CREDENTI

Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

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    00 02/12/2017 23:52
    Da questo nuovo anno liturgico cureremo questa nuova sezione di meditazioni, che vogliamo conservare nei nostri cuori, come faceva Maria, la quale faceva tesoro di ogni parola del Signore.

    Per visualizzare il commento di ogni giorno dell'anno liturgico, aggiornato quotidianamente,
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    [Modificato da Credente 03/01/2018 11:13]
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    00 03/12/2017 08:36
    COMMENTO ALLE LETTURE
    Commento a cura di padre Gianmarco Paris

    Il tempo di avvento ogni anno inizia con una pagina di vangelo che annuncia la venuta ultima di Gesù. Questo ci ricorda che l'incontro con il Figlio di Dio non è qualcosa che appartiene solo a un tempo che è passato e abbiamo perso, ma è un mistero che illumina il nostro futuro. La vita cristiana, anche se parte da un evento che si è verificato nella storia che sta dietro di noi, non è un guardare indietro, ma un guardare avanti, e il futuro per il cristiano è l'incontro con il Signore che viene. Il significato più importante dell'avvento è di mantenere i cristiani attenti alla venuta del Signore oggi e domani, più che la sua venuta nel tempo dell'impero romano.
    Ecco perché la liturgia di oggi ci propone la parte finale del discorso che Gesù rivolge ai discepoli sul monte degli ulivi pochi giorni prima di morire parlando della fine dei tempi e della venuta del figlio dell'uomo. Siccome il tempo di questa venuta non può essere previsto, ecco la necessità della vigilanza. Per far capire cosa è la vigilanza, come in tante altre occasioni, Gesù racconta una parabola. Quella di un uomo che parte per un viaggio e affida la sua casa e i suoi beni ai servi, affidando a ciascuno un compito; per colui che sta alla porta il comando di vigilare è rafforzato. Il padrone infatti deve ritornare; ma nessuno può sapere quando. Per i servi è importante farsi trovare svegli al momento in cui il padrone ritorna e non addormentati.
    Non è difficile comprendere che i servi della parabola rappresentano i discepoli e il padrone rappresenta Gesù. Raccontando la parabola Gesù sa che gli resta ancora poco tempo per rimanere fisicamente insieme ai suoi discepoli; e per questo li prepara per il tempo in cui affiderà loro la sua casa, che è la comunità dei credenti, fino al tempo in cui tornerà di nuovo.
    Neppure è difficile capire che il sonno e la veglia di cui parla Gesù non sono quelli fisici, ma si riferiscono a due modi diversi di vivere: quello di chi conosce la strada da percorrere (come chi vigila) e quello di chi si perde per la via e non raggiunge il suo destino (come chi si addormenta).
    San Paolo nell'indirizzo di saluto ai cristiani di Corinto si rivolge a loro come coloro che aspettano la manifestazione del Signore Gesù Cristo, che li rende saldi sino alla fine. Anche nel tempo della vigilanza non siamo soli e non siamo lasciati solo alle nostre forze: la fede ci rende saldi, con essa ci appoggiamo su Gesù e ci teniamo stretti a lui, che ha vinto ogni avversità. Il desiderio espresso dal profeta Isaia: ?se tu squarciassi i cieli e scendessi!?, si è già realizzato con l'incarnazione di Gesù e si realizzerà di nuovo con la sua venuta nella gloria. La nostra vita è un cammino verso quell'incontro.



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    00 04/12/2017 07:29
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Io verrò e lo curerò


    La liturgia di oggi ci propone due prime letture dal profeta Isaia. Nell'anno A, perché la prima già letta ieri, è preferibile la seconda. Siamo in cammino verso il Natale e in questo viaggio ci accompagna una dichiarazione solenne da parte del Signore: egli viene, viene tra noi ed ha un programma di salvezza per tutti i popoli, per ciascuno di noi. Egli sa di trovare ancora un'umanità malata e sofferente. Abbiamo urgente bisogno che qualcuno venga a curare i nostri mali. Siamo capaci di procurarceli da soli, ma non siamo capaci di liberarcene. Ci occorre Colui che può curare e sanare in profondità, estirpando il male alle sue radici. È significativo che sia un centurione romano ad invocare l'intervento di Cristo per un suo servo. Egli si fa portavoce del mondo pagano, da cui proveniamo anche noi. Egli prega anche per noi. È l'avverarsi dell'annuncio profetico di Isaia: "Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Il centurione non si ritiene degno di vedere Gesù percorrere la sua stessa strada, nella sua fede genuina ritiene che basti una sua parola perché il servo paralizzato guarisca. Quel "non sono degno che tu entri sotto il mio tetto" vuole dire la fede nella potenza del Figlio di Dio, ma anche lo stupore e la meraviglia che Egli si trovi a percorrere le nostre strade con la stessa nostra umanità inferma. Egli però non solo è entrato sotto il nostro tetto, ma ha voluto fondersi con la nostra umile carnalità, ha preso le nostre stesse sembianze

