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PER OPERA DI GESÙ CRISTO


Paolo, prigioniero di Cristo. Paolo è prigioniero di Cristo per un duplice motivo: perché è nel carcere a causa del Vangelo che predica; ma anche perché egli a Cristo ha dato e consegnato interamente la sua vita. Chi è il prigioniero? Colui che non può disporre più della sua vita; essa è consegnata nelle mani di altri. Paolo non dispone più in niente della sua esistenza. Quanto è in lui: spirito, anima e corpo sono proprietà di Cristo Gesù. Cristo Gesù si è fatto prigioniero di Paolo, nel senso che si è messo pienamente, completamente nel cuore di Paolo, vive attraverso il cuore di Paolo; Paolo si è consegnato interamente a Cristo, egli vive tutto nel cuore di Cristo. È il cuore di Cristo la prigione di Paolo ed è il cuore di Paolo la prigione di Cristo. Cristo e Paolo sono una sola vita. Sono l’uno per l’altro.


Missione come ministero di grazia. La grazia ha i suoi destinatari. Ogni missione che l’apostolo di Gesù svolge, deve intenderla e viverla come ministero di grazia, di misericordia, di verità, di santità. L’apostolo del Signore deve essere sempre cosciente che in lui non può esistere alcuna autonomia né da Dio, né da Cristo, né dallo Spirito Santo, né dalla verità, né dalla grazia e neanche dalle modalità che furono di Cristo Gesù. L’apostolo di Gesù è apostolo di Gesù finché darà al mondo intero i doni che Dio gli ha consegnato di dare; se non dona ciò che Dio gli ha dato, ma autonomamente decide di dare altro, egli non è più apostolo di Gesù. Cosa è non si sa. Si sa che non è più apostolo del Maestro. Il suo legame con la volontà di Dio deve essere così forte, così radicato in lui, che non deve pensare neanche dove e a chi dare la grazia e la verità. La grazia ha già i suoi destinatari e questi destinatari è Dio a presentarli all’apostolo. Neanche in questo l’apostolo ha scelte in autonomia. L’apostolo è apostolo finché rimane un ascoltatore perenne di Dio, uno che è mosso costantemente dallo Spirito. Se si distacca dall’ascolto e dalla mozione dello Spirito, egli non è più apostolo di Cristo.


Per la Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa. L’apostolo del Signore, inoltre, dovrà sempre ricordarsi che lui non è solo, non è il solo. Egli è costituito parte di un tutto. Egli è Chiesa, lavora a servizio della Chiesa, svolge la sua missione nella Chiesa e con la Chiesa, vive il suo mandato come un membro del corpo di Cristo assieme agli altri membri che hanno altre mansioni da svolgere sempre a beneficio della salvezza del mondo intero. L’anima da salvare non è dell’apostolo, è di Dio e Dio può decidere che sia un altro a salvarla e lui deve lasciarla all’altro. Sarebbe anche questa autonomia da Dio scegliere le anime da salvare, mentre chi decide la nostra opera missionaria e apostolica non siamo noi, ma è sempre il Signore. È la Chiesa lo strumento di Cristo, è la Chiesa il suo corpo, è la Chiesa che ha il divino mandato di portare la salvezza al mondo intero, è sempre la Chiesa la sola a cui sono state affidate tutte le anime, di tutti gli uomini. Nella Chiesa però ognuno svolge il ministero che gli è stato affidato da Dio e così realizza la salvezza delle anime, ma nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa. La salvezza è un ministero ecclesiale, non personale. Se fosse personale, si potrebbe vivere anche fuori della Chiesa. Invece nulla deve avvenire fuori della Chiesa, perché nessuno da solo può salvare un’anima. Anche perché dopo ogni conversione l’anima si consegna alla Chiesa, perché sia dalla Chiesa nutrita, custodita, salvata, protetta, aiutata a progredire fino al raggiungimento della Patria nei cieli. È questa l’ecclesiologia che ci deve sempre sorreggere, altrimenti ci costituiamo strumenti di Dio in autonomia dagli altri e dalla Chiesa e la Chiesa non può più salvare attraverso noi che non ci sentiamo Chiesa, o che non affidiamo alla Chiesa le anime.


