00 03/11/2018 10:45

[7]prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini.


Viene specificato e meglio precisato quanto detto finora.


Il destinatario del nostro servizio deve essere sempre il Signore. Mai deve essere l’uomo.


Se togliamo il Signore e vi mettiamo l’uomo, prima o poi cadremo in tentazione. Ci abbandoneremo alla mormorazione, alla critica, al pettegolezzo.


Faremo del nostro servizio uno strumento per la nostra condanna eterna e non più per la nostra gloria nel cielo.


Questo deve essere detto con chiarezza, ma anche insegnato con fermezza. Bisogna formare evangelicamente i cristiani ad agire, a lavorare, ad operare.


Inoltre perché il servizio sia fatto secondo le regole della volontà di Dio deve essere svolto dal principio alla fine di buona voglia.


Cosa aggiunge la buona voglia alla retta intenzione? Niente. Tutto è nella retta intenzione.


La buona voglia dice una delle modalità che devono sempre accompagnare il servizio del cristiano. La volontà deve assumere il comando ricevuto, farlo proprio, come se nascesse da essa, svolgerlo mettendo in esso tutto l’uomo: cuore, mente, spirito, corpo, anima, sentimenti.


La buona voglia dice gioia, ilarità, semplicità, libertà, discrezione, silenzio, operosità, amore, alto senso del dovere.


La buona voglia dice in una sola parola che il nostro cuore è in quello che facciamo e lo facciamo solo per amore del Signore.


Nella buona voglia scompare la tristezza, l’occhio malvagio, il lamento, il boicottaggio, la superficialità, la fretta e il ritardo, il rinvio, il rimando a tempi migliori, oppure il non fare per niente il lavoro, attribuendo ogni colpa alla dimenticanza o alle difficoltà incontrate. Invece si mette ogni attenzione non solo come se fosse la cosa più cara che ci è stata affidata, ma molto di più. Lo si fa perché lo si considera la cosa più cara al Signore, non a noi.


Ancora una volta ricompare il Signore. L’opera è del Signore. Non spetta a noi giudicare, valutare, decidere. Il comando lo si assume e lo si porta a compimento nel modo unico possibile: mettendo nell’esecuzione dell’opera tutto il cuore, tutta la mente, tutte le forze, tutto noi stessi.


[8]Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene.


Ogni lavoro merita un salario, una ricompensa. Deve ricompensare colui al quale il lavoro è stato fatto.


Se noi lavoriamo per gli uomini, saranno gli uomini a darci la ricompensa. Se invece lavoriamo per il Signore, sarà il Signore a doverci ricompensare. Quella del Signore è una ricompensa eterna.


Quella del Signore è anche la benedizione su questa terra. Benedizione che ci fa bene, che ci libera dal male, che ci protegge, ci assiste, ci conferisce forza, ci dona salute, aiuta il nostro corpo perché non vacilli, la nostra mente perché non si indebolisca, il nostro cuore perché non si smarrisca, la nostra anima perché non si perda dietro il male, la nostra volontà perché non si affievolisca e si lasci trascinare dalla tentazione.


Cosa ricompenserà di noi il Signore? Solo ciò che avremo fatto di bene.


Ma cosa è il bene per il Signore? Bene è solo ciò che è fatto nella sua volontà secondo la sua volontà. Bene è quindi ogni opera realizzata secondo verità e giustizia, ma compiuta secondo la legge della carità e dell’amore.


Oltre la legge della ricompensa che viene enunciata in questo versetto e alla quale ognuno deve prestare la più grande attenzione, merita una speciale considerazione quanto viene affermato sui soggetti che riceveranno la ricompensa.


Il soggetto della ricompensa non è solo lo schiavo, è anche il libero, cioè il padrone, colui che comanda e dona ordini allo schiavo.


Ora se anche il libero, il padrone, è soggetto alla legge della ricompensa, è anche soggetto alla legge che regola l’opera, in questo caso non più l’opera, ma il comando che richiede l’opera.


