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[8]Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.


Paolo fonda il conferimento del dono della grazia, di ogni dono di grazia, nell’ascensione al cielo di Cristo Gesù.


L’ascensione secondo Paolo comporta due eventi di grazia: la distruzione dei nemici dell’uomo che sono la morte e il peccato; il conferimento di ogni dono di grazia, perché ognuno e tutti insieme possano realizzare la loro vocazione, che è una sola: conformarsi a Cristo, divenire offerta santa per il Padre, produrre frutti di conversione e di fede per il mondo intero.


C’è da specificare tuttavia che i doni sono stati prodotti da Cristo con il suo sacrificio, questi doni sono il frutto della sua obbedienza al Padre. È la passione il momento della fruttificazione di Cristo Gesù. L’ascensione al cielo è invece il momento della distribuzione.


Ogni dono di grazia è stato maturato da Cristo sulla croce, nella sua morte, per obbedienza al Padre, ma è stato distribuito con la sua gloriosa risurrezione.


Per noi questo deve significare che se si vuole produrre un dono di grazia per il mondo intero, e ogni dono di grazia ci è stato conferito perché lo facciamo fruttificare, dobbiamo anche noi come Cristo dire il nostro sì a Dio, compiere la nostra obbedienza alla sua volontà.


Qual è questa obbedienza alla sua volontà, se non prima di ogni altra cosa sviluppare il dono di grazia che ci è stato concesso, lasciando e operando che anche gli altri dicano il loro sì a Dio e obbediscano al pari di noi all’unico Padre dal quale ogni dono discende?


Se un solo dono di grazia per colpa nostra non viene messo a frutto, neanche il nostro dono fruttifica. Noi siamo fuori dell’obbedienza, fuori della fruttificazione del dono. Quanto facciamo non serve per la salvezza del mondo, perché il mondo lo salva il nostro dono di grazia che è frutto del dono che Cristo ci ha fatto e che noi abbiamo fruttificato secondo la misura della grazia che ci è stata data.


Come si può constatare, nasce una nuova visione dell’obbedienza a Dio e questa obbedienza è nella fruttificazione del dono di Cristo Gesù. Cosa che avviene nella nostra totale obbedienza a Dio, in tutto come quella di Cristo Gesù.


[9]Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?


Questo versetto è di pura Cristologia. Non c’entra direttamente con la questione della grazia.


Perché Cristo ascenda, è necessario che prima discenda. Cristo è asceso con la sua risurrezione dai morti. È disceso con la sua incarnazione, quando si è fatto carne nel seno della Vergine Maria.


Per discendere doveva prima esistere ed esisteva non come vero uomo nel vero Dio, ma solo come vero Dio, persona distinta dal Padre, nell’unità del Padre e dello Spirito Santo, unità che è data dalla sola natura divina, nella quale sussistono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


[10]Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.


Non c’è alcuna differenza tra colui che discese e colui che ascese. Lo stesso che discese è anche colui che ascese.


La differenza è nella modalità che è anche sostanziale e non puramente formale e nella finalità.


Colui che discese è essenzialmente differente da colui che ascese. È sostanzialmente differente perché nella discesa assunse la natura umana e da Verbo Unigenito del Padre, divenne Verbo Unigenito del Padre, Incarnato.


L’incarnazione è unità sostanziale che modifica l’essere stesso del Figlio di Dio. Prima non era Verbo Incarnato, ora è Verbo Incarnato. Secondo la celebre espressione patristica: Quo erat non amisit, quod non erat assumpsit.


Ciò che era non lo lasciò, ciò che non era lo ha assunto. Questa assunzione della carne è assunzione che si regge su ben quattro principi: indivisibilmente, inconfondibilmente, inseparabilmente, irreversibilmente, secondo le regole dell’unione ipostatica sancite e stabilite dalla Chiesa, al fine di comprendere secondo verità il nuovo mistero che si è venuto a formare con l’incarnazione del Verbo.


In tal senso discende come Verbo, sale come Verbo Incarnato, ma sale come Verbo Incarnato Crocifisso e Risorto, passato attraverso la morte, ma vincitore della stessa.


La finalità è anche diversa, a motivo della Persona del Verbo che è stata modificata sostanzialmente dall’Incarnazione.


