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[[12]poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.


In questo versetto viene manifestata la gravità delle opere delle tenebre.


Da quanto Paolo dichiara c’è da pensare che si tratti di una immoralità tale che è senza più limiti.


Nella Lettera ai Romani in qualche modo ci ha parlato di questa immoralità, senza naturalmente scendere nei particolari, senza specifiche descrizioni. Ci ha indicato quasi tutte le forme del male che nascono dall’idolatria, ma non è andato oltre. In questo versetto puntualizza la gravità di queste opere. Sono così immorali che parlarne, il solo parlarne è una vergogna. Narrare di queste opere, o scendere nei particolari è vergognoso.


C’è il peccato che è trasgressione della legge che Dio ha scritto nel cuore di ognuno e che ha anche dato positivamente nei comandamenti e ci sono altre forme di male, che vanno ben oltre i comandamenti,


Molte di queste opere sono legate al corpo dell’uomo, alla lussuria, alla lascivia. In tante di queste opere cattive il corpo viene usato solo come strumento di godimento sessuale e in più contro natura.


Poiché l’uomo mai si sazia del male, più ci si concede al male e più il male non produce effetto, poiché c’è come una assuefazione allo stesso male.


Occorre per questo un male sempre più grande, una lussuria sempre più sfrenata, un uso del corpo che va oltre i limiti dello stesso peccato.


C’è come un vortice nel quale si precipita e dal quale si è come consumati, annientati. Lo stesso uomo alla fine diviene preda del male che lo consuma e lo uccide.


Quando un uomo è preda del mistero dell’iniquità, non c’è più scampo per lui. L’unica via di soluzione è l’abbandono totale al male.


Per questo bisogna sempre vigilare che mai si oltrepassino certi limiti, oltre i quali non c’è più ritorno. Non c’è più ritorno, non perché la grazia di Dio non è più donata. La grazia di Dio c’è sempre, ma perché l’uomo ormai è preda definitiva del male, è prigioniero del suo peccato, è schiavo dei suoi abomini e delle sue nefandezze.


Come ovviare a che non si cada nel baratro del male? La via è una sola: formare fin dalla più tenera età al dominio di se stessi, al governo del proprio corpo. Invitare alla preghiera, perché la grazia di Dio ci preservi dal cadere nella lussuria e negli altri vizi.


È solo per grazia di Dio che siamo preservati dal male. Nella grazia bisogna sempre crescere e abbondare. Questa è la via perché il male non abbia il sopravvento su di noi e non ci consumi.


Bisogna che la santità e non il vizio prenda possesso del nostro cuore. Se lo Spirito del Signore comincia a guidare un cuore fin dalla sua più tenera età, di sicuro il male starà lontano da questo cuore e la grazia lavorerà per una sempre più grande santificazione.


[13]Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.


Individuare il peccato, condannarlo apertamente, è la giusta opera che bisogna fare, se si vuole lavorare perché il male venga sconfitto, eliminato.


Il cristiano è chiamato a camminare nella luce, ad operare nella luce, a divenire luce, perché lui in Cristo è stato costituito luce del mondo e sale della terra.


Portare alla luce il male, dichiararlo male, condannarlo come male, in nome della luce della verità, è l’opera più urgente da fare.


Viene qui indicato tutto un programma di educazione che urge realizzare, portare a compimento e il programma è questo: dire con chiarezza ciò che è bene e ciò che è male; dire esplicitamente ciò che è conforme alla verità di Dio e ciò che è difforme, perché contrario e in opposizione a ciò che il Signore comanda; dire che certe cose non si possono fare, perché contraddicono essenzialmente la natura dell’uomo, la cui vocazione è quella di essere e di realizzarsi ad immagine e a somiglianza di Dio in questo mondo.


La forza di certe forme di peccato sono le tenebre, l’oscurità, il nascondimento, il falso pudore, il tenerle nascoste, la non sufficiente illuminazione, la paura di dichiararle male, peccato, contrarie alla legge di Dio.


C’è stata tutta un’educazione fondata sul silenzio, che altro non produceva e non generava che vizi sempre più grandi.