Come allora deve essere fatto il comando perché possa essere ricompensato da Dio nell’ultimo giorno e benedetto anche su questa terra?


Il comando deve avere come oggetto solo il bene e non il male, deve essere fatto con carità, dolcezza, benevolenza, amore, considerazione delle capacità fisiche e spirituali, deve essere realmente fattibile; infine, deve essere a misura d’uomo, lasciando spazio e tempo perché ogni altra attività umana possa essere vissuta con gioia, nella serenità, nella calma interiore ed esteriore.


Nessun comando è santo se sacrifica la persona al bene di colui che comanda e neanche se in esso si possono trovare indizi di esagerazione. È cattivo quanto attenta alla salute fisica e morale del soggetto che deve portarlo a realizzazione. C’è tutta una giustizia che si deve adempiere nel dare un comando, se si vuole che alla fine il Signore ci ricompensi nel regno dei cieli.


Ogni sfruttamento, ogni vilipendio della persona, ogni esposizione ad un reale pericolo non è comando santo.


Quando si toglie spazio per la vita privata del soggetto, spazio necessario perché l’uomo possa coltivare la sua umanità, che è fatta ad immagine di Dio, di quel Dio che lo ha costituito signore sul creato e sulle cose, neanche questo è un comando santo. Non solo non verrà retribuito in questa vita e nell’altra, quanto è meritevole di giudizio e di infamia eterna.


Ogni comando non è santo quando attraverso di esso non si può vivere il primo e il secondo comandamento della carità: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze; amerai il prossimo tuo come te stesso.


Quando il prossimo è visto come oggetto e non come soggetto, il comando non è santo, è peccaminoso. Questo comando è meritevole del giudizio di Dio e dinanzi a lui un giorno ci presenteremo per ricevere la sentenza di biasimo che potrebbe anche concludersi con la nostra condanna eterna.


[9]Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c'è un solo Signore nel cielo, e che non v'è preferenza di persone presso di lui.


Paolo vuole che ogni rapporto tra gli uomini sia regolato dall’unica legge: quella di Cristo Gesù.


La legge di Cristo vede nell’altro solo una persona da amare, da rispettare, da riverire, da salvare, da aiutare, da sorreggere. Vede una persona al quale la nostra vita gli è dovuta, perché Cristo gliel’ha già data e noi siamo corpo di Cristo.


Le differenze sociali le hanno fatte gli uomini. Presso Dio non ci sono differenze. Presso Dio ci sono solo esseri fatti a sua immagine e somiglianza, che Cristo ha redento, versando per loro il proprio sangue sull’albero della croce.


Perché nel comando bisogna mettere da parte le minacce? Perché le minacce sono una promessa di punizione.


Ma può l’uomo punire un altro uomo? Può l’uomo farsi obbedire dietro la minaccia di una punizione?


Se viene minacciata la punizione significa che c’è qualcosa nel rapporto che non va. C’è una mancanza di amore che bisogna senz’altro ripristinare, rimettere nella relazione sociale.


Chi giudica, chi punisce, chi valuta secondo giustizia le azioni degli uomini, di chi è schiavo e di chi è libero, è sempre il Signore.


L’uomo, anche dinanzi a fatti gravi di disobbedienza, può sollevare l’altro dal servizio, anzi deve sollevarlo, se il servizio non viene svolto secondo la legge della volontà di Dio per adempiere la volontà di Dio. Questo è il suo limite, non può andare oltre, perché l’oltre non gli compete. L’oltre compete a Dio ed è solo Lui che può minacciare e condannare, in questa vita e nell’altra.


Per capire quanto Paolo sta dicendo in questo versetto, sarebbe assai utile per noi tutti salire sull’albero della croce, lasciarci crocifiggere assieme a Cristo e poi con Cristo, sempre sulla croce, affissi ad essa, elevare al Signore quella preghiera accorata che così dice: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.


