00 02/11/2018 18:25

Nella misura che conviene alla piena maturità in Cristo: il cristiano nel realizzare in lui l’uomo perfetto, non può pensare, né immaginare di essere in tutto come Cristo Gesù.


C’è una differenza sostanziale tra noi e Lui che non possiamo mai colmare. Noi possiamo realizzare l’uomo perfetto solo in Lui, con Lui, per Lui. Possiamo realizzarlo nella misura che conviene alla piena maturità in Cristo.


Cosa ci vuol dire Paolo con questa espressione? In Cristo ognuno deve raggiungere la piena maturità.


Questa maturità non è assoluta come quella di Cristo e della Madre sua, oltre la quale non è possibile andare.


La nostra piena maturità in Cristo ha un limite, è il limite della misura convenevole. Ma qual è la nostra misura convenevole? La risposa Paolo ce l’ha già data, quando ha affermato che ad ognuno è concessa una particolare grazia di Dio, al fine di edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa.


La misura convenevole è pertanto lo sviluppo del dono ricevuto, la messa a frutto della grazia di Dio che ci è stata concessa. Questo conviene a noi fare e secondo questa convenienza si raggiunge la piena maturità in Cristo.


La maturità in Cristo è piena, ma personale; è piena perché la grazia concessa deve sviluppare ogni sua energia di santificazione e di edificazione del corpo di Cristo. Su questo non possono esserci dubbi.


È personale, quindi differisce dalle altre maturità, perché il dono della grazia è personale. Nessuno può agire, se non in misura del dono ricevuto. Ciò che non è dono ricevuto non può essere messo a frutto.


La maturità pertanto, pur restando piena maturità, differisce, è diversa l’una dall’altra, a motivo del dono diverso che ci è stato dato. È maturità piena perché qualunque dono noi abbiamo ricevuto, questo dono per una via personale, unica, deve condurci alla morte di Cristo, al fine di produrre frutti di vita eterna per il mondo intero.


Tutti siamo chiamati a compiere in noi il mistero della morte e della risurrezione del Signore, ma attraverso un dono di grazia e quindi per la via di una missione differente, personale, unica.


Se questa è la nostra vocazione, perché si è ridotto il cristianesimo all’osservanza di qualche legge morale? Perché non c’è più il legame vitale con Cristo? Perché Cristo non è più l’uomo perfetto che dobbiamo realizzare in noi realizzando noi stessi in Lui?


Questo accade, è accaduto, accadrà sempre, in ragione della separazione tra vita morale, vita santa, vocazione del cristiano e Cristo Gesù.


Se vogliamo invertire la tendenza, dobbiamo partire non dalle esigenze della vita morale, ma dalla vocazione del cristiano.


Bisogna sapere qual è la nostra vocazione e allora inizieremo seriamente a pensare a Cristo Gesù.


Se la mia vocazione è quella di realizzare in me l’uomo perfetto, Gesù Cristo nostro Signore, è giusto, anzi indispensabile che io conosca Cristo, ma che lo conosca secondo verità.


Inoltre se devo realizzare la piena maturità in Cristo è obbligatorio che pensi la mia vita nella vita di Cristo e secondo questa vita iniziare a costruire la mia vita in Cristo Gesù e la vita di Cristo Gesù in me.


Da questa via dobbiamo partire se vogliamo raggiungere l’unità. La vocazione può aiutarci, ci deve aiutare a scoprire Cristo, a realizzare Cristo. Per fare questo dobbiamo amare la nostra vocazione e seguirla offrendo per la sua realizzazione, il suo compimento perfetto la nostra vita sul legno della croce.






[14]Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore.

Perché è giusto, anzi doveroso, più che doveroso, obbligatorio raggiungere l’unità della fede e della conoscenza di Cristo Gesù? Perché dobbiamo costruire in noi l’uomo perfetto secondo la misura che conviene alla piena maturità in Cristo?

La salvezza viene dalla stabilità del nostro cammino, dalla perseveranza nella verità. La salvezza ci viene dalla realizzazione di Cristo in noi e di noi in Cristo.

