00 03/11/2018 10:47

Gesù nel deserto vinse la tentazione perché era veramente cinto di tutta la verità del Padre suo e con essa, solo con essa respinse la tentazione.


È necessario conoscere tutta la volontà di Dio perché spesso il diavolo si presenta con frasi di Scrittura, che apparentemente sembrano essere volontà di Dio, mentre in realtà non sono la volontà di Dio, perché mancano della globalità della rivelazione.


Il mondo cristiano oggi è già sconfitto nella lotta contro il diavolo, perché non ha i fianchi cinti con la verità. Egli è totalmente esposto ad ogni tentazione.


La verità però non si deve solo conoscere, si deve anche realizzare e tutta la nostra vita deve essere realizzazione della verità. Man mano che una verità viene realizzata, essa irrobustisce la nostra cintura e si diviene sempre più resistenti agli attacchi della tentazione.


Rivestiti con la corazza della giustizia: la corazza preserva il corpo del soldato dagli strali inferti da lontano, ma anche dai colpi taglienti ricevuti da vicino. La corazza rende irraggiungibile il corpo, preservandolo da ferite mortali, o assai dolorose.


Il buon soldato di Cristo Gesù si deve rivestire con la corazza della giustizia. Cosa è la giustizia?


La giustizia, come la verità, è la volontà di Dio manifestata. Ciò che Dio ha detto è, ciò che Dio non ha detto, non è. La vita è in ciò che Dio ha detto; la morte è in ciò che Dio non ha detto.


Perché Eva cadde nel primo peccato, dopo la prima tentazione? Perché non si era rivestita della corazza della giustizia. Non aveva rivestito la sua anima di questa certezza infallibile: la vita è nella volontà che Dio ha manifestato. La tentazione è sempre manifestazione di una volontà contraria a ciò che Dio ha detto.


Perché Gesù ha sconfitto il diavolo nel deserto? Ma cosa gli proponeva il diavolo?


Il diavolo gli proponeva una via di salvezza alternativa a quella che il Padre gli aveva indicato, manifestato e che Lui aveva accolto: “Ecco, io vengo, o Padre, per fare la tua volontà”. Il diavolo gli propone invece un’altra via, un’altra strada, che non passa dalla croce, per compiere la redenzione dell’uomo, per portare sulla terra la salvezza.


In qualche modo questa tentazione la troviamo anche nell’Orto degli Ulivi. Gesù si mette in preghiera, nella preghiera si riveste della corazza della volontà di Dio e il diavolo è già sconfitto.


Il cristiano è chiamato a realizzare ogni parola che è uscita dalla bocca di Dio, ma anche a conoscere tutta intera la volontà di Dio.


È questa la prima regola per riportare la vittoria sul diavolo. Cristo così lo ha vinto. Così lo potranno vincere tutti coloro che vorranno vincerlo.


Se la verità non si dona, se la giustizia non si proclama; se la verità non si comprende, se la giustizia non si invoca quotidianamente da Dio, come Cristo Gesù, nell’Orto degli Ulivi, noi siamo già sconfitti, ancor prima di combattere.


Siamo sconfitti perché siamo nudi dinanzi al diavolo, siamo svestiti.


Oggi il cristiano è nudo dinanzi alla tentazione. Il diavolo lo può prendere da ogni lato. A Cristo lo tentò con ogni genere di tentazione e Cristo rimase sempre vincitore. Per noi non c’è neanche bisogno che venga a tentarci. Siamo perennemente esposti al male, a causa della non conoscenza della verità, a causa del non possesso della giustizia, cioè di ciò che Dio vuole da noi ora e qui, nella circostanza e nella situazione storica nella quale viviamo.


In questo la Chiesa ha una grave responsabilità. Non insegna più ai suoi figli né la giustizia e né la verità. Anzi l’insegnamento che a volte si dona è già parola di tentazione, perché non è Parola di Dio.


