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CAPITOLO TERZO






PAOLO MINISTRO DEL MISTERO DI CRISTO



[1]Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili...

Paolo si definisce in questo versetto il prigioniero di Cristo. Prigioniero è colui la cui vita non è più nella propria volontà, ma nella volontà di un altro, nella volontà di colui che lo tiene prigioniero.

Al di là del fatto che Paolo fisicamente è in prigione, fisicamente non può più disporre della sua vita. Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che spesse volte era stato imprigionato.

Le prime prigionie erano durate qualche giorno, la prima appena una notte. L’ultima prigionia raccontata dal libro degli Atti fu invece assai lunga e si concluse a Roma, non sappiamo però come e quando.

Paolo è prigioniero di Cristo Gesù perché a Lui si è consegnato. Tutto di sé ha dato al suo Signore. Mente, pensieri, cuore, volontà, corpo, la stessa anima ha consegnato a Cristo Gesù.

Cristo Gesù ha chiesto tutto di lui e lui glielo ha dato, si è consegnato nelle sue mani.

Cristo Gesù ha fatto di lui l’apostolo dei Gentili e lui visse, dopo la folgorazione sulla via di Damasco, andando di città in città tra i Gentili a predicare il Vangelo della salvezza.

Sappiamo sempre dagli Atti la sua volontà di recarsi fino a Roma, avrebbe voluto anche nella capitale dell’Impero raccogliere frutti di grazia, portando tante anime alla fede nel Signore Gesù, Salvezza e Redenzione anche dei Romani, e non solo degli Ebrei.

Per questo egli dice che è il prigioniero di Cristo Gesù per voi Gentili, è per i Gentili a motivo della scelta che Cristo ha fatto. Tutto questo appare chiaramente dalla sua vocazione che è mirabilmente testimoniata dagli Atti degli Apostoli.

Da quanto Paolo dice dobbiamo concludere una verità assai importante: chi vuole servire Cristo secondo verità deve farsi suo prigioniero. Deve perdere cioè volontà e sentimenti propri, per acquisire solo volontà e sentimenti di Cristo Gesù. Del resto è questo che egli esprime nella Lettera ai Galati, quando dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha date se stesso per me”.

La vive completamente compiendo la sua volontà, volontà che è il Vangelo della grazia, volontà che è anche la missione specifica che gli è stata assegnata da Cristo: consumarsi interamente perché i Gentili conoscano Cristo, conoscano il Vangelo della Salvezza, divenendo anche loro dei redenti e dei giustificati per opera dello Spirito Santo.

[2]penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio:

Paolo ha una missione particolare da svolgere. Questa missione gli è stata affidata direttamente da Dio.

Negli Atti viene messo in risalto questo incarico sia al momento del battesimo di Paolo da parte di Anania, sia quando lo Spirito Santo direttamente chiese alla Comunità di Antiochia che Barnaba e Paolo fossero separati per la missione scelta per loro da Dio.

Rispose Anania: Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome. Ma il Signore disse: Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome. (At 9,13-16).

C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono. (At 13,1-3).

La missione viene qui definita ministero della grazia di Dio in favore dei pagani, o come venivano chiamati dagli Ebrei: a favore dei Gentili.

Sarebbe assai bello se in ogni cristiano vi fosse questa stessa coscienza sulla missione ricevuta.

Indipendentemente dai destinati cui essa è rivolta e i destinati possono essere sia i vicini che i lontani, sia i credenti che i non credenti, ogni missione è un ministero della grazia di Dio.

Ci viene consegnata una particolare grazia che noi dobbiamo distribuire, consegnare, portare ai destinatari.

Sia la grazia che il destinatario è indicato da Dio. Sia nella grazia che nella destinazione di essa non può esserci autonomia.

Dio vuole la salvezza, la redenzione, la santificazione di una persona, chiama uno di noi, gli affida la grazia da consegnare e noi dobbiamo darla a colui al quale Dio ci ha inviati perché noi la diamo.