Mistero velato. Mistero svelato. Ogni ministero è per volontà di Dio. Paolo ministro del mistero di Cristo. Il mistero di Dio è tutto svelato in Cristo Gesù. Niente più Dio deve svelare del suo mistero. Questo mistero svelato rimane però velato per la stragrande maggioranza degli uomini e anche molti tra coloro che ne hanno sentito parlare, lo conoscono male e male lo vivono. Questa è la realtà di fede dell’uomo. Dio associa degli uomini alla missione del suo Figlio Gesù perché siano nel mondo coloro che svelano il mistero di Cristo, annunziandolo, insegnandolo, predicandolo, illuminandolo in ogni sua parte. Paolo di questo mistero di Cristo è un ministro eccellente. A questo mistero, al mistero di Cristo egli ha consegnato tutta la sua vita. Ogni suo respiro è per far conoscere Cristo al mondo intero. Ogni sua azione è per portare il Vangelo, lo svelamento del mistero ad ogni uomo. Per questo egli vive e per questo opera, si affatica, soffre: perché Cristo sia fatto conoscere ad ogni uomo.


Rompere ogni struttura religiosa che non si confà con il mistero. La Chiesa di Dio in ogni sua componente ha l’obbligo e la responsabilità di rompere con ogni struttura religiosa che non manifesta più il mistero nella sua verità più pura, oppure lo nasconde, o addirittura lo trasforma, cambiandolo nella sua stessa natura. Può la Chiesa operare in tal senso? Può intraprendere un cammino pastorale nuovo? Lo può ad una condizione: se i suoi figli, se coloro che sono chiamati a Dio a svelare al mondo il mistero di Cristo, come Paolo, si lasciano completamente imprigionare dal cuore di Cristo, fino a divenire un solo cuore, due cuori in uno, un solo cuore in due. Se con Cristo non c’è partecipazione viva al suo mistero, se il mistero di Cristo non diviene la nostra vita, come lo fu in Paolo, inutile sperare nella novità pastorale. Questa consisterà sempre in ripetizioni di strutture religiose e anche di fede, che nascondono la fede, anziché rivelarla in tutta la sua potenza di grazia e di verità. Oggi c’è tanta ignoranza del mistero di Cristo. Si accrescono le strutture religiose, ma queste altro non sono che il nascondimento del mistero di Cristo, di Dio e della Chiesa.


Tutto è per vocazione. Come Dio chiama? Si chiama per essere come Cristo: per dare la vita. Si è detto già che nella nostra fede non c’è alcuna autonomia da Dio, né prima né dopo. Tutto è da Dio, prima e dopo; tutto è con Dio, prima e dopo; tutto è per il Signore, per la sua gloria, prima e dopo. Essere salvati, essere nella Chiesa, essere corpo di Cristo, svolgere all’interno del corpo questa o quell’altra missione: è vocazione da parte di Dio. Se non è sua chiamata, se è per nostra volontà, è il fallimento. Non c’è Dio dove non c’è compimento della volontà di Dio. Le vie attraverso le quali Dio chiama sono misteriose, invisibili ad occhio umano, impensabili allo stesso uomo chiamato. Ogni uomo deve essere attento, molto attento, con l’orecchio proteso verso il cielo, pronto a rispondere ad ogni chiamata che viene dal Signore. Per questo gli occorre la capacità di ascoltare, di vedere, di percepire, di leggere e di interpretare i segni che Dio sparge sui suoi passi. Per questo urge una vita di santità, una disponibilità interiore ad ascoltare e ad accogliere la voce di Dio. Quando Dio chiama, chiama perché si diventi conformi a Cristo Gesù, nell’ascolto e nel dono della vita. Dio chiama perché gli venga consegnata la nostra vita per l’opera alla quale ci ha destinati. La volontà è di Dio, il campo è di Dio, l’opera è anche di Dio, tutto è di Dio. Di Dio è anche la scelta dell’opera che singolarmente dobbiamo svolgere nel suo campo. Niente deve essere vissuto in autonomia, o perché a noi una cosa sembra buona. La bontà di una cosa è Dio che deve deciderla, volerla, stabilirla, mai il chiamato. Il chiamato si deve consegnare interamente nelle mani di Dio, farsi suo prigioniero, come Paolo si è fatto prigioniero di Cristo per l’opera dell’evangelizzazione del mondo.


Per mezzo del Vangelo. Il Vangelo è la porta di tutto. La missione della Chiesa dare il Vangelo. La salvezza del mondo si compie per mezzo del dono del Vangelo. Si accoglie il Vangelo, lo si vive: questa è la vocazione dell’uomo; se questa è la vocazione dell’uomo, questa deve essere anche la missione della Chiesa. Come può un uomo essere salvato, se la Chiesa non gli dona il Vangelo da vivere? Oggi tutta la nostra pastorale è una sostituzione del Vangelo. Non si dona più il Vangelo, si donano parole di uomo, pensieri di uomo, decisioni di uomo, riflessioni di uomo, piani di uomini che non vivono il Vangelo. Se il Vangelo è la porta e la via della salvezza, come è possibile arrivare a tanta stoltezza da mettere da parte il Vangelo e pensare di operare salvezza in questo mondo? Se si è entrati in questa stoltezza, è perché anche noi siamo usciti dalla sapienza del Vangelo ed esce dalla sapienza del Vangelo chiunque non sceglie il Vangelo come sua ultima e prima via e porta della salvezza.