Il più grave tradimento per un uomo di Dio, un ministro della Parola, un buon soldato di Cristo, è quello di farsi proprio lui amico e alleato del diavolo per tentare i suoi fratelli e li tenta sempre quando dalla sua bocca non esce la verità e dalla sua vita il compimento della volontà di Dio.


Tutti allora potremmo divenire amici e alleati del diavolo. Che il Signore ci preservi da questo alto tradimento del mandato che ci ha conferito e del ministero che ci ha assegnato, quando ci ha costituiti strumenti o ministri della sua verità e della sua giustizia.


[15]e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace.


Un buon soldato ha anche bisogno di una buona calzatura. Deve attraversare terreni aspri, difficili. I suoi piedi sono assai necessari al fine di potersi spostare per andare a stanare il nemico e a sconfiggerlo.


Qual è la calzatura migliore per un buon soldato di Gesù Signore?


La sua calzatura è lo zelo per propagare il Vangelo della pace.


Lo zelo: è un fuoco che arde dentro e che non si consuma, non si spegne, non si indebolisce, non viene mai meno.


Lo zelo è la forza dei discepoli di Gesù, il motore delle loro azioni.


Quando lo zelo arde, brucia, il cristiano non si arrende, non si ferma, non retrocede, non viene mai meno. Se invece lo zelo si affievolisce, perché non alimentato a dovere con una preghiera costante, perseverante, basta la più piccola difficoltà e si abbandona la lotta.


Senza un forte zelo, si è già sconfitti. Un buon soldato di Cristo che non sente l’ardore per la lotta spirituale, è già un perdente.


Conosciamo lo zelo di Paolo: non si ferma dinanzi a niente: né fame, né nudità, né pericoli, né morte, né deboli e né potenti; né il mondo religioso, né quello pagano è riuscito a domarlo. Intrepido, è andato sempre avanti, sfidando ogni giorno la morte e ogni altro pericolo e ogni privazione. Questa è la forza dello zelo.


Per propagare il Vangelo: il discepolo di Gesù deve avere un solo zelo, un solo desiderio, un solo fuoco che lo brucia dentro: diffondere la buona novella, annunziare il Vangelo ad ogni creatura, portare la Parola di Cristo Gesù nei cuori.


L’annunzio del Vangelo deve essere l’unico progetto del cristiano. Tutti gli altri progetti non meritano la sua attenzione.


Lui è un chiamato a cooperare con Cristo Gesù alla salvezza delle anime e questa avviene solo se si annunzia loro il Vangelo.


Non annunziare il Vangelo equivale ad abbandonare a se stesse le anime, lasciandole nell’ignoranza di Cristo Gesù, quindi assai esposte al peccato e al male, con il reale rischio della dannazione eterna.


Il Vangelo si propaga, si annunzia, si ricorda, si predica, si proclama, si insegna, si fa risuonare per il mondo intero.


Propagare ha un significato ben preciso: farlo espandere a macchia d’olio, o se si preferisce: come un fuoco che incendia un intero bosco.


Con il Vangelo bisogna incendiare i cuori, riscaldare le menti, far fondere le anime, bruciare i nostri pensieri.


Con il Vangelo si deve formare ogni coscienza e illuminare ogni spirito, perché ogni cosa che pensa, che vuole, che desidera, la pensi, la voglia, la desideri secondo la volontà di Dio, manifestata a noi in Cristo Gesù.


Con il Vangelo si deve illuminare il mondo intero e per questo bisogna propagarlo, diffonderlo, portarlo di luogo in luogo.


Poiché bisogna camminare per propagare il Vangelo, occorre una buona calzatura e questa calzatura è lo zelo.


Della pace: viene precisato quale Vangelo dobbiamo propagare: il Vangelo della pace.


È il Vangelo che annunzia la misericordia di Dio manifestataci in Cristo Gesù, che ci invita a lasciarci riconciliare con Dio.


Questa è la nostra pace: la riconciliazione con il Signore nel perdono dei peccati, nella remissione della colpa.