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    00 05/12/2017 07:46
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Ti rendo lode, o Padre, perché hai rivelate le cose ai piccoli

    Il brano, che Matteo riferisce a conclusione del ministero i Galilea, viene collocato da Luca nel contesto del viaggio di Gesù a Gerusalemme. Il regno di Dio che si realizza nel tempo e che si completerà alla fine dei tempi capovolgerà i valori e le realtà umane, favorendo soprattutto i poveri di Dio, cioè chi è convinto della propria pochezza e nullità e si lascia colmare dalla sapienza di Dio. Gli umili e i semplici sono in comunicazione con Dio, essi «vedranno Dio». Quindi, la pagina dell'odierno Vangelo ci presenta il tema dell'umiltà, della beatitudine che si invera nel rapporto tra Dio e l'uomo. Nella prima lettura troviamo la figura del Messia sotto l'immagine di un germoglio che spunta dal tronco abbattuto della dinastia davidica e avrà le caratteristiche migliori dei grandi personaggi del passato: Salomone, Davide e Mosè. Nonostante la venuta del Messia, potremmo dubitare che si possa mai avverare la profezia di Isaia. Di fronte alla realtà che sovente presenta il sopravvento di violenti e prepotenti, l'aumento di poveri e di oppressi, di perseguitati e di emarginati, siamo tentati di sfiducia. Anche per i discepoli (oggi diremmo i laici) sarà possibile partecipare alle virtù di tali personaggi, poiché lo stesso Spirito soffierà su di loro. Dio ha voluto che anche noi, mediante i sacramenti, ricevessimo il dono dello Spirito di cui egli possiede la pienezza. In particolare abbiamo bisogno dello Spirito di sapienza e di intelligenza per comprendere e leggere negli avvenimenti del mondo d'oggi la realizzazione dell'opera divina. Il Salmo 71 è la preghiera di un anziano che «fin da giovane» nel Signore ha posto la sua speranza. Il suo lamento, tutto intriso di fiducia e serenità, pone in parallelo un passato proteso verso Dio rifugio, salvezza, roccia e un presente intessuto di ostilità, di un affievolirsi delle forze. Eppure questo anziano attende ancora un futuro di liberazione nonostante l'esiguità degli anni. La parola di Dio ci ridà la speranza e ci fa intravedere una umanità rinnovata, pacifica e fraterna.
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    00 06/12/2017 08:09
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Tutti mangiarono a sazietà

    Il tema della moltiplicazione dei pani, preannuncia il banchetto eucaristico al quale sono invitati tutti, ma con preferenza per i poveri, gli ammalati, i bisognosi, e tutti coloro che aiutano i bisognosi. Tra di essi mettiamoci anche noi. Se andiamo da Gesù con umiltà, consci della nostra miseria, egli ci risana mediante i sacramenti, soprattutto quello della penitenza e dell'eucarestia. Pochi pani e pochi pesci diventano materia di salvezza, di miracolo, di vita. L'ordine di Gesù di raccogliere anche i frammenti ci ricorda il dovere di curare le sfumature, il dettaglio, con attenzione alle piccole cose, che poi sono le uniche che possiamo offrire. Nella prima lettura vediamo che gli invitati di cui ci parla il Vangelo possono andare incontro pieni di speranza a colui che viene. Per loro, per me, personalmente egli prepara una mensa e mi invita al banchetto. Ogni giorno il Signore ci invita a mangiare il pane della vita, se stesso, dato per la vita del mondo. È un dono personale, ma non esclusivo: sono invitati tutti i popoli. I veri poveri accettano questo invito, perché sanno di essere indigenti, e con piena disponibilità accolgono la venuta del Signore. Il salmo 22 è una preghiera di lamento. Pregare nella forma del lamento significa percorrere un itinerario che porta oltre la paura, l'angustia e la lontananza da Dio. Il lamento richiede di dare un nome all'angustia, di darle un volto. In questo salmo ciò che sottolineerei è soprattutto la dichiarazione di fiducia. Il risanamento inizia là dove c'è la piaga. E là abita anche la fiducia. Per tutti gli indigenti, per noi che ci riconosciamo tali, pregare nella forma del lamento significa sprigionare la forza della fiducia. Forse il tempo dell'avvento è proprio quello che ci ispira di speranza e di fiducia.
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    00 07/12/2017 07:22
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Ma colui che fa la volontà del Padre

