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Paolo vede il suo ministero come grazia, la sua vocazione come grazia, il campo dell’apostolato come grazia, la stessa conversione dei Gentili è grazia di Dio, concessa al suo apostolato.


Per Paolo parlare di Cristo è grazia. È grazia perché non si può parlare rettamente di Cristo Gesù se non per una grazia particolare dello Spirito Santo. Infatti tutti coloro che non hanno questa grazia, che non la chiedono, che non la invocano quotidianamente dal Signore, tutti coloro che confidano nella loro scienza, anche teologica, parlano male di Cristo, perché di Lui pensano male, come pensano e parlano male della Chiesa e dell’uomo.


Parlano male perché non conoscono il mistero. Perché lo Spirito Santo non lo rivela loro.


Paolo non solo ha ricevuto la grazia di predicare ai Gentili, ha ricevuto la grazia di predicare le imperscrutabili ricchezze di Cristo.


Egli non parla semplicemente di Cristo, non annunzia Cristo restando fuori del suo mistero. Non guarda da lontano Cristo e poi ne parla agli altri, come se annunziasse qualcosa che è lontano, molto lontano da lui e da chi ascolta.


Come si è potuto comprendere, leggendo le sue Lettere, egli è calato nel mistero di Cristo fino a divenirne vitalmente parte, lui è parte di questo mistero, è ormai questo mistero, la sua vita è consegnata a questo mistero e il mistero lo ha conformato di sé, lo ha trasformato in mistero di Cristo, poiché membro del suo corpo, e come parte di questo mistero, dal cuore del mistero egli parla.


Se parla dal centro del mistero, egli riesce a dire ciò che altri neanche immaginano, e non immaginano, né possono immaginare perché loro sono fuori del mistero, sono fuori dello Spirito Santo che rende parte del mistero, che ci conforma al mistero, per questo motivo loro non possono neanche immaginare cosa è il mistero di Cristo Gesù.


I Gentili, cui Paolo si rivolge, hanno questo grande privilegio, questa grande grazia: non solo di conoscere Cristo Gesù, ma di conoscerlo secondo verità, in pienezza, dal centro del suo cuore e della sua vita, dal cuore di Dio e dal cuore dell’uomo, nella sua morte e nella sua risurrezione, prima dell’Incarnazione e dopo.


Lo conoscono non in superficie, ma in profondità. Conoscono anche ciò che di Cristo è comunemente non conoscibile, perché Paolo dona loro le imperscrutabili ricchezze di Lui.


Ciò che fa Paolo deve operarlo ogni buon operaio nella vigna del Signore. Tutti devono parlare di Cristo Gesù secondo la ricchezza della sua verità. Tutti dovrebbero predicare dalla profondità del suo mistero. Perché questo non avviene? Non avviene perché regna un distacco vitale tra Cristo e i suoi strumenti, regna come una separazione di vita.


Da un lato c’è la vita di Cristo e dall’altro la vita dei missionari. C’è un’autonomia dallo Spirito e da Cristo. Spesso la predicazione non è la presentazione di Cristo, bensì la presentazione del cuore del missionario nel quale non vive la ricchezza del mistero di Cristo.


Questa grazia si può e si deve invocare e devono invocarla tutti coloro che si sono assunti la responsabilità nella Chiesa di essere strumenti di Cristo per l’annunzio al mondo delle imperscrutabili ricchezze del suo mistero.


[9]e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo,


Non solo Paolo ha ricevuto la grazia di manifestare le imperscrutabili ricchezze di Cristo, ma anche di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento di questo mistero.


C’è il mistero di Cristo e c’è la storia di questo mistero che si è compiuta in Cristo. Ma c’è anche la storia di questo mistero che ancora non si è compiuta, perché si deve compiere nel corpo di Cristo, che è la Chiesa.


Paolo ha un grande compito, uno straordinario ministero da assolvere. Egli in qualche modo deve mostrare al mondo intero, agli occhi di tutti, che il centro della storia è Cristo Gesù.


Tutto ciò che precede, guarda a Cristo come a colui che deve venire per dare compimento alle speranze; tutto ciò che segue, guarda a Cristo come ha colui che ha dato compimento alle attese dell’uomo. Ogni attesa dell’uomo trova il suo compimento in Cristo. Non c’è attesa che non trovi la sua soluzione in Cristo.