Nella sua umanità e non solo nella sua divinità Cristo Gesù è stato costituito al di sopra di tutte le cose e deve riempirle con la sua grazia, grazia che è data alla sua umanità e non solo in ragione della grazia increata che è la sua divinità, dalla quale e per la quale il mondo è stato fatto per creazione.


Come tutte le cose vengono riempite della sua grazia? Le vie, o modalità sono due: personalmente, portando la sua natura umana alla spiritualizzazione del corpo. Nella natura umana di Cristo, spiritualizzata, tutta la creazione viene riempita di questa nuova grazia.


Questa spiritualizzazione sarà perfetta alla fine, quando saranno creati i cieli nuovi e la terra nuova e saranno fatti ad immagine del corpo glorioso di Cristo Signore.


Come all’inizio del tempo l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, a sua somiglianza, alla fine del tempo, tutto sarà trasformato ad immagine di Cristo, del suo corpo glorioso e spirituale, incorruttibile e immortale.


La spiritualità e l’incorruttibilità sarà data alla nuova creazione di Dio. Questo è il prodigio che ci attende. Per i dannati ci sarà la piena spiritualizzazione del loro corpo, ma non ci sarà la glorificazione di esso, perché saranno esposti all’ignominia, all’infamia e alla morte eterna.


L’altra via è quella dell’uso santo di ogni cosa attraverso il cristiano. Nella santità del cristiano anche la creazione viene riempita di santità. Così il cristiano attinge la santità in Cristo Gesù, la trasforma in propria santificazione e come frutto di verità, di grazia, di amore, la riversa sull’intero creato, il quale riceve nuova vita dalla vita nuova che il cristiano ha attinto in Cristo Gesù, nel suo corpo. È questo il mistero che deve realizzarsi nella creazione.


Nella Lettera ai Romani è scritto che anche la creazione attende di liberarsi dalla caducità nella quale l’ha costretta il peccato dell’uomo. Se il peccato espone alla caducità, la grazia di Cristo eleva anche la creazione, perché immette in essa una corrente di vita nuova, spirituale, santa.


La vera ecologia la fanno i santi. Quanti non sono santi non possono fare ecologia, perché non immettono nella creazione la grazia, la verità e la santità di Cristo Gesù.


[11]E` lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri,


Paolo ha detto che “a ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”. Ora passa a trattare alcune di queste grazie. Non prende in esame lui le grazie che sono direttamente date a beneficio della persona, per lo svolgimento della sua vocazione e quindi per la santificazione personale, anche se ogni grazia ha un valore universale, comunitario.


Ogni dono di Dio produce dei frutti che direttamente sono gustati da chi li produce; ma indirettamente essi portano un beneficio a tutta la comunità dei credenti e al mondo intero. Ma di questo Paolo ancora non si interessa.


Egli prende qui in esame le cinque grazie che servono perché la Chiesa di Cristo possa svolgere la sua missione nel tempo. Possiamo definire queste cinque grazie, le grazie dalle quali ogni altra grazia riceve consistenza, energia, sviluppo, maturazione, fruttificazione.


Sono le cinque grazie che servono indistintamente a tutta la comunità, a tutta la Chiesa. Senza queste cinque grazie la Chiesa non si può edificare, la missione non si può svolgere, con una sola conseguenza: la Chiesa finisce il suo mandato e il mondo rimane per sempre nelle tenebre. Apostoli, profeti, evangelisti pastori e maestri: ecco ciò che serve perché la Chiesa venga generata, cresca, progredisca, fruttifichi, aggiunga nuovi figli. Ecco ciò che serve perché il mondo possa essere condotto nella Chiesa e una volta nella Chiesa, inizi il suo cammino verso Cristo, nello Spirito Santo, per raggiungere il Padre nostro che è nei cieli.


Gli apostoli hanno il posto di Cristo Gesù, sono i suoi vicari sulla terra. Essi devono governare la Chiesa pascendola di verità, di grazia, nel dono dello Spirito Santo. Senza di essi la Chiesa va alla deriva, perché manca in essa la potestà di governo, di guida, di vigilanza, di sorveglianza, di discernimento. Senza l’apostolo non c’è né verità e né grazia.