Vangelo, Spirito Santo, Chiesa. Dono di grazia: predicazione del Vangelo. Perché si dia il Vangelo, occorrono due soggetti, non uno; occorrono la Chiesa e lo Spirito Santo; occorre la Chiesa mossa, guidata, illuminata dallo Spirito Santo. Se la Chiesa, o il soggetto nella Chiesa, si distacca dallo Spirito, non c’è più dono del Vangelo, perché chi deve far comprendere il Vangelo alla Chiesa è lo Spirito Santo. È lo Spirito il perenne Maestro da ascoltare e chi è senza lo Spirito come fa a mettersi in ascolto delle sue spiegazioni sapienziali, dottrinali, di verità in verità verso la verità tutta intera del Vangelo? Nessun ascolto sarà possibile se non si cammina con lo Spirito nel cuore, nella mente, nei pensieri, nell’anima, nello stesso corpo, chiamato ad una santità sempre più grande. Chi è nel vizio non ascolta lo Spirito, chi non ascolta lo Spirito per sé non può ascoltarlo per gli altri.Il Vangelo è il primo dono di grazia che la Chiesa deve fare al mondo intero. Se non fa questo dono di grazia, che è la porta di ogni altro dono di Dio, ogni altro dono di Dio è ricevuto invano.


Quando la grazia opera efficacemente in noi e attraverso di noi? È grazia la consegna di altra grazia. La grazia opera efficacemente in noi quando trasforma la nostra mente, il nostro cuore, la nostra anima. La grazia agisce quando c’è vera conversione. Se non c’è vera conversione, cambiamento dei nostri pensieri, per pensare secondo il Vangelo di Cristo, la grazia non agisce secondo la sua soprannaturale potenza dentro di noi. Se non agisce in noi, non può agire neanche negli altri. La misura della grazia che agisce negli altri è data dalla grazia che opera in noi conversione, fede, carità, speranza, vera santificazione. Dare la grazia agli altri, la grazia della conversione e della fede, è un frutto della nostra grazia. Noi attingiamo la grazia in Cristo Gesù, la trasformiamo in grazia di santificazione e di fede al Vangelo in noi; questa grazia che trasforma la nostra natura, produce un altro frutto di grazia che aiuta l’uomo nel suo cammino verso Cristo, lo aiuta perché possa ascoltare secondo verità il Vangelo, al Vangelo aderire con semplicità di cuore, nel Vangelo fondare la propria esistenza impegnando ogni sua energia. Pertanto chi vuole dare la grazia della fede, della conversione, della santificazione al mondo, deve vivere di conversione, di fede, di santificazione, sviluppando tutta la potenza di rinnovamento e di cambiamento della grazia di Cristo in ordine alla propria vita.


Storia del mistero non ancora compiuto. Compiuto in Cristo. Non ancora compiuto nella Chiesa. Si è già detto che il mistero di Dio è Cristo Gesù. Cristo Gesù è però il mistero di Dio pienamente compiuto. In Lui vi è pienezza e definitività di compimento. Niente più del suo mistero Dio deve compiere in Cristo Gesù. Questo mistero non è però compiuto interamente nella Chiesa. La Chiesa ha un solo obbligo: compiere il mistero pienamente in ognuno dei suoi figli, attraverso ognuno dei suoi figli che compiono il mistero di Cristo, mettersi a disposizione degli altri figli che non lo compiono e del mondo intero, perché ognuno entri a far parte del mistero di Cristo e lo compia in ogni sua parte, in tutto. È questa la missione della Chiesa. Le altre non le sono state date. Se le svolge, le svolge autonomamente da Dio. Nell’autonomia non c’è compimento del mistero, non c’è vita secondo il mistero. Il mistero è prima di tutto e di ogni altra cosa obbedienza a Dio. Le tre fasi dell’attuazione del mistero: Cristo, Chiesa, singolo. In Cristo è perfettamente concluso. Nella Chiesa e nel singolo si deve compiere ogni giorno.


La teologia di Paolo. Descrizione di Cristo. Dipinto di Cristo. L’uomo pensato nel mistero di Cristo. Cristo è la risposta dell’uomo. Chi vuole conoscere, deve conoscere in Cristo.