Quale stabilità, quale perseveranza vi può essere nell’errore, nella falsità, nelle dottrine degli uomini che soffiano come vento sulla nostra testa e che cambiano di giorno in giorno, modificando le forme esterne, ma restando intatte le strutture interne, che sono nella totale assenza di verità e del mistero della salvezza di Cristo Gesù?

Quando non si è ancorati sulla verità di Cristo, che per noi è la roccia eterna sulla quale costruire la nostra casa, non appena soffia qualche vento di dottrina umana, subito l’uomo si lascia afferrare da esso.

La verità è l’unica roccaforte che ci protegge dall’inganno degli uomini. L’unica verità che ci salva dalla menzogna umana, è la conoscenza dell’essenza e del mistero di Cristo Gesù.

Quando non si progredisce nella conoscenza di Cristo, l’uomo, i suoi inganni, le sue astuzie, le sue ambiguità, ogni altro ritrovato di mente umana, che è sempre ingannevole e astuto, riesce a trascinarci nell’errore, è capace di stringerci nelle sue spire.

La Chiesa per un certo tempo ha lasciato di formare i suoi fedeli nella conoscenza di Cristo. Si è limitata a dare delle indicazioni di ordine assai pratico. Qual è il risultato? Molti dei suoi figli sono dei transfughi, dei disertori. Stanno abbandonando il cristianesimo per rifugiarsi nelle sette.

Qual è il rimedio contrario perché si ritorni nel cristianesimo e si abbandoni le sette? Nessuno valido, perché tutti i ritrovati della scienza teologica e pastorale sono tutti concepiti nella non formazione al mistero di Cristo Gesù e alla conoscenza secondo verità della sua Persona e della sua opera.

In questo siamo tutti responsabili, in quanto abbiamo contribuito tutti a formare un cristiano senza Parola di Cristo, il che equivale a formare senza Cristo.

Si chiede al cristiano l’osservanza di qualche principio morale, ma si dimentica di manifestargli, di rivelargli, di insegnargli qual è la sua missione, secondo quale misura realizzarla, qual è il fine della sua vita e cosa Cristo significhi per lui, anzi deve necessariamente significare, se vuole entrare lui nella salvezza e cooperare in Cristo perché altri vi entrino.

Invece c’è una sola via per evitare al cristiano il suo totale dissanguamento spirituale, la caduta e la morte spirituale nell’errore che è preludio di morte eterna, di dannazione nell’inferno, riservato a tutti coloro che hanno rinnegato Cristo e non lo hanno confessato dinanzi agli uomini.

Questa via è il ricordo della Parola. Nella Parola c’è il mistero di Cristo, c’è la conoscenza di Cristo, c’è la vocazione dell’uomo, c’è la sua santificazione, c’è la protezione dall’errore e dall’ambiguità delle dottrine degli uomini. Tutto è nella Parola e dalla Parola dobbiamo partire, se vogliamo costruire attorno al cristiano una torre di bronzo contro ogni attacco di certi venti impetuosi di dottrine umane e di falsità, ambiguità, ipocrisie, che dove passano distruggono più che le cavallette delle piaghe d’Egitto.

Il ricordo della Parola solo la Chiesa lo può fare. Il modo vero per farlo è che essa stessa entri nella Parola: l’ascolti, la viva, l’annunzi in ognuno dei suoi figli.

In questo versetto viene espressa una verità che dobbiamo tenere sempre a mente.

Nell’uomo che propaga la falsità non c’è ingenuità. C’è astuzia, quindi intelligenza orientata, finalizzata, all’inganno, all’errore. L’inganno e l’errore spesso sono studiati, meditati. Non sono spontanei, ma riflessi.

Questo va detto contro ogni facile giudizio di giustificazione di tutti coloro che non solo sono caduti in questo errore, ma che poi si sono fatti e si fanno strumenti per la sua propaganda.

Quando c’è propaganda, c’è astuzia. Quando c’è inganno c’è astuzia. L’astuzia è peccato contro l’uomo e offende gravemente Dio.

