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CAPITOLO 4

APPELLO ALL’UNITÀ



[1]Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto,

Ogni verità ha il suo corrispettivo nell’azione. Se siamo stati costituiti parte del mistero di Cristo Gesù – è questa la nostra verità – ne consegue che dobbiamo realizzare in noi questo mistero e dobbiamo realizzarlo in ogni sua parte e ogni giorno della nostra vita.

Paolo ha esposto la verità; ha pregato perché entrassimo, per rivelazione, con la mente e con il cuore in questa verità. Ora c’è la parte che spetta direttamente a noi. Qui nessuno può più niente; chi può, è solo la nostra volontà. Questa deve essere consegnata a Dio, perché sia il suo Santo Spirito a muoverla per il compimento del mistero che Dio ha preparato per noi fin dall’eternità, che Cristo Gesù ha realizzato con la sua morte e la sua risurrezione e che lo Spirito del Signore ha creato in noi, rigenerandoci e facendoci un solo corpo in Cristo.

Gli Efesini sanno cosa il Signore ha fatto di loro. Ogni giorno devono pregare perché il mistero sia rivelato al loro spirito in maniera sempre più piena e questo perché possano realizzarlo in ogni sua parte e secondo tutta la potenza d’amore in esso racchiuso.

Prima Paolo si è rivolto a Dio, lo ha invocato per gli Efesini. Ora si rivolge agli Efesini e ricorda quali sono i loro compiti, il loro dovere, la responsabilità che incombe sulla loro vita.

L’esortazione è una parola d’amore che sgorga dal cuore ed è la parola più alta di bene che si possa volere per qualcuno.

L’esortazione nasce solo da un cuore che ama, che vuole il bene, che desidera la realizzazione dell’altro nella verità, nella santità, in una parola, nella volontà di Dio. Con l’esortazione si vuole per l’altro il compimento della volontà del Signore.

La volontà del Signore è però nella volontà e nell’impegno dell’uomo, anche se volontà e impegno umani possono essere vissuti secondo verità solo con l’aiuto e il conforto dello Spirito Santo.

Ma devono essere dati allo Spirito, altrimenti Lui non può intervenire. Non può lo Spirito di Dio muovere un cuore che ha deciso di essere irremovibile, né può condurre e introdurre nel mistero di Cristo Gesù una vita che è determinata a starsene fuori per sempre.

Qui il mistero della volontà di Dio viene a scontrarsi con il mistero della volontà dell’uomo che oppone un netto rifiuto allo Spirito Santo, senza che questi possa fare qualcosa per renderla docile alla sua mozione e alla sua ispirazione. Il mistero delle due volontà è il più difficile, il più arduo da comprendere. Una cosa è certa: l’inferno è la manifestazione più alta della libertà della volontà dell’uomo di decidersi per il bene o per il male, per il paradiso o per l’inferno.

Su Paolo prigioniero del Signore si è già detto tutto quanto era da dire all’inizio del capitolo precedente. Poiché altri elementi nuovi non esistono, è opportuno passare avanti, per trattare altre verità e altri argomenti.

A che cosa esorta Paolo: a comportarsi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto.

Qual è questa vocazione ricevuta? È la loro chiamata a formare un solo corpo in Cristo Gesù, quindi una sola vita, una sola santità, un solo mistero di morte e di risurrezione e una sola obbedienza al Padre nostro celeste.

Comportarsi in maniera degna significa far trasparire la santità di Cristo in ogni nostro pensiero, parola, opera, azione, comportamento, desiderio, relazione.

Tutto ciò che è nell’uomo: mente, cuore, anima, sentimenti, relazioni, opere, gesti, comportamenti, sensazioni, tutto, ma proprio tutto, deve far trasparire la santità di Cristo che è nel suo corpo.

Tutto deve divenire una traduzione in vita della volontà di Dio, che ci comanda di amare allo stesso modo in cui ha amato Cristo, facendosi olocausto e vittima sacrificale sul legno della croce.

[2]con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore,

Paolo vuole che il cristiano non decida lui da solo qual è la maniera degna di comportarsi. Ne detta le regole essenziali.