Quando Paolo fa teologia, egli altro non fa che descrivere Cristo, dipingere Cristo, ritrarre Cristo. La teologia di Paolo è la raffigurazione quasi visibile del mistero che si è compiuto in Cristo Gesù. Anche l’antropologia di Paolo è un dipinto di Cristo. Per Paolo non c’è uomo se non in Cristo, non c’è uomo se non vive secondo Cristo, se non fa della vita di Cristo la sua vita, secondo la pienezza del suo mistero. Dio e l’uomo non possono essere conosciuti secondo verità se non in Cristo Gesù. Ma conoscere Cristo per Paolo non è avere una qualche scienza di Lui; conoscere Cristo ha un solo significato: immergersi nella sua morte e nella sua risurrezione, per viverle nella propria vita, morendo totalmente al peccato, risuscitando totalmente alla vita nuova secondo lo Spirito che ci è stato donato. Chi è nel peccato non conosce Cristo; chi non si libera dei vizi non conosce Cristo, non lo conosce perché Cristo è morto al peccato, è morto per togliere il peccato dal mondo. Chi non vive nella santità non conosce Cristo, perché Cristo è venuto per darci il suo Spirito di santità per trasformarci in uomini santi, uomini cioè che fanno solo la volontà del Padre. Conosce Cristo chi diviene una cosa sola con Lui, un solo mistero. A partire da Paolo sappiamo dunque cosa è la teologia: la comprensione sempre più vera del mistero di Cristo, e dal mistero di Cristo, la conoscenza sempre più vera, del mistero di Dio e dell’uomo. Ma il mistero ci è stato rivelato. La teologia è la comprensione del mistero rivelato, non di un mistero pensato dall’uomo, voluto dall’uomo, immaginato dall’uomo. Questa non è teologia. Il teologo deve possedere grande intelligenza e raffinata sapienza di tacere dinanzi al silenzio di Dio. Se lui parla dove Dio ha taciuto, egli si rivela semplicemente uno stolto. Teologia e mistero rivelato e compiuto in Cristo sono una cosa sola. Portare autonomia nella teologia dal mistero rivelato e compiuto in Cristo, anche questo è errore grande. Non si genera salvezza, né redenzione nei cuori nell’autonomia.


L’incarnazione è la conclusione della creazione (ascensione gloriosa al cielo). Possiamo affermare che la creazione si è conclusa con l’incarnazione del Verbo della vita. Il disegno di Dio ha avuto la sua perfezione. Tuttavia con l’incarnazione non si è concluso il cammino della creazione verso la sua pienezza ultima e definitiva, che avverrà con la risurrezione gloriosa dei corpi dei giusti e con la creazione dei cieli nuovi e della terra nuova.


La tentazione della Chiesa, la tentazione del singolo. La tentazione sia del singolo, che dell’intera Chiesa è la stessa che ha subito Cristo nel deserto: quella di uscire dalla volontà di Dio, dalla missione che Dio ha affidato loro, per fare altre cose, viste come più necessarie per l’uomo. Chi vuole sapere quali sono le tentazioni dalle quali sempre guardarsi, in ordine però alla missione da svolgere, è sufficiente che si legga il Vangelo e si veda ogni tentazione subita da Gesù: erano sempre un volerlo portare fuori dalla missione che il Padre gli aveva affidato. Cristo Gesù superava le tentazioni perché in continua crescita in grazia e in santità. Così deve essere per chi vuole nella Chiesa e per la Chiesa stessa superare le tentazioni: deve mettere ogni impegno a fare della santità la sua unica condizione di essere nel mondo. Se non avrà impegnato ogni energia nella crescita in grazia e in verità, non solo non avrà la forza per superare la tentazione, non avrà neanche la capacità di scorgerla. Cadrà in essa, pensando di fare una buona azione. Non salvano le buone azioni volute dall’uomo; chi salva è solo il compimento della volontà del Padre.


Il valore di una tribolazione. La tribolazione per gli altri. Nella sofferenza di Cristo per mezzo della sofferenza di Paolo. La tribolazione ha un duplice valore di salvezza: rende perfetto il nostro spirito, lo affina per il compimento della volontà di Dio; produce un frutto di grazia di conversione e di santificazione per il mondo intero. La tribolazione nella santità, poiché vissuta in intima unione con quella di Cristo, fa della nostra tribolazione la tribolazione di Cristo e della tribolazione di Cristo la nostra, una sola tribolazione, in un solo corpo santo, per la conversione e la santificazione del mondo intero. La tribolazione che salva è quella che nasce dal compimento della volontà di Dio; non salva il mondo quella tribolazione che è il frutto dei nostri peccati, dei nostri vizi, delle nostre stoltezze. Questa tribolazione serve però per la nostra purificazione, a condizione che lasciamo la via della stoltezza ed entriamo in quella della saggezza e della verità di Cristo Gesù.


