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La sede delle parole cattive. Il cristiano: l’uomo della parola creatrice. Dalle parole non sante al cuore non santo. È il cuore cattivo la sede delle parole cattive. La parola cattiva mostra che il nostro cuore è cattivo, ambiguo, appartiene all’uomo vecchio, non all’uomo nuovo. Il cristiano è l’uomo dal cuore nuovo, rinnovato, puro, santo, giusto; il cristiano è l’uomo dal cuore cristico, tutto di Cristo e della Madre sua. Se il suo cuore è di Cristo e di Maria, è il tempio dello Spirito Santo, sulle sue labbra devono stare solo parole di verità, parole creatrici, che portano la verità nei cuori e quasi la creino dentro, sempre però per opera dello Spirito Santo. Se questo non avviene, se le parole del cristiano non sono sante, manifesta e attesta al mondo intero che neanche il suo cuore è puro e santo. Le parole sono lo specchio del cuore. È sufficiente notare, osservare come uno parla, per misurare la santità del suo cuore. Vigila sulle parole, chi vigila sul cuore. Chi non purifica il cuore, non chiede allo Spirito Santo che gliene metta uno tutto nuovo, fiammante di verità e di carità, dirà sempre parole vane, che non producono salvezza in questo mondo; anzi distruggono quel poco che c’è, dove c’è.


Scomparire, perché? Ognuno di noi deve sapere quando fare una cosa e quando è il momento di non farla più, di essere in un luogo e quando di non esserlo più, quando esercitare un ministero e quando finire. Questo però non deve deciderlo l’uomo, bensì il Signore. È Lui il solo che può governare la vita del cristiano, se il cristiano gli ha offerto la sua vita. E il Signore con la sua somma saggezza, con la sua infinita sapienza, sa come governare la vita di quanti gliel’hanno consegnata. Uscire di scena, lasciare un’opera, un lavoro, una situazione, una mansione è il segno della libertà di Cristo che è divenuta libertà del cristiano. Restare o andare, camminare o sostare, ripartire o continuare non deve essere mai l’uomo a deciderlo; deve essere lo Spirito Santo a volerlo e lo Spirito Santo lo vuole ma è sempre l’uomo a discernere i segni della presenza della mozione dello Spirito nella sua vita. Per questo bisogna pregare senza interruzione perché sia sempre lo Spirito al timone della nostra vita e mai noi stessi. Lui faccia di noi ciò che gli è gradito per la gloria del Padre suo e per la redenzione del mondo. La salvezza non sempre è nel rimanere e l’obbedienza non è sempre nel partire. Rimanere e partire, salvare obbedire devono essere sempre grazia e volontà di Dio, in Cristo Gesù, per mezzo dello Spirito Santo.






CAPITOLO QUINTO





LA NUOVA VITA IN CRISTO



[1]Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,

È questa la nostra regola morale, l’unica regola.

Siamo figli carissimi di Dio. Come tale dobbiamo comportarci. Non basta però comportarsi come figli carissimi, bisogna imitare Dio.

L’imitazione necessita di contemplazione, di visione, di studio, di conoscenza. Più si conosce Dio e più lo si può imitare. Per conoscerlo bisogna frequentarlo.

Come si frequenta il Signore, come lo si conosce?

Gesù lo afferma con chiarezza. Il Vangelo di Matteo ha una parola inequivocabile:

In quel tempo Gesù disse: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.

Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,25-30).

La conoscenza di Dio è un dono di Cristo Gesù, che si ottiene mediante la frequentazione di Cristo.

Quando si conosce Dio? Quando Cristo ce lo rivela. Quando Cristo ce lo rivela? Quando avremo preso il suo giogo sopra di noi.

La via della conoscenza di Dio è la vita secondo la Parola di Cristo Gesù. Si conosce la Parola, la si vive. Man mano che penetriamo nella Parola, Cristo ci illumina con il mistero del Padre, ci fa conoscere il Padre. Conoscendo il Padre noi lo possiamo imitare.