Chi pertanto vuole comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta deve agire:

Con ogni umiltà: il cristiano deve vedere se stesso e gli altri nella volontà di Dio. Deve accogliere la volontà di Dio su di lui, deve rispettare la volontà di Dio su gli altri, anzi egli deve compiere la volontà di Dio su di lui come servizio ai fratelli, come aiuto prestato perché anche loro possono fare ciò che Dio comanda.

L’umiltà è di fondamentale importanza nell’esercizio della propria vocazione. Con essa tutta la nostra persona è a servizio della volontà di Dio e quindi a servizio della vocazione. Sappiamo cosa il Signore ci chiede e diamo tutto il nostro sì perché ciò che è volontà sua su di noi si compia.

L’umiltà è la virtù della creatura dinanzi al suo Creatore, Signore e Dio. Con essa ci si vede totalmente dipendenti dalla sua volontà e dalla sua grazia, si accoglie la volontà e la grazia, per poter rispondere alla vocazione che Lui ha stabilito per noi fin dall’eternità.

Mansuetudine: la mansuetudine è quella serenità interiore che ci fa vivere di sola misericordia verso i nostri fratelli.

La mansuetudine è docilità allo Spirito Santo, alla sua mozione, ad ogni suo desiderio. In tutto ci si consegna e ci si abbandona allo Spirito di Dio e ogni cosa viene fatta senza aprire bocca.

La mansuetudine è anche rispetto e silenzio dinanzi a Dio al quale si obbedisce con la gioia nel cuore, sapendo che tutto quanto avviene su di noi e attorno a noi, ha un solo fine: la nostra santificazione.

La mansuetudine è virtù che ci fa conservare sempre la padronanza di noi stessi e ci fa evitare anche la più piccola ribellione interiore, e non solo esteriore.

E pazienza: La pazienza è la forza che viene dallo Spirito di Dio, come d’altronde ogni altra virtù, con la quale assumiamo la storia e la portiamo sulle nostre spalle.

Noi sappiamo che la storia si cambia solo per conversione e per fede la Vangelo. Sappiamo che essa non può modificarsi se non attraverso il nostro sacrificio, l’offerta della nostra vita a Dio, in tutto come ha fatto Cristo Gesù.

Per questo la prendiamo sulle nostre spalle, così come essa è, per redimerla, santificarla, condurla nella giustizia, ma consegnando noi stessi alla volontà di Dio, esponendo la nostra vita anche alla morte, perché sappiamo che solo nel sacrificio della nostra vita per amore a Dio e ai fratelli, sarà possibile cambiare la storia per conversione e per fede al Vangelo.

La pazienza è il peso della croce che mettiamo sulle nostre spalle per la salvezza del mondo, per la conversione dei cuori, per il ritorno nella giustizia di ogni uomo. La croce, per essere di salvezza, deve essere portata con amore, senza ribellarsi, senza mai stancarsi, ogni giorno cominciando da capo. Tutto questo è la pazienza.

Sopportandovi a vicenda con amore: il cristiano vive nel corpo di Cristo, vive nella comunità degli uomini. Vive da imperfetto, in mezzo a molte imperfezioni.

Per poter vivere insieme bisogna accettarsi nelle imperfezioni. Non si accettano le imperfezioni, né le nostre, né quelle dei fratelli.

Si accetta il fratello che è imperfetto al pari di noi e con lui si cammina eliminando ogni giorno le imperfezioni, in modo da raggiungere la più grande santità.

Accettarci da imperfetti non è la stessa cosa che accettare le imperfezioni. L’altro si accetta, si accoglie perché parte di noi. Le imperfezioni devono essere abolite, perché rallentano, o impediscono che si possa compiere il cammino verso il regno di Dio, ostacolano a che si possa conformare la nostra vita a quella di Cristo Signore.

Per questo è giusto che ci si aiuti vicendevolmente, mentre ci si sopporta da imperfetti, ad eliminare ciò che ci rende dissimili da Cristo Gesù.