Termine ultimo e soprannaturale della preghiera: il Padre. Tutti gli altri termini intermediari. Cristo ultimo e primo soprannaturale termine di ogni mediazione. Ogni preghiera che dal cuore del cristiano si innalza verso il cielo ha come suo termine ultimo il cuore di Dio. È lì il termine di ogni nostra invocazione. Tutti gli altri (angeli e santi) sono termini di mediazione, sono strumenti che devono portare la nostra preghiera nel cuore del Padre perché venga esaudita. Sono strumenti però che non portano solo la nostra preghiera, alla nostra preghiera aggiungono la loro grazia; rivestono la nostra preghiera con i loro meriti perché questa venga esaudita. Dio non vede noi dietro di loro, vede loro dietro la nostra preghiera. Loro presentano la nostra preghiera in nome loro, come la Madre di Gesù non presentò la richiesta del miracolo del vino in nome degli sposi, ma nel suo nome di Madre di Cristo. Questo è importante che si sappia, se si vuole dare alla preghiera quel giusto peso che la innalzi fino al trono di Dio con le garanzie per il suo esaudimento. Cristo Gesù nella mediazione ha un ruolo del tutto particolare: Egli è il termine ultimo di ogni altra mediazione: Angeli, Santi, la Madre di Dio, Gesù, il Padre. Questo è l’iter celeste della nostra preghiera. Inoltre Cristo Gesù ha un’altra sua specialissima particolarità: ogni preghiera che l’uomo innalza al cielo, egli l’avvolge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione e così rivestita la porta personalmente al Padre, come sua personale preghiera. Sono gli Angeli e i Santi che chiedono alla Madre di Dio, è la Madre di Dio che chiede a Cristo, è Cristo che personalmente chiede al Padre, ma chiede presentando tutto con i segni del suo mistero di morte e di risurrezione. Il nostro compito, quando preghiamo, è quello di metterci in comunione di grazia e di santità con il Cielo, perché se siamo senza la grazia santificante, siamo esclusi dalla comunione e fuori della comunione non c’è alcun esaudimento di preghiera. Gli sposi e la Madre di Gesù erano in comunione di amore e di amicizia. Per loro Maria ha chiesto il miracolo al Figlio.


Innalzarsi nel mistero, non abbassare il mistero. C’è una tentazione che da sempre si abbatte sugli uomini di Chiesa, specie sui ministri della Parola. Essa spinge i predicatori del Vangelo o a ridurre tutto in una questione di morale, oppure a banalizzare il mistero, quasi a negarlo, in nome di una semplicità mortificante. Ora se Dio ha rivelato il mistero, vuole che il mistero venga annunziato, non altro; se Dio ci ha manifestato il suo disegno di salvezza in Cristo, è dal mistero di Cristo che ogni predicazione prende avvio. È giusto, santo, salutare innalzare l’uomo nel mistero di Cristo, aiutandolo perché lo comprenda, anziché abbassare il mistero e i contenuti di esso con una riduzione mortificante. La vita vera di ogni uomo è nel mistero di Cristo conosciuto, accolto, compreso, predicato, annunziato, realizzato nella propria vita. Molti errori di predicazione nascono proprio dall’abbassamento del mistero di Cristo, o dalla sua vanificazione nella predicazione. Una pastorale attenta ai problemi dell’uomo deve fare della conoscenza del mistero di Cristo il suo punto forte, il suo punto di partenza e di arrivo. Chi predica Cristo, salva l’uomo; chi non predica Cristo, in nessun caso potrà salvare l’uomo perché la salvezza dell’uomo è nel suo inserimento nel mistero di Cristo Gesù.


Ogni paternità per creazione, per generazione, per adozione, è solo da Dio. Tutto è da Dio, tutto discende su di noi per una sua particolare grazia che ci viene donata in Cristo, per Cristo, con Cristo. Anche la paternità di Dio, sia essa di creazione, di generazione, o di adozione ha la sua sorgente eterna in Dio Padre. Se tutto è da Dio Padre e tutto è per grazia di Dio, anche se storicamente ogni grazia di Dio si riversa sull’uomo attraverso Cristo, è anche in Dio che bisogna attingerla, a Dio bisogna chiederla, chiederla per noi e per gli altri. Questo però ci deve insegnare una grande verità di ordine teologico: se tutto è da Dio, niente è dalla terra; se tutto è dalla trascendenza, nulla è dall’immanenza. Bisogna allora che ci convinciamo con profonda convinzione di fede che non c’è figliolanza alcuna che non discenda da Dio, in Cristo, per lo Spirito Santo. Poiché la salvezza del mondo si compie e si realizza solo nella vita secondo la figliolanza (per noi è solo per creazione e per adozione), a Dio dobbiamo chiedere la grazia della santificazione di ogni figliolanza; e sempre a Dio dobbiamo fare ricorso se vogliamo che noi e gli altri possiamo sviluppare tutta la divina potenzialità che Dio ha racchiuso nella figliolanza data ad ogni uomo (per creazione), o a cui è invitato ogni uomo (adozione).