La minaccia dell’uomo nei confronti di un altro uomo può essere solo questa. Il resto, tutto il resto appartiene al Signore.


Pur non condannando e non giudicando, pur non minacciando e non sentenziando, colui che ha la responsabilità che tutto venga fatto secondo la volontà di Dio per adempiere la volontà di Dio che è di salvezza eterna per ogni uomo, può e deve risollevare dal servizio coloro che dopo essere stati richiamati secondo la legge evangelica della correzione fraterna, continuano nei loro peccati e turbano con essi il servizio reso a Dio, o meglio il servizio che Dio rende ai suoi figli per condurli tutti nella salvezza.


Il testo di Matteo è chiaro e noi secondo questo testo dobbiamo sempre agire, quando c’è di mezzo il bene della comunità:


Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.


Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18, 15-17).


Oltre questa legge, c’è solo arbitrio. L’arbitrio è piena sostituzione alla volontà di Dio. L’arbitrio non è mai servizio all’uomo, né alla carità, né alla fede, né alla speranza.




LA LOTTA SPIRITUALE



[10]Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza.

Come si è potuto constatare, le esigenze della volontà di Dio sono altissime. La legge dell’amore richiede veramente il rinnegamento di noi stessi e della nostra condizione umana.

La legge della fede vuole inoltre che si veda solo il Signore e mai l’uomo. Domanda altresì che nell’amore e nella carità nessun pensiero umano venga ad introdursi.

Come fa un uomo impastato di carne e di ossa, fatto di materia deperibile, messo in un corpo di peccato, con un’anima ferita dalla prima colpa e da tutte le altre colpe personali commesse, elevarsi a tanta purezza di intenzione e di opera? Potrà mai un figlio di Adamo osservare la volontà di Dio secondo le regole che la stessa volontà di Dio detta?

Come per il comando e la sua realizzazione non dobbiamo guardare sulla terra, non dobbiamo vedere dinanzi a noi gli uomini, così nel compimento dell’opera non dobbiamo guardare in noi stessi, nelle nostre difficoltà, nella nostra fragilità, nella nostra caducità, in quell’essere assai frantumato dal peccato, ma dobbiamo alzare gli occhi al cielo, vedere Dio, la sua grazia, la sua forza, la sua onnipotenza, il suo amore, la sua misericordia, la sua benedizione.

Bisogna attingere forza nel Signore e nel vigore della sua potenza: questa è l’esortazione di Paolo.

Paolo sa che tutto è per grazia. Lo abbiamo già considerato esaminando la Lettera ai Galati. Lui si lamentava della sua debolezza e il Signore gli rispose con una frase lapidaria: “Ti basta, o Paolo, la mia grazia”.

A questa risposta di Dio, si aggiunge la considerazione di Paolo: ”Quando sono debole è allora che sono forte, perché la grazia di Dio si manifesta nella debolezza dell’uomo”.

Dio deve essere visto come un pozzo infinito di forza, di vigore, di potenza spirituale.

Nel pozzo materiale si attinge l’acqua; l’acqua si consuma ben presto; la sete è molta; si ritorna ad attingere con una frequenza che è data dalla necessità del corpo dell’uomo.

Dio è l’acqua della nostra anima, la forza del nostro spirito, il vigore della nostra volontà, la potenza dei nostri pensieri, la grandezza dei nostri desideri, la verità delle nostre scelte.

In noi quest’acqua della vita non c’è, non si trova; essa è solo in Dio. Noi consumiamo quest’acqua; essa in noi si esaurisce presto, prestissimo; basta una lotta spirituale perché tutte le energie attinte in Dio si consumino, allo stesso modo che succede con l’acqua quando il corpo viene sottoposto ad uno sforzo continuo.

Cosa fare? Ciò che fanno gli uomini con l’acqua materiale. Si ritorna ad attingere, si ricomincia a bere. Si ristabilisce l’equilibrio nel corpo. Questo è nuovamente pronto per affrontare la fatica del quotidiano.