[3]cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

L’unità che Paolo chiede agli Efesini è soprattutto e prima di tutto l’unità dei sentimenti.

Paolo vuole che i cristiani abbiamo tutti gli stessi sentimenti e quali sono questi sentimenti: quelli di Cristo Gesù.

Vuole che essi abbiano un solo modo di pensare e qual è questo modo? Quello di Dio, manifestato in Cristo Gesù e che viene reso presente al nostro spirito per mezzo dello Spirito Santo.

Pace e unità, per Paolo, camminano insieme. La pace è la ricerca dell’armonia e della comunione all’interno della comunità.

La pace è possibile se non è il pensiero dell’uomo quello che regna in seno alla comunità, ma il pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è uno. Uniformandoci tutti al pensiero di Dio, regna la pace. Se invece si persegue il pensiero dell’uomo, nasce il dissidio, perché ognuno ha i suoi pensieri. Sui pensieri degli uomini non si può trovare l’unità, perché sono assai contrastanti gli uni dagli altri.

Nessun uomo è disposto ad abbandonare i propri pensieri per accogliere i pensieri di un altro. E poi dovremmo tutti abbandonare i propri pensieri umani, per accogliere il pensiero umano di uno solo.

Questo è veramente impossibile, anche perché ci sono nell’uomo sempre quei rigurgiti di superbia che lo spingono a mettersi in contrapposizione e in alternativa agli altri.

Invece accogliendo solo il pensiero di Dio, che è uno, tutti abbiamo l’unico punto di riferimento, che è fuori di noi, che è il solo vero, santo e giusto, che è quello che porta salvezza, giustificazione e redenzione, e la pace veramente scende in seno alla comunità.

Poiché il pensiero di Dio è il pensiero di Cristo e il pensiero di Cristo è stato manifestato nel suo Santo Vangelo, in ogni comunità cristiana siamo tutti chiamati a fare del Vangelo l’unico punto di riferimento per tutti, indistintamente.

A questo ci dobbiamo educare, formare, istruire. A questo ci dobbiamo prima ancora convincerci.

La Chiesa di oggi e di domani potrà trovare la sua forza di unità solo nel Vangelo. Solo il Vangelo, compreso e vissuto sotto la mozione e l’illuminazione dello Spirito Santo, potrà essere il punto d’incontro per tutti coloro che si professano cristiani.

Ma ritornare al Vangelo richiede un impegno di conversione forte; soprattutto richiede una volontà decisa e determinata a convertire anche le nostre tradizioni, anche quelle più sante, al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.

La via della pace, dell’unità, dell’armonia, della comunione in seno alla comunità di quanti si professano cristiani non può avvenire se non partendo da questa unità dello spirito, che può avvenire solo se si prende il Vangelo come unica norma, una regola, unico pensiero sul quale ogni altro pensiero dovrà conformarsi, uniformarsi, annullarsi, estinguersi, morire.

Non c’è altro futuro per la Chiesa se non questo. Non c’è altra speranza se non nel Vangelo.

Ma oggi il Vangelo è dimenticato. Non si ricorda più. Non si annunzia più. Ciò significa che ogni cristiano si è fatto legge a se stesso, cammina per se stesso; si è fatto verità a se stesso e si propone come verità al mondo intero.

Ma la nostra verità è Cristo. Il cristiano che si fa verità a se stesso, è senza conversione e senza fede al Vangelo. È questa la situazione di molti cristiani.

Questa situazione non promette nulla di bene. Siamo senza futuro di pace; siamo senza alcuna possibilità di poter creare unità nell’unità dello spirito.

[4]Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione;

Perché dobbiamo conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace? Perché nel battesimo è avvenuto di noi qualcosa di divinamente grande.

In Cristo siamo stati fatti un solo corpo e un solo spirito, una sola realtà con un solo pensiero, una sola mente, una sola volontà: quella di Dio sopra ciascuno di noi.

Noi non siamo più corpi, siamo un solo corpo: quello di Cristo Gesù. Nel corpo di Cristo regna un solo spirito: quello di Cristo Gesù. È il suo pensiero quello che deve muoverci.