Portare certe cose alla luce è desiderio di eliminarle per sempre dalla nostra vista, è volontà di estinguerle dalle nostre comunità; è anche dire con precisione che non si possono fare, perché non è giusto che le si facciano.


Tuttora si è avvolti di un falso pudore. Chi è preposto alla formazione non dona sufficienti informazioni su quanto è da fare e quanto è da evitare. Mentre si lascia alla cattiva informazione, informazione per il peccato e non per la santità, su ciò che si deve fare per immergersi sempre più nel male e nel peccato.


Su certe tematiche morali occorrerebbe molta più sensibilità, non certamente a livello di una informazione maliziosa e deleteria, che altro non fa che produrre danni in chi la riceve; ma di quella saggezza e intelligenza nello Spirito Santo che sappia guidare perché non si scivoli verso il male, ma sempre si rimanga nel bene, anzi nel bene si progredisca, fino alla sconfitta totale del male.


Tante cose si possono comprendere solo alla luce dello Spirito Santo. È Lui la nostra unica Luce, ma anche l’unica nostra Forza che ci preserva dal male e ci introduce in un bene sempre più grande, fino al completo e perfetto dominio del nostro corpo.


Sperare in una formazione alla vita, nella verità e nella grazia di Cristo Gesù, omettendo il ricorso alla Spirito Santo è opera vana.


Niente di buono, di bello, di santo si può compiere nel mondo senza la luce di verità che porta nei nostri cuori lo Spirito del Signore.


È lo Spirito Santo la forza della Chiesa, perché è Lui la sua perenne mozione, la sua Guida, il Datore della vita e della verità.


[14]Per questo sta scritto: Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà.


I commentatori pensano che questo versetto sia un frammento di un qualche inno battesimale.


Di certo la luce è legata in modo del tutto particolare al battesimo. Ma prima ancora alla notte di Pasqua, la cui liturgia presenta Cristo Luce del mondo.


Il sonno, dal quale ci si deve svegliare, sono le tenebre, la non verità, l’ambiguità, la vanità, l’inganno, la falsità nella quale versa quasi sempre la nostra vita. Se non ci si sveglia da questo sonno, tutta la nostra esistenza viene vissuta in modo stolto. Si dona valore a ciò che valore non ha, mentre non lo si dona a tutto ciò che ha valore e ha valore solo la salvezza della nostra anima, per possedere la quale è giusto perdere il mondo intero.


Tutti coloro che non camminano nella verità sono addormentati, sono avvolti dalle tenebre. La loro vita è priva di vero, autentico significato.


Si sogna un mondo diverso quaggiù e ci si adopera per procurarselo, a volte anche facendo il male e rinnegando la giustizia, ma poi quando si aprono gli occhi alla verità, ci si accorge che tutto è stato una chimera, un brutto sonno.


La speranza è che non ci si svegli nell’eternità, poiché allora sarà impossibile qualsiasi forma di conversione, dal momento che la nostra entrata nell’eternità ratifica la nostra scelta e le dona compimento eterno, nel bene o nel male, con Dio o con il principe di questo mondo.


È compito primario della Chiesa svegliare ogni uomo, chiamandolo ad abbandonare il sonno della falsità ed entrare nella vita sveglia della verità.


Se si osservano i comportamenti degli uomini senza la verità, veramente dobbiamo confessare che il loro è vero e proprio sonno, ma è un sonno assai pericoloso, perché potrebbe condurli nel sonno eterno della dannazione eterna.


Che la Chiesa abbia questa forza di ricondurre ogni uomo alla verità. Ma questo non può essere fatto se non da coloro che sono già svegli, che vivono nella verità, che hanno fatto della verità la loro veste, che hanno abbandonato le opere delle tenebre e compiono solo le opere della luce.


La morte invece è quella dell’anima, provocata dal peccato che si commette. Ogni peccato conduce l’anima nella morte, perché la priva della grazia santificante e quindi l’anima precipita nella morte, che si trasformerà in morte eterna, se non si converte e non inizia un cammino di vera fede nel Vangelo della grazia.


