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PER OPERA DI GESÙ CRISTO


Imitatori di Dio. Come? Nell’Antico Testamento si era imitatori di Dio nell’amore verso tutti, indistintamente. Nemici e amici, familiari ed estranei, della stessa tribù, dello stesso popolo, ma anche appartenenti alle genti, tutti dovevano essere amati perché Dio ama tutti. Anzi Dio è definito nell’Antico Testamento: il Dio amante della vita. Nel Nuovo Testamento c’è un solo modo per imitare Dio: consegnare tutto di noi alla morte e alla morte di croce per la salvezza del mondo. Come Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio perché chiunque crede in Lui abbia la vita nel suo nome, così ogni cristiano deve consegnasi interamente a Dio, perché sia Dio a farne un dono di salvezza per il mondo intero. Imitare Dio è lasciarsi crocifiggere come Cristo, è lasciarsi fare da Dio un dono di amore per il mondo intero.


Neppure se ne parli. Perché è giusto astenersi dal parlarne? A che serve la parola del cristiano? Il cristiano è chiamato ad essere santo. A differenza dell’Antico Testamento, secondo il quale la santità consisteva nell’amore, nel Nuovo Testamento la santità è lasciarsi fare nuovi da Dio nella natura, che viene rigenerata da acqua e da Spirito Santo. La santità perciò è novità di vita, trasformazione della nostra vita: la santità è nuova natura, nuova essenza, perché è partecipazione della natura divina. La santità è anche partecipazione della vita di Cristo, con il quale si diventa un solo corpo. Tutta la natura del cristiano deve manifestare la nuova creatura che è stata generata in lui: il cuore, i pensieri, la lingua, i sentimenti, lo stesso corpo devono manifestare la loro novità di essenza. Per questo è giusto che il cristiano dica, pronunzia, proferisca sempre una parola santa. Deve astenersi dal dire ogni parola che non è santa, che non genera santità, che non conduce alla santità, che non dice la santità di Dio e dei fratelli. La parola del cristiano deve essere sempre una parola ricca di verità, di carità, di compassione, di misericordia, di amore, di salvezza, di vita eterna.


Santità esigente. La santità è esigente, perché è santità della natura, non dell’atto singolo, del fatto in sé. Tutto ciò che il cristiano fa, deve essere santo, perché lui è stato fatto santo da Dio. Egli pertanto deve sempre rimanere nella sua nuova natura, da nuova creatura deve agire, da nuova essenza deve operare. Poiché ha ricevuto una nuova vita, deve produrre frutti secondo questa nuova vita. Egli ha abbandonato per sempre la sua vecchia natura, in essa mai più vi deve ritornare. Questa è l’esigenza della santità cristiana. Rimanere ed operare sempre nella verità secondo la quale è stato fatto dallo Spirito Santo.


L’idolatria, cos’è? L’idolatria è cambiamento di Dio: dal Dio vivo e vero, dal Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine, che lo ha redento e santificato in Cristo Gesù, si passa ad un Dio fatto dall’uomo, che è nella volontà dell’uomo. Il Dio Signore ha una Parola di verità e di amore sull’uomo e l’uomo se vuole la vita deve ascoltare la Parola, obbedendo ad essa. Ogni qualvolta si esce dalla Parola, dal Vangelo, ogni qualvolta non c’è più obbedienza, si è in un rapporto idolatrico con il Signore, perché il Signore non è più il Signore. Signori del Signore siamo noi, oppure siamo noi Signori del Dio che ci siamo costruito e fatto. Nell’idolatria l’uomo prende il posto di Dio. Nella fede Dio ha il posto di Dio e l’uomo il posto dell’uomo. Dio dona la sua Parola di vita, l’uomo ascolta la Parola di vita data da Dio. In questa obbedienza è la vita dell’uomo. L’idolatria è solo via di morte e si è sempre nell’idolatria quando si è senza Parola di Dio da osservare.