I profeti sono coloro cui Dio manifesta la sua volontà in ordine al cammino storico della Chiesa. Senza di loro, anche se possiede la verità, la grazia, lo Spirito Santo, la Chiesa manca di incidenza tra gli uomini. È come se ci fosse una brocca d’acqua piena di acqua zampillante, fresca, dissetante e la si lascia nella brocca. Questa è la Chiesa se fosse fatta solo di apostoli e non di profeti.


Il profeta, parlando in nome di Dio, dice agli apostoli e all’intera Chiesa, dove dirigere i propri passi, per portare agli uomini la salvezza di Cristo Gesù. La Chiesa ha bisogno della voce viva di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, che la conduca su una via storica, poiché storico è l’uomo, cui essa deve rivolgersi. I profeti sono questa voce viva.


È povera quella Chiesa nella quale non sorgono profeti. Mentre per tutto il resto ci si può formare e la mansione può essere anche donata dalla stessa Chiesa (apostoli, maestri, pastori, evangelisti) i profeti non si fanno. Non c’è alcuna scuola di profezia nella Chiesa, né la Chiesa può costituire qualcuno suo profeta.


Il profeta è la manifestazione dell’assoluta trascendenza di Dio, della sua divina libertà che chiama chi vuole, quando vuole, come vuole e gli conferisce il dono di conoscere attualmente, oggi, nell’ora storica la volontà di Dio.


Gli evangelisti sono i predicatori del Vangelo, gli annunziatori di esso; sono coloro che vanno per terra e per mare e annunziano la buona novella, la predicano, la proclamano.


Essi sono l’eco della voce di Cristo Gesù che risuona nel mondo. Per il loro ministero il mondo intero ascolta la Parola della salvezza e se vuole può ritornare al suo Signore.


Gli evangelisti sono i missionari del Vangelo. Essi sono i piedi della Chiesa. Mentre il profeta è l’occhio, l’evangelista è il piede. Con l’occhio vede la Chiesa la via di Dio, con gli evangelisti la percorre.


Se manca il profeta non vede l’uomo da salvare. Se manca l’evangelista non porta la lieta novella, anche se ha visto chi deve essere salvato e come salvarlo.


I pastori sono coloro cui è affidata la cura di una comunità. La comunità deve essere nutrita di verità, di grazia, nella santità. I Pastori, per il dono della consacrazione sacerdotale, sono costituiti per dare questi doni divini. Devono però farlo sempre in comunione gerarchica con gli Apostoli, i primi responsabili di ogni pecorella che appartiene all’ovile del Signore Gesù.


Se manca il pastore, la comunità soffre la fame spirituale, la sete della parola. Non viene dissetato, non viene sfamato e come conseguenza c’è solo la morte spirituale.


I Maestri sono coloro invece che devono formare il popolo di Dio ÿÿlla ÿÿnoscenza del Vangeÿÿÿÿneÿÿa ÿÿmpreÿÿÿÿne dellaa ÿÿa à.


Il Vangelo, le verità della saÿÿezza vengono annunziate, proclamate, predicate. Occorre poi tutto quel lavoro spirituale di conoscenza della verità, di armonizzazione della verità, di deduzione e di argomentazione all’interno della verità.


Questo lavorio è di competenza dei Maestri. Sono loro che devono offrire ad ogni credente la comprensione del mistero di Cristo Gesù, per quanto questo possa essere operato a motivo del contenuto del mistero di Cristo Gesù che sorpassa ogni umana sapienza, intelligenza e conoscenza. Tuttavia la mente umana pone problemi, esige spiegazioni, la verità merita di essere armonizzata, ben disposta. È questo il lavoro che devono svolgere i Maestri.


Anche la loro opera non è in autonomia. Niente che si vive nella Chiesa è autonomo. C’è un legame dottrinale e operativo, di origine e di sviluppo, di verifica e di discernimento che ci lega gli uni gli altri.


La colonna che genera, che porta, che verifica, che discerne, che sigilla è però sempre l’apostolo del Signore. Questo significa aver il posto di Cristo in seno alla comunità e nel mondo.


Se ognuno deve agire nella Chiesa in relazione al dono di grazia conferito da Dio, in Cristo Gesù, per opera dello Spirito Santo, bisogna mettere ogni attenzione a che si faccia solo ciò che è sviluppo e fruttificazione del dono.