Chi è facile a giustificare e quasi a dichiarare “santo” l’inganno, l’astuzia, il vento di dottrine, è già lui stesso fuori del mistero di Cristo Gesù. Questa è la verità che si può facilmente constatare, appurare, verificare, vedere, osservare.

Possiamo quindi non essere sballottati. Se lo diveniamo, la responsabilità è solo nostra, è anche di quanti non ci hanno formati nel mistero di Cristo Gesù.

[15]Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo,

In queste parole è racchiuso tutto il cammino di ascesi del cristiano.

Il cristiano deve vivere secondo la verità. La verità è la volontà di Dio, manifestata tutta in Cristo Gesù.

Per il cristiano non c’è altra verità al di fuori della volontà di Dio. Poiché la volontà di Dio è stata tutta resa manifesta da Cristo Gesù e in Cristo Gesù, non c’è altra volontà di Dio se non in Cristo Gesù.

Dio è carità, amore. La volontà di Dio è carità, amore. La verità di Dio altro non è che la sua volontà che si fa dono d’amore per noi, in noi altro non è se non la nostra volontà di trasformare in amore la verità ricevuta.

Poiché la verità ricevuta è Cristo crocifisso, la nostra carità, la nostra verità è trasformare in Cristo la nostra vita in un atto perenne di amore.

La verità Dio ce l’ha trasmessa sotto forma di amore. Cristo carità e verità del Padre si è dato a noi interamente. Il cristiano lo riceve, lo trasforma in sua propria vita e trasforma la sua propria vita in un dono di verità e di amore per il mondo intero. Questo significa vivere la verità nella carità.

Potremmo tradurre: vivere di Cristo in Cristo, vivere la Parola di Cristo secondo la modalità di Cristo, o semplicemente vivere il nostro dono d’amore per il Signore nella verità che ci ha insegnato Cristo dall’alto della croce.

La verità di Cristo è la sua croce. La croce trova la sua forza nell’amore. Per amore Cristo si consegna alla croce. Questa è la carità nella verità e la verità nella carità.

La verità e la carità non la detta la coscienza. La detta il Vangelo. È quella l’unica regola scritta di come si vive la carità nella verità e la verità nella carità.

Non ci sono cose particolari che il cristiano deve fare, cose particolari che deve evitare.

Tutto ciò che non è conforme alla verità del Vangelo non è per lui, non potrà mai divenire regola di carità, di amore, di servizio.

Ogni cosa che l’uomo fa, deve essere informata di verità, deve avere come unico fine la stessa carità di Cristo Gesù.

Per questo in ogni cosa che il cristiano fa, deve mettere la verità e la carità di Cristo, tenendo sempre fisso lo sguardo verso Cristo, tendendo verso di Lui, verso di Lui anche crescendo.

Il cristiano cresce verso Cristo, tende verso di Lui se in ogni cosa vi mette la carità di Cristo e la sua verità.

È questo l’impegno cristiano che dura tutta una vita. Non un giorno, non due giorni, ma sempre. Sempre verso Cristo, vivendo la verità nella carità, facendo ogni cosa secondo questo principio di vita, avendo dinanzi agli occhi la forma di Cristo, il suo esempio, facendo di Lui il nostro unico modello.

Ma Cristo Gesù non è solo il nostro esempio, il nostro modello, l’unica immagine perfetta di come si vive la verità del Padre secondo l’immensità del suo amore, che giunge fino a dare la vita per Lui.

Cristo è anche il nostro capo. Sappiamo cosa Paolo intende dire con questa espressione: noi siamo il corpo di Cristo. Cristo è il capo di questo corpo.

La volontà nel corpo è del capo. È da esso che ogni membro riceve il pensiero, la mozione della propria azione.

È sempre il capo che coordina ogni movimento e tutti i movimenti delle singole cellule, dei singoli membri.

Se un membro non riceve più energia dal capo, è un membro che non vive più la vita del corpo. È un membro ammalato. Ma il cristiano non solo deve vivere una vita piena di verità e di carità nel corpo di Cristo, in questa vita deve raggiungere la perfezione che fu di Cristo, deve raggiungere il dono totale di sé a Dio per amore, per obbedienza.