Quando l’uomo è nel sonno, cioè vive una vita lontana da Dio, come se Dio non esistesse, come se Cristo non fosse il suo Redentore, vive una vita senza verità e senza grazia, quando è nella morte, cioè quando la divina carità non è più la vita della sua anima e tutto in lui è confusione, dissidio, concupiscenza, superbia ed ogni altra separazione, per cui ogni sua facoltà cammina per se stessa e per di più senza la giustizia che la guida, occorre che qualcuno lo svegli, lo riporti in vita.


Chi deve riportare l’uomo in vita è la Chiesa. Tutti partecipano della missione profetica, regale, sacerdotale di Cristo Gesù, ma chi ha la responsabilità diretta di svegliare coloro che dormono sono gli Apostoli.


A loro Cristo Gesù ha affidato la sua verità e la sua grazia. Loro hanno tutta la responsabilità diretta dell’evangelizzazione, della missione, della proclamazione del Vangelo. Tutti gli altri sono chiamati a rendere testimonianza a Cristo con la parola e con le opere.


C’è pertanto nella Chiesa una duplice responsabilità: degli Apostoli che devono viverla nel nome e con l’autorità di Cristo Gesù. A loro si associano come primi collaboratori i Sacerdoti.


Tutti gli altri hanno una responsabilità di testimonianza, di santità, di conformità della loro vita al Vangelo. Hanno la responsabilità di manifestare Cristo che vive in loro per mezzo della Parola che loro vivono in ogni sua parte.


Chi deve illuminare però è Cristo Gesù e Lui illumina con la verità e con la grazia. La grazia e la verità devono essere consegnate nella loro più alta purezza. Se si modifica la verità, se si apporta cambiamento nella grazia, Cristo non può più illuminare.


La responsabilità sia degli Apostoli sia di ogni altro fedele laico è una sola: consegnare al mondo, secondo il proprio specifico ministero, la grazia e la verità di Cristo Gesù, senza alterazione, senza cambiamenti, senza modifiche. Integralmente Cristo ha dato i suoi doni a noi, integralmente dobbiamo noi darli al mondo intero.


Ogni modifica, anche la più piccola, trasforma il dono e lo rende non più dono di Cristo Gesù. Cristo non può più illuminare.


Cristo Gesù potrebbe anche illuminare direttamente, come ha fatto con Paolo sulla via di Damasco, però poi si ha sempre bisogno della Chiesa per confermare nella verità, per far crescere in essa tutti coloro che sono stati illuminati direttamente da Cristo Signore.


La via immediata non esclude la via mediata, anzi ad essa rimanda, rinvia, perché accolga colui che Cristo ha illuminato e completi l’opera della santificazione e anche dell’illuminazione.


È un grande obbligo quello che grava sulle nostre spalle e che noi ci siamo assunti. Per noi il mondo si sveglia dalla morte e per noi continua il suo sonno di peccato e di allontanamento da Dio. Per noi un uomo entra nella luce e per noi rimane nelle tenebre. Per noi si edifica il regno di Dio e per noi si incrementa il regno di satana, del principe di questo mondo. Tutto è dal nostro lavoro, dalla nostra fede, dalla nostra vita santa. Cristo illumina se noi svegliamo, se noi destiamo quelli che giacciono nella morte.




VIRTÙ CRISTIANE



[15]Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi;

Ognuno, dopo che è stato illuminato da Cristo Gesù, deve camminare sempre alla sua luce, con la sua grazia.

Egli deve vigilare che ogni suo comportamento, ogni sua azione, ogni gesto, ogni parola, ogni sentimento, ogni relazione – è questa la condotta – sia sempre illuminata dalla verità di Gesù, sia fatta con la forza della grazia di Cristo Gesù.

C’è pertanto una responsabilità che è della persona e di nessun altro. La responsabilità di vigilare è solo nostra, è prima di tutto nostra, è dopo tutto anche nostra. Questa responsabilità è indelegabile. Nessuno può vigilare per noi. Questa è la verità.

È questo il principio più santo per la salvezza di ogni uomo e in ogni campo, non solo nel campo della fede, o della moralità.

Ad ognuno bisogna annunziare questa responsabilità, ognuno deve essere anche formato in questa responsabilità.

