito del Signore non abita in noi e non abitando in noi, noi siamo avvolti dalle tenebre, dalla menzogna anche circa le verità più elementari della nostra santa fede.

Per opera di Gesù Cristo: La predestinazione ad essere figli adottivi di Dio non può essere un atto di creazione. Questa predestinazione si compie per opera di Cristo Gesù e Cristo Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, per la nostra redenzione, giustificazione, santificazione, perché noi fossimo messi in condizione di ritornare nella carità di Dio, dalla quale siamo stati creati e nella quale siamo chiamati a vivere, per poter portare a compimento la nostra vocazione.

La figliolanza adottiva, che è la vocazione di ogni uomo, è solo in Cristo Gesù. Poiché la vocazione è nell’ordine della natura – l’uomo è questa vocazione -, poiché essa si realizza per opera di Gesù Cristo, per predestinazione ogni uomo è chiamato a riconoscere Cristo come il compimento della sua vocazione naturale. Ogni uomo, se vuole essere l’uomo pensato, voluto, progettato da Dio, deve volere Cristo, accogliere Cristo, pensarsi orientato in Cristo, chiamato da Cristo, formato in Cristo e da Lui.

Cristo Gesù diviene così la via perché l’uomo si faccia l’uomo secondo Dio. Chi esclude Cristo, chi lo rinnega, chi lo rifiuta, chi non lo accoglie, esclude, rinnega, rifiuta, non accoglie la sua vocazione e poiché questa vocazione è la vocazione scritta nella natura dell’uomo, quest’uomo si esclude dalla possibilità di divenire ciò che Dio ha progettato e voluto per lui.

Si è già detto che in questa faccenda non è consentito all’uomo alcuna decisione sul progetto. A lui è lasciata la volontà di attuarlo e quindi di farsi uomo secondo Dio, oppure di rifiutare la sua vocazione e condannarsi ad una morte, ad un non divenire, ad un non essere mai l’uomo pensato e voluto da Dio. Su questo principio bisogna essere chiari, forti, certi. La volontà di Dio non si può mai mettere in discussione e così mai si può discutere sul progetto.

Se la vocazione ad essere figli adottivi di Dio avviene per opera di Cristo Gesù, dobbiamo concludere altre due verità che sono anch’esse essenziali per comprendere il mistero di Dio e il mistero dell’uomo, o meglio per comprendere il mistero dell’uomo nel mistero e dal mistero di Dio.

Quando Dio pensò l’uomo, così come egli lo pensò, lo vide anche immerso nel peccato, nel rifiuto cioè di realizzare la sua vocazione.

È questa la prescienza eterna di Dio, che non ha bisogno della storia, per sapere cosa accade oggi, domani, sempre nella creazione che Lui ha voluto e quindi ha fatto. Secondo questa scienza eterna, o prescienza divina, Dio vide l’uomo, ma lo vide anche peccatore, fuori della sua carità.

Cosa fare? Non crearlo? Crearlo per lasciarlo perire nel suo non compimento? Oppure crearlo con la possibilità di metterlo in condizione di poter salvare se stesso?

Nella sua sapienza eterna Dio crea l’uomo, lo crea ad immagine di sé, gli dona la volontà per potersi orientare verso di Lui, sa però che l’uomo avrebbe fatto un cattivo uso di questa volontà e per questo motivo nel creare l’uomo, o meglio nel progettare l’uomo, pensa anche all’incarnazione del Figlio, per cui la creazione e l’incarnazione sono un unico mistero in Dio, un unico disegno, un’unica volontà di amore verso l’uomo.

Sono un unico disegno e un’unica volontà di amore, perché solo inserendo ogni uomo nell’amore di Cristo, in Cristo che si fa nutrimento d’amore per l’uomo, l’uomo è nella capacità di poter compiere il suo cammino vocazionale.

È questo il mistero dell’uomo che è insieme mistero dell’uomo e mistero di Dio, mistero di Cristo che si fa uomo, per farsi nutrimento dell’uomo, vita dell’uomo, verità dell’uomo, perché l’uomo raggiunga o venga messo in condizione di poter compiere la sua vocazione.