Qual è il suo pensiero? Quello del Padre. Ciò che il Padre pensa, Cristo pensa. Ciò che il Padre vuole, Cristo vuole.

Nel corpo non possono più regnare pensieri diversi, differenti, difformi, contrastanti, alternativi. Perché il corpo di Cristo è uno e in questo corpo è sempre regnato un solo pensiero: quello del Padre. Il corpo è uno, questo corpo è stato governato da una sola volontà: quella del Padre che Cristo Gesù ha fatto interamente sua.

Il corpo è uno, questo corpo ha una sola vocazione: immolarsi, consumarsi, lasciarsi crocifiggere per la conversione dei cuori, la salvezza delle anime, il ritorno a Dio di ogni uomo.

C’è una sola vocazione e anche una sola speranza. Qual è la speranza del cristiano? Quella di entrare con Cristo nella gloria del cielo con il suo corpo risorto e avvolto dalla gloria del Padre.

Ma qual è la via per ottenere tutto questo? Una sola: lasciarsi crocifiggere con Cristo, per compiere la glorificazione del Padre; morire per donare la vita al Padre per la salvezza del mondo.

Se il corpo è uno, il pensiero è uno, la vocazione è una, la speranza è una, la modalità è una, uno deve essere anche il cammino, una la via: il Vangelo, la Parola di Dio, che ognuno dei cristiani si impegna ad osservare in ogni sua parte, comprendendola però nello Spirito che è stato dato alla Chiesa, vivendola insieme agli altri e con gli altri.

Se tutto è dal Vangelo, tutto nel Vangelo, tutto per il Vangelo, perché il Vangelo è Cristo, il Vangelo è il Padre, diviene obbligatorio iniziare proprio dal Vangelo e nel Vangelo ricondurre la nostra vita.

Il Vangelo deve essere la legge per il discernimento e l’ermeneutica di ogni realtà sia nella Chiesa che fuori. Il Vangelo deve essere la luce che illumina ogni nostra decisione, ogni nostro pensiero, ogni nostra volontà.

Il Vangelo deve essere l’unica Parola che la Chiesa deve proferire. Al di là del Vangelo non ci sono altre parole che meritano di essere dette dalla Chiesa.

Come di Cristo non si conoscono altre Parole se non quelle contenute nel Vangelo, come di Cristo non ci sono Parole di Vangelo e parole profane, di non Vangelo, così deve essere per ogni cristiano.

Il cristiano non può avere due parole: una di verità e l’altra di menzogna, una di salvezza e l’altra di perdizione, una sacra e l’altra profana, una di serietà e l’altro di scherzo.

Una deve essere la Parola nel cristiano, come una è la Parola di Cristo, la Parola del Padre.

[5]un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Perché la nostra Parola deve essere una? Perché uno è il Signore. Noi non abbiamo più Signori, né nel cielo, né sulla terra.

Se il Signore è uno, una è anche la volontà, uno è anche il pensiero, una è anche la Parola.

Una è anche la comprensione della Parola dell’unico Signore. È qual è quest’unica comprensione della Parola dell’unico Signore? La croce di Cristo Gesù. La croce è l’interpretazione unica di quest’unica Parola ed è interpretazione che sfida i secoli e la storia; è l’unica interpretazione che va al di là del tempo, poiché viene dall’eternità e nell’eternità consuma la sua storia, senza per questo potersi esaurire, o cambiare di significato.

Se la croce è l’unica vera interpretazione della Parola di Dio, l’unica ermeneutica possibile, l’unica vera teologia, il cristiano crocifisso è il libro di testo perché il mondo studi Cristo.

Il mondo apre questo libro, che è il cristiano crocifisso, lo legge, lo studia, lo approfondisce e se vuole, con l’aiuto e la forza dello Spirito Santo, può anche lui scegliere di aderire a quest’unica Parola, con quest’unica interpretazione, e divenire anche lui libro di studio per tutti coloro che vengono a contatto con lui.