[16]dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.

Tutto si riceve dal capo. Il capo regola e orienta tutta la vitalità del corpo. Ma il corpo che ha di particolare? Come funziona? Ogni cellula, ogni membro forse cammina per se stesso senza alcun riferimento con le altre cellule, con le altre membra? Anche a proposito del corpo conosciamo il pensiero di Paolo, che qui riassume brevemente.

Prima di tutto bisogna dire che il corpo è una realtà armoniosa, compaginata e connessa. Possiamo tradurre: ogni membro non riceve l’energia direttamente dal capo, per poter svolgere la sua particolare funzione, la riceve dalle altre membra. Per cui ogni membro è necessario all’altro per ricevere l’energia e per donarla. Ogni membro è dall’altro e per l’altro. Questa la prima specificità del corpo di Cristo Gesù.

La seconda verità è questa: il fine del corpo non si raggiunge attraverso l’attività di una sola cellula, o di un solo membro. Il fine il corpo lo raggiunge attraverso la compaginazione e la connessione di tutte le sue membra, di tutte le sue cellule. Ogni membro e ogni cellula aiutano il corpo a raggiungere la sua finalità nella loro comunione di vita.

La collaborazione è la vita del corpo. L’isolamento, la solitudine, la separazione, la scissione, l’invidia, la gelosia, la superbia e ogni altro peccato, altro non fanno che impedire al corpo di raggiungere la finalità, che è una sola: manifestare al mondo tutta la verità e tutta la carità crocifissa di Cristo Gesù.

Tuttavia c’è ancora una specificità, o particolarità che dobbiamo evidenziare: ogni membro, anche se riceve energia e vita dagli altri membri, deve dare al corpo e quindi agli altri membri, la sua particolare energia, la sua particolare vita, il frutto dell’energia e della vita che il Signore ha posto in esso, perché la sviluppi, la faccia crescere, la porti a maturazione.

Non si dimentichi mai la legge della vita delle cellule o delle membra del corpo di Cristo. Ognuno ha ricevuto un particolare dono di grazia, una particolare manifestazione della verità e della carità di Cristo Gesù, ognuno deve esercitare un suo particolare ministero ed è il frutto di questo ministero che bisogna dare ai fratelli, perché crescano in modo da edificare se stessi nella carità.

Per intenderci: se l’apostolo non opera il discernimento nella verità, tutto il corpo cresce nell’errore; se il profeta non indica al corpo la via da percorrere, quella voluta da Dio, il corpo è senza cammino attuale; se il maestro non spiega, non insegna la verità, il corpo anche se cammina e pur essendo guidato dall’apostolo del Signore, ad un certo momento potrebbe trovarsi su una via, sulla via di Dio, ma non corroborato, non sorretto dalla verità di Cristo Gesù.

Il corpo è chiamato ad edificare se stesso nella carità. Ogni membro nel corpo di Cristo deve edificare se stesso nella carità. Perché questo avvenga è necessario che ognuno mentre edifica se stesso nella carità, impegni ogni sua energia perché doni agli altri il frutto della sua grazia, senza la quale tutte le altre cellule, o membra, sono privati di quella forza di vita senza la quale diviene impossibile potersi edificare nella carità e cooperare all’edificazione di tutto il corpo nella carità.

Nessuno nella Chiesa può pensare di essere sufficiente a se stesso. Nessuno si edifica da se stesso, o edifica solamente gli altri, senza aver bisogno per se stesso degli altri. Chi avesse un tale pensiero, sappia che non è nella verità di Cristo Gesù, non è inserito vitalmente nel suo corpo. La sua appartenenza al corpo di Cristo è vana e il suo lavoro inutile.

Chi vuole costruire se stesso nella carità, deve edificarsi nella verità e la verità è una sola: il carisma dell’altro è la nostra vita, perché è in esso il germe della carità che deve essere fruttificata in noi e attraverso noi.

Che il Signore conceda ad ogni membro del corpo di Cristo l’umiltà di volersi servire della verità dell’altro, del ministero e del carisma dell’altro, perché il suo personale carisma produca frutti di salvezza per il mondo intero.