Sull’unità del mistero della creazione e della redenzione, del peccato e della salvezza, visti come unico atto della prescienza divina è opportuno ritornarvi e si ritornerà sull’argomento in altri passi, dove appare molto più chiaro e più evidente questo legame.

Per ora ci è sufficiente affermare e ribadire che è in Cristo il compimento dell’uomo e che Cristo è per ogni uomo, perché ogni uomo è predestinato ad essere figlio adottivo di Dio e questa figliolanza si compie per opera di Cristo Gesù.

Ogni uomo è finalizzato a Cristo, perché è in Cristo il fine di se stesso. Senza Cristo l’uomo non è figlio adottivo di Dio e se non è figlio neanche può vivere come figlio adottivo di Dio, non può vivere nella sua carità, non può vivere della sua carità, non può camminare verso il raggiungimento della carità eterna, nella quale è la pienezza del suo essere e della sua vita.

Il fine dell’uomo è Cristo, perché in Cristo si realizza il fine dell’uomo. Ma se in Cristo si realizza il fine dell’uomo e il fine dell’uomo è Cristo, c’è una vocazione da realizzare ed è quella di divenire cristiformi, di divenire Cristo, di essere con Cristo una cosa sola. Anche su questa verità si ritornerà a momento opportuno, man mano che il testo si farà più esplicito e Paolo ci avrà introdotto più in profondità nel mistero di Cristo e dell’uomo, o semplicemente nel mistero di Cristo, che è il mistero dell’uomo.

Per ora è sufficiente volere mettere nel cuore questa verità. È la verità che bisogna iniziare a predicare con fermezza, decisione, franchezza, senza timore alcuno, senza pensare a tutte quelle ambiguità di una diplomazia che è frutto in noi della carne, anziché dello Spirito. La via del rinnovamento del mondo, della sua capacità di umanizzarsi passa per Cristo e per Lui solo. Questa è la verità di cui tutti i cristiani dovranno convincersi. Da questa convinzione nasce poi la predicazione e l’annunzio di Cristo ad ogni uomo. La missione nasce dalla fede. Dove non c’è fede non c’è missione. Poiché abbiamo perso la fede in Cristo, anche la missione si sta perdendo, a favore di un teismo che lascia l’uomo nel suo peccato e nella sua morte.

[6]secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto;

In questo versetto sono tre le verità che emergono:

Secondo il beneplacito della sua volontà: In Dio non c’è alcuna necessità. Dio non crea per necessità e neanche l’incarnazione del suo Figlio diletto è una necessità.

In Dio c’è solo la volontà che è mossa dal suo amore e dalla sua eterna e divina saggezza.

Tutto ciò che avviene nell’ordine della creazione, dall’inizio alla fine, nel tempo e anche nell’eternità, avviene solo perché il Signore lo ha pensato e lo ha voluto. Anche se lo avesse pensato e non lo avesse voluto, niente si sarebbe compiuto, niente sarebbe avvenuto.

La libera volontà in Dio è nella creazione, nella redenzione, nell’elevazione dell’uomo, nell’eredità che Lui ci darà un giorno, se sulla terra avremo realizzato in noi l’immagine del suo Figlio Unigenito, Immagine del Cristo Crocifisso e Immagine del Cristo Risorto, se saremo morti al peccato e risorti con Lui a vita nuova.

Nessun determinismo in Dio, nessun obbligo, nessuna costrizione. Questa è la verità delle verità, sulla quale ogni altra verità si fonda.

Se non c’è determinismo in Dio, non c’è neanche determinismo nelle creature, nell’uomo in particolare. Anche nell’uomo c’è la volontà e tutto deve essere sottoposto e governato dalla volontà, che trova la sua forza nella saggezza e nella sapienza di cui il Signore lo ha dotato, creandolo.

Se siamo stati fatti ad immagine di Dio e in Dio non c’è costrizione alcuna, o determinismo, o obbligatorietà nel fare una cosa, ma c’è solo volontà e sapienza, decisione e operazione, così deve dirsi anche per l’uomo. Anche nell’uomo non c’è determinismo alcuno. Tutto invece è stato sottoposto alla sua volontà, sorretta e governata dalla sua saggezza.