Alla sola Parola del solo Signore con l’unica interpretazione si può rispondere in un solo modo: con la fede, che è una ed unica.

Quando Paolo dice che una sola è la fede, non vuole parlare della “fides qua”, che è quella fede personale, la personale risposta alla Parola, che deve crescere e nella crescita o decrescita si differenzia dalla fede degli altri.

Potremmo avere in uno una fede grandissima e nell’altro una fede morta. In questo caso la fede è diversa, perché diversa è l’intensità con la quale si aderisce alla Parola.

La fede è una sola, perché uno solo è il Pensiero di Dio, Cristo Gesù Signore nostro e una sola è la Verità del Padre, Cristo Gesù Signore nostro.

Ora, se una è la Parola, uno è il Pensiero, uno è Cristo, la nostra adesione deve essere necessariamente una. Non possiamo aderire ad altro se non all’unico Cristo e all’unica Parola, nell’unico Vangelo della salvezza.

Questo significa che quando ci sono differenti confessioni nella fede, si è cambiato soggetto e oggetto della fede.

Se si va a scoprire cosa si crede, ci si accorge che l’oggetto della fede è diverso e per questo è anche diversa la confessione che si fa.

Mentre una deve essere sempre la fede e una sola. Chi cambia la fede, cioè l’oggetto, non è più nella vera fede. Non è semplicemente nella fede.

O la fede è una e rimane una, o non è più fede. Sono senza fede tutti coloro che hanno cambiato l’oggetto della loro fede.

Così anche dicasi per il battesimo. Il battesimo è uno perché uno è il frutto del battesimo: la nostra incorporazione a Cristo Gesù.

Tralasciamo tutti gli effetti che il battesimo produce, perché sono contenuti, anche se non espressi, nella nostra incorporazione a Cristo, nel nostro essere costituiti un solo corpo in Cristo, per Cristo e con Cristo.

Se il battesimo fa tutti un solo corpo, un solo spirito, come è possibile che nel solo corpo dimorino e si esprimano più spiriti, più pensieri, più verità, più parole, più interpretazioni dell’unica Parola di Dio?

Un solo battesimo che produce un solo frutto: la nostra crocifissione in Cristo per la redenzione e la salvezza del mondo. Chi diviene un solo corpo in Cristo si è già consegnato alla crocifissione per la redenzione del mondo; di lui il Padre ha fatto già un’offerta e un olocausto di salvezza. Dinanzi a questa verità, il resto non ha più senso, perde di significato, scompare.

Si può essere in dissidio nel corpo di Cristo per cose di questo mondo, di questa terra, dal momento che noi abbiamo già crocifisso il mondo e la terra nel nostro corpo per la santificazione del mondo e della terra?

Se siamo in dissidio, in contrasto, è perché non viviamo ciò che siamo, non siamo ciò che Cristo ha fatto di noi in Lui. Il modo come professiamo la nostra fede attesta il nostro rapporto con Cristo, se è vero, oppure è semplicemente falso. La non unità dei cristiani attesta che loro con Cristo hanno un rapporto falso. Hanno una interpretazione falsa di Cristo, una teologia falsa di Cristo, un’ermeneutica falsa del suo mistero (Falsa = o non vera, o parziale, o del tutto umana).

La divisione nasce sulla falsità; l’unità nasce sulla verità. Non sulla verità degli uomini, bensì sulla verità di Dio.

[6]Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Al di là di tutto questo, che è a fondamento dell’obbligo e della necessità di costruire e di edificare la comunità dei credenti in Cristo, c’è un’altra verità sempre di ordine soprannaturale che deve togliere ogni dubbio, pulire la mente da ogni errore, sgombrare il cuore da ogni residuo di falsità.

Paolo ha detto che c’è un solo Signore. Il solo Signore è Cristo. Sopra di Cristo c’è il Padre.

Dio è uno solo ed è il solo Padre di tutti. Qui la paternità non può essere interpretata come paternità adottiva in Cristo, perché questo tipo di paternità è solo per i battezzati.

Si tratta invece di una paternità morale, di creazione, non di generazione. La paternità per generazione sacramentale è solo per i cristiani, cioè per quelli che sono nati da acqua e da Spirito Santo.