Questo purtroppo non accade. Spesso succede che tutti fanno tutto. Il Maestro fa il Pastore e il Pastore fa il Maestro. Qual è la conseguenza: che non si è né Maestri e né Pastori secondo il cuore di Cristo Gesù.


La prima riforma da fare nella Chiesa è proprio il rispetto del dono di Dio. Questa riforma non possono farla gli altri per noi; ognuno di noi deve sapere cosa fare come risposta al dono di Dio e limitarsi solo a questo.


San Pietro ce lo insegna negli Atti. Lui deve dedicarsi al ministero della parola e alla preghiera. Lui si rispetta nel dono di Dio, si fa rispettare. Crea i diaconi e come sono stati creati i diaconi, si può creare ogni altro ministero (non ordinato s’intende) ma è pur sempre un ministero necessario alla vita della comunità nella grazia di Dio.


Altra osservazione da fare è questa: spesso succede che il Maestro venga chiamato Profeta. Il Profeta non è Maestro e il Maestro non è Profeta. Il Profeta manifesta la volontà di Dio per l’oggi della sua Chiesa. Il Maestro insegna e spiega la volontà di Dio che il Profeta gli manifesta. L’Evangelista la comunica al mondo intero. L’Apostolo la verifica nella sua conformità al Vangelo della salvezza; il Pastore farà sì che sulla volontà di Dio manifestata si incammini la comunità, dando quelle indicazioni pastorali perché si attui in ogni sua parte.


Su questo proprio non ci siamo: siamo tutti Apostoli, Profeti, Evangelisti, Pastori e Maestri. Tutti facciamo tutto, se non lo facciamo per via sacramentale a causa della sua impossibilità, lo facciamo a livello operativo, di decisione, di parola, di comportamento.


Sulla necessità di rispettarsi e rispettare la grazia di Dio non si insisterà mai abbastanza; sulla necessità che ognuno deve attingere dalla grazia dell’altro, chiunque esso sia, mai si parlerà a sufficienza.


La forza, la vitalità, l’energia, il dinamismo di una comunità cristiana è in questa comunione di grazia e di carisma. Nessuno deve sentirsi menomato se si serve della grazia dell’altro per il suo ministero. La riuscita della sua missione sta proprio nel servirsi della grazia degli altri, di ogni grazia che il Signore ha concesso agli altri perché lui possa attingere e servirsene.


Che il Signore ci conceda tanta umiltà, ma veramente tanta, perché non solo a livello di coscienza, ma anche operativamente, la grazia dell’altro sia per noi sempre la fonte presso cui attingere per il compimento secondo giustizia del nostro ministero. Il Signore ha disposto che la sua grazia non scenda direttamente da Lui su di noi, vuole invece che scenda su di noi indirettamente, attraverso i fratelli. La grazia di Dio per noi è nei fratelli che ci stanno accanto. Ogni fratello è una grazia di Dio. Saperlo vedere come grazia di Dio in ciò che veramente e realmente lui è una grazia, è il dono più grande che Dio ci possa concedere. È il dono che ci arricchisce e arricchendo noi arricchisce tutta la comunità. Bisogna però sempre saper discernere il dono vero dell’altro, dal dono apparente, o dal falso dono. Anche questa è grazia che Dio concede agli umili, ai puri di cuore, a tutti coloro che vogliono fare solo la sua volontà.


[12]per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo,


Viene qui specificato, quanto in qualche modo si è già anticipato nella meditazione del versetto 11.


Qual è il fine di tutti questi ministeri nella Chiesa (ordinati e non)?


Si è già detto che tutto è grazia di Dio. Si è anche detto che la grazia di Dio non passa direttamente da Dio a noi. Passa invece indirettamente: da Dio ai fratelli, dai fratelli a noi.


I fratelli sono il pozzo d’acqua viva dove attingere la nostra acqua, se vogliamo che il nostro dono, il dono che Dio ha dato a noi, fruttifichi in abbondanza.


Il nostro dono non serve a noi, serve ai fratelli; il dono dei fratelli non serve a loro, serve a noi. Dio dona a noi per loro, dona a loro per noi.


