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Tutti, indistintamente tutti, siamo obbligati a conoscere e a comprendere la Parola di Dio.


Non solo l’annunzio, ma anche l’insegnamento è opera essenziale per la Chiesa. Questo sta a significare che tutti quei movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, che non insegnano secondo verità a comprendere la volontà di Dio, ma dicono soltanto la Parola, non lavorano secondo metodologie evangeliche, lavorano erratamente e quindi di sicuro provocano un grave danno spirituale e morale in tutti i loro membri.


Su questo bisogna essere espliciti. Tutti possono annunziare, ma non tutti possono insegnare. L’insegnamento richiede sapienza, dottrina, intelligenza, conoscenza, studio, riflessione, meditazione, costante aggiornamento, confronto, ascolto della fede della Chiesa, risposta concreta ed essenziale alle domande degli uomini.


Sarebbe sufficiente adottare queste due vie indicate qui da Paolo per operare il più grande rinnovamento in seno alle comunità ecclesiali.


Per adottare queste due vie occorre una grande educazione alla preghiera, alla riflessione e allo studio e questo costa sacrificio, abnegazione, rinnegamento.


È un fatto però: nelle comunità non si insegna più la volontà di Dio, non si aiutano i fedeli a comprenderla, a conoscerla, a sceglierla come loro via per la realizzazione della verità e della giustizia nella vita degli uomini. Questa è la grande tragedia che avvolge le nostre comunità.


Operare una svolta si può, a condizione che lo si voglia e soprattutto che ci si impegni consacrando la nostra vita perché questo avvenga.


[18]E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito,


Da sempre vino e ministero sono considerati incompatibili. Così anche vino e vita cristiana.


Nella Sacra Scrittura c’è un comandamento particolare che riguarda i sacerdoti. Così il Levitico: “Il Signore parlò ad Aronne: Non bevete vino o bevanda inebriante né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; questo perché possiate distinguere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è immondo da ciò che è mondo e possiate insegnare agli Israeliti tutte le leggi che il Signore ha date loro per mezzo di Mosè” (Lev 10,8-11).


Lo stesso insegnamento ci è dato da Paolo: E` degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. E` necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.


Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura” (1Tm 3,1-9).


Non è l’uso del vino che viene qui condannato, ma l’abuso, l’uso eccessivo, o il suo uso in un tempo inopportuno, quale quello immediatamente prima di presentarsi per esercitare il ministero.


Circa il buon uso del vino così lo stesso Paolo scrive a Timoteo: “Smetti di bere soltanto acqua, ma fa’ uso di un po’ di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni” (1Tm 5, 23).


Viene condannata l’ubriacatura, cioè l’eccesso, o il molto vino, perché gli effetti dell’alcool sono disastrosi. Essi privano dell’uomo dell’intelligenza, della volontà, del cuore, della mente, dei sentimenti.


L’alcool fa di un uomo un non-uomo, perché lo mette in condizione di non poter più governarsi, auto dirigersi, disciplinarsi, volere, decidere, pensare, discernere, operare.


In più, poiché libera la mente da ogni freno, da ogni timore, da ogni legge, conduce alla sfrenatezza, cioè a comportarsi senza più regole morali. Il peccato si impossessa dell’uomo e lo guida e lo conduce oltre gli stessi limiti del male.


È, quello dell’alcool, un vizio che fa molte vittime. È anche un vizio che difficilmente si vince.


Anticamente c’erano delle feste pagane durante le quali si faceva abuso dell’alcool al fine di creare un’atmosfera di orgia e di ogni altra intemperanza.


Questa tradizione non è finita neanche ai nostri giorni. In molte circostanze ci si abbandono all’alcool con le conseguenze che si possono immaginare.


Il cristiano, chiamato ad essere temperante in tutto, è obbligato a usare sia le bevande alcoliche che ogni altra cosa in modo che nessun danno né fisico né morale scaturisca per la sua persona.