Cosa ci ha detto già Cristo Gesù del Padre? Possiamo imitare il Padre da quanto è già in nostro possesso, crescendo in questa imitazione fino ad arrivare ad avere quella conoscenza tutta fondata sullo Spirito Santo che guida i nostri passi per il compimento di ogni volontà attuale di Dio sulla nostra vita? Possiamo con quanto conosciamo avviare un serio cammino di perfezione imitativa fino a raggiungere il sommo dell’imitazione, che sicuramente consisterà nel dono totale di noi stessi a Dio, alla stessa misura in cui Lui nel suo Figlio diletto si è dato totalmente a noi?

La risposta è affermativa. Possiamo imitare il Padre partendo da quanto Cristo Gesù ci ha già rivelato di Lui, da quanto conosciamo dallo studio della Parola della Scrittura.

Da quanto già conosciamo chi è il Padre?

La risposta semplice è questa: Il Padre è colui che ha fatto ogni cosa per amore dell’uomo. In questa opera d’amore ha impegnato tutto se stesso nel suo Figlio diletto, consegnandolo alla morte di croce per amore.

Farsi imitatori di Dio, quali figli carissimi, ha pertanto questo primo significato: fare ogni cosa per amore dei fratelli, consegnare la nostra vita alla morte di croce per la loro salvezza.

Si imita il Padre se si fa della nostra vita un dono d’amore, un sacrificio e un’oblazione per la redenzione dell’uomo.

Se per la nostra redenzione il Padre ha dato il suo Figlio unigenito, per la stessa redenzione dona ogni altro suo figlio carissimo. Perché Dio si possa donare all’opera della salvezza, è necessario che noi ci doniamo e ci doniamo allo stesso modo in cui Lui si è dato a noi: totalmente, senza riserve. Lui non ha risparmiato il suo Figlio Unigenito, noi non dobbiamo risparmiare la nostra vita.

È questa la prima imitazione di Dio. Per Paolo imitare Dio inizia con la libertà da ogni peccato, sia mortale che veniale, sia nel nostro corpo sia fuori di esso, sia con parole che con opere e omissioni.

L’imitazione di Dio inizia dalla ricerca della sua santità. Dio è il Santo, il cristiano lo imita nella santità. Dio è la carità, il cristiano lo imita nella carità. Dio è la verità, il cristiano lo imita nella verità. Dio è il dono d’amore, il cristiano lo imita facendosi dono d’amore per il mondo intero.

[2]e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

Viene ora specificato dettagliatamente cosa vuol dire per Paolo imitare il Signore.

Dio è carità, amore eterno, amore che si dona. L’uomo deve camminare nella carità. Anche lui deve donare se stesso.

L’immagine da imitare è quella di Cristo Gesù. Gesù è dall’amore eterno di Dio. Per amore del Padre e dell’uomo si fece carne. Nella carne ha dato tutto se stesso.

Il cristiano è chiamato ad amare, facendosi anche lui dono, donando tutto se stesso, alla maniera di Cristo Gesù e qual è la maniera di Cristo Gesù?

Egli si è offerto a Dio in sacrificio di soave odore, si è fatto cioè vittima d’amore per il Padre suo in nostro favore.

Farsi vittima significava venire uccisi davanti al Signore sia come sacrificio per il peccato, sia come sacrificio di comunione tra Dio e l’uomo.

Cristo si è fatto l’uno e l’altro sacrificio. Si è fatta vittima di espiazione per i peccati del mondo intero; si è fatta vittima di comunione, cioè eucaristia, cibo e bevanda di vita eterna per ogni uomo.

Il cristiano, se vuole camminare nella carità di Dio e di Cristo, anche lui deve farsi vittima per il peccato e vittima di comunione. Deve cioè consumare se stesso, divenendo un sacrificio, un dono di Dio per il mondo.

Concretamente questo come si realizza? Facendosi obbediente a Dio anche lui fino alla morte e alla morte di croce; vivendo ogni cosa per amore, facendo della sua vita un dono d’amore per gli altri.

Cristo non visse per se stesso, visse per noi, per noi nacque, per noi morì, per noi è risorto, per noi è asceso al cielo.

Il cristiano che vuole imitare Cristo Gesù deve vivere solo per amore, per fare della sua vita un dono d’amore ai fratelli, ma compiendo in tutto la volontà di Dio, perché è solo nell’obbedienza a Dio che si diventa vittima e sacrificio di salvezza per il mondo intero.