LA SANTITÀ CRISTIANA



[17]Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente,

La fede in Cristo Gesù, nella suo mistero di morte e di risurrezione, l’essere suo corpo, aver ricevuto una vita nuova, comporta una differenza sostanziale con quanti ancora non sono cristiani, con coloro che sono rimasti nella loro vecchia natura, nell’uomo vecchio.

La prima differenza tra il cristiano e il pagano – chiunque esso sia, a qualunque estrazione religiosa appartenga – è nella conoscenza della verità.

Il non cristiano, il pagano, non possiede la verità, non ha conoscenza. Anche se adora un Dio, la conoscenza che egli ha di Dio è fortemente carente in tutto.

Il Dio che costoro adorano non è il Dio vero, vero nella sua natura, vero nella sua creazione, vero nel rapporto con gli uomini, vero nella relazione con il futuro dello stesso uomo e vero per quanto attiene al nostro passato, sempre considerato in relazione con Dio.

Si pensi oggi a quella falsa teoria che vuole che le tre grandi confessioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo) pongano una base comune per la creazione di una super religione sopra confessionale.

Si eliminerebbero le differenze, si accetterebbe ciò che ci accomuna. Ma cosa ci accomuna, se non la pura idea che esiste un solo Dio, mentre tutto il resto che fa la differenza è diverso, inconciliabile, distante quanto il pensiero di Dio, del vero Dio, dista dal pensiero dell’uomo?

Chi salva l’uomo? Se non c’è l’Incarnazione del Verbo –perché non c’è il Verbo di Dio in quanto persona sussistente, distinta dal Padre e dallo Spirito Santo, sussistente però nell’unica natura divina che è del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – chi libera l’uomo dal peccato e dalla morte?

Se non c’è lo Spirito Santo, anche Lui persona sussistente, distinta dal Padre e dal Figlio, chi conduce l’uomo nella pienezza della verità, nella comprensione del mistero di Dio e dell’uomo? Nessuno. La fede nella Trinità è la verità irrinunciabile e poiché questa fede fa la differenza e distanzia la religione cattolica da tutte le altre confessioni e su questa fede che il cristiano deve edificare se stesso nella carità. Per questa fede deve essere capace di perdere anche la vita del corpo.

Cosa è allora la vanità della mente, da cui Paolo vuole che il cristiano si guardi?

La vanità della mente è proprio questa: costruire tutta un’esistenza fondata dalla falsità, o su una conoscenza di Dio e dell’uomo parziale, lacunosa, distorta, contorta, addirittura falsa, dannosa per colui che la segue.

Il cristiano ormai deve sapere una cosa sola: la verità della sua vita è Cristo Gesù. Le altre verità devono divenire vere in Cristo, finché non raggiungono Cristo rimangono nella loro parzialità che rende parziale anche la riuscita dell’uomo. Poiché questa verità parziale è fatta per una parte di verità e per 99 di falsità, chi non è nella verità di Cristo Gesù, altro non può che avanzare nella storia con una mente vana.

Perché la mente è vana? Perché ciò che suggerisce all’uomo è senza consistenza, quindi senza vera umanità, e quindi senza autentica salvezza.

Il cristiano non può vivere così, non deve vivere. Egli deve essere ormai un uomo che fa della verità di Cristo la sua corazza, la sua veste, il suo presente, il suo futuro, la vita sulla terra e quella nel cielo.

Tutto, il cristiano deve fare della verità di Cristo. Egli è chiamato a intessere la sua vita di Parola di Cristo.

[18]accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore.

Il cristiano è colui che conosce il vero Dio e nel vero Dio ha la vera conoscenza di se stesso. Chi sono invece i pagani?

Sono accecati nei loro pensieri: i pensieri dei pagani non sono verità, sono tenebra. Non è il pensiero di tenebra che acceca i pagani. Sono invece i pagani che generano pensieri di tenebra e quindi restano accecati negli stessi pensieri che concepiscono.

La loro cecità essenziale produce pensieri di tenebra, in questi pensieri rimangono impigliati, in questi stessi pensieri rimangono accecati.