Il cristiano è responsabile di ogni cosa che fa e di tutto deve rendere domani conto a Dio, anche dell’uso delle cose.


Se poi l’alcool si dovesse abbinare al ministero nella Chiesa, è peccato gravissimo, perché si svilisce il ministero e ciò sicuramente risulterà dannoso per le anime, non fosse altro che il cattivo esempio che si dona agli altri.


Dove c’è il cattivo esempio, lo scandalo, il disagio di un’anima, il ministro ordinato deve porre doppia attenzione. Niente deve essere da lui operato che in qualche modo sia di intralcio alla grazia di Cristo e alla sua verità.


Il cristiano invece deve essere sempre ricolmo di Spirito Santo, cioè dei suoi doni e in modo speciale della virtù della sapienza, che è in se stesa prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.


Chi possiede lo Spirito, chi è ricolmo di Lui, da Lui è anche governato perché non cada nell’intemperanza.


Chi cade nella stoltezza, o nell’insipienza manifesta ed attesta che in lui lo Spirito Santo non agisce, perché non è sufficientemente forte, perché non invocato con insistenza e frequentemente, perché l’uomo non ha relazione con Dio, attraverso una preghiera incessante che chiede che nella sua vita si faccia solo la sua volontà e la volontà di Dio è anche la padronanza di noi stessi e una vita tutta intessuta delle sante virtù.


[19]intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore,


C’è un modo per stare insieme. C’è il modo della festa pagana, nella quale, chi si riuniva, veniva trascinato quasi sempre nell’orgia e nella sfrenatezza, come anche oggi avviene in molte feste che si vivono e c’è quello cristiano, che è il modo della gioia tutta spirituale, gioia intensa, piena, che avvolge l’uomo ed è per lui come un anticipo di eternità.


Quella pagana è la gioia che nasce dal peccato ed è una gioia amara, che porta alla rovina un uomo, una donna, colui che vi partecipa. Quella pagana è una gioia che l’uomo trova nella carne, nel male, nel vizio, nella trasgressione, nella materia che priva l’uomo della sua vera essenza, che lo fa non uomo. L’altra invece, quella cristiana, è una gioia che discende dal cielo.


È la gioia dei figli di Dio che si intrattengono con il loro Padre celeste, che con Lui si intrattengono con salmi, inni e cantici spirituali.


È la gioia del cuore, dello spirito, nella quale è chiamato a partecipare in una maniera santa anche il corpo.


È la gioia degli uomini virtuosi che sanno che solo in Dio è la pienezza del loro essere e solo da Lui l’aspettano e per questo si mettono in comunione con Lui, ma si tratta di una comunione in cui si esprime la gioia, perché è una comunione che si realizza in modo festoso e cioè inneggiando a Lui con salmi, inni e cantici spirituali.


C’è un modo santo di incontrarsi dei cristiani. Questo modo santo è uno solo: non incontrarsi semplicemente tra di loro, ma incontrarsi tra di loro con Dio.


I cristiani formano sulla terra la famiglia di Dio, sono il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito Santo, sono la casa spirituale nella quale abita Dio di una presenza di verità e di santità.


Ora è possibile che un cristiano possa incontrarsi con un altro cristiano, senza che insieme si incontrino con Dio, dal momento che l’uno e l’altro sono il tempio di Dio sulla terra, sono figli in Cristo dell’unico Padre che abita in loro, sono anche il corpo di Cristo e le sue membra e quindi sono sempre intimamente, vitalmente, veritativamente una cosa sola con Cristo Gesù?


Tutto ciò che si fa tra cristiani ed esclude in modo “materiale” e non solo formale la presenza di Dio è peccato.


Per il cristiano non ci sono più tempi sacri e tempi profani, non ci sono più tempi in cui deve vivere con Dio e tempi in cui Lui è senza Dio.