Dov’è la fonte della gioia? La fonte della nostra gioia è Dio, ma non è Dio in assoluto, è Dio nella sua Parola. Quando si osserva la parola si accede alla gioia che Dio ha posto in essa; quando ci si allontana dalla Parola, ci si allontana anche dalla fonte della vera gioia. Si vive solo nella morte quando non si vive la Parola del Signore. Questa è la verità che sempre deve accompagnarci, specie in questo tempo dove si è assai tentati di trovare la gioia fuori della Parola di Dio: negli uomini, o nelle cose. Gli uomini, le cose, l’intera creazione non è fonte di gioia. Nel creato c’è solo stordimento dei sensi, appagamento della concupiscenza, ma questi, appagati, generano solo morte, perché dietro ogni appagamento c’è sempre il peccato e il peccato non può essere mai fonte di gioia, perché il peccato genera solo morte: morte spirituale, morte fisica, morte sociale, morte delle famiglie, dei popoli, del mondo intero.


Spetta a noi non lasciarci ingannare. La tentazione viene per ingannare il cristiano, per farlo retrocedere dalla via della verità e della carità e immergerlo nella vita peccaminosa di un tempo, quando anche la sua natura era corrotta e lacerata dal peccato e da ogni male. È obbligo del cristiano non lasciarsi ingannare né dall’errore, né dalla menzogna, né dalla tentazione. È suo dovere evitare quanto lo distrae e lo allontana dalla verità, dalla carità, dalla fonte della verità e della carità. Gesù gli ha insegnato come fare: trovarsi anche lui un Orto degli Ulivi e sprofondarsi in una preghiera intensa, fatta con sudore di sangue, perché lo Spirito del Signore si posi nuovamente su di lui, lo afferri, lo liberi dalla tentazione, lo muova e lo conduca verso un bene più grande. La tentazione si vince con una duplice arma: con l’arma della conoscenza integrale della volontà di Dio, con la preghiera incessantemente elevata al Signore, perché diventi luce e forza nell’ora della prova. Chi omette di crescere in sapienza, chi trascura di crescere in grazia, chi tralascia la preghiera costante, costui è già preda della tentazione. Costui non deve cadere in tentazione; non c’è tentazione per lui, perché lui è già fuori della verità e della carità di Cristo Gesù.


Niente in comune. Nella comunione con il mondo, il mondo ha distrutto il Vangelo. Il cristiano è tentato dal mondo. La tentazione più subdola è quella di entrare in una comunione con il mondo. Tra il cristiano e il mondo nulla deve essere in comune. Il cristiano è chiamato ad essere nel mondo, ma a non essere mai del mondo. Anzi tra il mondo e il cristiano c’è un rapporto di mutua distruzione: il cristiano è chiamato a distruggere il mondo, perché diventi regno di Dio; il mondo vuole distruggere il cristiano ad ogni costo, perché diventi nuovamente suddito del principe di questo mondo, cioè di satana e dei suoi satelliti. Entrare in comunione con il mondo nei pensieri e nelle opere, significa essere già del mondo, perché nessuno può fare le opere del mondo, se non divenendo mondo. Nella comunione con il mondo, si lascia il Vangelo, si diventa mondo; si abbandona la verità, si è della falsità.


Figli della luce. Il cristiano è figlio della luce, non delle tenebre; come figlio della luce, come figlio del Vangelo si deve sempre comportare. Mai egli deve smettere di essere luce nel Signore. Smette di essere luce quando si consegna alle tenebre del mondo per compiere le opere delle tenebre. Questa verità mai dovrebbe essere dimenticata dal cristiano, mai lui dovrebbe perdere di vista la sua vera essenza. La novità che è stata creata in lui deve divenire il faro dell’esistenza verso il quale essere attratto. Se farà questo rimarrà sempre nella luce, anzi nella luce progredirà e andrà di luce in luce, fino al raggiungimento in Cristo della luce di Dio, che è luce eterna ed increata, con la quale dovrà il giorno della risurrezione essere rivestito anche nel suo corpo.