La finalità che ha dato Gesù alla sua vita – ne ha fatto una vita per noi – questa stessa finalità deve essere data dal cristiano alla sua vita.

Allora non si tratta di fare qualcosa per gli altri e qualcosa per se stesso; si tratta invece di vivere per gli altri, ma si può vivere per gli altri solo compiendo la volontà di Dio, perché è il Signore il nostro Padrone ed è sempre Lui che decide come la nostra vita debba essere spesa per gli altri, come debba essere sacrificata per la salvezza del mondo intero.

Oggi che l’uomo vive senza alcun riferimento a Dio, vive come se Dio non esistesse, diviene per lui difficile amare, anzi impossibile.

Cristo si è fatto strumento della carità del Padre, si è messo nella sua volontà. Il cristiano anche lui è chiamato a farsi strumento della carità del Padre; anche lui pertanto deve mettersi nelle mani del Padre, alla maniera di Cristo Gesù, come suo corpo, mosso e guidato solo dallo Spirito Santo.

Può farsi strumento nelle mani di Dio solo chi rinnega se stesso, si annulla nei suoi pensieri, fa della volontà di Dio la sua volontà e del comando del Signore il sentiero su cui camminare per salire sul monte del suo sacrificio.

[3]Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi;

Diventa impossibile imitare Dio, alla maniera di Cristo Gesù, se prima non si libera la nostra vita da tutto ciò che non è amore.

Prima bisogna mettere ogni impegno, ogni sforzo, ogni attenzione a pulire la nostra vita da tutto ciò che non è amore, ma egoismo, non è libertà ma schiavitù del peccato, non è sacrificio ma sottrazione della nostra vita a Dio per consegnarla al peccato e alla morte.

Se non c’è un vero cammino di liberazione dal male, la nostra vita sarà sempre sottratta alla carità di Dio e consegnata all’egoismo del peccato.

Il peccato toglie la nostra vita a noi stessi e ne fa uno strumento di male per noi stessi e per il mondo intero.

La carità è dono della nostra vita a Dio perché ne faccia uno strumento di amore a beneficio del mondo intero.

Il peccato distrugge, disgrega, causa morte, provoca distruzione. La carità invece edifica, innalza, costruisce, salva, genera vita eterna in tutti coloro che si lasciano conquistare da essa.

Il primo peccato a cui dobbiamo sottrarre la nostra vita è la fornicazione, che è l’uso del corpo fuori del matrimonio, santamente celebrato dinanzi a Dio e agli uomini, nella forma che per noi è solo quella canonica. Tutte le altre forme non sono conosciute dalla Chiesa come matrimonio valido dinanzi a Dio.

Nessun rapporto sessuale è consentito al cristiano se non quello tra un uomo e una donna santamente uniti in matrimonio davanti a Dio. Ogni altro rapporto è fornicazione. È fornicazione tra uomo e donna; mentre è abominio – così lo definisce il Signore se commesso tra uomo e uomo, o tra donna e donna – peccato cioè gravissimo, di gravità inaudita. L’omosessualità è uno dei peccati più gravi che insudiciano la terra.

L’impurità invece è anche all’interno del matrimonio, se si vive il rapporto fuori di quelle che sono le regole sante e la prima regola è quella di non fare della persona umana un oggetto di soddisfacimento dei propri istinti sessuali.

L’impurità ha un campo molto vasto; se unita poi alla cupidigia, come in questo caso, abbraccia ogni genere di desiderio che non sia il desiderio di compiere solo la volontà di Dio.

Ogni attaccamento disordinato a cose, persone, anche al proprio corpo, è peccato grave dinanzi a Dio. Da ogni desiderio cattivo, da ogni concupiscenza, da ogni altra volontà che contrasta i comandamenti e le beatitudini il cristiano si deve astenere, perché è già peccato solo il desiderare le cose cattive, o anche desiderare le cose buone, ma fuori dell’ordine stabilito da Dio.

Anche il desiderio di una cosa buona potrebbe essere cupidigia, se va oltre le nostre reali possibilità, o se non serve direttamente e necessariamente alla conduzione bene ordinata della nostra vita.