Un solo mistero d’amore Cristo e il cristiano. Il cristiano oggetto e soggetto della carità del Padre. Mente e cuore. Potentemente rafforzati nell’uomo interiore. C’è un’altra verità che sempre deve dimorare nella mente e nel cuore del cristiano. Non ci sono due amori che da Dio si riversano uno in Cristo e l’altro nel cristiano. C’è invece un solo amore: l’amore che Dio ha versato tutto nel suo Figlio Gesù, nello Spirito Santo, e che dal Figlio nello Spirito Santo viene donato tutto al Padre, anche attraverso la donazione totale dell’intera sua vita di vero uomo e non solo di perfetto Dio. Siamo chiamati, i cristiani, a lasciarci tutti inabitare da questo unico amore, in modo da riversarlo tutto in Cristo, nello Spirito Santo, perché Cristo, nello Spirito Santo, lo riversi in Dio; così anche dobbiamo riversarlo tutto in Cristo, perché sia Cristo, attraverso lo Spirito Santo, a riversarlo in ogni uomo bisognoso di salvezza e di redenzione. Quando il cristiano avrà compreso che l’amore con il quale egli deve amare Dio e i fratelli è l’amore di Cristo, egli capirà che non può amare secondo Dio, se non è inserito vitalmente in Cristo. Ora Dio ha rafforzato potentemente il cristiano nell’uomo interiore; è necessario però che l’uomo interiore potentemente rafforzato voglia farsi strumento dell’amore di Cristo e la via è una sola: consegnare la vita a Cristo, perché se ne serva esclusivamente per la salvezza del mondo. Questa consegna avviene quando ci si lascia interamente governare dalla sua Parola e nella preghiera si cerca la conoscenza della volontà attuale di Dio per viverla in ogni sua parte, anche a prezzo della nostra vita del corpo. Solo così è possibile che l’unico amore di Cristo viva interamente in noi e attraverso noi si riversi nel mondo, al fine di santificarlo. Su questo la pastorale tace. Neanche un pensiero, un’idea. È come se Cristo fosse inesistente quanto a mistero. Ci serve solo per qualche grazia; ma la grazia di Cristo non è il mistero di Cristo e non è il suo amore che noi dobbiamo realizzare in noi e nel mondo?


Quando la testimonianza è univoca? La dissonanza nella fede. Cosa è in verità la fede? Insieme, tutti per una testimonianza univoca. Cristo è uno, il suo mistero è uno, la sua redenzione una, la sua parola una. Se c’è una unità alla sorgente, se l’acqua è una alla sua origine, perché poi diviene molteplice quando raggiunge gli uomini? Se la verità è una, perché ci sono tante differenti comprensioni di Cristo Gesù? Perché c’è dissonanza e discordanza nella fede, se la fede è una, come una è la verità, una la grazia, uno è Cristo Signore? Il problema non è nell’uomo, il problema vero è nello Spirito Santo. È lo Spirito il solo che immette gli uomini nella conoscenza vera di Cristo Gesù. Quando lo Spirito Santo non abita nell’uomo, nel suo cuore e nella sua mente non abita più la verità. Abita l’idea di Cristo, ma non la verità di Cristo e non può abitare nessuna verità di Cristo, se non vi abita la sua santità, la sua grazia, la sua carità. L’unica fede, l’unica verità, l’unica comprensione vera del mistero di Cristo solo lo Spirito può darla, ma anche solo lo Spirito può farcela accogliere e viverla. Quanti sono senza lo Spirito non donano il mistero vero di Cristo, ma anche non possono accogliere il mistero vero. Rimangono con idee più o meno belle, più o meno a misura d’uomo; ma queste idee non potranno mai divenire la verità sul mistero di Cristo Gesù. La fede non è ciò che l’uomo pensa su di Dio. Questa è idea. La fede è l’accoglienza nel cuore della Parola di Cristo, che è una ed unica, compresa e vissuta alla luce dello Spirito Santo che abita in noi. Se vogliamo tutti offrire al mondo una testimonianza univoca, dobbiamo essere tutti ricolmi di Spirito Santo. Nello Spirito che parla a noi e agli altri, a noi per noi e per gli altri, agli altri per noi e per loro, comprendiamo l’unico linguaggio dello Spirito e non vediamo la parola degli altri differente, dissonante, diversa da quella che lo Spirito ha detto a noi, la vediamo solamente come un’aggiunta da fare a ciò che ha rivelato a noi, perché la sua rivelazione in noi sia perfetta, completa. La testimonianza deve essere come quella dei quattro Vangeli. Tutti contengono tutto il mistero di Cristo, ma ognuno mostra un aspetto particolare di questo mistero che deve essere letto e compreso alla luce degli altri aspetti. Tutto il mistero è in un solo Vangelo. Ogni aspetto del mistero dice tutto il mistero. Ma la completezza del mistero in ogni suo aspetto è solo nei quattro Vangeli. Non ci sono quattro Cristo, né quattro misteri, né quattro aspetti del mistero. C’è un solo mistero visto da quattro angolazioni differenti, ma che dicono tutte e quattro l’unico mistero. Così deve essere sempre per ogni presentazione, comprensione e annunzio del mistero di Cristo Gesù.