Tutto è dall’alto per il cristiano. Se il cristiano vuole crescere come figlio della luce, vuole essere servo fedele e obbediente, desidera fare bene ogni cosa, aspira a mettere in pratica ogni Parola che è uscita dalla bocca di Dio deve sempre ricordarsi che lui è da Dio per creazione, per un atto di amore e di misericordia; è da Cristo per redenzione; è dallo Spirito Santo per santificazione. La nuova vita che gli è stata data egli deve sempre alimentarla in Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. Se per un istante si distacca da Dio, da Cristo e dallo Spirito Santo, diviene come un’erba che è distaccata dalla terra. La sua fine è certa. Non ci sarà più vita per essa. Per miracolo potrebbe essere possibile ad un’erba vivere e prosperare strappata dal terreno, per il cristiano invece questo non sarà mai possibile. Nessuno può distaccarsi vitalmente da Dio e vivere. La vita del cristiano, la sua nuova vita è da Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. Da Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo, bisogna perennemente attingerla. Il legame con Dio è vitale, è essenziale, è perenne. Non può essere disciolto neanche per un solo istante.


Dio fa l’uomo. Come Dio. Dio è il creatore dell’uomo, Dio è anche il suo santificatore. Chi vuole essere fatto, si deve lasciare fare da Dio. Dio però non vuole fare un uomo a metà, non vuole iniziare e poi non continuare. Dio vuole fare dell’uomo un altro se stesso, ci vuole fare ad immagine di sé, ad immagine di Cristo, nella comunione di verità e di santità dello Spirito Santo. Il cristianesimo non è fare qualche cosa di buono, il cristianesimo è lasciarsi fare bene da Dio, è desiderare di divenire verità e carità di Dio nel mondo, è volontà sempre rinnovata di farsi amore crocifisso alla maniera di Cristo Gesù. Il cristiano non è colui che si pone dinanzi alle cose da peccatore, da uomo vecchio, per fare cose nuove, cose sante, secondo la volontà di Dio. Questo non è il cristiano. Il cristiano è colui che vuole farsi lui santo, vuole farsi lui ad immagine di Dio, a somiglianza di Cristo Gesù, vuole lui lasciarsi trasformare dalla carità e dalla verità dello Spirito Santo, per agire come Dio, operare come Cristo, vivere come lo Spirito Santo, divenire comunione di verità e di carità per il mondo intero. Se sarà come Dio, il cristiano agirà come Dio; se invece resterà nella sua vecchia natura, agirà da uomo vecchio e anche se farà cose buone, le farà da uomo vecchio, per piacere all’uomo vecchio, per servire gli uomini vecchi, come lui è vecchio. Da lui non potranno mai sorgere cose nuove, cose sante, cose vere, cose che creano comunione di verità e di santità nel mondo.


Quando la pastorale è cieca. È sempre cieca quella pastorale che non cerca mai la causa dei suoi fallimenti. È cieca anche quella pastorale che dona soluzioni non evangeliche ai problemi visti come veri. È cieca quella pastorale che dopo aver iniziato un programma evangelico, non lo segue, anzi lo fa morire, come se la salvezza delle anime fosse un gioco da abbandonare quando comporta delle difficoltà, o richiede degli impegni maggiori. È cieca quella pastorale che fa esperimenti sulle anime. L’anima non è un oggetto da laboratorio; non si possono perdere dieci anni con un progetto pastorale e alla fine dichiarare il suo fallimento. La pastorale è sempre cieca quando è fatta da un uomo cieco, quando è fatta cioè da un uomo in cui non vi è lo Spirito del Signore che muove il suo cuore e la sua volontà solo nella ricerca della salvezza delle anime. La pastorale è sempre cieca quando chi la compie non offre a Dio la propria vita in sacrificio e in olocausto per la conversione dei cuori. La pastorale è cieca quando è frutto di tradizioni, di abitudini, quando è consuetudine, quando non è perenne novità nella grazia e nella verità operata in noi dallo Spirito Santo. La pastorale è cieca quando si dimentica che il mistero di Cristo è l’unico oggetto del suo dire e che inserire ogni uomo in questo mistero è la finalità di ogni suo agire.