Il pensiero dovrebbe liberare il pagano dalle tenebre. Ma la tenebra che è in lui altro non produce se non pensieri di tenebra. E così la sua natura di tenebra produce pensieri di tenebra e i pensieri di tenebra altro non fanno che rinsaldare il pagano nella sua tenebra.

È tenebra, pensa tenebra, diviene sempre più tenebra. Questa è la cecità nella quale si trovano, vivono, pensano, agiscono.

Perché in loro c’è solo tenebra?

Estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro: la risposta di Paolo è semplice, lineare, essenziale.

L’ignoranza che è in loro, che è ignoranza della verità, li fa estranei alla vita di Dio.

L’uomo è stato creato per riflettersi in Dio, compiersi in Lui, realizzarsi nella sua verità. Questa è la vocazione dell’uomo.

Il pagano è senza il vero Dio. Il Dio che adora è un pensiero della sua mente, un’idea inventata da lui. Questa idea, questo pensiero spesso è pura idolatria, altre volte è una assai pallida e povera idea di ciò che è Dio in se stesso, in quest’idea molte sono le difformità dall’essenza del vero Dio che non le conformità.

Si pensi all’essere di Dio che uno e trino, uno nella sostanza, trino nelle persone. La Trinità è sconosciuta dalla totalità del mondo religioso. Il politeismo è la negazione del vero Dio. Il monoteismo è l’affermazione imperfetta e quindi non vera dell’unico Dio, che è sì unico, ma in tre Persone.

È questo il motivo per cui essi sono estranei alla vita di Dio. Non conoscono Dio, non partecipano della sua vita. Non si vedono in Lui, perché non hanno Lui. Non avendo il vero Dio, non hanno neanche il vero uomo. Solo il vero Dio dona il vero uomo, se non si ha il vero Dio impossibile avere il vero uomo. Si è prigionieri di un falso Dio ma anche costruttori di un falso uomo. Questo produce l’ignoranza del vero Dio e la non partecipazione alla sua natura.

E per la durezza del loro cuore: come se l’ignoranza da sola non bastasse, viene ad aggiungersi anche la durezza del cuore.

Alla mente si aggiunge il cuore. Ciò significa una cosa sola: impossibilità di scrivere nella coscienza la nozione di Dio secondo verità a motivo del rifiuto che il cuore di pietra oppone alla rivelazione, all’annunzio del Vangelo, alla proclamazione dell’unica via della vita che è Cristo Gesù nostro Signore, il Figlio dell’Altissimo che si fece carne nel seno della Vergine Maria.

La durezza del cuore dice impermeabilità ad ogni annunzio di verità. Per cui non solo si è prigionieri della propria falsità, questa prigionia diviene elemento che respinge la verità a motivo del cuore duro che dice l’essenza dell’uomo pagano. Costui si è costruito un involucro così duro che neanche la verità più pura riesce a romperlo per entrare in esso.

Chi lo può rompere è solo la grazia dello Spirito Santo, la sua Onnipotenza, la sua forza irresistibile. Solo per virtù dello Spirito di Dio questo cuore si scioglie e si apre alla verità.

Perché lo Spirito operi si richiede il sacrificio del cristiano, il dono della sua intera vita a Dio, data in espiazione dei peccati, offerta per la remissione della colpa, sacrificata perché un cuore si apra alla verità e accolga Cristo come sua unica via per accedere alla verità, alla vita, alla grazia che lo salva.

Il cristiano diviene così il martello dello Spirito per spaccare un cuore di pietra, mettere in esso la verità di Cristo, scioglierlo e farlo di carne.

Il cristiano è martello dello Spirito solo se sacrifica la sua vita per la salvezza dell’altro, solo se la dona interamente a Dio, in tutto come ha fatto il Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore.

La grazia della redenzione del mondo è stata posta da Dio tutta in Cristo Gesù, in Cristo capo e in Cristo corpo. Se il corpo non diviene il martello dello Spirito, questi non opera, perché senza martello egli non può aprire un cuore e mettervi dentro Cristo Signore con la sua grazia di salvezza e di redenzione.