Lui e Dio, in Cristo Gesù e nello Spirito Santo, sono diventati una cosa sola: una sola famiglia, un solo tempo, una sola vita, una sola realtà spirituale, e nel corpo di Cristo anche una sola realtà spirituale.


È possibile allora che vi possa essere un solo momento in cui il cristiano possa estromettere Dio dalla sua vita?


Da qui il grande principio morale che bisogna osservare sempre: tutto ciò che estromette Dio dalla vita di un cristiano, sia come singolo, sia come comunità, è peccato, non si deve fare, non si può fare, perché lo vieta la nuova realtà che si è venuta a costituire in noi nel momento del battesimo.


Qualsiasi cosa fa il cristiano, lo fa in Dio, in Cristo, nello Spirito Santo. Di questo bisogna essere convinti. Secondo questa convinzione bisogna agire sempre.


[20]rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.


Altra verità che qui viene annunziata è la seguente. Tutto ciò che l’uomo è, fa, opera nel bene è dono di Dio, discende da Lui. Tutto è un dono del suo amore, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. In modo particolare questo deve essere detto dal cristiano, il quale da Dio ha ricevuto una nuova identità, una nuova essenza, poiché mirabilmente è stato reso partecipe della natura divina, con una personale relazione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


Il modo giusto di vivere questa nuova essenza è quello di rinnovarla costantemente in Dio attraverso la richiesta di una sempre più grande grazia, necessaria, anzi indispensabile, perché quanto è avvenuto in noi possa crescere e produrre ogni frutto di verità e di santità.


Questa necessità di una sempre più grande grazia fa del cristiano un orante perpetuo. Egli sa che tutto deve discendere da Dio e tutto a Lui chiede, anche le più piccole cose, anche gli aiuti per vivere minuti e secondi conformemente al dono ricevuto.


Ogni grazia ricevuta deve però far salire a Lui un inno di benedizione, di ringraziamento, di lode e di esaltazione del nostro Dio.


Questo fa sì che per ogni cosa si chieda a Dio il suo aiuto e per ogni aiuto in ogni cosa si innalzi a Lui l’inno della nostra lode e del nostro ringraziamento.


In tal modo il cristiano tiene il cuore sempre fisso nel cielo: per chiedere la grazia necessaria al suo nuovo essere per crescere e abbondare in ogni opera buona, per ringraziare e benedire il Signore per ogni ulteriore dono di grazia che ci concede.


Poiché il dono di grazia da parte di Dio deve accompagnare ogni attimo della nostra vita, ogni attimo dell’uomo deve essere vissuto nella preghiera di impetrazione e di ringraziamento. Si chiede e si ringrazia; si ringrazia e si chiede, per ringraziare e per chiedere ancora.


Questa preghiera non la può fare chi ha dimenticato il fine della sua vita, chi tralascia l’opera della sua santificazione, chi non mette a frutto la grazia che il Signore gli ha concesso.


Su questo c’è molto da dire. Oggi si prega poco, poco si ringrazia il Signore perché poco si sviluppa la grazia ricevuta. Il segno che si preghi poco è anche il segno che ci si santifica poco.


Bisogna educare il cristiano all’opera della propria santificazione. Dalla necessità e urgenza di santificarci, ed è santificazione fare ogni cosa secondo la volontà di Dio e nella sua volontà, nasce anche l’urgenza della preghiera, sapendo che senza preghiera la grazia ricevuta non si sviluppa e non fruttifica.


Dalla necessità della propria santificazione scaturisce il nostro inno di ringraziamento a Dio, perché il cuore che si apre alla santità, è un cuore nel quale abita lo Spirito con la sua luce eterna e chi è illuminato dalla luce eterna dello Spirito, vede che tutto è possibile per grazia, tutto è dalla grazia, tutto deve trasformarsi in un dono di grazia a Dio e agli uomini.


Il rendimento di grazie, come ogni richiesta di grazia, deve avvenire in Cristo, per Cristo, con Cristo.