Per tutti gli altri Dio è anche Padre, ma in senso morale, nel senso cioè che tutti provengono da Lui, anche se per sola creazione e non per generazione.

Proveniamo tutti da un solo Dio, questo Dio è il nostro unico Creatore, il solo Redentore, il solo Salvatore di tutti.

Questo unico Dio che è Padre di tutti, è anche al di sopra di tutti. Ciò significa che ogni altro uomo è sotto di Lui, è chiamato all’obbedienza a Lui, è chiamato alla fede nella sua Parola che avviene attraverso la conversione e l’adesione a Cristo Gesù.

Se tutti siamo sotto di Lui, tutti siamo obbedienti a Lui. Se ognuno è nella sua obbedienza, allora ciò che uno fa, lo fa per comando di Dio, per sua volontà.

La volontà di Dio è la nostra vita, perché la nostra vocazione è quella di compiere la volontà di Dio.

Non solo dobbiamo compiere personalmente la volontà di Dio, dobbiamo essere di esempio e di sprone agli altri perché la compiano, la osservino e qual è la volontà di Dio su di noi, se non quella di essere in tutto conformi all’immagine di Cristo Gesù Crocifisso?

Quando c’è disaccordo, non c’è neanche volontà di Dio; se non c’è compimento della volontà di Dio, non c’è neanche vocazione, non c’è fede, non c’è verità in noi.

Paolo ci dice in questo versetto un’altra verità. Tutto ciò che si fa di bene, di santo, di giusto, di vero è opera di Dio dentro di noi.

È Lui che agisce per mezzo di noi. La nostra azione è il frutto della sua grazia, della sua ispirazione, della sua mozione.

Può uno che è mosso da Dio agire contro la mozione di Dio nei fratelli? Se lo fa non è certamente mosso da Dio, ma dalla sua concupiscenza, dalla sua superbia, dalla sua non fede, non verità, non amore, non giustizia.

Costui è mosso dal peccato che abita in lui, ma non certamente da Dio.

Infine Paolo ci invita a riconoscere la presenza di Dio in ogni altro uomo. L’altro uomo è degno di essere amato, servito, ascoltato, sopportato, aiutato, confortato, sollevato, perché in lui è presente Dio.

È presente perché fatto ad immagine e a somiglianza di Dio. È anche presente con il suo soffio vitale, perché se Dio non fosse presente nell’uomo, questi sarebbe senza vita, sarebbe nella morte.

C’è una presenza viva di Dio in ogni uomo, oltre che presenza di grazia, con la quale lo attira a sé.

Anche se dobbiamo dire che la presenza di Dio non è percepita a causa del nostro peccato che oppone resistenza a Dio, contrasto e rifiuto, a volte anche assoluto.

Questo però mai deve avvenire in coloro che sono stati fatti una cosa sola in Cristo Gesù. Se questo avviene è veramente la morte alla grazia e alla verità, morte alla conversione e alla fede, morte anche allo Spirito che non può più agire in noi e attraverso di noi.

Quando in una comunità sorgono divisioni, o non c’è unità, allora è giusto che ci si esamini sulla fede, perché sicuramente è la fede che è in crisi e se è in crisi la fede anche l’amore e la speranza sono in crisi, tutto è in crisi.

Lavorare sull’amore, o sulla speranza, quando è in crisi la fede, è perdere semplicemente tempo.

Quando Cristo è venuto in mezzo a noi ha iniziato propria dalla fede, dal ristabilire la vera fede nei cuori. Chi vuole cooperare alla salvezza, alla redenzione dell’uomo, chi vuole creare l’unità nelle comunità cristiane, deve partire dalla fede.

Oggi invece si parte da una ricerca di giustizia, di pace, di solidarietà, cose tutte che lasciano i cuori, le comunità e il mondo nel loro peccato e nella loro non fede. Sul peccato e sulla non fede non si può edificare l’unità nella comunità, né la comunione tra i membri dell’unico corpo di Cristo Gesù. Questa verità deve essere proclamata a tutti i livelli, in ogni circostanza, in ogni istituzione. Perché sarà questa verità che ci salverà, poiché sarà questa verità che ci spingerà a lavorare perché la vera fede sia portata in ogni cuore.