Noi esauriamo le nostre forze spirituali in ogni combattimento contro il male, nello svolgimento delle opere della carità e della misericordia di Dio, dobbiamo ritornare da Dio, invocarlo con una preghiera accorata perché ci rivesta della sua forza, del suo vigore, ci doni il suo Spirito, mandi nella nostra anima un aumento di carità, perché possiamo continuare a lottare contro il male e costruire attorno a noi il suo regno che è gioia, pace e giustizia nello Spirito Santo.

Se ci si presenta al combattimento spirituale privi della forza di Dio, la sconfitta è certa. L’uomo non ha in sé l’energia per vincere il male, né la forza per edificare attorno a sé la carità di Dio.

Per questo è ben giusto che ci si rechi dinanzi al Signore, ci si metta dinanzi alla sua presenza, si attinga la forza in lui e nel vigore della sua potenza. L’esempio ce lo ha donato Cristo Gesù. Lui stava per recarsi all’appuntamento con il principe di questo mondo, per sconfiggerlo e abbatterlo una volta per tutte, togliendo a lui la forza e il vigore con i quali teneva prigionieri gli uomini.

Andò nell’Orto degli Ulivi, si mise in preghiera. Entrò nell’Orto debole della sua umanità, uscì forte della stessa forza dello Spirito Santo.

Questa verità è chiaramente evidente, basta leggere il testo:

Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: Pregate, per non entrare in tentazione. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà.

Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.

Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione.

Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?.

Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: Signore, dobbiamo colpire con la spada? E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: Lasciate, basta così! E toccandogli l'orecchio, lo guarì.

Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre” (Lc 22, 39-53)

Chi entra nell’Orto degli Ulivi e chi esce non è lo stesso uomo. Entra da debole, esce da forte. Entra da triste, esce da Signore, da colui che governa ogni cosa.

Gesù è il Signore nella passione. Questa è la forza che egli ha attinto in Dio.

[11]Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo.

Questo invito è già contenuto nell’Antico Testamento. Paolo lo attualizza e gli dona la struttura che è propria del Nuovo Testamento.

Il libro della Sapienza così dice di Dio:

I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro. Per questo riceveranno una magnifica corona regale, un bel diadema dalla mano del Signore, perché li proteggerà con la destra, con il braccio farà loro da scudo.

Egli prenderà per armatura il suo zelo e armerà il creato per castigare i nemici; indosserà la giustizia come corazza e si metterà come elmo un giudizio infallibile; prenderà come scudo una santità inespugnabile; affilerà la sua collera inesorabile come spada e il mondo combatterà con lui contro gli insensati.

Scoccheranno gli infallibili dardi dei fulmini, e come da un arco ben teso, dalle nubi, colpiranno il bersaglio; dalla fionda saranno scagliati chicchi di grandine colmi di sdegno. Infurierà contro di loro l'acqua del mare e i fiumi li sommergeranno senza pietà. Si scatenerà contro di loro un vento impetuoso, li disperderà come un uragano. L'iniquità renderà deserta tutta la terra e la malvagità rovescerà i troni dei potenti” (Sap 5, 15-23).

In questi versetti della Sapienza, Dio è il difensore del giusto, colui che protegge coloro che si affidano a Lui. Li protegge come un prode, valoroso soldato. Cosa è cambiato per rapporto al Nuovo Testamento?

Nel Nuovo Testamento non è più Dio che si deve vestire da soldato, ma è il cristiano stesso. Paolo d’altronde vede sempre il cristiano come un buon soldato di Cristo Gesù. Come tale deve combattere la buona battaglia della fede contro nemici invisibili che attentano alla sua vita.

Le insidie vengono dal diavolo. Ma chi è in verità il diavolo? È l’angelo delle tenebre che per invidia tenta l’uomo al male, perché lo vuole dannato come lui.

È lui l’autore della prima tentazione. È lui anche la causa remota della nostra morte, della perdita di tutti i beni eterni con i quali il Signore ci aveva rivestiti, creandoci.