Non c’è vero annunzio del Vangelo che non si trasformi in conversione, in pentimento, in accoglienza della misericordia del Padre e quindi nel cambiamento radicale della nostra vita.


La pace è l’amicizia con Dio ritrovata, ma è anche il dimorare in questa amicizia per tutti i nostri giorni.


Oggi c’è un pericolo che minaccia lo stesso cristianesimo. Il pericolo è questo: fare del Vangelo un momento solo conoscitivo, al pari di tutte le altre cose che si conoscono.


Il Vangelo non è per la nostra curiosità, per il nostro studio, per la nostra scienza.


Il Vangelo è per la nostra coscienza, per la nostra conversione, la nostra santificazione, la nostra vita eterna, il nostro incontro con Dio nella sua verità e nella sua grazia.


Il Vangelo è il cambiamento radicale dei nostri pensieri e per la conformazione della nostra vita alla vita di Cristo Gesù.


Questo è il fine del Vangelo e senza conformazione della nostra vita a Cristo non c’è vero dono del Vangelo.


Il Vangelo si dona da conformati a Cristo perché altri si conformino a Lui. È questo lo zelo che dobbiamo avere nel cuore: parlare di Cristo in tutto simili a Lui nella nostra obbedienza al Padre celeste.


[16]Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno;


C’è la verità, c’è la giustizia, c’è lo zelo, c’è il Vangelo da propagare. Il cristiano deve essere uomo pieno di verità, di giustizia, di zelo, deve essere animato dalla volontà di comunicare agli altri la ricchezza che lo anima e lo muove dentro.


Tutto questo però non è sufficiente a proteggerlo quando la battaglia si fa dura, cruenta, infuocata.


Chi conosce gli attacchi del male sa che è assai facile cadere nella tentazione. I dardi infuocati del maligno ci potrebbero colpire in ogni tempo.


Cosa fare perché questo non accada. Il soldato si protegge dai dardi con lo scudo. Con esso si protegge il viso e anche il corpo.


Lo scudo arresta il dardo e lo rende inoffensivo. Così deve avvenire nella lotta spirituale. Al cristiano occorre lo scudo della fede, se vuole che il maligno non lo colpisca con i suoi dardi infuocati e sono infuocati di menzogna, di falsità, di lusinghe e di tante altre promesse fallaci che altro non fanno che recare morte e distruzione a tutti coloro che cadono nella trappola delle sue tentazioni.


Che cos’è la fede? La fede che viene richiesta in questo versetto non è tanto la comprensione della verità, o la conoscenza perfetta di essa, in ogni suo più piccolo dettaglio o particolare.


La fede che Paolo chiede è l’abbandono totale di tutta la nostra vita a Dio. Ci si consegna pienamente, totalmente, perfettamente al Signore. La nostra vita è sua, non più nostra. Se è sua, faccia quello che vuole. Se vuole che noi moriamo, moriamo; se vuole che noi viviamo, viviamo.


Ma viviamo e moriamo per Lui: viviamo e moriamo perché questa è l’unica via per attestare la sua Signoria in mezzo ai nostri fratelli.


Viviamo e moriamo per dire al mondo che Lui è l’unico Signore, l’unico Dio, l’unico Redentore e Salvatore della nostra vita; l’unico al quale noi apparteniamo nel corpo, nello spirito, nell’anima.


La fede che è qui richiesta è il dono di noi stessi a Dio fino alla morte e alla morte di croce.


Quando uno mette nelle mani di Dio la sua vita, allora niente più gli importa di questo mondo, del suo corpo, dei suoi pensieri, della sua volontà. Tutto è di Dio e a Dio è costantemente donato.


Satana non può più fare nulla. I suoi dardi si scontrano con questa fede e vengono fermati all’istante.


Cosa può offrire il maligno al cristiano al quale la vita non appartiene più, che non ha più vita propria da vivere in questo mondo?