Non partecipazione e condanna aperta. Il cristiano vive nel mondo, è nel mondo, ma non è del mondo. Il suo non essere del mondo deve consistere in una non partecipazione alle opere del mondo. Ma questo non è sufficiente perché non sia del mondo. Perché non lo sia veramente, lo deve attestare attraverso due modalità differenti, ma complementari. Lo deve attestare con la vita, non partecipando alle opere peccaminose del mondo. Lo deve anche manifestare attraverso una presa di posizione chiara, nitida, puntuale, precisa, quotidiana di condanna aperta di tutte le opere del mondo. Se una di queste due modalità viene meno, viene meno anche l’essere cristiano nel mondo, ma non del mondo. Si diviene sempre del mondo quando in qualche modo si approvano le opere del mondo e si approvano ogni qualvolta che verso di esse non c’è una condanna aperta, esplicita, circostanziata; ogni qualvolta non c’è una separazione con la parola e con le opere. Su questa aperta condanna e non partecipazione alle opere del mondo è tutto il fallimento della nostra pastorale. Noi prestiamo servizi pastorali al mondo perché resti mondo, li prestiamo al cristiano ma perché viva del mondo e delle sue opere.


Educazione fondata sul silenzio. Chiamati a destare dal sonno il mondo intero. Spesso la nostra educazione cristiana è tutta fondata sul silenzio, sulla non presa di posizione, di non aperta condanna di fronte alle opere del mondo. Noi che siamo chiamati a svegliare dal sonno dell’errore e del peccato il mondo intero, spesso ci facciamo complici del peccato e dell’errore, quasi lo giustifichiamo, a volte anche lo propagandiamo, lo diffondiamo. Il silenzio dinanzi al peccato è grave omissione; come anche è omissione lasciare che il mondo dorma il suo sonno di morte spirituale, quando Gesù Signore è proprio venuto per svegliare noi e attraverso noi il mondo intero da ogni letargo di peccato, di trasgressione della legge di Dio, di ignoranza di Dio e di non conoscenza della verità che è via al cielo. Grande è la responsabilità del cristiano, ma anche grande è la sua omissione. Per la sua parola e il suo esempio il mondo può prendere coscienza del suo peccato. Se non lo fa, se tace, se si ritira dal mondo, se non manifesta la via della verità e della grazia, il mondo cade sempre più nel peccato, ma di questo peccato del mondo il Signore domanderà conto al cristiano.


L’uomo è responsabile della sua verità. La salvezza della propria anima è stata affidata da Dio alla singola persona. Ogni altro è di aiuto per la sua salvezza; nessuno però lo può sostituire in questo compito così delicato, così difficile, così puntuale, tanto da richiedere un costante impegno e un programma spirituale assai serio, se si vuole conseguire il regno dei cieli con Cristo in Dio. La responsabilità circa la propria anima, dice anche responsabilità circa la verità. Poiché la salvezza viene dalla verità, è giusto che ognuno sia responsabile della verità che abbraccia, che rifiuta, che ritarda ad apprendere e a conoscere, che non vuole mettere in pratica per avere la vita eterna. Così ognuno è anche responsabile dell’arresto della verità nel suo cuore, nella sua mente, nel suo spirito. La verità, o il cammino verso una verità sempre più grande, sempre più intera, perfetta, deve essere proseguito dal cristiano senza interruzione e una volta conosciuta la verità, quella vera, autentica, che lo salva e lo santifica, deve essere disposto anche a versare il suo sangue pur di rimanere nella verità e di compiere il suo cammino in essa sino alla fine. Per niente e per nessuna cosa un uomo che ha conosciuto la verità si deve lasciare tentare sì da desistere da essa, sì da interrompere il cammino intrapreso. Di questa interruzione, di questo abbandono la responsabilità è solo della persona che lo attua. Gli altri non c’entrano. Gli altri c’entrano se non gli danno la verità nella sua pienezza, se tralasciano di obbedire al Signore che vuole che si predichi il Vangelo e solo il Vangelo.