Queste cose non solo non bisogna farle, neanche se ne deve parlare. Ci si deve astenere dal parlarne, perché la parola dell’uno potrebbe suscitare nel cuore dell’altro il desiderio cattivo e quindi lo potrebbe orientare verso il male.

Molti vizi, che poi vengono attribuiti alla natura, sono solo cattive abitudini prese proprio a motivo del desiderio o dello scandalo provocato da altri, da una parola detta, da un gesto fatto, da una tentazione subita e alla quale si è ceduto, anche se in primis non si conosceva la gravità del male che si stava commettendo, specie quando si è ragazzi e ancora si vive in uno stato di non perfetta padronanza della propria coscienza.

Ogni cristiano è obbligato, per quanto dipende da lui, ad astenersi da ogni parola su questi argomenti, specie quando è detta per scherzo o per burla, o anche per far ridere.

In questo argomento bisogna osservare la più stretta scrupolosità e questo al fine di evitare di insinuare malizia e desideri cattivi, specie in quelli che sono ancora piccoli nella fede.

I santi devono parlare di santità, non è consentito loro parlare del peccato e soprattutto non è consentito loro scherzare sul peccato.

Su quanto offende gravemente il Signore non si può ridere, né scherzare. Si scherzerebbe e si riderebbe su Dio.

[4]lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!

Dall’azione e dal desiderio si era passati alla parola. Paolo ci chiede di essere vigilanti nel parlare di certi peccati che si commettono.

Ora ci chiede una totale santità nelle parole che diciamo.

Volgarità, insulsaggini, trivialità: è quel linguaggio assai grasso, condito in abbondanza con parole di bassa lega che non meritano di stare sulla bocca di un figlio di Dio.

È anche quel linguaggio vano, misero, fatto di pettegolezzi, di giudizi affrettati, di frase scombinate, di parole non vere, non sante. Anche questo linguaggio non è degno di stare sulla bocca di un figlio di Dio.

La santità del linguaggio manifesta la santità del cuore. Per questo occorre mettere ogni attenzione a che il nostro linguaggio sia sempre puro, vero, giusto, onorato, di alto livello. Il nostro linguaggio deve essere sempre di salvezza, di redenzione, di santificazione.

Deve essere un linguaggio che manifesta Dio, lo rivela, lo rende desiderabile.

Non si insisterà mai abbastanza sulla forza che contiene in sé la parola: per essa si possono fare santi, ma anche peccatori; per essa si può elevare una persona e per essa la si può anche abbassare. Il cristiano deve fare della sua parola uno strumento di salvezza, di redenzione, di santificazione, di manifestazione di Dio, sempre, in ogni momento.

La parola del cristiano deve essere pura sempre, anche a motivo dello scandalo dei piccoli. Un adulto potrebbe dire una parola, insignificante per lui, ma provocatrice di sensazioni non buone per l’altro.

Per questo urge fare molta attenzione ad ogni parola che esce dalla nostra bocca. Lo richiede la santità della nostra condizione, lo esige la condizione del fratello che deve essere condotta nella santità e in essa rimanere per sempre.

Anche se non è direttamente peccato, è sempre sconveniente per il cristiano una parola non santa sulla sua bocca, specie quando si esce dall’ambiente assai ristretto e si entra nella folla, dove c’è ogni genere di persone.

Cosa deve fare della sua parola il cristiano? Uno strumento per rendere grazie a Dio. La parola serve al cristiano per elevare i fratelli nella verità, per lodare, benedire, ringraziare, esaltare il Signore.

La santità è esigente. Esige che ci si liberi anche di una parola che non si addice sulla bocca di uno che ama il Signore e che per questa parola potrebbe essere giudicato male.

Che il Signore ci conceda questa santità, ma che prima ci convinca dell’esigenza della sua santità e di tutti i suoi obblighi nei riguardi del mondo intero.

[5]Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio.

Il regno dei cieli è fatto solo per i santi, per coloro che hanno messo ogni impegno per raggiungere la loro santificazione.

Quanti non hanno messo nessun impegno a liberarsi dal peccato e a edificare se stessi nella carità di Cristo, fino al raggiungimento della più alta perfezione, costoro non possono entrare nel regno dei cieli.

Non entreranno, perché durante la loro vita non sono voluti entrare nella santità di Cristo Gesù, non hanno voluto vivere da santi nel suo corpo santissimo.