Cristo, in altre parole, è la risposta dell’uomo. Chi vuole trovare la risposta al suo essere e del suo essere uomo, la potrà trovare solo in Cristo Gesù.


Inoltre quanti vivono sulla terra devono sapere che la loro verità è Cristo, perché Cristo è il loro mistero, l’unico loro mistero.


Paolo, a tutti coloro che lo ascoltano, altro non dice se non Cristo, annunziato, atteso, realizzato, compiuto, da compiere, sulla terra e nel cielo, prima della creazione e nella creazione, oltre la creazione, nel cielo, nell’eternità.


Tutto questo Paolo lo fa con scienza di Spirito Santo, lo fa con tutta la sapienza e la saggezza di cielo che Dio ha versato nel suo cuore, che ha messo dinanzi ai suoi occhi. Chi sente parlare Paolo, deve confessare che Paolo parla descrivendo Cristo. È come se lo avesse sempre dinanzi ai suoi occhi e guardandolo e osservandolo con attenzione, lo presenta al mondo intero, perché ognuno possa accoglierlo e divenire parte di Lui.


Paolo in fondo insegna e manifesta, rivela e predica, annunzia e proclama come Dio ha dato compimento nella storia al mistero di Cristo Gesù che è mistero di salvezza, di redenzione, di santificazione dell’uomo.


Questo mistero, il mistero di Cristo, non è stato pensato o voluto da Dio, dopo il peccato dell’uomo. Esso era nascosto nella mente di Dio fin da sempre. Dall’eternità, prima che ancora l’uomo fosse creato, da Dio è stato pensato nel mistero di Cristo Gesù, nel mistero della sua vita.


Questa è la verità, la sola verità. Altre verità non esistono, se esistono, non sono verità di Dio. Sono un frutto della mente dell’uomo.


Il mistero nascosto è del Dio che è anche il creatore dell’universo. Una sola creazione, un solo creatore, un solo mistero di salvezza: per Cristo, con Cristo, in Cristo.


[10]perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio,


Chi deve manifestare il mistero è la Chiesa. Sappiamo chi è la Chiesa. È il corpo di Cristo.


Il mistero di Cristo non si manifesta fuori di Cristo, si manifesta dal di dentro di Cristo, dal suo corpo.


È solo dal di dentro del suo corpo che lo si comprende, è nel suo corpo che si vive, è per mezzo del suo corpo che si manifesta al mondo intero, si manifesta sulla terra e nel cielo, agli uomini e agli Angeli di Dio.


In questo versetto sono contenute due verità che meritano una qualche ulteriore puntualizzazione.


Si è già detto che la manifestazione del mistero avviene per mezzo della Chiesa. Questa è una verità che deve essere compresa nella sua vera essenza, altrimenti il fallimento della nostra missione è più che certo.


Essere Chiesa di Cristo non significa limitarsi al solo sacramento del battesimo o agli altri sacramenti, che conferiscono un particolare modo, o anche grado, di appartenere al corpo di Cristo, di ricevere e di svolgere dei particolari ministeri.


Sì, è Chiesa di Dio, che manifesta il mistero, quando si è membri vivi, vitali, santi del corpo di Cristo Gesù.


L’evangelizzazione è opera dei santi nella Chiesa; se non c’è santità, non c’è neanche evangelizzazione, perché senza la santità non opera lo Spirito di Dio su di noi, dentro di noi, attraverso di noi e noi stessi siamo fuori del mistero di Cristo, perché siamo membri morti del suo corpo.


Tutto il creato, compresi gli Angeli del cielo, devono conoscere la multiforme sapienza di Dio, devono conoscerla attraverso il ministero dell’apostolato, che svolto nella santità, produce frutti di santità in tutto il mondo.


Perché anche gli Angeli del cielo devono conoscere la multiforme sapienza di Dio? Perché anche loro devono lodare, benedire, ringraziare il Signore per l’amore profuso nell’intera creazione, attraverso il compimento del mistero di Cristo. In questo mistero anche la loro vita è cambiata, perché anche per loro Cristo è il capo, il re, oltre che il Signore e il loro Dio.