Approfittare del tempo presente. I giorni sono cattivi. Essere inconsiderati. A che serve il tempo presente? Serve per costruire la nostra eternità. Questo è il fine del tempo. Anche perché il tempo nel quale si vive è veramente cattivo, perché è frutto del peccato dell’uomo. Si è sconsiderati ogni qualvolta ci si serve del tempo per peccare, per non compiere la volontà di Dio, per attardarci in questo deserto della vita senza minimamente preoccuparci di avanzare verso l’eternità con una degna condotta di vita, nella santità e nella verità. La santificazione dell’uomo è nel tempo. Il cristiano deve approfittare di ogni attimo, niente deve sciupare del tempo, neanche un secondo, perché anche un secondo gli serve per costruire ed edificare la sua eternità beata. Raggiungerà il regno dei cieli chi saprà fare del tempo una scala per salire verso Dio e per discendere verso il fratelli; sale verso Dio per attingere da Lui verità e carità, discende verso il prossimo per donare ad ogni uomo la verità e la carità che ha attinto nel Signore.


Annunziare. Insegnare. Conoscenza e comprensione. L’evangelizzazione avviene attraverso diversi momenti. Il primo momento è senz’altro quello dell’annunzio. Si proclama il mistero, lo si dice in modo univoco a tutti. Ma poi non tutti hanno compreso, non tutti comprendono la stessa cosa. È compito dell’evangelizzatore armarsi di santa pazienza e iniziare un vero cammino di insegnamento, di spiegazione, di illuminazione. Il mistero annunziato deve essere mistero compreso e per questo occorre l’insegnamento, la spiegazione, le delucidazioni, ogni altra opera didattica perché nessun dubbio rimanga nella mente e soprattutto nel cuore. Su questo oggi non ci siamo proprio. Prima di tutto perché non si annunzia più il mistero di Cristo Gesù, in secondo l’uogo perché non c’è più una spiegazione che si confà al mistero annunziato. Anche nel campo della teologia c’è come una separazione tra mistero e comprensione del mistero, perché c’è un allontanamento dalla parola della salvezza. Chi vuole evangelizzare deve seguire la stessa regola di Cristo Gesù: deve mettere ogni intelligenza, ogni sapienza, ogni scienza perché l’altro non solo ascolti il mistero, ma anche lo comprenda. Quando la Chiesa avrà di nuovo iniziato a far comprendere il mistero di Cristo al mondo intero, essa inizia a divenire vera Chiesa di Cristo Gesù. Fino a quel momento anche in seno a molti dei suoi figli regnano ignoranza, incomprensione, ambiguità sul mistero, lacune e ogni altra deficienza. Tutto questo lo attesta lo stato spirituale del cristiano che non sa più neanche chi è Cristo Gesù e qual è il mistero che egli ha vissuto e realizzato tra noi. L’approssimazione su Cristo è la cosa più scandalosa che possa esistere nel campo cristiano.


Vino, ministero, vita cristiana inconciliabili. Il cristiano deve sempre possedere la padronanza del suo spirito, del suo corpo, della sua mente, dei suoi sentimenti, della sua volontà, dell’intera sua vita. Deve perciò evitare tutte quelle cose che in qualche modo gli ostacolano in parte o in tutto il totale possesso di sé. Ogni cosa – cibo, bevande, sostanze lecite e illecite – deve essere evitata, messa al bando se diviene per noi una sorgente di menomazione piccola o grande della nostra integrità psicofisica. Anche se questo dovesse avvenire per un istante, di questa cosa bisogna privarsene. Lo esige il ministero di cui siamo stati fatti degni da parte di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo.


Gioia pagana, gioia cristiana. La gioia cristiana è la gioia che nasce dal possedere un cuore ricolmo di Dio e della sua verità. La gioia pagana invece, mondana, è quella che ha per oggetto le cose di cui si riempie il cuore e la mente, oppure si avvolge il corpo. Diciamo subito che questa gioia non dura, non dona veramente gioia perché lascia il cuore vuoto. La gioia cristiana invece ricolma il cuore, lo sazia, con essa non si ha più bisogno di niente. Chi possiede essa, possiede tutto, indistintamente tutto, perché possiede Dio che è il tutto per l’uomo, in questa vita e nell’eternità.