La crisi del mondo attuale è crisi di fede, crisi di verità, crisi di Cristo, crisi di Spirito Santo, crisi di Dio.

[7]A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

Paolo lascia ora la questione di principio, sulla quale fonda il suo discorso sull’unità cristiana ed entra nella storia, nella situazione concreta del singolo credente.

Dio opera tutto in tutti. Come opera? Cosa opera? Quando opera?

La grazia di Dio è infinita e universale, divina ed eterna, onnipotente e creatrice, salvatrice e redentrice, operatrice di ogni bene e di tutto il bene.

Questa è la grazia in sé. È stata data tutta questa grazia ad ognuno? No.

Questa verità deve essere a fondamento per la costruzione dell’unità e della concordia nella comunità.

Cosa deve insegnarci questa verità? La grazia ad ognuno non viene data nella sua universalità e totalità. Non tutti hanno l’unica grazia nella sua onnipotenza di operazione.

Ognuno ha di questa grazia una misura, una porzione. È sempre l’unica grazia, ma di quest’unica grazia a noi viene data una misura, una quantità limitata.

Qual è il limite della grazia? Paolo lo dice con una espressione ermetica, anch’essa bisogna di ulteriori chiarificazioni.

Ci dice che la grazia è data secondo la misura del dono di Cristo. Cristo si dona a ciascuno di noi e nella misura del suo dono ci è data anche la grazia di Dio.

La grazia è particolare, perché particolare è il dono di Cristo a noi.

Questa verità ci conduce a vedere ogni grazia in Cristo, per Cristo e con Cristo. Ci conduce anche a pensare che non c’è grazia che non sia in relazione al dono che Cristo fa di sé a noi.

Infine ci deve portare a concludere che non c’è grazia se non per vivere il dono di Cristo. Il dono di Cristo è anch’esso grazia, ma si può vivere solo se c’è una particolare grazia di Dio che discende dal cielo.

Al di là di questa interpretazione del pensiero di Paolo – ce ne potrebbero essere anche altre; questa non è esclusiva – la verità che soggiace al pensiero di Paolo è questa: se ognuno non possiede tutta la ricchezza e la potenza della grazia, se ognuno possiede la grazia secondo la misura del dono di Cristo, ciò deve significare che nessuno può fare tutto nella comunità, ma ognuno si deve limitare a sviluppare, a far cresce e maturare la grazia che gli è stata concessa.

Cosa comporta questo? Comporta un limite ben preciso, che nessuno deve oltrepassare, pena il fallimento della sua opera. Comporta anche il rispetto dell’altrui grazia, anzi richiede la nostra disponibilità a metterci a servizio della grazia dei fratelli perché questa produca frutti di vita eterna.

Volere agire senza la grazia di Dio è peccato di superbia, ma è anche rovinare la comunità cristiana.

Chi ha il mandato di guidare una comunità cristiana deve pertanto adoperarsi perché ognuno sappia cosa deve fare e faccia solo questo.

Per questo urge una educazione alla grazia, come avviene per l’educazione alla fede. In questo campo siamo assai carenti. Alla grazia non si educa, anzi spesso c’è una diseducazione che pone problemi seri e gravi in seno alla comunità, perché la lacera all’interno di essa proprio a motivo di questa educazione mancata, non data, presupposta, ignorata e a volte anche rifiutata.

Perché si educhi alla grazia è necessario che si viva la virtù dell’umiltà. È la sola virtù che ci consente di vivere ognuno secondo la misura del dono di Cristo, ma anche di aiutare gli altri e di lasciarsi aiutare dagli altri perché questo avvenga e si compia in ogni momento e per ogni circostanza.

Il futuro di una comunità è in questa educazione. Chi la tralascia, non si cura della comunità, l’abbandona a se stessa e ai capricci del cuore di ognuno.