Niente. Ecco il motivo per cui è richiesta questa fede. Se invece il cuore si aspetta qualcosa dal mondo, questo qualcosa il maligno glielo offre e se glielo offre, la tentazione ha raggiunto il cuore dell’uomo, oltre che la sua mente.


Cadere in queste circostanze è assai facile, anzi più che facile. Molti cadono nella tentazione perché il maligno offre loro qualcosa che appartiene a questo mondo. Costoro si lasciano abbindolare dalle cose della terra e sono quindi preda della tentazione; se non cadono oggi, cadranno di sicuro domani. Ma di certo cadranno, perché il loro cuore si è lasciato tentare dalle cose del mondo.


Ricordiamoci che la terza tentazione di Cristo Gesù consisteva proprio nell’offerta del mondo intero da parte del diavolo.


Cristo Gesù fu vincitore per la sua fede. La sua vita era del Padre. Non apparteneva al mondo, né alle sue cose. Se del Padre, è il Padre che sa quali cose sono utili per la nostra vita. Il Padre è l’unico che può decidere e decide secondo la sua eterna sapienza e il suo intelletto divino, infallibile.


[17]prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.


Tutto del corpo deve essere protetto, niente deve rimanere scoperto, altrimenti un solo punto debole, indebolisce tutto il corpo.


Cosa significa prendere anche l’elmo della salvezza? Significa rivestirsi della salvezza.


La salvezza è dimorare perennemente nella grazia di Dio, crescere in essa. Di Gesù è detto che cresceva in età, sapienza e grazia.


Il buon soldato di Cristo Gesù indossa l’elmo della giustizia se si veste della grazia di Gesù Signore e in essa dimora per tutti i giorni della sua vita.


La grazia si indossa attraverso la riconciliazione con Dio che avviene attraverso il sacramento del battesimo e della riconciliazione.


In essa si abbonda, se quotidianamente la si riceve nel sacramento dell’Eucaristia e la si alimenta attimo per attimo attraverso la preghiera.


Sappiamo che particolare significato riveste la preghiera del Santo Rosario innalzata alla Vergine Maria, Madre della Redenzione.


La grazia santificante si coltiva attraverso l’esercizio delle sante virtù. Per ogni atto virtuoso noi cresciamo in grazia, il nostro elmo di salvezza si fa più robusto, più consistente, difficilmente penetrabile da qualsiasi arma di offesa.


Quando un cristiano vive perennemente in stato di peccato mortale, lui è già vittima del maligno, preda di ogni tentazione. Per lui la lotta è finita. La sua testa è stata ferita a morte.


Da qui tutta una pastorale, interamente ancora da impostare, che guidi i discepoli di Gesù a vivere sempre in grazia di Dio, con l’elmo della salvezza sempre indossato.


Inutile ogni attività pastorale che si svolge, se non ha come suo unico intento, sua sola finalità quella di far sì che tutti i cristiani vivano in grazia di Dio e in essa crescano alla stessa maniera di Cristo Gesù.


È la grazia la forza irresistibile contro il male. È la grazia la nostra forza. È la grazia il nostro antidoto contro i morsi della tentazione.


Perciò l’esigenza pastorale di educare a vivere in grazia e crescere in essa.


Il bon soldato di Cristo Gesù deve anche prendere la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.


Il cristiano è un costruttore del regno di Dio, ma costruisce il regno di Dio distruggendo il regno del principe di questo mondo.


Come si distrugge il regno del principe di questo mondo? Distruggendo la sua menzogna, la sua falsità, il suo errore, ogni ambiguità della sua parola.


Con che cosa? Con la potenza della parola di Dio, detta qui da Paolo: la spada dello Spirito.


La parola di Dio è la spada dello Spirito perché essa annienta e distrugge l’altra spada, quella del diavolo, cioè la parola di menzogna, di falsità, di errore.


Il cristiano deve essere sempre a perfetta conoscenza della Parola di Dio, se vuole distruggere in sé e attorno a sé il regno della falsità e della menzogna del principe di questo mondo.