Se avviene uno scambio di grazia e di destinatari, la salvezza di Dio non si compie, quella persona chiamata alla giustificazione o alla santificazione per mezzo della grazia a noi affidata, rimane esclusa dal compimento in essa della volontà di Dio, ma con nostra grave responsabilità.

Su questa non autonomia da parte nostra nel conferire la grazia e nello scegliere i destinatari dovremmo meditare, pensare, riflettere. Paolo ci insegna che tutto deve discendere dal cielo. È Dio che ci deve dare la grazia da consegnare, ma anche ci deve indicare le persone cui egli ha già destinato la grazia e questo già fin dall’eternità.

Concepire così la missione cambia totalmente di significato la nostra consegna a Lui. Non c’è una consegna iniziale alla missione e poi tutto si svolge in autonomia da Dio. Ogni azione, ogni incontro, ogni relazione, ogni luogo devono essere voluti da Dio.

È Dio il Salvatore non l’uomo; è Lui che deve sempre inviarci per dare la sua grazia, è Lui che deve mandarci per compiere il ministero della grazia della salvezza.

Su questo proprio non ci siamo. C’è troppa autonomia da Dio. Tutto oggi è nella libera decisione dell’uomo il quale decide, propone, stabilisce, ordina, comanda, impone, determina, senza neanche premettere una preghiera perché sia Dio a dirigere i suoi passi, ma prima ancora i suoi pensieri, i suoi sentimenti, il suo cuore e la sua mente, perché sia Dio a volere e a decidere e non l’uomo.

Tante verità sono calpestate nel nostro rapporto con Dio. Poiché la salvezza è prima di tutto nell’obbedienza a Dio, cercare l’obbedienza è la prima regola della pastorale; la secondo regola è compiere fedelmente l’obbedienza; la terza è chiedere l’aiuto al Signore perché ci faccia sempre rimanere nella sua volontà dall’inizio alla fine e in ogni passaggio dell’azione.

[3]come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente.

Il mistero della grazia è stato affidato a Paolo da Dio. Questo lo sappiamo. Quello che potremmo ignorare è pensare che sia stato Paolo a decidere l’apertura del Vangelo, e quindi della fede, ai pagani.

Invece anche questo è da escludere categoricamente. Paolo non ha preso nessuna decisione. La decisione l’ha presa per lui il Signore, l’ha presa lo Spirito Santo, quando lo ha costituito apostolo dei Gentili.

Ma qual è il mistero che il Signore gli ha rivelato per rapporto ai pagani? Il mistero è uno solo: tutti, senza differenza, sono chiamati alla salvezza e la salvezza si realizza per la fede in Cristo Gesù.

I Gentili, quindi, possono accedere alla grazia della redenzione, che è riconciliazione, rigenerazione, santificazione, elezione alla dignità di figli adottivi di Dio, solo per fede, solo per la fede in Cristo Gesù.

Non necessitano di altro, non devono assoggettarsi a nessun’altra legge. La loro legge unica è Cristo Gesù e la fede in Lui è la via per accedere ai beni divini, che il Padre ci dona in Cristo, mediante lo Spirito Santo per il ministero della Chiesa.

Quando Paolo parla di rivelazione, intende una sola verità: è Dio, che dall’alto dei cieli, gli ha manifestato la via per chiamare i Gentili alla fede. È Lui che gli ha detto che c’è una sola via di salvezza, uguale per i Gentili e per i Giudei. È Lui che gli ha manifestato che i frutti della salvezza sono identici per gli uni e per gli altri, senza alcuna preferenza, o alcun vantaggio dei Giudei per rapporto ai Gentili. È Lui anche che di volta in volta gli indicava la strada da percorrere per andare incontro all’uomo da salvare.

Nella vita di Paolo chi guida, chi decide, chi ordina, chi predispone, chi invia è sempre il Signore. Chi dice cosa bisogna e non bisogna fare è il Signore. Tutto è volontà del Signore. Questo è il segreto della riuscita di Paolo nella missione. Questo deve essere il segreto di ogni altra missione che si svolge nella Chiesa a favore del mondo intero.