Con Cristo, Verbo Incarnato, tutta l’economia della salvezza è cambiata, ma è cambiata anche la vita in Dio, perché con il Verbo Incarnato, l’uomo è ora parte di Dio, in modo inseparabile e indivisibile. Questo è il mistero che gli Angeli devono conoscere perché anche loro per ciò che li riguarda, possano accoglierlo in ogni sua parte, anche in ciò che è ministero loro specifico per rapporto agli uomini da condurre alla salvezza.


Il loro ministero di salvezza è ora quello di condurre ogni uomo a Cristo Gesù, ogni uomo al suo mistero di morte, di risurrezione, di ascensione gloriosa al cielo.


Tutto il creato deve conoscere la multiforme sapienza di Dio. La sapienza di Dio è Cristo Gesù e tutta la sapienza di Dio si manifesta in Cristo.


Cristo è la rivelazione della sapienza di Dio. Cristo è anche il dono della sapienza di Dio.


Chi vuole attingere la sapienza, potrà trovarla solo in Lui e la può trovare in ogni sua manifestazione. Niente che è sapienza di Dio è fuori di Cristo; tutto ciò che è sapienza di Dio è solo e unicamente in Cristo Gesù.


Chi pertanto vuole conoscere chi è Dio, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere lo Spirito Santo, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere gli uomini, il loro mistero, deve conoscerli in Cristo; chi vuole sapere qualcosa sugli Angeli secondo verità, deve conoscerli in Cristo. Tutto è in Cristo e tutto si attinge in Lui, secondo sapienza e verità.


Ogni gesto di Cristo, ogni Parola di Cristo, ogni opera di Cristo, è manifestazione della sapienza di Dio.


Poiché Cristo è la sapienza di Dio, la multiforme sapienza di Dio, chi vuole conoscerla deve entrare in Cristo Gesù, ma anche chi vuole farla conoscere al mondo, agli Angeli e agli uomini, deve farlo dal di dentro di Cristo, dal cuore del suo mistero, divenendo una cosa sola con Lui.


Cristo solo la Chiesa lo può annunziare e solo quanti sono membri della Chiesa. Gli altri non conoscono Cristo, non possono conoscerlo, perché non sono una cosa sola con Cristo Gesù.


[11]secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,


Quanto avviene nella storia, quanto si è compiuto nella vita di Cristo Gesù, quanto anche avviene attraverso il corpo di Cristo che è la Chiesa, non nasce nel tempo, nasce prima del tempo, nasce nell’eternità.


Il disegno di redimere l’uomo, di farlo corpo del Signore Gesù, non è nato dopo il peccato di Adamo, nel giardino dell’Eden. Esso precede la stessa creazione dell’uomo ed è in previsione dell’attuazione di questo mistero d’amore che Dio ha creato l’uomo e lo ha creato pensandolo redento in Cristo Gesù.


Ci sono due verità che vengono espresse in questo versetto. La prima è quella già accennata e cioè che nell’eternità Dio ha deciso di salvare l’uomo.


La seconda verità è questa: Dio ha deciso di salvare l’uomo nel suo Figlio unigenito, nel Verbo della vita.


L’incarnazione del Verbo diviene così l’elemento conclusivo della stessa creazione.


La creazione ha ricevuto la sua definitività nel momento in cui il Verbo della vita si è fatto uomo. Ora tutto è compiuto quanto a creazione, si deve compiere quanto a speranza da realizzare, perché tutto il mondo e non solamente l’uomo deve partecipare alla grazia della salvezza e questa grazia per l’intera creazione è la formazione dei cieli nuovi e della terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia, la verità, la santità, nei quali ci sarà l’assenza totale del male.


Anche se si cerca di razionalizzare, o teologizzare in qualche modo queste affermazioni di Paolo, resta sempre intatto il mistero.


La teologia non è spiegazione del mistero, è semplicemente tentativo di illuminarlo e di offrirlo alla mente che lo crede già in una luce sempre più piena e più luminosa, perché lo ami di più, cresca in essa il desiderio di contemplarlo, ma anche di annunziarlo ai fratelli dopo averlo contemplato e meditato con la luce superiore, divina, che discende nel cuore per opera e virtù dello Spirito Santo.