La vita è della persona e chi è responsabile della propria vita è la persona che la vive. La vita tutta è nelle sue mani. La persona può distruggerla, la persona può edificarla, la persona può dirigerla a destra, come a sinistra, la può condurre nella vita, ma anche la può trascinare nella morte.

La persona la può elevare in dignità, ma può anche degradarla. La prima e la più grande responsabilità di un uomo è quella della sua vita.

Questo non si insegna. Anzi c’è oggi una mentalità diffusa secondo la quale o la nostra vita dipende interamente dagli altri, oppure che su di essa c’è un destino cieco che determina ogni cosa che in essa accade.

Questo principio è contro la nostra fede, che insegna che tutto è nella responsabilità della persona. Tutto è in aiuto alla persona. Niente è in sua sostituzione. Tutto deve cooperare al bene della persona. Niente può sostituirsi alla persona. Questa è la verità.

Paolo invita i cristiani a vigilare attentamente sulla loro condotta. Perché?

Loro possono dirigersi nel bene, o nel male, seguire Cristo o abbandonarlo, ascoltare la sua voce o quella della tentazione. Solo la persona è sempre con la persona. Gli altri non sono con la persona. Come fanno a vigilare, come fanno a scorgere la tentazione, come fanno a impedire il peccato?

Se uno non vigila, è in balia del male, non del bene. L’uomo è inclinato al male; verso il bene cammina solo con la forza della grazia e seguendo la luce di Cristo Gesù. Questa è la situazione dell’uomo.

Se uno non vigila attentamente, immediatamente si trova spostato sulla via del male, che lui percorre quasi naturalmente, illudendosi di essere nel bene, mentre in realtà altro non sta facendo che rinnegare Cristo e uscire dalla sua grazia, dopo essere uscito dalla sua verità, o viceversa: uscire dalla verità, dopo essere caduto nel peccato.

C’è un comportamento che è da uomini stolti e uno che è da uomini saggi. Il comportamento dell’uomo stolto è quello senza verità, senza volontà di Dio, senza giustizia e senza comandamenti.

Il comportamento dell’uomo saggio invece consiste nel ricercare sempre la volontà di Dio per compierla in ogni sua parte santamente, con tutta la carità che abita nel suo cuore, con tutta la forza dello Spirito che dimora in lui.

È questo l’unico comportamento consentito al cristiano. L’altro comportamento è il rinnegamento del suo cristianesimo e della sua appartenenza a Cristo Gesù.

La saggezza nasce però in noi attraverso due vie, che noi siamo obbligati a intraprendere: la via della preghiera e l’altra dell’ascolto della Parola di Gesù, che gli Apostoli ci trasmettono.

Se una di queste due vie viene omessa, tralasciata, inesorabilmente si scivola nella stoltezza.

È facile sapere se una comunità cristiana cammina nella stoltezza, o nella sapienza. È sufficiente interrogarsi quanta catechesi viene fatta e quanta preghiera viene elevata a Dio.

Se una persona non frequenta un corso di catechesi, se non prega, non può vivere di saggezza, perché lo Spirito Santo non la illumina, la Parola del Signore non governa la sua mente.

[16]profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.

A che serve il tempo che il Signore concede a ciascuno? Per Paolo non c’è dubbio: il tempo ci è dato per completare la nostra santificazione, per espletare il viaggio verso il cielo nella più grande saggezza.

A questo serve il tempo, non ad altro. Allora, se il tempo ci è dato perché noi realizziamo la nostra santificazione, ci facciamo ad immagine di Cristo Gesù, perché i cristiani vivono il tempo dedicando quasi interamente alle cose della terra? Perché non c’è in loro aspirazione verso il cielo?

La risposta è una sola: perché non c’è formazione adeguata, non c’è illuminazione sufficiente, perché anche il singolo si lascia facilmente tentare, perché non persevera sulla via della verità, perché l’inclinazione al male non si può vincere senza la preghiera personale.

Cristo Gesù ci ha dato tutto. Tutto quanto è necessario perché noi raggiungiamo il regno dei cieli è stato messo nelle nostre mani. Dio non può fare più altro. Il resto appartiene al singolo, alla persona. Paolo che sa questo, invita i cristiani a profittare del tempo presente, a sfruttarlo bene, a impiegarlo bene e come si impiega bene il tempo se non dedicandolo interamente alla costruzione del nostro uomo interiore?