Se tutto deve discendere dall’alto, perché tutto deve essere compimento della volontà di Dio, è ben giusto che il missionario si metta in preghiera e invochi la manifestazione della volontà di Dio, la chieda con una preghiera lunga e accorata come sapeva ed era solito fare Gesù, mosso sempre dallo Spirito Santo in ogni sua azione pastorale.

[4]Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.

Possiamo veramente capire la comprensione che Paolo ha del mistero di Cristo Gesù.

Tutte le sue Lettere altro non sono che la presentazione di questo mistero. Ogni Lettera ne coglie un aspetto, un particolare. Tutte le Lettere insieme danno la comprensione globale del pensiero di Paolo su Cristo Gesù.

Al di là della profondità abissale che avvolge la Persona di Cristo Gesù e ciò che Dio ha voluto fare di Lui, una cosa è assai semplice da capire. Cristo è il Salvatore del mondo, di ogni uomo e ci si salva per la fede in Lui.

Altra cosa essenziale in ordine alla salvezza è questa: la salvezza è dal Corpo di Cristo, che è la Chiesa, per virtù ed opera dello Spirito Santo.

Essa nasce concretamente dall’annunzio, dalla predicazione della Parola di Cristo, dall’adesione alla Parola e dai Sacramenti.

Anche questa verità così semplice oggi stenta ad essere compresa, eppure da Paolo viene espressa in ogni Lettera e sotto molteplici aspetti e contenuti di verità.

Sulla Persona di Cristo una cosa è chiara, evidente: Lui è la vita del mondo. La vita è da Lui, si vive in Lui, si vive con Lui. Quando si dice con Lui si intende con tutto il suo corpo, cioè con tutta la Chiesa.

Così anche la vita è dalla Chiesa, corpo di Cristo, si vive nella Chiesa, nel corpo di Cristo, si vive con la Chiesa, con tutti i fratelli che formano l’unico corpo di Cristo.

Questo per soffermarci solo con qualche cenno sul mistero che avvolge la Persona di Cristo. Sia in questa Lettera come nelle altre ci si è già soffermati a sufficienza al fine di precisare e di cogliere il mistero di Cristo Gesù in ogni sua più piccola parte, sapendo che ogni dettaglio, anche il più piccolo, avrebbe gettato una luce nuova sulla Persona di Gesù Signore, il Verbo Incarnato, l’Autore della vita. Da quanto emerge dagli scritti di Paolo, dobbiamo però confessare che il mistero di Cristo Gesù oggi da molti cristiani non è conosciuto, da molti è ignorato, da tanti è dimenticato, da tantissimi è stravolto.

Stravolgendo il mistero di Cristo Gesù, non conoscendolo, ignorandolo, dimenticandolo, necessariamente si vive un rapporto cattivo, assai cattivo con la propria salvezza, con la vita cristiana.

Se la nostra vita è da Cristo, se Cristo è conosciuto malamente, malamente è anche impostata la nostra vita.

Da qui la necessità di iniziare in seno al popolo cristiano una vera azione di formazione sul mistero di Cristo Gesù. Lo esige la vita cristiana che abbiamo ricevuto in dono, lo esige Cristo, perché in Lui noi siamo stati inseriti, formiamo il suo corpo, siamo la sua stessa vita.

È inconcepibile che colui che forma una sola vita con Cristo, non sappia chi è Cristo con il quale forma un solo corpo, non sappia il mistero che avvolge il corpo di Cristo, dal momento che ogni cristiano è questo corpo di Cristo.

Chi non conosce Cristo, non consce se stesso come cristiano; non sa cosa Cristo ha fatto di lui. Non può vivere come Cristo, perché Cristo da lui non è conosciuto.

[5]Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:

Questo versetto merita di essere trattato con molta attenzione.

Chi legge l’Antico Testamento sa che c’è un solo disegno di salvezza da parte di Dio e questo disegno è orientato a inglobare tutti gli uomini.