La Parola di Dio è luce, verità, conoscenza, sapienza. Essa svela noi a noi stessi e Dio a noi.


Con essa noi dobbiamo illuminare il mondo intero della conoscenza di Dio e dell’uomo.


Non è verità ciò che l’uomo dice di se stesso. È verità ciò che la Parola di Dio dice di noi. Così anche: non è verità ciò che noi diciamo di Dio; è verità ciò che Dio dice a noi di se stesso.


Senza questa verità, è facile cadere nell’inganno del maligno e di conseguenza nella morte.


Occorre allora che il cristiano faccia una scelta ben precisa: o la parola di Dio, la spada dello Spirito, o la parola e il pensiero degli uomini.


Oggi c’è come una specie di schizofrenia religiosa: da una parte abbracciamo la parola di Dio, ma dall’altra agiamo solo con la parola degli uomini.


La parola di Dio tocca solo un piccolo aspetto della nostra vita: quando entriamo in Chiesa e finché restiamo in essa. Quando usciamo fuori, allora c’è la parola degli uomini che ci condiziona.


Siamo, sì, religiosi, ma pensiamo ed agiamo come il mondo, ragioniamo come il mondo, risolviamo i nostri problemi mondanamente.


Questo significa semplicemente non aver preso la spada dello Spirito in mano. Siamo cristiani, ma adoperiamo l’altra spada, quella del maligno, perché ci serviamo dei suoi pensieri per ogni nostra occupazione del quotidiano.


Questa è la scissione che si è venuta a creare nel cuore cristiano. Contro questa scissione c’è solo una metodologia appropriata: quella di presentarci ad ogni uomo con una sola parola: quella di Dio, sempre, in ogni circostanza, in ogni evento della vita.


Come il buon soldato, se vuole salva la sua vita, non solo si deve difendere, ma anche attaccare, combattere, se vuole abbattere i suoi nemici, così deve dirsi del buon soldato di Cristo Gesù.


Se lui non diffonde attorno a sé la Parola di Dio, se non risolve il problema della sua vita sempre con la Parola di Dio, egli abiterà sempre in un mondo di menzogna e primo o poi la non verità penetrerà anche nel suo cuore e lo distruggerà.


[18]Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi,


Paolo sa che tutto è grazia di Dio. Sa anche che Dio non interviene nella vita dell’uomo, operativamente, se non viene invocato.


Ogni uomo è libero, perché dotato di volontà propria. Dio non può prendersi la volontà dell’uomo, a meno che l’uomo non gliela offra.


L’offerta della volontà non può essere fatta una volta per tutte. È fatta una volta per tutte nelle scelte irreversibili della vita.


Ma anche in queste scelte, se atto per atto, non si dona la volontà al disegno di Dio, al suo mistero di salvezza, ci si riprende operativamente, ciò che è stato dato intenzionalmente.


Operativamente è come se la volontà non sia stata data a Dio, perché l’atto non viene compiuto secondo la volontà di Dio, bensì secondo la volontà dell’uomo.


Bisogna dare la volontà a Dio non solo intenzionalmente, una volta per sempre, ma operativamente, azione per azione, decisione per decisione, atto per atto, pensiero per pensiero e sentimento per sentimento. Tutti i secondi, i minuti, le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni, l’intera vita in ogni sua parte deve essere offerta a Dio attraverso il dono della volontà, la quale deve decidersi di operare sempre secondo la volontà di Dio e non più secondo se stessa.


Come fare perché questo avvenga? L’indicazione di Paolo è perfetta, chiara, precisa, soprattutto vera della stessa verità di Dio.


Poiché dobbiamo consegnare a Dio ogni attimo della nostra vita, in ogni attimo bisogna elevare la nostra mente in Dio. Chiedere il suo aiuto, il suo sostegno, la sua grazia, la sua forza, la sua verità, il suo amore.