Questo deve essere chiarito e specificato a motivo di certe affermazioni che sovente si fanno per giustificare i propri peccati e tutte quelle altre nefandezze che si commettono sotto il cielo. Nessuno può dire e deve dire sono fatto così. Ognuno invece deve porre la sua vita nella sua volontà e darle una direzione di giustizia e di bene, giustizia e bene che sono date all’uomo dalla sua sapienza, posta in lui dal Creatore.

Sempre la visione corretta di Dio fa nascere una visione corretta dell’uomo. Quando la teologia, o la fede decadono, e oggi siamo in piena decadenza teologica, decade anche il mistero dell’uomo. Di quest’uomo creato ad immagine di Dio se ne fa un oggetto, una cosa, un essere senza volontà e senza intelligenza, un essere condannato a porre degli atti che la sua coscienza gli rimprovera come errore morale, ma che lui è costretto a fare a causa della sua natura.

Questo in generale è il pensiero che l’uomo ha di sé. Un uomo senza volontà, un uomo senza saggezza. Un uomo senza potere di decisione. Un uomo determinato al male e al peccato, all’errore, all’ingiustizia, ad ogni altro genere di mistificazione della sua stessa umanità.

In questo molta colpa ricade anche sulla teologia che in qualche modo ha svenduto Dio alla carne dell’uomo; ha reso Dio inferiore alla nostra carne. La nostra carne è superiore a Dio. La nostra carne è invincibile, mentre la grazia di Dio è vincibile.

E questo a lode e gloria della sua grazia: Il mistero dell’uomo che si realizza completamente in Cristo Gesù, deve far sgorgare dal nostro cuore un inno di lode e di gloria che si innalza verso Dio, verso il Padre dei cieli.

Questa lode e questa gloria gli è dovuta per due ragioni: perché quello che ha fatto per noi è stupendamente grande, infinitamente esaltante, divinamente bello, umanamente impensabile e irrealizzabile.

Dal nulla ci ha creati. Dalla morte ci ha risuscitati a vita nuova. Questo è il primo motivo di lode e di gloria. È giusto dare la gloria e la lode a chi fa cose stupende e cosa più stupenda della nostra creazione e redenzione non esiste.

Il secondo motivo è questo: quanto avviene in noi è solo frutto della sua grazia, della sua benevolenza. Ma è una benevolenza continua, una grazia incessante che si riversa su di noi.

C’è una misericordia di Dio che si stende su di noi e che ci copre a modo di tenda. Solo chi non vuole può rimanere fuori della misericordia salvatrice e santificatrice del nostro Dio. Solo per propria colpa l’uomo può rimanere escluso dalla grazia della sua salvezza, che Dio ha preparato per noi in Cristo Gesù e che lui ci dona oggi e sempre in Cristo Gesù.

Noi oggi pensiamo poco alla grazia di Dio, che è grazia di redenzione e di salvezza. Pensiamo poco perché ormai la nostra struttura religiosa non è una struttura teologale, è una struttura immanentistica.

Tutto si risolve all’interno della nostra natura e della nostra umanità; tutto si concepisce a partire da noi, immersi in questo mondo.

La struttura teologica dell’uomo invece ci rivela che tutto discende da Dio e che in Dio tutto è possibile per l’uomo. È possibile la redenzione, è possibile la giustificazione, è possibile la santificazione ed è possibile anche il cammino perenne dell’uomo nella giustizia e nella verità.

Poiché tutto questo è un dono di Dio, il dono più grande che Dio ha fatto all’uomo, dono più grande di questo non esiste, né potrà mai esistere, nasce per l’uomo l’obbligo della lode e della gloria da tributare al Signore. Il Signore è da lodare, da glorificare perché grandi sono le sue opere, mirabili le sue azioni in favore degli uomini.

Ma di questa lode e di questa gloria l’uomo si dimentica. Neanche sa di essere un graziato da Dio, uno che è chiamato alla grazia nel suo Figlio diletto. Non lo sa perché rifiuta di saperlo, ma anche non lo sa perché coloro che sono stati incaricati di comunicare questa lieta notizia all’uomo, si sono dimenticati di farlo, non lo fanno, vivono anche loro fuori di questo grande movimento di glorificazione e di lode del loro Dio e Signore.