Questo disegno si fa sempre più chiaro man mano che la Storia Sacra progredisce e ci si avvicina a Cristo.

Dalla prima pagina della Genesi, capitolo 3, fino all’ultima pagina dell’Antico Testamento, che è il profeta Malachia, viene manifestata questa volontà universale di Dio, rivolta ad ogni uomo.

Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,14-15).

Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti” (Mal 1,10-11)

Questo solo a titolo e a modo di esempio. Basta leggere ogni altra pagina e si troverà incluso, o esplicitamente, o velatamente, il mistero della salvezza universale preparato da Dio per tutti i figli di Adamo.

Cosa cambia allora con Cristo Gesù? Quanto era velato è divenuto chiaro, manifesto, palese. Quanto era implicito, è divenuto esplicito. Quanto era sottinteso è ora detto con tutta chiarezza. Ciò che gli Ebrei non hanno mai voluto fare, perché chiusi nel loro mondo religioso, ora la Chiesa è chiamata a farlo, perché Dio ha rotto ogni struttura religiosa che non si confà al suo mistero di salvezza e di redenzione che Lui ha preparato per tutti i popoli.

La Chiesa da parte sua, anche se ha chiaro il mistero e la sua realizzazione, ha chiara la sua vocazione e la sua missione, deve prestare molta attenzione a che i suoi figli non si comportino alla maniera degli Ebrei e cioè che chiudano il mistero di Cristo in delle pratiche e in delle ritualità che lo penalizzino e non lo rendano vero in tutta la sua forza di trasformazione del mondo.

È questo un pericolo non sempre evitato e molti dei problemi che oggi oscurano il mistero di Gesù nascono dalla trasformazione della fede in religiosità.

È assai facile trasformare la fede in religiosità. Difficile, impossibile è operare il procedimento contrario: passare dalla religiosità alla fede.

Oggi in buona parte della Chiesa si vive di pura religiosità, c’è assai poca fede e quella fede che c’è sovente è anche una fede falsa, fondata su false verità, o è una fede ereticale, in quanto alcune verità si prendono e altre si lasciano, con grave danno del mistero di Cristo Gesù e quindi con grave pericolo della salvezza eterna di quanti aderiscono a Cristo e si lasciano battezzare nel suo nome.

La forza della Chiesa è nella conservazione pura, santa, immacolata del mistero della salvezza e delle vie stabilite da Dio perché questo mistero si compia. Se questo non avviene, neanche la salvezza si compie e a causa dell’uomo viene reso vano il mistero eterno di Dio, che ha comportato la morte in croce del suo Figlio Unigenito, del Verbo della vita che si fece carne per noi.

Qual è allora il mistero che ora la Chiesa conosce in tutta la sua portata salvifica?

[6]che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo,

Viene ora manifestato in ogni sua parte il mistero nascosto alle precedenti generazioni.

I Gentili, cioè tutti coloro che non sono discendenza di Abramo, quanti appartengono ad altri popoli,

in Cristo: nell’economia della salvezza, tutto ciò che avviene, avviene in Cristo Gesù.

Avviene in Lui nel triplice significato: in Lui, nel suo corpo; per Lui, a causa del suo sangue versato; con Lui, insieme a quanti formano l’unico suo corpo.

Al di fuori di questa triplice via non si realizza la salvezza nel suo pieno significato, nella sua perfezione ultima e definitiva. Neanche si realizza nella sua pienezza e definitività il disegno eterno di Dio, quello cioè di fare di ogni uomo il corpo di Cristo Gesù.

Sono chiamati a: nella redenzione si entra per vocazione, per chiamata. La chiamata poi necessita di una risposta.

La chiamata è di Dio. Essa è stata già fatta fin dall’eternità, poiché già fin dall’eternità Dio ha manifestato la sua volontà di farci un solo corpo in Cristo Gesù.

Questa chiamata ha iniziato però la sua storia nel tempo con la vocazione di Abramo, il padre nella fede, il padre chiamato da Dio perché nella sua discendenza fossero benedette tutte le tribù della terra.