Alla fornicazione e all’impurità che esclude dal regno dei cieli, come anche alla cupidigia Paolo ora vi aggiunge anche l’avarizia.

Fornicatori, impuri, avari, cupidi non entreranno nel regno dei cieli. Ma cosa è l’avarizia che esclude dal regno di Dio?

L’avarizia è l’uso disordinato delle cose di questo mondo, anzi è il non uso ordinato del denaro e delle ricchezze del mondo.

L’avaro racchiude il suo cuore nelle sue ricchezze, ne fa un oggetto di possesso e di contemplazione e pensa che in esse e nella loro contemplazione è la sua vera gioia.

L’avaro non solo non usa per il proprio bene o per il bene dei suoi familiari le ricchezze che possiede. Non le usa, più ne ha e più ne vuole, ma per contemplarle, per sentirsi al sicuro, per beatificarsi della loro vista. Lui gioisce quando vede i suoi tesori. Questa è la vita dell’avaro e poiché più ha e più vuole avere, l’avarizia è la negazione assoluta della carità.

La carità è vivere una vita interamente per gli altri con ogni bene che si possiede. L’avarizia è invece sottrarre la vita agli altri e i beni che si possiedono solo per la nostra sete di possesso.

È questo il motivo per cui l’avaro non entra nel regno dei cieli.

Peccato che oggi la morale si è contraffatta a tal punto da non insegnare più queste cose.

Se la Chiesa non riprende in mano il vero insegnamento della verità, dei vizi e delle virtù, di ciò che ci conduce nel regno e di ciò che ci esclude, noi lavoriamo invano, per nulla consumiamo le nostre energie. Facciamo una cosa inutile quando non liberiamo gli uomini dai vizi e non costruiamo in essi le sante virtù.

Paolo definisce idolatri coloro che fanno queste cose. Perché sono idolatri e cosa è l’idolatria?

L’idolatria è l’adorazione del nulla. L’idolatria è anche la fondazione della nostra vita sul nulla. L’idolatria è dare al nulla la potestà di governare la nostra vita.

La vita non è piacere, ma rinunzia; non è avidità, ma libertà da ogni desiderio; la vita non è possesso, ma donazione, elargizione.

La vita non è nelle cose ma in Dio; non è nelle persone, ma in Dio: non è in noi stessi, ma in Dio; non è nel nostro corpo, ma nel corpo di Cristo; non è sulla terra, ma nel cielo.

Quando noi facciamo delle cose, delle persone, di noi stessi, del nostro corpo o del corpo degli altri, della stessa terra una fonte di vita per noi, noi siamo semplicemente idolatri.

Adoriamo il nulla e pensiamo che esso sia fonte e principio di gioia per noi. La gioia è solo nel Signore, nella verità, nella rinunzia, nell’abnegazione, nel sacrificio, nel dono della nostra vita a Dio, dopo averla liberata da ogni vizio e da ogni peccato, perché ne facciamo uno strumento per la sua gloria e per la redenzione del mondo intero.

[6]Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono.

C’è un’azione che è nel cristiano e che è peccaminosa. Questa azione deve essere espulsa dalla sua vita.

C’è anche un’azione del cristiano che dalla sua vita potrebbe provocare danni nella vita degli altri.

È regola di santità evitare tutto ciò che con parole e azioni, o anche con omissioni, potrebbe recare un danno spirituale nei fratelli.

Per questo è giusto che il cristiano valuti ogni pensiero, ogni parola, ogni opera, ogni omissione, in modo che niente possa intralciare per causa sua, neanche per inavvertenza, il cammino di santità dei suoi fratelli nella fede.

Questo è obbligo permanente, che mai viene meno, Né in privato e né in pubblico. È obbligo anche che fa la sua santità. Se l’amore è donazione totale per l’altro, se la carità è privazione per arricchire l’altro, chi vuole amare sino in fondo si deve privare anche di una parola o di un gesto, per amore dell’altro, per carità. È carità volere la santità dell’altro. Ma è anche carità costruirla sempre nell’altro, anche a costo della nostra morte, figuriamoci poi se dobbiamo privarci dal dire parole o fare altro che potrebbe in qualche modo essere di intralcio all’opera di santificazione di Dio nel cuore dei fratelli anche attraverso la nostra strumentalità.