Fanno questo perché anche loro avvolti dall’immanentismo che ormai governa la faccia della terra. Immanentismo che fa sì che tutto è nell’uomo e tutto è dall’uomo e poiché tutto è dall’uomo e nell’uomo, di Dio non dobbiamo interessarci, non dobbiamo occuparci, non dobbiamo farcene carico.

Questo sta a significare che c’è una caduta morale assai grande ed è caduta teologale. L’uomo ha smarrito, anche il cristiano, l’origine del suo essere, del suo sussistere, del suo farsi.

Smarrito il principio che lo fa essere, l’uomo non è più. Quello che si sta costruendo è un obbrobrio, un mostro, un non uomo, un uomo nel quale non si riconosce più l’immagine e la somiglianza di Dio, che può essere ricostruita in lui solo dalla grazia.

Su questo dovremmo tutti riflettere, noi incaricati da Dio, da Lui inviati a portare il lieto annunzio della salvezza. La salvezza non è una sovrastruttura dell’uomo, è la ricomposizione del suo essere, è la riparazione del suo guasto, è la perfezione assoluta della sua vita, è il compimento della sua vocazione che avviene e si realizza tutta in Cristo Gesù. Avendo perso il senso della salvezza, abbiamo anche perso il dovere di lodare e di glorificare il Padre nostro che è nei cieli.

che ci ha dato nel suo Figlio diletto: La grazia di Dio, che ci crea, ci redime, ci eleva, ci salva, ci giustifica, ci conferisce l’eredità eterna, ci risuscita, è data in Cristo Gesù.

Questa è la verità, tutta la verità. Oltre questa verità non ci sono altre verità. Non esistono. Inutile cercarle, o cercarne altre, perché non ci sono.

In Cristo è la grazia. Cristo è la grazia di Dio data all’umanità intera.

Questa è la nostra fede, ma è la nostra fede perché è la verità di Dio. Se non fosse la verità di Dio e della storia non potrebbe essere la fede, perché non c’è atto di fede in un pensiero dell’uomo. L’atto di fede, essendo l’atto più razionale, più saggio, più intelligente che un uomo è chiamato a porre, deve avere il suo fondamento unico nella verità, verità che deve essere incontrovertibile, verità che deve possedere il suo fondamento nella storia, perché è la storia la via per l’affermazione della verità.

Anche di questa verità dobbiamo convincerci e convincerci subito, pena il fallimento del nostro essere cristiani e della nostra stessa missione nel mondo. Noi non crediamo in Cristo perché siamo cristiani. Siamo cristiani perché crediamo in Cristo. Ma crediamo in Cristo perché Cristo è la verità dell’uomo e questa verità si fonda sulla storia di Cristo che è divenuta storia dell’uomo.

È Cristo la storia di Dio nel mondo. È Cristo la verità di Dio sulla terra. È Cristo la verità dell’uomo, di ogni uomo.

Noi crediamo in Cristo perché la sua storia è divenuta nostra, la sua verità si è fatta nostra verità, nella nostra carne e nel nostro sangue.

Se non partiamo da questo evento di fede, che è evento storico, quindi evento di verità, noi rischiamo la nostra esistenza, poiché fuori di Cristo non c’è alcuna storia, alcuna verità, alcun compimento per l’uomo.

La grazia di Dio è in Cristo Gesù, è Cristo Gesù, è da Cristo Gesù ed è con Cristo Gesù. Fuori di Lui non c’è grazia. Se non c’è, nessuno la può trovare, nessuno la può fare sua, nessuno ha la possibilità di divenire quell’uomo progettato e voluto dal Signore fin dall’eternità.

La grazia di Dio è in Cristo non per un motivo contingente, di peccato; è in Cristo per un motivo di disegno eterno di Dio.

Dio ha concepito l’uomo possibile solo in Cristo Gesù. Senza Cristo, l’uomo non è possibile, mai sarà possibile. Che non sia possibile, che mai sarà possibile lo attesta la storia di ogni uomo che vuole farsi senza Cristo.