Questa chiamata fu portata a compimento da Cristo Gesù, venuto sulla terra per chiamare ogni uomo alla conversione e alla fede al Vangelo.

Cristo Gesù ha affidato questa sua missione ai suoi Apostoli, sono loro che devono andare per il mondo intero a predicare il Vangelo, a chiamare ogni uomo perché in Cristo entri nel disegno eterno della salvezza che Dio ha preparato per Lui.

Il mistero eterno della salvezza, nella sua perfezione assoluta, che è la rigenerazione dell’uomo e il suo inserimento nel corpo di Cristo, sì da formare con Cristo un solo corpo, un unico corpo e quindi un unico e solo mistero di vita nuova, avviene attraverso una duplice azione dell’uomo: quella della chiamata e l’altra della risposta.

L’apostolo di Gesù deve andare per il mondo a chiamare a conversione e alla fede al Vangelo. Se lui non svolge questo suo ministero di grazia, la salvezza non si compie. Non si compie perché l’altro non sa che bisogna convertirsi e credere al Vangelo, non sa che Cristo Gesù è il suo Redentore e Salvatore.

Deve però farlo alla stessa maniera di Cristo Gesù: morendo per lui, offrendo la sua vita in sacrificio, perché il Signore aggiunga ciò che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa, e aggiunga nuovi membri al corpo del Signore Gesù. L’evangelizzazione del mondo si compie pertanto con potenza di parole di opere, si compie nella santità, si compie nel sacrificio della vita dell’evangelizzatore.

Per capire cosa deve fare l’apostolo del Signore è sufficiente guardare a Cristo Gesù, contemplare la sua vita, meditare il Vangelo, perché è in esso che rifulge Cristo come nostro modello nell’andare e nel chiamare ogni uomo a salvezza e a redenzione, attraverso la conversione e la fede al Vangelo.

Tutto non dipende però dall’apostolo di Gesù. Tutto poi dipende dal cuore di chi ascolta. Se questi si lascia muovere dallo Spirito, accoglie la Parola di vita, si lascia battezzare, si aggrega alla comunità dei credenti, la salvezza entra nel suo cuore e in essa cammina fino al suo completamento che avverrà solo il giorno della sua morte.

Fino a quel giorno dovrà con assiduità nutrirsi di Vangelo e del Pane Eucaristico, dovrà fortificarsi anche nella preghiera e nelle opere di carità fraterna. È questa la via per portare a compimento la salvezza, o il dono della salvezza ricevuto il giorno del battesimo.

Chiamata e risposta sono l’una e l’altra essenziali perché il disegno eterno di Dio possa vedere la luce nel cuore di un uomo.

Partecipare alla stessa eredità: non c’è differenza nella salvezza, non c’è privilegio di alcuni e neanche particolarità di trattamento.

Indistintamente Gentili ed Ebrei sono chiamati a partecipare alla stessa eredità. L’eredità è Cristo, in Cristo, con Cristo, è per Cristo. L’eredità della salvezza è Dio, in Dio, perché in Cristo, l’eredità è il regno dei cieli, il Paradiso di gloria, che Dio concede a tutti coloro che accolgono Cristo e in Lui vivono la sua stessa obbedienza, facendo della loro vita un sacrificio d’amore per il loro Dio e Signore.

Formare lo stesso corpo: il corpo è quello di Cristo Gesù. Un solo corpo, una sola vita, una sola Chiesa, una sola comunità di credenti in Cristo Gesù, un solo popolo, una sola discendenza, un solo Padre, un solo Spirito, un solo Figlio.

Vengono, nella salvezza di Dio, cancellate le appartenenze, le distinzioni razziali, vengono annullati tutti quei privilegi della carne che gli uomini hanno costruito per creare differenze, superiorità, schiavitù, asservimenti.