Solo se Dio con tutta la ricchezza celeste discende in noi sotto forma di grazia, noi possiamo santificare la nostra vita. Un attimo non consegnato a Dio attraverso la preghiera, non santificato, perché eravamo carenti della sua verità e della sua grazia, è un momento della nostra vita sottratto alla sua Signoria. È un atto che Dio non può fare suo, perché non è stato fatto nella sua grazia e nella sua verità.


Non solo bisogna pregare con ogni sorta di preghiere e di suppliche, bisogna altresì che ogni nostra preghiera venga fatta nello Spirito.


Cosa significa pregare nello Spirito Santo? Significa pregare nella sua santità, nella sua verità, nella sua grazia, in quella comunione di amore, di luce, di speranza che ci unisce a Dio.


Prega nello Spirito chi è in grazia di Dio, ma anche chi prega secondo la volontà di Dio, chi si mette a sua disposizione per manifestare nel mondo la sua gloria.


Pregare nello Spirito Santo vuol dire pregare per cercare la volontà di Dio, per sapere qual è il suo disegno d’amore su di noi perché lo attuiamo in ogni sua parte, sempre, in ogni suo particolare, per tutti i giorni della nostra vita.


Nella preghiera bisogna essere vigilanti. Non solo, nella vigilanza bisogna mettere ogni perseveranza.


Si vigila e si persevera, si persevera e si vigila. Si sta attenti a che nessun momento sia sottratto a Dio e questo non solo per un giorno, o per un mese, ma per un anno e tutti gli anni.


Su questo molte volte siamo scoperti. Deponiamo l’attenzione. Ci lasciamo trascinare dalle cose, dagli eventi, dalla stessa storia, dagli uomini.


Vigiliamo un giorno e poi non vigiliamo più. Perseveriamo nella preghiera una settimana e poi ci dimentichiamo che tutto discende da Dio.


Iniziamo e poi non continuiamo, o se continuiamo, lo facciamo malamente, saltuariamente, un giorno sì e mille no.


La regola di Paolo è perfetta: chi vuole vincere la battaglia contro lo spirito del male, deve pregare nello Spirito, ma vigilando nella preghiera con ogni perseveranza.


Se una di queste condizioni viene meno, ci accorgiamo che immediatamente siamo dei perdenti. Basta un niente, un incontro, una parola, un atteggiamento, il più leggero alito di vento è sufficiente perché noi cadiamo nel peccato. Ogni peccato che si commette, anche veniale, è una sconfitta per noi, anche se leggera, ma è una sconfitta.


Siamo però tutti corpo del Signore. Bisogna pregare per se stessi, ma anche per tutto il corpo.


Anche questa è legge della preghiera. Anche questa intenzione bisogna che venga manifestata al Signore.


È vero che tutte le preghiere della Chiesa sono al plurale, compresi il “Padre nostro” e l’”Ave Maria”. Ma questo non dispensa il cristiano dal metterci l’intenzione per gli altri.


Non deve esserci preghiera cristiana che non sia fatta anche esplicitamente per gli altri. È la più grande opera di carità che possiamo fare per i nostri fratelli: pregare incessantemente per loro; vigilare con perseveranza nella preghiera per loro. Questo è lo stile di vita dei cristiani: legati vitalmente gli uni agli altri, nella preghiera questo legame si rafforza e diviene indistruttibile. Per questo legame ogni tentazione sarà vinta e il principe di questo mondo sarà sconfitto.


Non è sufficiente pregare per se stessi per essere nella verità. Occorre pregare anche per gli altri e pregare allo stesso modo e con la stessa intensità con i quali preghiamo per noi.


Se non preghiamo per gli altri, significa che neanche per noi preghiamo secondo la volontà di Dio; significa che preghiamo semplicemente male e chi prega male non prega nello Spirito Santo.


[19]e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del Vangelo,


Paolo ora chiede agli Efesini che preghino anche per lui. Chiede che non dimentichino lui. È facile dimenticarsi di una persona, specie quando questa persona per un motivo qualsiasi non vive più accanto a noi.