Se questa verità non diverrà la verità del cristiano, se il cristiano non inizierà a lasciarsi fare da Dio in Cristo Gesù, per opera del suo Santo Spirito, come farà il mondo a comprendere che solo in Cristo è la grazia che lo fa divenire uomo?

Tutto allora dipende dalla fede del cristiano in questa verità, ma dalla fede che trasforma la verità di Cristo in sua storia, attraverso una storia di morte al peccato che si fa storia di risurrezione a vita nova, nella giustizia e nella santità vera.

Da qui, dalla storia di Cristo che diventa nostra storia, dalla verità di Cristo che si fa nostra verità, dobbiamo partire se vogliamo essere testimoni e missionari di Cristo nel mondo. Ma nessuno potrà mai essere missionario se non diventa testimone. Testimoni si diventa solo se avremo operato perché la sua storia, la sua verità, siano la nostra storia, la nostra verità.

[7]nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.

Nel versetto precedente Paolo aveva detto: E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto.

Ora specifica il contenuto di questa grazia, in una quadruplice affermazione:

Nel quale abbiamo: viene precisato che tutto si compie in Cristo Gesù, già identificato come il suo Figlio diletto.

In Lui, non fuori di Lui; per Lui, non fuori di Lui; da Lui, non fuori di Lui.

Ciò equivale a dire che la grazia che ci salva è in Cristo, ci è data per Cristo, ci viene da Cristo, ma è in Lui che bisogna attingerla. Si attinge in Lui, restando in Lui, non uscendo da Lui. C’è in questa puntualizzazione di Paolo tutta la dottrina di fede sull’incorporazione in Cristo, che avviene mediante il battesimo. Da Lui attingiamo la grazia, per Lui questa grazia ci è stata conferita, ma è in Lui che possiamo viverla e questo per sempre, non solo nel tempo, ma anche nell’eternità.

Su questa relazione dovremmo insistere maggiormente, anche perché oggi quasi tutti vedono la grazia come una elargizione che ci viene data, sì, per Cristo e da Cristo, ma sovente viene ignorato proprio che è in Lui che la grazia ci inserisce ed è in Lui che la si può vivere.

Questa affermazione di Paolo deve dare un’altra forma al nostro essere cristiani e la forma è quella cristica, quella cioè di essere e di divenire una cosa sola con Cristo, un solo mistero, una sola missione, una sola via di salvezza per tutto il genere umano.

Anche su questo c’è molto da dire. Man mano che Paolo ce ne offrirà l’occasione, saranno dati tutti quegli elementi che senz’altro ci consentiranno di approfondire la tematica teologica di grande portata ascetica e spirituale.

La redenzione mediante il suo sangue: la grazia si specifica ora come redenzione.

La redenzione è una delle forme o modalità attraverso cui si legge la salvezza operata da Cristo Gesù.

In sé la redenzione è riscatto, è ricompera di un bene che è stato perduto. Le vie e le forme per la perdita di questo bene sono molteplici. La via per riavere il bene è una sola: pagare il suo prezzo per intero. Il bene perduto ritorna in mano del suo proprietario attraverso il pagamento di un riscatto. Questa è in sé la redenzione.

Siamo stati comprati, è stato pagato il prezzo, è stato offerto il riscatto per noi. Chi ha offerto il riscatto e cosa ha dato per il nostro riscatto?

Chi ha pagato il riscatto è Cristo Signore. Cosa ha dato per il riscatto è il suo sangue. Il sangue di Cristo, cioè la sua vita, è stata data in riscatto perché noi ritornassimo in vita, dopo la morte subita a causa della prima caduta che Adamo commise nel Giardino dell’Eden.

Il prezzo come si può constatare è altissimo. È il sangue del Figlio di Dio donato al Padre per il nostro riscatto, per la nostra redenzione.

Il Figlio si offre al Padre per noi, dona la sua vita per noi, fa il regole del suo sangue per noi, si consegna alla croce per noi, per riscattarci dalla morte eterna e dalla colpa nella quale eravamo caduti a causa del primo peccato e delle innumerevoli trasgressioni che sono succedute a quella prima colpa.

Il sangue di Cristo è stato versato per noi, è stato consegnato al Padre; ma la redenzione è sempre in Lui che si compie.