Di questo dobbiamo essere certi, anzi più che certi.

Ma c’è un’azione che dagli altri si riversa su di noi. Come ci dobbiamo comportare di fronte ad una simile azione?

Ci sono vani ragionamenti che giungono al nostro orecchio. Paolo ci dice di non lasciarci ingannare.

Perché questo non avvenga, è necessario possedere una certezza infallibile: è vano ragionamento tutto quanto non è Parola di Dio o spiegazione di essa secondo la fede della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Quando non si possiede questa certezza infallibile, neanche si percepisce che il ragionamento è vano e facilmente gli si presta fede.

Con quale risultato? Quello della perdita della nostra anima. Si smarrisce la via della verità e ci si inoltra su sentieri di morte.

È ragionamento vano ogni parola che non genera salvezza, non produce santità in noi, non ci radica indistruttibilmente nella verità, non provoca in noi il desiderio di amare Dio.

Inoltre il vano ragionamento, se ascoltato, turba il buon andamento della nostra vita spirituale, perché insinua nella mente pensieri non buoni, non santi, non giusti, non onesti, non veri.

La mente viene sopraffollata di tante idee non buone che tolgono spazio a quelle buone e vitali. Meno idee vane si mettono nel cuore e più spazio c’è in noi per accogliere la verità di Dio.

Oggi c’è una pioggia battente di ragionamenti vani che bussano alla porta del nostro cuore e della nostra mente. Beato quell’uomo che sa tenersi lontano da essi. La sua anima ne riceve un beneficio non indifferente. Non viene turbata nella sua ricerca e meditazione della verità.

Il ragionamento vano diventa anche mortale, quando attraverso di esso, direttamente, non solo indirettamente si toglie la verità di Dio dal cuore e dalla mente e al suo posto si mette la falsità, la menzogna, l’inganno su Dio e sulla sua verità di salvezza.

Questo fece il diavolo nel Paradiso terrestre, questo fanno tutti i seminatori di falsità e di scandalo nel mondo.

I seminatori di falsità ci sono stati e ci saranno sempre; coloro che spargono pensieri e ragionamenti vani sulla terra come il seminatore semina il suo seme nel campo ci sono stati e ci saranno sempre; coloro che provocano scandalo e seminano strage di peccato nella mente e nel cuore, ci sono stati e ci saranno sempre, fino alla consumazione del mondo.

Chi deve guardarsi è il cristiano, l’uomo di Dio, il fedele discepolo di Gesù. Paolo è assai esplicito: spetta a noi non lasciarci ingannare. Questo è il nostro dovere.

La via e la regola perché questo non accada è già stata detta: procedere sempre con una verità infallibile nel nostro cuore e la vittoria sarà di sicuro nostra.

Se c’è un pericolo di non salvezza per coloro che si lasciano abbindolare, c’è già una sentenza di morte eterna su tutti coloro che resistono al Signore e con ogni mezzo cercano di distogliere dalla verità e dalla giusta adorazione quanti già credono e sono convertiti al Vangelo della grazia.

Tutti questi seminatori di vanità, di falsità, di inganno, di ambiguità, di imbrogli dottrinali, di confusione veritativa e di ogni altro attentato alla purezza della fede, sappiano che per loro la sentenza è già scritta: su di loro incombe l’ira di Dio e la sua ira, se non viene placata con una conversione e con degni frutti di penitenza, ha una sola sentenza: la morte eterna per tutti coloro che praticano queste cose.

Inutili farsi illusioni: costoro possono sfuggire alla legge degli uomini, possono farla franca dinanzi a quanti ci governano su questa terra; non possono però sfuggire al giudizio di Dio che giudica ognuno secondo giustizia perfetta e dona a ciascuno secondo le sue opere.

Per costoro, o conversione e penitenza, oppure la dannazione eterna nell’inferno. Questa è la sorte per tutti coloro che attraverso la loro parola distolgono un cristiano dall’amare Dio secondo verità e giustizia, in tutto conforme alla parola che Lui ha dato nel suo santo Vangelo e che giorno per giorno ci illumina a comprendere e a interiorizzare per opera del suo Santo Spirito.