Sì, dico questo perché sovente la teologia, o la ragione, hanno preteso di poter dire l’ultima parola sul mistero, desacralizzandolo e quasi riducendolo a misura di mente umana, mentre in realtà esso è al di là di tutte insieme le menti create, sia di quelle che ci hanno preceduto, come anche di quelle che ci seguiranno. Il mistero dell’Incarnazione del Verbo è il mistero dei misteri, poiché in esso viene illuminato di una luce particolare sia il mistero di Dio che quello dell’uomo.


Ma il mistero si accoglie, ci si inserisce in esso, lo si vive per intero, perché solo vivendolo crescendo di giorno in giorno in una santità sempre più grande, a poco a poco esso si chiarifica alla nostra mente e noi possiamo gettare in esso uno sguardo di fede più grande.


Ancora un’ultima riflessione sull’attuazione del mistero.


Questo mistero è stato attuato in Cristo Gesù, per quanto attiene alla sua parte, alla sua persona, alla sua umanità.


Ora resta l’attuazione che spetta al suo corpo, alla sua Chiesa. Anche questa attuazione deve essere portata a compimento e dura fino alla consumazione dei secoli.


Ognuno nella Chiesa deve mettere il suo personale convincimento che senza la sua opera quella di Cristo rimane infruttuosa, inattuata.


Ma se il mistero di Cristo rimane inattuato, esso è come se fosse stato pensato attuato invano in Cristo Gesù.


L’attuazione pertanto si compone di tre momenti essenziali: Cristo, la Chiesa, la singola persona.


Siamo certi che Cristo lo ha attuato alla perfezione, in tutto. Egli ha fatto tutta la volontà del Padre. Neanche un apice egli ha tralasciato perché il mistero si compisse nella sua interezza, in ogni più piccolo particolare.


La Chiesa molte volte si è lasciata tentare e quindi è venuta meno nell’attuazione del mistero di Cristo. Le tentazioni sono molteplici e varie. Esse vanno dalla mancata predicazione e testimonianza di vita, fino allo stravolgimento di ogni parola di Vangelo.


Altre volte la Chiesa si lascia tentare quando si arrocca su delle posizioni del passato, che non sono più incisive per il presente. Al presente alla Chiesa serve un solo convincimento: che è solo l’annunzio della Parola, secondo la sua interezza di verità che può salvare il mondo. Altre vie che si vogliono percorrere non sono di sicuro vie di salvezza, perché sono fuori dell’unica via che è Cristo Gesù.


Infine ciò che non ha attuato il mistero eterno di Dio spessissimo è stato il cristiano. Il cristiano manca nell’attuazione del disegno eterno di Dio ogni qualvolta viene meno nel suo cammino di santificazione.


Chi rinuncia alla santificazione, chi non la porta innanzi con costanza e perseveranza, chi si abbandona al vizio e alla non virtù, chi vive alla maniera del mondo dopo essere stato battezzato nell’acqua e nello Spirito Santo, costui certamente non attua il mistero di Dio.


Non attuano infine il mistero di Dio tutti quegli uomini che sono nell’incapacità fisica e spirituale di poter ascoltare la Parola del Vangelo; che da se stessi hanno deciso di non volerla ascoltare; così come non lo attuano tutti coloro che hanno deciso di fare a meno della Chiesa fondata su Pietro, percorrendo vie alternative per l’attuazione del mistero di Dio.


Chiunque voglia che domani non venga accusato dinanzi al Signore di essere stato omissivo nell’impegno che si era assunto dinanzi a Dio e agli uomini, deve imitare Paolo, mettere ogni impegno a che il Vangelo sia conosciuto da ogni uomo, nella volontà di attuarlo, in Cristo, per Cristo, con Cristo.


[12]il quale ci dà  il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui.


Qual è il primo frutto dell’attuazione del mistero nella Persona del Verbo di Dio?


Siamo familiari di Dio. Questo ormai è lo statuto di coloro che sono stati costituiti in Cristo un solo corpo.


Come familiari di Dio non siamo più stranieri, estranei, forestieri, lontani, fuori della Casa di Dio.


Viviamo in essa come figli e quindi possiamo avvicinarci a Dio in piena fiducia.


Il coraggio, la forza di avvicinarsi a Dio in piena fiducia non è un fatto esteriore, un convincimento, che uno si dà da se stesso, oppure da altri, come avviene nelle cose umane.