L’infinità dell’amore di Cristo. La vita cambia solo se formata e informata dall’amore di Cristo Gesù. L’amore di Cristo è il suo mistero. Mistero di Cristo e amore eterno e incarnato, crocifisso e risorto, per la salvezza dell’umanità sono una sola cosa. Questo amore di Cristo è infinito, da solo può abbracciare l’estensione di tutta la storia e salvare ogni uomo. Dio però ha associato l’amore di Cristo all’amore del cristiano e vuole che sia l’infinito amore di Cristo nel cristiano a redimere e a salvare il mondo. Quando veramente il cristiano è inserito nell’amore di Cristo? Quando quest’amore riesce a trasformare la sua vita. Una vita che non si trasforma è segno che in essa non vive l’amore di Cristo. Spinto dall’amore di Cristo tutto è capace di fare per Cristo il cristiano; tutto è capace di lasciare pur di guadagnare Cristo e il suo amore sempre più grande. L’amore di Cristo ha la stessa forza che ha avuto in Cristo l’amore del Padre. Per amore del Padre Cristo Gesù si lasciò innalzare sull’albero della croce; per amore di Cristo, spinto dal suo amore, che abita potentemente in lui, anche il cristiano è disposto a lasciarsi crocifiggere. È questa libertà che crea l’amore, libertà dalla nostra vita, dal mondo, dalle cose, dalle situazioni, dagli avvenimenti, dagli onori, dalle cariche, da ogni altra cosa che non sia la sola esclusiva volontà di Dio. Una pastorale che non insegna l’amore di Cristo, che non inserisce nell’amore di Cristo, è una pastorale fallita già in partenza, perché è una pastorale impotente, incapace, infruttuosa, inoperosa, vana. L’uomo è chiamato a dare tutta intera la sua vita per rimanere ancorato nel mistero dell’amore di Cristo Gesù.


La pienezza di Dio è l’amore di Cristo. Vuoto del mondo e pienezza di Cristo. Tutto è nell’amore di Cristo, tutto riceve significato da questo amore, tutto si riveste di forza, di perseveranza, di santità, di verità, di grazia, di fortezza. Ogni dono spirituale attinge la forza nell’amore di Cristo. Senza l’amore di Cristo in noi tutto è vuoto, vuoto assoluto. È vuota l’anima, è vuoto il corpo, è vuoto lo spirito. Senza l’amore di Cristo è vuota la Chiesa, sono vuote le comunità e ogni altra realtà. L’amore di Cristo riempie di verità ogni cosa, perché l’amore di Cristo è la verità assoluta nella nostra storia. Chi vuole portare novità nel mondo, deve farlo attingendola nell’amore di Cristo, perché l’amore di Cristo è la sola novità di cui ha bisogno il mondo. Ogni altro amore umano senza l’amore di Cristo è vuoto, inutile, vano, inefficace, inconsistente. Oggi ci chiediamo il perché di tante situazioni di divisione, di separazione, di rottura, di incomprensione, di inimicizia, di ogni altra distanza di peccato che viene a crearsi tra gli uomini. La causa è una sola: la totale mancanza dell’amore di Cristo che guida i passi dell’uomo. C’è il nulla assoluto, il vuoto totale dove non si attinge costantemente all’amore di Cristo Gesù. L’amore di Cristo è tutto per l’uomo. È questo il segreto dei santi, dei martiri, dei testimoni della fede, di ogni uomo impegnato per la salvezza del mondo. Solo chi è ricolmo dell’amore di Cristo può iniziare a portare amore in questo mondo; gli altri non lo possono, perché ne sono completamente privi. Anche in questo la pastorale dovrebbe riflettere molto, specie quando essa è fatta di ritualità, di formule, di fiori e di incensi, di processioni e di altre mille devozioni popolari, ma tutte prive e vuote dell’amore crocifisso di Gesù Signore. Un prete non dovrebbe spendere neanche un minuto della sua missione dove si respinge l’amore di Cristo, oppure dove esso è fortemente ignorato volutamente, perché si vuole altro. Altro non appartiene al prete, perché il prete ha una sola vocazione da compiere: ricolmare e riempire il mondo intero con l’amore attinto in Cristo Gesù e fatto fruttificare sul suo personale albero della croce.