Come si profitta del tempo, se non impegnandolo perché noi possiamo raggiungere il cielo ma nella più grande santità?

Il vero cristiano lo si vede dall’uso del tempo. Se non ha tempo per il Signore, non potrà mai essere un buon cristiano.

Non è un buon cristiano, perché non si serve dei mezzi che Dio gli ha fornito perché cammini spedito verso il regno dei cieli e questi mezzi sono: la preghiera, l’ascolto della Parola, le opere di misericordia, una vita intessuta tutta di carità, allo stesso modo che lo fu la vita di Cristo Gesù.

Fare della vita una scala per salire al cielo: è questa la regola della vita. Le altre regole sono tutte sbagliate, perché non conducono al cielo, ci fanno rimanere ancorati su questa terra.

Altra verità enunciata in questo versetto: i giorni sono cattivi. Perché i giorni sono cattivi e non santi?

Il giorno è in se stesso cattivo, perché da se stesso – poiché l’uomo vive nel regime del peccato – non conduce alla santità, alla verità, alla purezza, alla grazia, alla carità, all’amore, alla pazienza, alla perseveranza.

I giorni sono cattivi perché anche essi sono stati inquinati dal peccato dell’uomo. Tutto ciò che è nella creazione è stato inquinato dal peccato. I primi ad essere inquinati dal peccato sono stati gli Angeli. Gli Angeli hanno inquinato Eva, Eva ha inquinato Adamo, da Eva e da Adamo l’inquinamento di peccato è passato alla terra, al tempo, ai giorni.

Perché si liberino i giorni dalla cattiveria del peccato, occorre la santità del cristiano. Cristo ha santificato il cristiano, il cristiano è chiamato a santificare tutta la realtà creata. Come? Portando in essa la sua santità.

I giorni non sono cattivi oggi, saranno sempre cattivi, perché in essi c’è il germe del peccato e della morte. Ogni giorno è un giorno di morte per l’uomo e se l’uomo è senza Cristo i giorni altro non producono che cattiveria, morte, lutto, peccato, pianto.

Il cristiano porta nei giorni la santità di Cristo Gesù e questi si rischiarano di verità, di santità, di gioia, di pace, di serenità, di tanto amore e tanta carità, si riempiono di speranza.

Anche questa è vocazione del cristiano: liberare i giorni dalla loro cattiveria e condurli nella verità e nella santità di Cristo Gesù. Se il cristiano non lo fa, i giorni rimangono nella loro cattiveria e generano cattiveria, perché è l’uomo che la genera, l’uomo che è senza Cristo e senza Dio.

Anche questa è altissima responsabilità del cristiano: lui è chiamato ad essere la speranza del mondo, la speranza dei giorni. Sarà tutto questo se profittando del tempo presente, che è un tempo di morte, saprà profondere in esso tutta la verità e la carità che sono in Cristo Gesù. Così operando, lui porterà pace nel mondo e darà nuova speranza ai cuori.

La speranza è questa: il male si può vincere, la cattiveria dei giorni si può vanificare, annullare, la risurrezione di Cristo Gesù può abitare sulla terra e con essa la vittoria sul peccato e sulla morte.

[17]Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.

Paolo dopo aver enunciato il principio, dona anche la regola pratica perché lo si possa attuare.

Dobbiamo profittare del tempo presente, dobbiamo vincere la cattiveria dei giorni. Come?

Prima di tutto siamo esortati a non essere inconsiderati. Cosa significa esattamente essere inconsiderati?

Semplicemente essere di coloro che agiscono d’impulso, per sentimento, senza meditazione, riflessione, ponderazione, discernimento.

Si è inconsiderati quando si segue ogni idea che passa per la mente, ogni suggestione che l’altro ci invia, ogni indicazione che ci viene offerta da questo o da quello. Su questo punto bisogna dire che c’è molta superficialità, anche in campo pastorale e per questioni assai delicate.

Succede a volte che la prima proposta che viene fatta dal primo venuto, subito la si accetta, senza la necessaria valutazione, senza alcun discernimento. La si accetta come se fosse Parola di Dio.