Il libro della Sapienza così dice di lui, a proposito della nostra morte: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2,23-24).

Paolo, alla luce della conoscenza che è in lui e che viene dallo Spirito Santo, sa perfettamente quali sono le insidie del diavolo e per questo invita i cristiani a rivestirsi della giusta armatura, se si vuole vincere la battaglia contro il principe di questo mondo.

Per il momento è sufficiente sapere queste due verità: che le insidie vengono dal diavolo e che per vincerlo occorre l’armatura di Dio, la stessa armatura che Dio ha indossato per proteggere il giusto secondo la rivelazione veterotestamentaria.

L’armatura di Dio però nel Nuovo Testamento si arricchisce di nuovi elementi. Paolo li indica tutti ed è ben giusto che vengano presentati uno per uno.

[12]La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.

Nel primo versetto ha semplicemente annunziato chi è il vero nemico dell’uomo: il diavolo. Lo stesso Vangelo presenta Cristo Gesù nel deserto tentato dal diavolo con arte sopraffina, con scaltrezza e soprattutto con quella menzogna che sulla sua bocca è un’arma invincibile, perché subdola, capziosa, nascosta, camuffata, fatta quasi sempre passare per Parola del Signore.

La tentazione del diavolo in fondo è una sola, anche se è fatta con diverse modalità. Essa ha lo scopo di sottrarre l’uomo all’obbedienza al suo Signore, perché faccia solo la sua volontà, che naturalmente è in opposizione e in contrasto con il volere di Dio.

Poiché solo nella volontà del Signore è la nostra vita, passando nella volontà del diavolo, l’uomo è nella morte e se persevera in essa fino alla fine, questa morte sarà eterna, per sempre, nell’inferno. È questo che il diavolo vuole in ultima analisi: la dannazione dell’uomo. Il resto, tutto il resto glielo concede.

Al di là delle diverse denominazioni, o specificazioni, cose tutte che riflettono la concezione del tempo su Angeli e diavoli, in questo versetto c’è una verità che bisogna che venga presa seriamente in considerazione.

Il nemico dell’uomo è il diavolo. È lui all’origine di ogni tentazione al male. Che poi si serva degli uomini, ha poca importanza.

Il diavolo è qui definito dominatore di questo mondo di tenebra, spirito del male. È come se il mondo, tutto il mondo fosse in suo possesso.

Gesù lo chiama il principe di questo mondo. Paolo lo dice dominatore di questo mondo di tenebra.

Di questo unico nemico bisogna guardarsi; questo solo temere; contro questo difendersi. Come? Indossando l’armatura di Dio.

[13]Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove.

Bisogna che il cristiano prenda l’armatura di Dio, la indossi, la usi in modo stabile, perenne.

Il cristiano, se vuole vincere il diavolo, mai deve smettere questa armatura divina e celeste.

Se per un solo istante si illude di poterla svestire, è la fine. Subito il diavolo lo vince e lo conduce nella morte.

Molti cristiani si sono persi a causa della loro incoscienza, o presunzione di non essere più tentati.

Avendo svestito l’armatura di Dio, immediatamente sono stati trafitti dagli strali del diavolo, che è sempre in agguato.

Qual è il giorno del malvagio? Ogni giorno può essere del diavolo. Noi non lo sappiamo. Sappiamo però che lui è sempre in agguato e sempre ci può tentare.

Così il giorno del malvagio è il tempo in cui uno rimane su questa terra. Finché c’è respiro nelle narici, c’è anche possibilità di peccare, perché finché c’è respiro siamo tentati.

La prova, o tentazione non è una sola. Sono molte. Tuttavia la misura della tentazione è sempre stabilita da Dio. A tal proposito sia per quanto attiene al giorno del malvagio, sia per il limite posto alla tentazione, la parola di Dio è ben chiara, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

Sappiamo che il diavolo chiese a Dio di poter provare la fedeltà di Giobbe. Il Signore acconsentì, però mise un limite. La prima prova era sui figli e sui possedimenti:

Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a satana: Da dove vieni? Satana rispose al Signore: Da un giro sulla terra, che ho percorsa. Il Signore disse a satana: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male.