Cristiano: orante perpetuo. Se dovessimo dare una definizione del cristiano, dovremmo dire che il cristiano è un orante perpetuo. È orante perpetuo perché sa che tutto discende da Dio, tutto è un suo dono d’amore. Poiché tutto, veramente tutto il cristiano deve attingerlo in Dio, niente egli ha in sé, tutto è fuori di sé, è in Dio e in Dio si attinge attraverso la preghiera, fatta a volte di semplici aneliti, di gemiti attraverso i quali manifestiamo al Signore ogni nostra richiesta. Di tutto e di ogni cosa abbiamo bisogno di lui, tutto e ogni cosa dobbiamo domandare a Lui. Questa è la preghiera di impetrazione, o domanda di grazie. Dopo aver ottenuto tutto, dobbiamo anche ringraziarlo per tutto. Questa è la preghiera di benedizione. Ma Dio è tutto per se stesso, prima che per noi. Lui si deve lodare, benedire, ringraziare, magnificare perché è Dio, il nostro Dio e questa preghiera di lode deve scandire i ritmi e le ore della nostra giornata. Non deve esistere minuto, momento in cui non si innalzano gli occhi al cielo per magnificare il Signore per le meraviglie che lui ha operato per la nostra salvezza eterna.


La sottomissione nella fede. La fede nella sottomissione. Ogni sottomissione nel cristianesimo è sempre nella fede, cioè secondo la volontà di Dio. Non deve esistere sottomissione se non alla verità, alla volontà di Dio, ai suoi comandi, alla mozione dello Spirito Santo. Bisogna inoltre avere fede nella sottomissione. Avere fede significa una cosa sola: la nostra verità e quindi la nostra vita è nell’ascolto del Signore, è nella sottomissione alla sua volontà, è obbedienza ad ogni Parola che è uscita dalla sua bocca. Se non si costruisce la nostra vita su questa fede, difficilmente si potrà vivere la sottomissione. Sono molti i motivi umani, le ragioni della nostra volontà che ci spingono a rinnegare la volontà di Dio per sottomettere la nostra vita alla nostra volontà. Ma questa non è sottomissione di fede e neanche c’è fede nella sottomissione. Tutto ciò che esiste nel creato è sottomesso solo a Dio. Anche l’uomo è sottomesso a Dio. Questa è la sua fede, l’unica sua fede, la sola fede che deve animarlo e spingerlo ad amare secondo verità. Se c’è sottomissione di un uomo ad un altro uomo, questa non può avvenire se non secondo la legge di Dio, mai secondo la legge dell’uomo. La sottomissione secondo la legge di Dio dice e insegna che nessuna sottomissione sarà mai possibile per un uomo, se questa contraddice la legge divina, la volontà del Padre. Per non contraddire la volontà del Padre, per non cedere e sottomettersi all’uomo, il cristiano deve essere pronto a subire anche il patibolo della croce, allo stesso modo che ha fatto Cristo Gesù.


Riportare la famiglia nel mistero. Chi vuole salvare oggi la famiglia deve riportarla nel mistero. Perché questo avvenga – il mistero è quello della morte e della risurrezione di Cristo Gesù – è necessario che si portino nel mistero singolarmente prima l’uomo e la donna che si stanno accingendo a formare la famiglia e poi, una volta formata, insieme, l’uno e l’altra costantemente debbano fare riferimento a Cristo e al suo mistero di morte e di risurrezione. Cosa succede invece oggi? Si vorrebbe portare la famiglia nel mistero, ma lasciano sia l’uomo, che il marito e i figli fuori del mistero; oppure permettendo e consentendo che si faccia una famiglia attraverso il sacramento del matrimonio senza la conoscenza del mistero di Cristo Gesù e senza una vita santa dei fidanzati in esso. Questo modo di celebrare il sacramento del matrimonio non sortisce alcun effetto santo. Manca infatti il soggetto del matrimonio cristiano che è un uomo inserito nel mistero di Cristo, sì da essere divenuto con il Signore un solo mistero, una sola verità, una sola grazia, una sola via per raggiungere il regno dei cieli. Chi vuole la salvezza della famiglia, deve volere prima la salvezza dell’uomo; deve lottare evangelicamente perché ogni uomo si conformi all’immagine di Cristo Gesù, diventi mistero del suo mistero, si faccia verità di Cristo, sua carità, sua croce per la redenzione della famiglia e del mondo intero.