Nel corpo di Cristo c’è una sola vita e una sola dignità, nella più assoluta uguaglianza. Ciò che differisce nel corpo di Cristo non è la dignità, per tutti uguale, ma il dono e il ministero. I doni sono diversi, come diversi sono anche i ministeri. Ma il dono e il ministero è per il servizio, non per l’esaltazione della persona.

Il fatto che tra gli uomini regnano differenze nella dignità, divisioni nella concezione della persona umana, il fatto che alcuni uomini si credono superiori agli altri, è il segno manifesto che l’inserimento in Cristo è solo sacramentale, ma non vitale; siamo entrati nel suo corpo, ma senza conversione e senza fede al Vangelo.

Essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo: è quanto Paolo intende affermare in questa ultima parte della manifestazione del mistero. In Cristo si entra per mezzo del Vangelo, si vive la sua vita sempre per mezzo del Vangelo, si partecipa alla promessa ancora per mezzo del Vangelo.

Cosa significa questo? Significa che il Vangelo è la porta della vita, la porta per accedere a Cristo, entrare in Cristo, vivere in Cristo, rimanere in Cristo per tutta l’eternità.

Al Vangelo si crede; si crede accogliendolo; si accoglie vivendolo; si vive facendolo diventare nostra vita.

Nel Vangelo si cresce; si cresce amandolo, comprendendolo, ascoltandolo, annunziandolo, predicandolo, testimoniandolo.

Nel Vangelo si conduce ogni uomo. Il fine della missione cristiana è annunziare il Vangelo, perché l’altro si converta al Vangelo, creda al Vangelo, viva il Vangelo, diventi a sua volta un testimone del Vangelo.

La Chiesa non ha altra missione sulla terra se non quella di predicare il Vangelo, ma deve predicarlo, vivendolo.

Se una sola parola di Vangelo non è vissuta dai suoi predicatori, questi non sono ancora perfetti predicatori. Manca in loro la conformità della vita al Vangelo che predicano, manca la perfetta testimonianza che la Parola, tutta la Parola, può essere trasformata in vita dall’uomo.

Oggi invece si parla, si discute, si scrive, si predica, si annunzia, si dice, si studia, ma non il Vangelo. Il Vangelo serve solo per avvalorare qualche nostra idea ereticale ed è sempre eresia la scelta di una idea, o verità del Vangelo, senza la completezza della rivelazione e della verità in esso contenuta.

La Chiesa non può lasciare il Vangelo in mano a coloro che si sono distaccati da essa. Costoro hanno scelto il Vangelo, ma senza lo Spirito che è nella Chiesa. La Chiesa possiede lo Spirito, ma non il Vangelo. Loro possiedono il Vangelo, ma non lo Spirito.

Lo Spirito senza il Vangelo è senza la Verità, il Vangelo senza lo Spirito è anch’esso senza la Verità. La Verità la fa lo Spirito che legge il Vangelo, la fa la Chiesa che legge il Vangelo nello Spirito Santo e può leggere il Vangelo nello Spirito Santo solo se colui che lo legge vive in santità e cresce giorno per giorno in sapienza e grazia, sempre fortificato, corroborato, illuminato, guidato e condotto dallo Spirito di Dio.

Tutto avviene per mezzo del Vangelo e senza il Vangelo niente avviene. Ma il Vangelo è degli Apostoli, perché lo Spirito è degli Apostoli, gli Apostoli però sono della Chiesa e anche lo Spirito è della Chiesa, ma è della Chiesa degli Apostoli e quindi è della Chiesa degli Apostoli che vivono il Vangelo. Gli altri non hanno il Vangelo, perché non hanno lo Spirito della Chiesa, che è Spirito degli Apostoli.

[7]del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.

Chi è Paolo, come si definisce, come vede la sua missione per rapporto ai Gentili? Egli è stato costituito ministero del Vangelo.

Essere ministro del Vangelo significa essere servo della Parola di Dio. Il servo è colui che è sotto un’autorità che lo governa, lo comanda. Questa autorità che è sopra di Paolo è il Vangelo.