A stento ci ricordiamo delle persone vicine, di quelle a noi più care, figuriamoci se ci ricordiamo delle persone assenti, lontane, fuori dai nostri occhi.


Paolo non vuole che gli Efesini lo dimentichino nelle loro preghiere. Prima di tutto bisogna dire che pregare per gli altri è l’unica forma vera di ricordarli, di non dimenticarli.


In secondo luogo, pregare per gli altri, significa metterci in comunione con gli altri e chiedere al Signore che l’altro sia semplicemente ciò che Dio vuole che egli sia.


Chi è Paolo? Un operaio del Vangelo, un annunciatore della buona novella, un proclamatore del mistero di Cristo Gesù.


Cosa chiede agli Efesini per lui. Non solo la preghiera, ma che mettano la sua intenzione nella preghiera.


Questo è molto importante da un punto di vista ascetico. Si prega per l’altro perché faccia sempre la volontà di Dio.


Noi non sappiamo qual è la volontà di Dio su di una persona. Però la persona sa quel è la volontà di Dio su di lui. Paolo sa cosa il Signore vuole da lui, lo sa, lo manifesta agli Efesini, chiede loro di pregare secondo questa finalità.


Lui deve predicare il Vangelo. Il Vangelo va predicato con una parola franca, chiara, comprensibile, facilmente assimilabile dalla cultura e soprattutto dai cuori.


La sua parola deve essere precisa, deve tagliare netto, non deve essere fraintesa, alterata; non può essere ambigua, ma precisa, puntuale, tagliente, penetrante nel cuore e nello spirito di un uomo.


La sua parola è portatrice di un mistero. Il mistero contenuto nella parola deve essere fatto conoscere al mondo intero.


Se Paolo non dona la parola giusta, vera, franca, tagliente e penetrante, il mistero contenuto nella parola rimane sconosciuto e un mistero sconosciuto e un mistero non accolto, non vissuto e quindi è un mistero che non dona salvezza a causa dell’uomo che lo porta e che lo annunzia.


La forza del cristiano è questa: far entrare un cuore nel mistero di Cristo. Questa è anche la sua verità, la sua sapienza, la sua scienza, la sua perizia. Se Cristo non entra in un cuore, perché rimane sconosciuto al cuore, il missionario del Vangelo ha impiegato malamente il suo tempo.


Questo è l’errore di molti che parlano di Cristo. Dicono, ma non introducono nel mistero. La loro parola a volte è assai profana, mondana; è una parola del mondo per le cose del mondo; ma non è una parola del cielo per i misteri del cielo. Il cristiano parla come il mondo, pensa come il mondo, agisce come il mondo, usa le parole del mondo.


Manca di quella franchezza che è distinzione dal mondo. “Voi siete nel mondo, non siete del mondo”. Questo non essere del mondo deve apparire anche nel modo in cui si parla, si predica, si evangelizza, si dialoga, si sta in compagnia con gli altri. Tutto della vita del cristiano: pensieri, parole, opere, devono attestare che noi non siamo del mondo, ma siamo semplicemente nel mondo.


Perché ci sia in noi una perenne distinzione dal mondo occorre quella preghiera costante elevata incessantemente a Dio in una vigilanza senza tregua, che ci ottenga da Lui tanta di quella franchezza per testimoniare Lui, la sua Parola, la sua Verità, il suo Vangelo in ogni circostanza.


Paolo sa che le sole sue forze non sono sufficienti, non bastano, dinanzi alla straordinaria grandezza della grazia che gli è necessaria e per questo si affida ad ogni comunità; ad ognuna chiede preghiere.


Più è elevata la missione e più forza divina occorre, più preghiere sono necessarie. O le facciamo noi, o le chiediamo agli altri. Noi non possiamo farle, urge chiederle agli altri.