Per dono dello Spirito Santo. Chiedere per divenire parte del mistero, compimento di esso. Un unico mistero: Cristo e la Chiesa. Cristo e la Chiesa sono stati costituti da Dio un solo mistero di salvezza. Sono un unico mistero di amore. In questo mistero si entra per opera dello Spirito Santo in seguito alla predicazione del mistero di Cristo, operato dalla Chiesa; ma anche si rimane in esso per opera dello Spirito Santo, in seguito alla vita del cristiano vissuta conformemente al mistero di Cristo Gesù. Entrare nel mistero e compierlo è opera dello Spirito, non senza però l’opera dell’uomo, o meglio l’opera della Chiesa, prima, e poi, dello stesso cristiano sempre in comunione con la Chiesa prima e dopo. Lo Spirito è sempre pronto, è sempre in attesa di poterci inserire in Cristo e di trasformarci nel suo mistero. Chi manca è la Chiesa, oppure il cristiano. Manca la Chiesa se non annunzia il Vangelo, se tace la divina Parola, se la trasforma o l’annulla; manca il cristiano se non si lascia trasformare in mistero attraverso la partecipazione della sua volontà che si fa impegno concreto e preghiera perseverante perché lo Spirito ci trasformi nel mistero di Gesù Signore.


L’infinito è la misura che ci separa da Dio. Il meglio dell’uomo, il meglio di Dio. Quando noi pensiamo, pensiamo sempre secondo la misura della nostra mente, limitata, non vedente, cieca, inquinata da molti pensieri di peccato. Abbiamo un pensiero molto finito, molto corto, assai poco profondo, sovente pensiamo alla stessa maniera in cui vedono i nostri occhi: solo quello che è a portata di mano e spesso neanche questo pensiero riusciamo a fare, perché accecati dai nostri peccati, chiusi nel nostro egoismo, invischiati nella melma dei nostri innumerevoli vizi. L’infinito è la misura che separa la nostra mente da Dio. Come cogliere l’infinito e secondo l’infinito di Dio pensare ed agire. Come convincerci che il meglio dell’uomo non è mai il meglio di Dio e che tra il meglio che l’uomo pensa tale e quello che Dio vuole c’è lo stesso abisso che separa il cielo e la terra, l’oriente dall’occidente? La risposta non può essere che una sola: liberare la mente dal male, dal peccato, dal vizio, poiché sono questi gli agenti inquinanti che allontanano lo Spirito Santo dal farlo abitare in essa. Chi vuole vedere, pensare, agire secondo Dio deve ricolmare la sua mente dello Spirito di Dio e lo Spirito è Spirito di verità e di santità. Non può lo Spirito abitare in noi se noi rifiutiamo la sua verità, non vogliamo impegnarci per realizzare la sua santità. Lo Spirito è la nostra vista, la nostra parola, il nostro discorso, la nostra mente, il nostro tutto. Tutto deve essere Lui di noi. Se non è tutto, non è niente; se Lui è niente in noi, noi siamo niente in Dio e niente nel mondo. È questo il fallimento della pastorale che non vuole impostarsi sulla grazia e sulla verità; è anche il fallimento di quella pastorale che prende il pensiero dell’uomo come metro per giudicare la volontà di Dio. Di queste cose ne facciamo molte, tante quante bastano per lasciare il mondo e noi stessi nei nostri peccati, ma in una struttura di fede, anch’essa rovinata, che ha proprio come fine quella di togliere il peccato.


L’amen il sigillo della volontà, con la vita. L’amen di Cristo al Padre è il sigillo dei chiodi con i quali si è lasciato inchiodare sull’albero della croce. Questo è il suo vero, perfetto amen, amen di tutta una vita sigillata con altri molteplici amen, ma tutti conducenti a questo amen finale: l’amen del dono totale della propria vita al Padre per la redenzione e la salvezza dell’umanità. Il cristiano che dice amen nella liturgia, deve sapere che con esso impegna tutta intera la sua vita, la crocifigge sull’albero della volontà di Dio, la crocifigge realmente e non solo spiritualmente. Anche in questo la pastorale è chiamata a cambiare; anche la liturgia deve divenire insegnamento a come abbracciare la croce, a come lasciarci crocifiggere su di essa. Ma né l’una e né l’altra hanno l’amen come crocifissione; l’una e l’altra ce l’hanno semplicemente come una risposta, un sigillo liturgico. È loro compito, loro specifico mandato, far sì che ogni amen liturgico si trasformi in un amen di vita e ogni sigillo di preghiera divenga un sigillo di vita, con la vita, offerta al Signore per il compimento della sua volontà.