Satana rispose al Signore e disse: Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!

Il Signore disse a satana: Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui. Satana si allontanò dal Signore (Gb 1,6-11).

La seconda prova, ha anch’essa un limite. Giobbe può esser provato nel corpo, ma non gli si deve togliere la vita:

Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore. Il Signore disse a satana: Da dove vieni? Satana rispose al Signore: Da un giro sulla terra che ho percorsa.

Il Signore disse a satana: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui, senza ragione, per rovinarlo.

Satana rispose al Signore: Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!

Il Signore disse a satana: Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita”. (Gb 2,1-6).

Di Gesù invece è detto: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame.

Allora il diavolo gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane. Gesù gli rispose: Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo. Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo.

Gesù gli rispose: Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai. Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi Angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra. Gesù gli rispose: E` stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo.

Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato” (Lc 4,1-13).

Come si può constatare c’è un tempo e c’è una misura nella tentazione che il diavolo non può violare. Anche lui è sottoposto alla volontà di Dio. È questo il motivo per cui Paolo usa l’espressione: “perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove”. Con Giobbe e con Gesù è avvenuto proprio così.

[14]State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia,

Dopo aver ben individuato l’avversario e precisato quali sono le strategie, i tempi e le modalità della lotta, Paolo passa ora ad indicare le armi che il cristiano deve indossare, se vuole essere vincitore.

Senza queste armi, inutile dirlo, o ripeterlo, si è già sconfitti. Nessuno può resistere al diavolo, se si presenterà svestito nel giorno della lotta e del combattimento.

La prima regola del buon soldato di Cristo è quella di stare ben fermo.

Prima ancora di indossare l’armatura, occorre una particolare virtù: la fermezza, la solidità, la stabilità della mente e del cuore; la sicurezza che diviene anche fierezza, che è disposizione dell’animo prima durante e dopo il combattimento.

Stare ben fermi significa piantarsi, non spostarsi, non indietreggiare, essere ben solido. Il nemico si può vincere. Cristo lo ha vinto. Noi lo vinceremo, lo sconfiggeremo. Lui non potrà avere il sopravvento su di noi.

Questa fermezza a volte manca al cristiano, il quale ancor prima di combattere è già uno sconfitto, perché non crede nella vittoria, non affronta neanche la lotta. Lui si sente un perdente. Manca di fermezza, di sicurezza, di convinzione nella vittoria di Cristo che diviene anche sua.

Cristo è ben fermo dinanzi al combattimento. Così dice agli apostoli nel Cenacolo: “Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!”(Gv 16,32-33).

Gesù è il vincitore. Il cristiano in Lui è anche vincitore. Questo il cristiano deve credere con fermezza di cuore. Lo dice l’apostolo Giovanni: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1Gv 5,4-5)

Chi vuole sconfiggere il diavolo deve avere il cuore ben fermo nella certezza che la vittoria è già sua, perché in Cristo lui è più che vincitore. Lo attesta lo stesso Paolo nella Lettera ai Romani: “Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,37).

Dopo aver messo nel cuore questa certezza, dopo essersi fatto ben fermo nella mente e nel cuore, il buon soldato di Cristo Gesù inizia la vestizione dell’armatura. Il primo pezzo è la verità, il secondo è la giustizia:

Cinti i fianchi con la verità: il buon soldato di Cristo Gesù deve essere l’uomo della verità. La verità deve cercare, alla verità deve aderire, la verità deve realizzare in ogni sua parte.

La verità per lui sarà solo la volontà di Dio. Egli pertanto ogni giorno dovrà formarsi nella conoscenza della volontà di Dio. Ogni “buco” che avrà nella conoscenza della volontà di Dio, sarà una porta aperta attraverso la quale il diavolo entrerà nel suo cuore e porterà disastri spirituali.