Il coraggio ci è dato da un fatto interiore, da un cambiamento della nostra relazione con Dio. Questo cambiamento si chiama adozione adottiva, rigenerazione in Cristo, costituzione nuova che si acquisisce.


È per un fatto di nuova natura, di nuova ontologia, di un nuovo essere ricevuto che possiamo accedere a Dio in piena fiducia.


Anche la fiducia non è una relazione costruita su un rapporto di fedeltà, di mutua comprensione, di carità dimostrata, di fedeltà provata.


La piena fiducia è anch’essa un fatto di essere. È la fiducia del figlio verso il padre, del generato verso il generante, di colui che è stato voluto verso colui che lo ha voluto e lo ha voluto offrendogli una nuova vita.


È questa la novità cristiana. Il Dio Creatore, Signore dell’universo e dell’uomo in Cristo Gesù, per la fede e per atto sacramentale, è ora il Padre, il Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita nel suo nome.


La piena fiducia si trasforma in invocazione, in preghiera, in implorazione, in richiesta di ogni grazia necessaria per poter compiere il nostro pellegrinaggio verso la città eterna, nella quale vivere per sempre con il nostro Padre celeste.


La piena fiducia è anche lode e benedizione, ringraziamento. La piena fiducia è soprattutto pietà filiale, che si trasforma in un ascolto perenne, in una obbedienza totale. Se c’è piena fiducia, questa deve essere reciproca; la fiducia non può essere a senso unico. Noi dobbiamo avere fiducia piena in Dio, Dio deve avere piena fiducia in noi.


Che Lui abbia dimostrato la sua fiducia nei nostri confronti lo attesta il fatto che ci ha amato a tal punto da darci il suo unico Figlio per la nostra rigenerazione a suoi figli di adozione.


Resta ora da dimostrare e mostrare a Lui tutta la nostra fiducia. Noi ci possiamo fidare di Lui, ma Lui deve anche potersi fidare di noi e si fida di noi se noi ascoltiamo ogni parola che esce dalla sua bocca e la mettiamo in pratica, se facciamo del Vangelo l’unica regola e norma del nostro rapporto con Lui e con i fratelli, da amare come Lui ci ha amati e ci ama e da condurre a Lui come li ha condotti il suo Figlio unigenito.


Come la nostra piena fiducia in Lui trova il suo fondamento nel suo amore; così anche la sua piena fiducia in noi deve trovare il suo fondamento nel nostro amore incondizionato, che è obbedienza perfetta alla sua volontà, che ci ha manifestato in Cristo Gesù e che ci può manifestare Lui direttamente, qualora volesse servirsi di noi per un ministero di salvezza.


In Cristo non solo l’uomo ha ritrovato il suo Creatore e Signore, ha ritrovato e ritrova il Padre che lo ama di vero amore. Questa è in verità la redenzione che Cristo è venuto a portare sulla terra.


[13]Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.


Dopo aver descritto e manifestato qual è il mistero di Cristo Gesù, nella sua persona, nella sua missione, nei suoi frutti, ora Paolo si rivolge direttamente agli Efesini e li esorta di non perdersi d’animo per le tribolazioni dalle quali è attualmente afflitto.


Le tribolazioni di Paolo sono per gli Efesini. Questo appare con chiarezza dalla frase in verità assai sintetica.


Prima di tutto c’è da dire che noi non conosciamo l’entità di queste tribolazioni. Gli Efesini certamente ne sono a conoscenza. Per noi invece tutto è avvolto dal mistero.


Noi rispettiamo Paolo. Cerchiamo di comprendere quello che dice in modo chiaro ed esplicito; ci fermiamo, arrestiamo il nostro pensiero dinanzi a ciò che lui non dice, ma che accenna semplicemente avvolgendolo di un velo impenetrabile.


Chi legge Paolo sa che a volte egli preferisce il silenzio su alcune cose, ama il mistero, sceglie la riservatezza, opta per gli accenni.


Bisogna rispettare il suo silenzio, non aggiungendo niente di più di quanto egli dice. È questa una regola santa, che ci consente di non cadere nell’invenzione pura o nella fantasia.