La prima regola riguardo ai doni o ai carismi è sapere quale dono è stato dato a noi e quale ai fratelli.


Non possiamo sapere quale dono è stato dato ai fratelli, se non conosciamo con precisione qual è il nostro dono. La conoscenza di sé, dei doni di grazia di cui siamo stati arricchiti, è obbligatoria per ogni credente.


È anche obbligatorio saper chi sono gli altri, di quali doni il Signore li ha arricchiti, cosa possono fare e cosa non sanno fare, perché privi della grazia di Dio.


Il motivo della necessità e dell’obbligatorietà di conoscerci e di conoscere gli altri è a motivo della finalità per cui un dono ci è stato dato dall’Alto.


Il dono è nostro, ma per rendere idonei i fratelli a compiere il loro ministero. Compiendo ognuno il proprio ministero si edifica il corpo di Cristo.


L’edificazione del corpo di Cristo è la finalità ultima del dono. Ma il corpo di Cristo non si edifica se i fratelli non sono resi idonei a compiere il ministero e come si rendono idonei? Attraverso il nostro dono, che deve essere posto a loro disposizione, perché se ne servano sempre, ogni qualvolta avvertono la necessità, l’urgenza richiesta per la vita del loro dono.


Si badi bene che Paolo dice: per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero. Non si tratta di un di più, di un di meglio, di un favore, di una nostra benevola elargizione, di un qualcosa che è per noi e solo per un motivo di carità viene posto nelle mani dei fratelli.


Paolo parla chiaro: i fratelli sono resi idonei nel compimento del loro ministero, solo se mettiamo a loro servizio il nostro dono. Se il nostro dono viene riservato solo a noi, loro non compiono il loro ministero e noi siamo responsabili dinanzi a Dio della loro omissione.


Loro non operano, non possono operare, omettono di operare, fanno altro a causa del dono che non è stato dato loro. Di questo un giorno dobbiamo rendere conto a Dio. Come bisogna rendere conto a Dio ogni qualvolta noi abbiamo fatto altro, anziché sviluppare bene il nostro dono, o carisma, necessario perché l’altro servendosene potesse edificare il regno di Dio.


Per fare un esempio: se uno è acqua come dono e non irriga i campi, i campi non producono, ma la colpa è dell’acqua che non ha irrigato.


Questo significa: rendere idonei i fratelli a compiere il ministero. L’acqua rende il campo produttivo. Senza acqua il campo non produce, non perché non buono, ma perché gli manca un dono essenziale, indispensabile, necessario.


Così dicasi nel campo dei doni di grazia: per svolgere bene il suo ministero:


L’apostolo ha bisogno del profeta, del maestro, dell’evangelista, del pastore.


Il profeta dell’apostolo, del maestro, dell’evangelista, del pastore.


Il maestro dell’apostolo, del profeta, dell’evangelista, del pastore.


L’evangelista, dell’apostolo, del profeta, del maestro, del pastore.


Il pastore dell’apostolo, del profeta, del maestro, dell’evangelista.


È questa l’unica via per l’edificazione del regno di Dio sulla terra, perché è questa l’unica forma attraverso cui la grazia di Dio discende sulla terra.


[13]finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.


In questo versetto Paolo rivela il fine da raggiungere attraverso l’uso ordinato dei doni di grazia che Dio concede alla sua Chiesa, in maniera stabile e permanente.


Questo fine è:


Tutti dobbiamo arrivare all’unità della fede: tutti siamo chiamati a professare l’unica fede, l’unica verità, l’unico mistero, senza differenze, senza alterazioni, senza contraffazioni, senza nulla aggiungere e nulla togliere a quanto ci è stato rivelato.


Se una è la Parola di Dio, una deve essere anche la sua comprensione, una la verità che scaturisce da essa, una la spiegazione.


Perché allora non si arriva all’unità della fede? Perché spesso i cinque ministeri si vivono disordinatamente, o non si vivono affatto.


O non si hanno gli apostoli, o i profeti, o i maestri, o gli evangelisti. È sufficiente che uno solo di questi ministeri non venga “vissuto”, perché la verità non risplenda più nella comunità cristiana.


L’unità della fede è essenziale. Nell’unica comunità di Cristo Gesù deve regnare una sola verità. Tutti la devono professare, tutti la devono vivere, tutti la devono annunziare, tutti la devono testimoniare, tutti per essa devono dare la vita.