    Il tema dell'odierna celebrazione riassume la correlazione tra fede e opere. Tale correlazione si realizza sempre dall'ascolto della Parola di Dio. Dio-roccia è il fondamento su cui noi dobbiamo costruire. Potremmo costruire una casa senza le fondamenta? Certamente no! Potremmo anche approntare una sorta di fondamenta e costruirci sopra, ma poi quella casa si sbriciolerà o crollerà. Dall'altra parte, il verbalismo religioso, sia individuale che comunitario o liturgico, diventa una pia illusione, se non è convalidato dalla propria vita operosa e impegnata. Si può notare qui la differenza tra gli uomini che sono dediti con affanno all'attività e la vita composta del cristiano autentico che nell'impegno di attività nel mondo, non perde i contatti con il fondamento divino. Nella seconda lettura si ribadisce il fondamento su cui costruire la propria vita. Il Signore ha un metro diverso dal nostro: egli capovolge tutti i nostri valori umani, i principi terreni ed egoistici. Per un popolo abituato alle sabbie del deserto, la roccia salda è un'immagine plastica, suggestiva. E questa roccia è Cristo, pietra angolare su cui il Padre vuole costruire la «città forte». Il salmo 117 è tipicamente messianico e per gli ebrei al centro di questo, come degli altri salmi, c'è il popolo di Israele con la sua storia, per noi la lettura è Cristocentrica. Come Israele, Cristo è stato circondato dai nemici ma, confidando nel Padre, tali nemici sono stati sconfitti. Anche noi, uniti al Padre nel Figlio, possiamo sconfiggere i nostri nemici che non stanno fuori, ma dentro di noi. Ascoltiamo le parole ma mettiamole anche in pratica.



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    00 08/12/2017 08:31
    don Alberto Brignoli
    Eccomi!

    Da pochissimi giorni abbiamo iniziato il Tempo di Avvento, e già siamo a una pausa, che solo in apparenza sembra sospendere il cammino ascetico in preparazione al Natale: in realtà, la continuità è forte, anche grazie al tema scelto dalla nostra Diocesi per l'Avvento di quest'anno, ?Maestro, dove dimori??. Dove ti troviamo, Signore? Dove possiamo incontrare una risposta ai nostri interrogativi? Dove sei, quando ti cerchiamo e invochiamo il tuo nome? Ed è proprio collegandoci a questo ?Dove sei??, spesso rivolto dall'umanità a Dio, che intravediamo nella liturgia di oggi un elemento comune al tempo di preparazione al Natale. Collegare, infatti, all'Avvento la figura di Maria nel suo ?sì? a Dio così come il Vangelo ci annuncia, è abbastanza scontato e soprattutto avremo modo di farlo la quarta domenica di Avvento, ormai vigilia di Natale. Addentriamoci, piuttosto, in questa domanda, con la quale spesso costringiamo Dio a uscire allo scoperto, e ci accorgeremo che oggi è lui a chiedere a noi di farci avanti e di dire senza paura chi siamo e dove stiamo andando.
    ?Dove sei??: con questa frase lapidaria, il Dio della Creazione chiama l'uomo all'interno del giardino dell'Eden e gli chiede di uscire allo scoperto dopo che questi aveva mangiato dell'albero di cui gli aveva comandato di non mangiare. Gli chiede ?Dove sei?? non perché non ne avesse la percezione, o perché sentisse la necessità di guardarlo in faccia, di saperlo vivo e vegeto al suo fianco; Dio non può essere angosciato di non avere con sé la propria creatura, perché la sua onnipotenza non gli fa certo avvertire il bisogno di avere l'uomo al suo fianco. Semmai, a essere angosciato e preoccupato è proprio l'uomo, che si era nascosto dalla sua vista ?perché ha avuto paura, perché aveva sentito la sua voce nel giardino e perché era nudo?. Tutte cose, queste, che fino allora non erano per nulla state un problema. Aveva forse l'uomo avuto paura di Dio, fino allora? La sua voce gli aveva incusso terrore? Era forse un problema, il fatto di presentarsi nudo, davanti al suo Creatore? Certamente no: e allora, perché doveva temere proprio ora? Dio voleva una spiegazione a questo suo atteggiamento, e per questo va in cerca di lui, perché, se c'è qualcosa che non va, abbia il coraggio di manifestarlo apertamente.
    Qualcosa che non va c'è, eccome: ma come spesso accade, non è colpa dell'uomo. È sempre colpa di circostanze, condizionamenti, situazioni o persone a lui estranee che lo portano ad assumere comportamenti scorretti, a causa dei quali è meglio non guardare in faccia Dio; ad ogni modo, anche nel momento in cui Dio si accorge di questi comportamenti per cui non ci si può più nascondere, la risposta dell'uomo è immediata. La colpa è ancora di Dio: ?La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato?. Sei tu, Dio, che hai messo al mio fianco questa persona: pensavo di potermi fidare di una tua creatura, in tutto simile a me, e invece mi sono sbagliato. Anzi: tu hai sbagliato, perché tu l'hai messa al mio fianco.
    E Dio raccoglie la provocazione, per cui va a interrogare direttamente quella creatura che egli aveva affiancato all'uomo perché fosse per lui un aiuto simile, e invece si è rivelata d'intralcio. Ma anche qui, la catena continua: non può essere colpa della donna, qualche altra circostanza, condizionamento, situazione o persona devono averla portata a questo. Non ci si scappa: non è che fossero in molti, a quel tempo, per cui se non è stato uno è stato l'altro. O forse entrambi, entrambi ingannati e ingannatori, a causa di quel subdolo e strisciante dono di Dio all'umanità che è la sua libertà: meraviglioso dono, cosa che più bella di quella non ce n'è, sempre e quando, però, si fida del suo Dio e non di se stessa. Perché quando l'uomo inizia a fidarsi esclusivamente di se stesso, della propria coscienza, della propria libertà, delle proprie capacità e per questo pensa di poter fare a meno di Dio, allora succede tutto questo: succede che inizia ad avere paura di guardare in faccia alla realtà, inizia a nascondersi dalle proprie responsabilità, inizia ad avere vergogna di farsi vedere nella sua limitatezza, inizia a indossare delle maschere, inizia a rimpallare le responsabilità agli altri, e giunge addirittura al punto di dare, di tutto questo, la colpa a Dio. Quel Dio che prima era stato così bravo a mettere al nostro fianco persone valide, aiuti fondamentali per la nostra vita, ora diviene colpevole di aver rovinato tutto proprio per via di quelle persone: e mai una volta che ci si assuma le responsabilità dei nostri errori!
    Questa è la cosa peggiore quando cadiamo nell'errore e nel peccato: mettere delle maschere, nasconderci, non ammettere che è colpa nostra, e incolpare tutto il resto. Impariamo invece a riconoscere i nostri limiti, ad accettarli, addirittura ad amarli, e a capire che abbiamo sempre la possibilità di ricominciare da capo: e allora ci accorgeremo che la vita va avanti lo stesso nonostante noi; che l'umanità non ha ancora smesso di essere una ricchezza per Dio; che nonostante il male, continuerà a insidiare la nostra e l'altrui coscienza, noi avremo sempre la possibilità di schiacciarlo, di metterlo sotto i nostri piedi, cioè di sottometterlo a noi, perché il male è forte, certo, ma il bene lo è molto di più.
    E aver preservato la propria Madre da queste dolorose e penose vicende di meschinità rendendola sin dal suo concepimento ?Immacolata?, ovvero libera e non sottomessa alle logiche del male, ci dà un'enorme iniezione di speranza: nonostante il peccato sia originale, ovvero insito nella nostra natura umana ?da sempre?, ciò non significa che lo debba essere ?per sempre?. È sufficiente non nascondersi, e a Dio che ci chiede ?Dove sei?? rispondere, nonostante tutto, come Maria: ?Eccomi!?.
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    00 09/12/2017 10:03
    Monaci Benedettini Silvestrini
    E' bello cantare al Signore nostro Dio