Elemosinare – in senso buono – una preghiera incessante da una comunità o da un singolo individuo è la cosa più santa che possa esistere, è la via sicura perché la grazia discenda su di noi e ci irradi con la sua luce, la sua forza, la sua santità, la sua franchezza, cioè quella libertà che ci fa parlare dinanzi ad ogni uomo, senza timore, senza arrossire, senza vergognarci di affermare la nostra identità cristiana, di essere cioè discepoli di Gesù che intendono espandere il suo regno in mezzo agli uomini.


[20]del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere.


Paolo dona qui una notizia autobiografica di grande importanza. Egli è in catene. È prigioniero.


Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che la sua prigionia fu assai lunga. La giustizia non sempre è giusta e non sempre fa le cose secondo giustizia.


Quando il peccato si intromette nella giustizia, anche la giustizia diventa ingiusta e questo è un vero male per gli uomini.


Paolo però è in catene per Cristo Gesù. Di Cristo egli è ambasciatore. È un controsenso essere ambasciatore del Re del cielo e della terra ed essere imprigionato proprio a causa dell’ambasciata che porta, poiché in nome di Dio invita tutti i cuori a lasciarsi riconciliare con Lui, convertendosi da questa generazione perversa e credendo al Vangelo, aderendo alla comunità dei discepoli del Signore Gesù.


L’ambasciatore è colui che porta un messaggio da parte di colui che lo ha inviato, che lo ha costituito suo tramite per manifestare la sua volontà.


L’ambasciatore non può prendere decisioni autonome. L’ambasciatore dipende in tutto da colui che lo ha inviato.


Paolo ha una missione da svolgere. Non può venir meno, né nella missione in sé, né nelle modalità attraverso le quali la missione viene svolta.


La missione deve essere svolta sempre, in obbedienza alla volontà di Dio. Paolo deve consacrarsi alla missione, deve consegnare tutto il suo tempo ad essa. Di questo tempo non può togliere neanche un minuto. Non gli appartiene. Se tutto della vita è stato consegnato a Dio, anche un singolo minuto è del Signore, il quale può disporre secondo la sua volontà.


Questo precisato, ci resta da chiarire l’altro aspetto della missione non meno pericoloso e pernicioso del primo.


A volte capita che la missione non si svolga. Questo è un vero peccato di omissione di cui bisogna un giorno rendere conto a Dio.


A volte però si vive un’intera vita nel compimento della missione – si pensi al sacerdozio cattolico, o anche al matrimonio cristiano, per indicare i due sacramenti che immettono un uomo anche visibilmente in una missione da portare a compimento – e poi cosa succede?


In questa missione non si funge da ambasciatori, ma da autonomi, da re e signori, poiché tutto si decide autonomamente e tutto si svolge come se Dio non avesse mai parlato e mai fosse venuto a visitarci dal cielo.


Si vive la missione, ma senza essere ambasciatori; si vive ma senza la Parola di Gesù, che viene taciuta, alterata, contraffatta, camuffata, sostituita con quella più piacevole degli uomini. Si vive, ma non si dona la parola vera, in tutta franchezza, secondo il ministero di ciascuno.


Paolo non vuole che questo succeda nella sua vita e per questo chiede preghiere. Domandare che altri preghino per noi non deve mai significare una dispensa da parte nostra dalla preghiera. Anzi, quando si chiede preghiere agli altri, bisogna che noi intensifichiamo la nostra e ci poniamo con più frequenza e più costanza dinanzi al Signore, per impetrare da Lui che possiamo svolgere con santità il ministero che Lui ci ha affidato.


Paolo altro non chiede che di poter svolgere il suo lavoro, la sua ministerialità di essere ambasciatore di Cristo senza temere gli uomini, ma annunziando il Vangelo secondo tutta la potenza della sua verità e del suo amore.


Come si può constatare questa è una preghiera mossa in lui dallo Spirito Santo. È questo il desiderio di Cristo e di Dio e lo Spirito lo pone nei cuori, perché sia trasformato in una preghiera di impetrazione, affinché il Signore conceda la parola giusta, la sola capace di smuovere un cuore e di donargli certezze, sicurezze, speranza, verità.