Questa è la legge della comunità. Se vi sono due verità, più verità, molte verità, la comunità non testimonia più la sua fede. Il mondo mai potrà aprirsi alla verità, perché non sa quale sia la verità che salva, avendone ogni membro una sua propria verità, sulla quale fonda la sua vita e spesso in contraddizione con le altre verità.


Per sapere se siamo nella verità di Cristo è sufficiente esaminarsi sull’unità del servizio di questi cinque ministeri: dove ne manca uno solo, quando in una comunità un solo ministero tra questi cinque non viene “vissuto”, siamo fuori della verità. Questa comunità non cammina nella verità.


Se un membro della comunità non è servito contemporaneamente da questi cinque ministeri, costui non cammina nella verità. Cammina in una verità soggettiva che lo salva, se la responsabilità non è sua; mentre se lui dovesse rifiutare uno di questi ministeri, la verità che professa non lo salva, a causa del rifiuto che ha fatto della legge della verità che deve sempre governare ogni comunità di Cristo Gesù.


All’unità della conoscenza del Figlio di Dio: l’unità nella verità è necessaria perché la rivelazione ci dona la verità, ma la verità per noi è Cristo Gesù.


C’è un solo Cristo. Un solo Redentore, un solo Salvatore, un solo Messia. La nostra fede in Cristo non è adesione alla sua Parola e basta. La nostra fede è in Lui, è inserimento in Lui, è divenire in Lui una sola missione di salvezza e di redenzione per il mondo intero.


Cosa comporta la fede in Cristo? Comporta divenire come Lui, farsi un sacrificio di morte e di risurrezione, per la morte al peccato del mondo e per la sua risurrezione a vita nuova.


Cristo è uno. Il suo mistero è uno. La sua vita è una. La sua opera è una. Poiché uno è Cristo, una deve essere anche la vita del suo corpo, che è la Chiesa.


Non può esserci difformità tra Cristo e il suo corpo, tra Cristo e la sua Chiesa. Questa deve esprimere Cristo nella sua essenza di vita che è una sola.


Per questo è giusto che vi sia l’unità nella conoscenza di Cristo. Ognuno deve tendere verso questa unità; per essa deve abbandonare ogni sua idea, pensiero, riflessione, immaginazione, fantasia su Cristo.


Quando il cristiano si sarà liberato da tutti i pensieri personali su Cristo e avrà abbracciato la verità della rivelazione, la verità sull’unico mistero di Gesù, egli potrà manifestarlo al mondo nella sua essenza. Il mondo vedrà Cristo in lui, se vuole, può accoglierlo. Lo potrà accogliere perché lo vedrà in ogni altro discepolo del Signore, i quali singolarmente e tutti insieme manifesteranno un solo Cristo, un solo mistero, una sola redenzione, una sola salvezza, perché tutti compiranno l’unico sacrificio di Cristo Gesù, perché ognuno in Cristo diverrà un sacrificio d’amore per la salvezza dell’umanità intera.


Per raggiungere l’unità della conoscenza di Cristo Gesù, ogni cristiano deve rinnegare se stesso, abbandonare la sua mente, il suo cuore, lasciarli perdere, perché solo Cristo, la sua verità, il suo mistero si formi in essi.


L’ecumenismo non può partire da alcune verità di principio, come la giustizia e la pace nel mondo, o altre verità accolte da tutte.


Paolo in questo versetto ci dice due cose, anzi quattro: l’unità è nella fede e la nostra fede è in Cristo Gesù; l’unità è nella conoscenza del mistero di Cristo e la conoscenza del mistero di Cristo è conoscenza di Cristo; l’unità è finalizzata alla realizzazione in noi dell’uomo perfetto e l’uomo perfetto è Cristo Gesù. Nella misura in cui conviene alla piena maturità in Cristo altro non può significare, come vedremo in seguito, che la traduzione in nostra vita della vita di Cristo Gesù, deve essere fatta secondo la grazia che ci è stata data.