La teologia non è invenzione, non è fantasia, non è conoscenza di tutto il mistero, o di tutta la vita di Dio.


La teologia è comprensione della Parola di Dio. Se la Parola di Dio dice, il teologo commenta; se la Parola di Dio non dice, il teologo tace, anzi deve tacere, perché il silenzio dell’uomo dinanzi al silenzio di Dio o della sua Parola è obbligatorio, è un dovere grave di coscienza.


In questo versetto ci sono però tre cose sulle quali dobbiamo riflettere:


Vi prego quindi di non perdervi d'animo: Gli Efesini non si devono perdere d’animo, a causa delle tribolazioni di Paolo. La tribolazione fa parte della vita del missionario, come sono state parte della vita di Cristo. È attraverso la tribolazione che si salva il mondo, se queste vengono offerte al Padre dei cieli nella santità e nella purezza della coscienza e del cuore.


Dinanzi ad una tribolazione si prega il Signore perché dia la forza di poterla portare, oppure conceda la grazia della liberazione, se troppo dura e difficile da portare per noi.


Comunque la tribolazione non è mai troppo dura da non potersi portare, anche perché Dio non prova mai l’uomo al di sopra delle sue forze. Per questo è giusto che si chieda al Signore solo la forza di poterla portare per la redenzione e la salvezza del mondo intero.


La tribolazione non deve farci perdere d’animo; deve infondere forza, coraggio, determinazione al fine di portarla a compimento. Mentre se la tribolazione riguarda gli altri, per costoro bisogna che noi invochiamo il Signore chiedendo la forza che non soccombano, ma che possano offrirla tutta per la redenzione del mondo, oltre che per la personale santificazione.


Per le mie tribolazioni per voi: Paolo è nella tribolazione per gli Efesini. Egli soffre per loro, ma non a causa loro.


Quando la tribolazione è per un altro, essa produce sempre buoni frutti di conversione e di fede più grande nel Vangelo della salvezza.


Vivere la tribolazione per gli altri ci fa in tutto simile a Cristo, che ogni cosa la patì per noi, anzi la patì a posto nostro, invece nostra.


Ogni tribolazione sofferta per gli altri ci conforma a Cristo, ottiene una più grande grazia per la conversione dei cuori, produce in noi una elevazione in santità e una crescita in grazia. Diveniamo più resistenti al male e alla tentazione.


Poiché la tribolazione per gli altri è solo frutto di amore, di carità, essa attesta che siamo sulla buona strada per una più efficace santificazione.


Sono gloria vostra: Le tribolazioni di Paolo vissute per gli Efesini, sono gloria degli Efesini. Come?


È gloria il bene supremo, sommo. È gloria la carità che ci trasforma in olocausto di salvezza. È gloria l’offerta della nostra vita per gli altri, poiché il dono della vita è il sommo bene che l’uomo ha nelle sue mani e di cui dispone, per perderlo o per conservarlo.


Perderlo per amore è gloria, grande gloria.


Paolo vive le tribolazioni per gli Efesini. È come se desse loro un pezzo della sua vita, della sua storia, della sua opera, della sua missione.


Per questo è gloria loro. Gli Efesini ricevono da Paolo questo grande dono e per loro deve essere una gloria venire inseriti nel mistero della sofferenza di Cristo per mezzo dell’offerta della sofferenza di Paolo.


Qui Paolo ci insegna una grande verità. Non solo vuole che non ci perdiamo d’animo quando un cristiano soffre, sapendo che è questa la via per essere in tutto simile a Cristo Gesù. Ci dice che bisogna dare sempre un fine di salvezza alle nostre tribolazioni. Queste devono essere forti per gli altri, per la loro conversione, crescita nelle virtù, in una più grande santificazione.


Ci dice di considerare ogni tribolazione offerta per un altro, gloria dell’altro, perché per mezzo di essa il più grande bene si riversa sull’altro ed è questa la gloria.


L’altro viene riconosciuto nella sua dignità e vocazione e, perché questa dignità e vocazione raggiungano il loro splendore dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, si offre per loro la tribolazione e ogni sofferenza.


Nell’offerta ciò che è tribolazione per gli uni si trasforma e diviene gloria per gli altri. Così è stato per Cristo Gesù, così deve avvenire per ogni suo discepolo.