Il Vangelo è il Signore di Paolo. Al Vangelo Paolo ha consacrato tutta la sua vita. Paolo vive a servizio del Vangelo. Vive per annunziare il Vangelo, vive per testimoniare il Vangelo, vive per comprendere il Vangelo in modo da poterlo spiegare a coloro che non lo comprendono.

Anche Gesù spiegava la Parola ai suoi discepoli, quando questi non la comprendevano.

Paolo vive andando di luogo in luogo a predicare il Vangelo ad ogni uomo. Egli sa che il Vangelo apre la porta della salvezza e per questo spende tutta la sua vita consegnandola alla predicazione.

Se un uomo ascolta il Vangelo, la sua vita non sarà più la stessa, perché il Vangelo lo mette dinanzi alla scelta della sua vita, o sceglierà la salvezza, o la perdizione eterna.

Essere ministro del Vangelo non è stata una scelta fatta da Paolo. È invece un dono di grazia che Dio gli ha concesso. Questo passaggio merita un approfondimento, una spiegazione, una chiarificazione dottrinale.

L’annunzio del Vangelo è un dono di grazia fatto da Dio a quanti sono chiamati alla vita eterna, cioè ad ogni uomo.

Dono di grazia è anche colui che porta il Vangelo, che lo annunzia, che lo testimonia, che lo spiega.

Se è dono di grazia, deve essere Dio a concederlo, a donarlo, non se lo può donare l’uomo, altrimenti non è più un dono di grazia. La grazia discende dal cielo. Poter annunziare il Vangelo, poterlo spiegare, poter dire la verità in esso contenuta è un vero dono di Dio, fatto per amore della salvezza di tutti i suoi figli dispersi.

Questo dono è messo nel cuore dallo Spirito Santo. Ma sarebbe un dono inefficace, un dono che non produce frutti, se non ci fosse lo Spirito dentro di noi a farlo fruttificare, a renderlo efficace.

La potenza di Dio è sempre efficace, opera sempre, compie sempre ciò che dice, realizza ciò che promette.

Paolo può predicare il Vangelo con frutto perché il ministero lo ha ricevuto da Dio, è un dono della sua grazia. Può predicarlo sempre con frutto perché il dono di grazia opera in lui efficacemente.

La potenza di Dio che è lo Spirito Santo opera in lui efficacemente, sempre. Quando lui parla, lo Spirito converte. Quando lui annunzia, lo Spirito apre i cuori di molti alla fede. Quando lui predica il Vangelo della salvezza, molte anime sentono che quella è la verità che cercavano e si lasciano attrarre da essa. Ora tutto questo lo opera attraverso di lui con efficacia lo Spirito Santo di Dio.

Una verità deve essere chiarita, se si vuole comprendere quanto Paolo sta dicendo in questo versetto.

Lo Spirito opera con efficacia in lui, perché lui si lascia operare dallo Spirito, lo Spirito invoca perché lo muova e lo guidi; allo Spirito chiede la comprensione della verità e soprattutto chiede di poter conformare la sua anima alla verità compresa secondo la luce soprannaturale che lo Spirito riversa nella sua mente.

Questo ci deve far comprendere che da sola la Parola non dice niente; senza l’efficacia dello Spirito che opera in essa, è come se la parola non fosse pronunciata, anche se la diciamo, l’altro non la sente e se non la sente a che pro dirla? Ma perché non la sente, nonostante noi facciamo di tutto perché lui la senta?

Non la sente perché non è detta nello Spirito Santo e quindi è senza efficacia. È una parola muta. Non entra nelle orecchie, non penetra nel cuore, non scende nell’anima. Si ferma solo nell’aria e l’aria la porta via.

Un’altra verità ancora deve essere messa in evidenza. Non tutti possono predicare il Vangelo, perché questo dono di grazia non è dato a tutti.

Ognuno deve sapere quali sono i doni che il Signore gli ha concesso, perché sono quelli che lui deve dare e sono quelli che servono per l’utilità comune.