Siamo noi corpo di Cristo. Chi deve invocare Dio per noi e chi deve ringraziarlo è il nostro Capo, Cristo Gesù Signore nostro. Mai si deve dimenticare ciò che Dio ha fatto di noi nel battesimo. Ci ha fatti corpo di Cristo, ma anche ha costituito Cristo nostro Capo. Dal Capo ogni energia spirituale deve diffondersi nelle membra, dalle membra ogni energia spirituale deve raggiungere il Capo.


Il Capo è tra le membra e Dio. A Dio porta le esigenze delle membra, alle membra porta i doni di Dio. A Dio porta il ringraziamento delle membra, alle membra porta l’esaudimento da parte di Dio.


La mediazione di Cristo Gesù non è una mediazione artificiale, o di semplice volontà, perché così Dio ha stabilito.


La mediazione di Cristo è una mediazione “fisica”, “spirituale”, dalle membra al Capo e dal Capo alle membra. È quindi una mediazione necessaria, come è necessaria la mediazione nel corpo del capo per rapporto ad ogni singolo membro.


[21]Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.


In questo versetto Paolo dona la legge perenne che deve governare i rapporti tra i cristiani.


Ogni cristiano è membro del Corpo di Cristo, Cristo è suo “naturale” Capo. Dal capo ogni membro riceve l’energia di grazia e di verità per espletare la sua “funzione”, il suo “ministero” a beneficio di tutto il Corpo.


Che significa allora essere sottomessi gli uni agli altri nel timore del Signore?


Prima di tutto significa che non c’è sottomissione di alcuni e di altri no. Ognuno è sottomesso agli altri, per cui tutti sono sottomessi.


Il Corpo di Cristo è l’unica realtà esistente in cielo e sulla terra dove si vive di completa sottomissione, ma si vive di una sottomissione reciproca.


Ognuno è sottomesso all’altro e quindi tutti sono sottomessi. Però la sottomissione non è arbitraria, è nel timore di Cristo.


Cosa significa essere sottomessi nel timore di Cristo? Significa una cosa assai semplice: ognuno riceve da Cristo una particolare grazia da dare ai fratelli, a tutti i fratelli che sono nel corpo di Cristo.


Tutti sono sottomessi al dono di questa grazia. Poiché questa grazia è indispensabile per lo svolgimento della loro “funzione”, o “ministero” nel Corpo di Cristo, se non si sottomettono sempre e in ogni circostanza a ricevere da loro la grazia, essi rimangono senza e quindi non possono essere vivi e vitali nel corpo di Cristo.


Ciò significa che senza sottomissione, non c’è vita per alcuno. La vita è nel ricevere la grazia dagli altri. Cristo Gesù ha costituito gli altri grazia e dono di grazia per noi. Se la grazia non l’attingiamo in loro, noi restiamo senza; se restiamo senza, siamo senza vita, poiché la grazia è la vita del nostro ministero, della nostra funzione all’interno del corpo di Cristo, il nostro ministero muore, non lo possiamo assolvere in nessun caso.


Questa legge è universale, avvolge tutti. Ognuno è dalla grazia dell’altro, perché Cristo ha costituito l’altro fonte della mia vita. Questa è la verità e questa è la legge della sottomissione reciproca. È sufficiente allora osservare come noi consideriamo gli altri, per sapere qual è la vita del nostro carisma, del nostro ministero. Chi è solo con se stesso, non vive, non opera, non si santifica, non santifica il Corpo di Cristo.


Dove non c’è sottomissione, non c’è vita. Questa è la sola legge che deve regnare nel Corpo di Cristo Gesù. In essa è la vita del mondo, perché in essa è la nostra vita e la nostra santificazione.


È facile allora sapere che grado di santità c’è in una persona: è sufficiente osservare il grado di sottomissione nei confronti dei fratelli. Sono i fratelli la via per la nostra crescita in grazia e in santità, perché sono essi la via attraverso cui il dono di Dio discende su di noi e in noi.