Quanti oggi affermano che è solo la grazia di Dio che salva dicono bene. Ma la grazia di Dio non è Dio, direttamente. La grazia di Dio è Cristo Gesù, è Cristo capo e Cristo corpo. La grazia di Dio è nella vita offerta, sacrificata, immolata del cristiano, corpo di Cristo, per la salvezza dei suoi fratelli.

L’uomo è la salvezza dell’uomo, ma solo se diviene in Cristo sacrificio di obbedienza perfetta al Padre, per la sua gloria. La gloria resa al Padre si trasforma in grazia di salvezza per il mondo intero.

Solo il cristiano che diviene un sacrificio, un olocausto per la gloria del Padre, si trasforma in un martello di salvezza posto nelle mani dello Spirito Santo per sconvolgere un cuore e dare ad esso la vita eterna che è Cristo Gesù.

La conversione del mondo è quindi in misura della santità cristiana. Più cristiani santi e più uomini fatti nuovi dallo Spirito di Dio. Più cristiani che divengono sacrificio e oblazione nel mondo per la gloria del Padre e più grazia di salvezza scende sulla terra, sempre in Cristo, per Cristo e con Cristo, per la conversione e la salvezza di molti.

Se il cristiano non si sacrifica, non si offre, non diviene olocausto per la gloria del Padre, il mondo resta nella sua ignoranza di Dio. Poiché l’ignoranza di Dio provoca anche ignoranza sull’uomo, questa ignoranza genera e partorisce una vita umana indegna dell’uomo, non consona all’uomo, perché è una vita impostata sulla falsità della conoscenza del suo essere e di conseguenza nell’immoralità. Su questo Paolo è chiaro. La storia conferma quanto egli dice.

[19]Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

In queste poche parole è descritta la storia immorale dell’uomo senza Cristo, come sua unica fonte di vita.

Diventati così insensibili: l’insensibilità è alla verità, al bene, al giusto, a ciò che è conforme alla natura creata ad immagine e somiglianza di Dio.

Questa insensibilità è totale e avvolge l’uomo in ogni suo pensiero, idea, proposito, sentimento.

Questa insensibilità è irreversibile per natura. Non solo è irreversibile. Ogni giorno cresce, avvolgendo l’uomo sì da soffocarlo. Il risultato lo si può immaginare.

Si sono abbandonati alla dissolutezza: abbandonarsi ha un solo significato: lasciarsi totalmente andare, senza alcuna resistenza di volontà.

Questo abbandono, questa consegna non è al bene, ma al male; non è neanche al male, è al male totale, cioè alla dissolutezza.

La dissolutezza è lo scioglimento dell’uomo da ogni regola morale. Non solo non ci sono regole, non c’è semplicemente il male. Nella dissolutezza, il male è la sola regola che guida l’uomo.

Questo è vero. È vero perché lo attesta la Parola di Dio. È vero perché la storia è la più alta attestazione e la più precisa conferma che la Parola di Dio è vera.

Chi osserva la vita di coloro che non sono cristiani deve confessare che per la stragrande maggioranza di loro non c’è più regola morale. Questo non vale solo per i pagani, per quelli cioè che non hanno conosciuto Cristo o che non vogliono conoscerlo, vale anche per i cristiani che hanno scelto di abbandonare Cristo, che si sono distaccati da Lui, che vivono come se Cristo non esistesse.

Anche per loro non c’è più alcuna regola morale. La dissolutezza è la loro unica legge di vita, l’unica regola di ogni loro comportamento.

Chi è senza Cristo, anche nella Chiesa, non vede, perché anche lui è prigioniero dei pensieri della sua mente, che sono pensieri di tenebra e non di luce. Chi non vede il male e la dissolutezza che c’è intorno a sé, è senz’altro senza Cristo, perché solo Cristo è la luce che ci permette di vedere il male e la sua gravità.