Se però uno ha tanto desiderio di predicare il Vangelo, di essere ministro della Parola, chieda a Dio questo dono, gli chieda che lo costituisca ministro del Vangelo, suo banditore, suo predicatore e il Signore nella sua immensa misericordia può anche concedergli questo dono, se non contrasta con quanto già si è assunto di vivere dinanzi alla comunità.

Questo ci deve far comprendere che il servizio nella comunità e nel mondo non dipende dalla nostra volontà, né dalla volontà degli altri.

Ogni servizio, ogni ministro è per volontà di Dio, è per un dono della sua grazia.

Questa verità di ordine teologico, deve trasformarsi in verità di ordine di spiritualità e soprattutto pastorale.

Gli errori, i vizi, i contrasti, i dissensi, ma anche i disservizi, i non servizi, i cattivi servizi nascono sempre quando alla volontà di Dio si sostituisce la volontà dell’uomo, nostra o degli altri.

Spetta a ciascuno di noi manifestare qual è il dono che Dio ci ha fatto, perché solo il dono di Dio ci è concesso di dare. Il resto non possiamo darlo, perché non lo abbiamo, perché il Signore non ce lo ha dato. Se lo vogliamo dare, non possiamo. Nessuno può dare ciò che non ha.

Questa legge divina non ammette deroghe, eccezioni. Non si può scavalcare, ignorare, negare.

È questa la legge della vita della Chiesa e del mondo, perché è la legge dello Spirito che governa la santità nella comunità ecclesiale.

Chi presiede la comunità ecclesiale, ha l’obbligo di discernere e di armonizzare i carismi, non quello di conferirli. Nessuno può conferire un carisma ad un altro, perché il dono di grazia discende solo da Dio ed è personale.

Gli errori che si commettono su questo campo in pastorale sono infiniti e imperdonabili, perché distruggono, anziché costruire la comunità ecclesiale.

[8]A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo,

Paolo sa chi lui era stato prima di essere afferrato da Cristo Gesù sulla via di Damasco.

Nella Prima Lettera ai Corinzi si paragona ad un aborto (1Cor 15, 3-10): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”.

Nelle Prima Lettera a Timoteo (1Tm 1, 12-16): “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”.

In questa Lettera si definisce: l'infimo fra tutti i santi.

Paolo vede da un lato se stesso. Vede se stesso come il niente dinanzi a Dio nella Chiesa. Si vede come l’infimo, perché tutto ciò che è in lui è solo opera della misericordia di Dio.

Anzi possiamo dire che Paolo è solo opera della misericordia di Dio, uno dei frutti più belli della sua grazia.

D’altro canto però egli si è consegnato tutto alla grazia, niente che era in lui è stato sottratto a Dio e questo fin dal primo istante della sua vita.

Anche la consegna alla grazia è un frutto della grazia, è opera di Dio, per questo egli si considera l’infimo fra tutti i santi, fra coloro cioè che sono stati conquistati da Cristo e sono divenuti in Lui un solo corpo.

L’umiltà di Paolo è vera, autentica. Nasce da un cuore che sa cosa un uomo riesce a fare di male quando è fuori della grazia di Dio. Confessare che tutto è in lui opera di Dio, è questa la verità che lui vuole affermare.

Dicendo questo però ci vuole anche insegnare che la grazia può operare in ogni cuore. Per questo bisogna che il cuore una volta che è stato afferrato da Cristo sia totalmente consegnato a Lui, con tutta la nostra anima e il nostro corpo, perché il Signore ne faccia uno strumento di salvezza nel mondo. Paolo questo lo ha fatto, lo ha fatto per grazia di Dio e continua a farlo sempre perché Dio e il suo Santo Spirito agiscono ed operano in lui.

Tutto è grazia in Paolo: è grazia la sua vocazione ed è grazia la sua missione; è grazia la perseveranza in questa missione ed è grazia anche la modalità secondo quale la missione viene svolta; è grazia anche il campo dell’apostolato ed è grazia ogni conversione che si compie attraverso il suo ministero.