Non appena poi si cerca di realizzarla, ci si accorge che non risolve nessun problema, nessuna questione riceve un esito buono.

Tutto questo accade perché non si riflette, non si pensa, non si operano quei dovuti discernimenti, perché non si vuole conoscere la situazione nella quale vive il popolo di Dio in una storia e in un luogo particolare.

L’agire da inconsiderati è il peggiore dei mali nella pastorale. Per questa imprudenza, perché proprio di imprudenza si tratta, si perdono anni di lavoro e quanto si fa risulta alla fine inutile, vano, infruttuoso.

Chi vuole vincere la cattiveria dei giorni deve essere prudente, saggio, intelligente oltre misura, discreto, attento osservatore della realtà, capace di tradurre il messaggio nel contesto culturale nel quale vive, soprattutto deve sempre evitare di pensare che ciò che è stato utile altrove sia utile anche nel luogo dove sorge lo stesso problema, ma con persone e con un retroterra culturale assai differente e diverso.

Su questo non ci sono dubbi. La parola del primo venuto non può costituire principio di azione e di operazione pastorale. La prima proposta, suggerita da questo o da quello nei consigli di vario genere, non può essere considerata la soluzione del problema.

Occorre che si ascoltino tutte le proposte, tutte le idee. Poi colui che ha la responsabilità della decisione, deve mettersi dinanzi a Dio e nella preghiera lunga ed accorata chiedere al Signore che sia Lui a operare quel sano discernimento necessario per rispondere alle attese di Dio e degli uomini.

A volte un mese di preghiera non è sufficiente e neanche due. A volte per certe decisioni da prendere occorre che si rifletta e si preghi a lungo, anche più mesi se necessario.

Soprattutto è però urgente che mai si decisa perché si è ascoltata questa o quell’altra proposta. La metodologia è una sola: si ascolta, si prega, si discerne, si prega, se necessario si ascolta nuovamente, si discerne, si prega e infine si decide.

Non essere inconsiderati è solo la parte negativa. La parte positiva consiste invece nel saper comprendere la volontà di Dio. Ma come si comprende la volontà di Dio?

La prima regola per la comprensione della volontà di Dio è conoscere la volontà di Dio.

Oggi questo è divenuto impossibile, perché la volontà di Dio non si conosce, perché non si conosce il Vangelo. C’è una parvenza di conoscenza evangelica, ma in verità il Vangelo non si conosce. Non lo si legge, non lo si medita, non lo si studia, non lo si considera come l’unica vera Parola di Dio dalla quale partire per dare significato di salvezza ad ogni altra parola che ascoltiamo.

Poiché senza Vangelo si è anche senza volontà di Dio. Chi è senza volontà di Dio non può mai comprendere la volontà di Dio, poiché la comprensione è susseguente alla conoscenza.

Si conosce la volontà di Dio, la si comprende. Se non la si conosce, non la si può neanche comprendere.

Poiché oggi il mondo ha dimenticato la Parola di Gesù, del Figlio della Vergine Maria, Madre della Redenzione, inutile sperare in una comprensione di essa.

Bisogna prima partire dalla conoscenza e la si conosce se la si annunzia, se la si ricorda. Una volta che questo è avvenuto, occorre tutta una metodologia e tutto un lavoro susseguente per la sua comprensione.

La prima forma per la comprensione della Parola e quindi della volontà di Dio è la catechesi. Questa forma di impartire l’insegnamento e la comprensione della Parola è indispensabile. Si può fare tutto nella Chiesa, ma se non si fa catechesi, si rimane sempre senza comprensione della volontà di Dio. Quanto si opera è solo pensiero dell’uomo, sua volontà, ma non certamente volontà di Dio.

Tutte le altre forme, compreso lo studio della teologia, sappiano che daranno la volontà di Dio all’uomo e la sua comprensione, se partiranno dall’ascolto della Parola. Qualsiasi insegnamento al popolo di Dio che non parte dalla Parola, è un insegnamento che non dona la volontà di Dio e quindi è un insegnamento vuoto, vano, se non dannoso e altamente pericoloso.