La minimizzazione del male attesta che noi siamo poco inseriti in Cristo Gesù, la sua luce che squarcia le tenebre del male non è in noi e anche noi siamo ciechi, camminiamo in un mondo di ciechi spirituali e giustifichiamo la cecità morale e veritativa, così altro non facciamo che incrementare il male che è nel mondo anche con l’autorità del nome di Cristo che è in noi.

commettendo ogni sorta di impurità: lo scioglimento da ogni regola morale, l’abbandono al male, ha un effetto devastante sul nostro corpo. Questo serve soltanto per commettere ogni sorta di impurità. Senza Cristo, il nostro corpo è senza freno. Le passioni prendono il governo e lo schiavizzano.

Un corpo senza Cristo è un corpo schiavo delle passioni. La sovrana che le governa tutte è l’impurità.

Cosa è l’impurità? L’impurità è l’uso del corpo solo come strumento di piacere, di godimento immediato, in ogni campo e in ogni settore.

L’impurità è peccato contro la sacralità del nostro corpo che non è stato creato per il godimento e il piacere, ma per la gloria di Dio.

L’impurità è l’uso non santo, non buono, non giusto, non onesto, non convenevole, non modesto, non morigerato, non sobrio, non casto, non virtuoso del nostro corpo.

L’impurità è l’uso peccaminoso che facciamo del nostro corpo, nella trasgressione di ogni comandamento non solo del sesto o del nono.

Oggi l’impurità è stata costituita legge del nostro vivere sociale, statuto di progresso e di civiltà. Essa ha tanti nomi: omosessualità, pedofilia, matrimonio dello stesso sesso, libere convivenze, divorzio, scambio del partner, e tante altre diavolerie che è solo una vergogna pronunziarle.

Tutte queste cose non solo si commettono, le si approvano anche e le si dichiarano legge di progresso e di civiltà tra i popoli.

Questa è la prigionia dell’uomo senza Cristo. Non solo il suo cuore di pietra genera queste cose. Il suo pensiero, la sua mente gliele giustifica. È così l’uomo senza Dio genera pensieri e desideri iniqui. I pensieri e i desideri iniqui giustificano l’opera iniqua da lui compiuta, in una spirale senza salvezza.

con avidità insaziabile: ma c’è un’altra verità che fa ancora più paura. Il corpo dell’uomo è soggetto all’abitudine e l’abitudine, si sa, non produce godimento, piacere.

Perché il corpo possa provare piacere, godimento, è necessario che si cambi, che si creino nuove fonti di godimento e di piacere.

Poiché queste nuove fonti non sono dal male verso il bene, ma dal male verso un male sempre più grande, c’è come un’avidità insaziabile che conduce il corpo di male in male, in una cosa che è inarrestabile.

Ciò vuol dire che c’è un crescendo nella conoscenza del peccato e del male che non ha confini. Per l’uomo non c’è limite al suo male, non c’è confine alla sua prigionia.

Più si inabissa nel male e più ha bisogno di male per sussistere. L’assuefazione dell’uomo al male, al piacere, crea in lui un’avidità sempre più grande e sempre più insaziabile, il cui frutto è ancora avidità e sempre più avidità.

È proprio questo l’abbandono dell’uomo alla dissolutezza, all’impurità: la ricerca continua di nuove fonti di godimento, essendo quelle finora usate incapaci di soddisfare la sua sete di piacere, la sua fame di peccato.

Senza Cristo, la sorte dell’umanità è veramente di prigionia e di morte; è di prigionia in prigionia sempre più grande e di morte in morte sempre più avvolgente ogni respiro dell’uomo. È ben triste la storia dell’umanità senza Cristo. È ben più triste però pensare che i cristiani non vedano la gravità di questo male e in qualche misura lo giustifichino anche, come se fosse un fatto di natura, un fatto cioè che è connaturale all’uomo e quindi in qualche modo anche giustificabile: è fatto così, è così. Ma Cristo è venuto perché l’uomo non sia così. I Santi lo attestano, perché loro non sono stati così, non sono così, non saranno così.

Chi giustifica il male del male è anche prigioniero; chi dice che l’uomo è così, lo dice perché anche lui è così e non sa o non vuole che Cristo lo liberi, non chiede che Cristo lo liberi, non fa nulla perché sia liberato da Cristo.