Vita finalizzata a Cristo. Non può esistere alcuna famiglia cristiana che non sia finalizzata al compimento del mistero di Cristo nel suo seno. Ora qual è il mistero di Cristo? È il dono totale della sua vita a noi. Così finalizzando la vita della famiglia a Cristo, l’uomo e la donna sanno cosa fare: devono fare della loro vita una sorgente di verità e di carità a servizio l’uno dell’altra. La carità che deve regnare nella famiglia, assieme alla carità è l’amore crocifisso del Figlio, amore di sottomissione al Padre. Questa è la legge della vita di ogni famiglia che viene a formarsi in Cristo Gesù.


Mistero di Dio, mistero di Cristo, mistero della famiglia. La famiglia deve produrre nel suo seno il mistero di Dio, il mistero di Cristo, il mistero dello Spirito Santo. Di Dio deve vivere il mistero del dono della vita. Dio è colui che dona la vita, che la genera in sé (dona la vita al suo Figlio Unigenito nell’eternità), la crea fuori di sé (dona la vita ad ogni essere vivente). La famiglia deve essere creatrice di vita. Questo è uno dei suoi compiti primari. Se non lo fa, se si chiude in se stessa, interrompe il circuito della vita e si diviene egoisti. Non si è più ad immagine di Dio. Realizza il mistero di Cristo, se si fa olocausto d’amore non solo all’interno della famiglia, ma per ogni uomo e per ogni famiglia che vive in questo mondo. L’amore di Cristo è dono totale di sé; l’amore degli sposi è olocausto per se stessi, per i figli, per il mondo intero. Sapersi lasciare consumare e crocifiggere dall’amore è opera della comunione dello Spirito Santo, opera della sua verità, opera della sua santità. Lui ci dona se stesso, perché noi ci possiamo donare a Cristo, perché Cristo ci consegni al Padre in un movimento di piena e totale sottomissione a Lui, nella giustizia e nella santità vera, attraverso un’obbedienza che è rinnegamento e immolazione di tutta intera la nostra vita.


All’uomo non è dato il potere di fare che non sia fatto ciò che ha fatto. Ad ogni uomo è stata concessa la libertà di iniziare, o non iniziare dei cammini. Una volta che lui ha iniziato, non può più ritornare indietro. Era in suo potere prima non porre l’azione, una volta posta, deve viverla secondo la legge di Dio. A proposito del matrimonio significa che all’uomo è data facoltà di sposarsi, di non sposarsi. Non è data però facoltà di ritornare indietro, di separare ciò che Dio ha unito. Anche in questo: quando l’uomo e la donna sapranno che certe azioni sono state tolte alla loro volontà, perché siano governate solo dalla volontà di Dio, essi avranno fatto un passo in avanti nella loro stabilità nell’amore e nella verità. Questo ci insegna anche che alcune azioni hanno un valore eterno, una valenza eterna e nessuno, proprio nessuno, può banalizzarle, altrimenti si banalizza la Croce di Cristo Gesù. Su questa tematica c’è troppo da dire ai nostri giorni, dove non è più concepibile – anche all’interno della fede – che ci possa essere una volontà sovrana e insindacabile sopra di noi che ha stabilito fin dall’eternità la legge del nostro esistere. Finché non accetteremo che sopra di noi vige e regna la volontà di Dio, noi non potremo mai essere cristiani, siamo degli esseri religiosi, la cui religiosità però non ci salva, perché non ci ha condotti alla verità di Dio e della sua sovranità di amore e di verità sopra ogni uomo.