Non ci può essere vero ecumenismo che prescinda dal mistero di Cristo. Fissato il pensiero su Cristo, cercata la sua verità, individuata la sua essenza, che è fuori di noi, non in noi, e la si può trovare se la si cerca lasciandosi aiutare dai cinque ministeri che governano la Chiesa, ognuno è obbligato a lasciare, a gettare fuori della sua mente e del suo cuore tutto ciò che non appartiene a questa essenza e mettervi la pura verità di Cristo Gesù.


È questo un cammino che domanda libertà dal passato e dal presente, dalle tradizioni e dalla stessa storia, dai peccati e dalle omissioni, da ogni altra stortura umana che nel corso dei secoli si è venuta a infiltrare nella verità di Cristo Gesù.


Anche certe modalità di tradurre in vita la comprensione del mistero devono essere abbandonate, tralasciate, dimenticate, sotterrate. Lo esige l’unità della fede, lo richiede l’unità della conoscenza del mistero di Cristo Gesù.


Questo può avvenire se si inizia a vivere il Vangelo, tutto il Vangelo. Sono convinto che ci debba essere un altro modo di fare ecumenismo. Questo altro modo non è la discussione sulle grandi verità. È iniziare concretamente a vivere il messaggio delle beatitudini in ogni sua parte, in ogni sua richiesta ed esigenza, in ogni desiderio in esso manifestato.


Le beatitudini vissute producono santità nel cuore e nella santità lo Spirito del Signore può operare agevolmente, può con facilità muovere le menti, riscaldare il cuore, rafforzare la volontà perché si abbandoni ciò che non appartiene a Cristo, si assuma solo ciò che è conforme all’essenza e alla verità di Cristo Gesù. Questa è la via nuova dell’ecumenismo. Le altre vie sono assai difficili da percorrere, perché fanno troppo affidamento sulla capacità dell’uomo di pervenire alla verità, ignorando che essa è dono dello Spirito Santo ad ogni uomo di buona volontà.


Chi non è nella buona volontà per vivere le beatitudini, come potrà essere di buona volontà nel cercare di comprendere il mistero di Cristo? Se le cose facilmente comprensibili non le vive, perché non le accetta, come farà ad accettare e a vivere le cose difficili?


In questo ci può venire in aiuto la finalità che viene raggiunta e che deve essere raggiunta sull’unica fede e sull’unica conoscenza del mistero di Cristo Gesù:


Allo stato di uomo perfetto: il cristiano è chiamato a riproporre Cristo Gesù nella sua vita. Questa è la nostra vocazione.


Man mano che si cresce in questa “proposizione”, si diviene in tutto simili a Lui. Si vive come Lui. Ma qual è la peculiarità della vita di Cristo? Quale la sua perfezione?


Il compimento della volontà del Padre, lasciandosi muovere e condurre dallo Spirito Santo.


Qual è la volontà del Padre su ogni cristiano: che si accolga l’essenza di Cristo e la si viva in ogni sua parte di verità, in ogni sua più piccola manifestazione. Il cristiano tutto deve vivere di Cristo, anche se deve viverlo in misura del dono ricevuto e per dare compimento al dono ricevuto.


Questa perfezione, questa imitazione di Cristo, questa riproposizione di Cristo non sarà mai possibile se manca la conoscenza della verità su Cristo, se si vivono differenti comprensioni e interpretazioni del suo mistero.


Volendo vivere allo stato di uomo perfetto, e l’uomo perfetto è Cristo, volendo compiere la sua perfezione nella nostra vita – è questo l’obbligo di ciascuno – ciascuno è obbligato a cercare il vero Cristo, è anche obbligato a sceglierlo una volta che lo ha trovato, è obbligato infine a farlo conoscere agli altri, ad annunziarlo loro, perché anche loro lo scelgano e si conformino alla sua essenza.


C’è un doppio procedimento nella realizzazione della nostra finalità: si parte dalla conoscenza di Cristo che si possiede per realizzare in noi l’uomo perfetto, Cristo Gesù, l’obbediente alla volontà del Padre.


Ma anche si parte da una obbedienza sempre più puntuale, più pronta, più sollecita alla Parola del Vangelo e man mano che si cresce in santità, nella realizzazione dell’uomo perfetto, lo Spirito ci guida e ci conduce per una comprensione sempre più chiara, più nitida, più libera, più vera del mistero di Cristo Gesù.