    L'odierna pagina di Matteo sottolinea che gli apostoli sono il prolungamento di Gesù: i loro poteri sono gli stessi del Maestro che glieli trasmette. Ma perché proprio ?dodici? e non sette o otto o dieci? Perché all'interno di Israele tale numero non può avere altro riferimento che alle Dodici tribù costitutive di quel popolo, il gesto di Gesù rivela una forte e originalissima intenzione: quella di rifondare l'identità della propria nazione, che è il partner di una specifica alleanza con Dio. Prima che la Scrittura racconti dei dodici figli di Giacobbe, i capostipiti delle tribù, Israele non esiste ancora come popolo. Con Abramo ed Isacco siamo di fronte ad una famiglia, non ancora a quel popolo che Dio aveva promesso. Con Giacobbe appare, nella narrazione veterotestamentaria, il ?popolo di Dio?. I ?Dodici? scelti da Gesù sono l'inizio del ?nuovo popolo di Dio?. Cristo li ha legati indissolubilmente a sé. Identico è il tema della predicazione: la venuta del regno di Dio; anche l'attività per il regno è la medesima; uguale deve essere anche il disinteresse più luminoso. Il lavoro apostolico è paragonato a quello dei mietitori. Gesù ha compassione delle immense folle di uomini che attendono la liberazione e la salvezza. Vuole che questa ansia pastorale sia condivisa anche da coloro che sono stati salvati, dai suoi discepoli di oggi. Quindi il tema di questa liturgia è inerente alla salvezza che Cristo viene a portare, mediante coloro i quali ha designato a questo scopo. Nella prima lettura il profeta annuncia per i tempi futuri l'attuazione piena di una verità che, se pur già presente in tutta la storia umana, sarà però una delle prerogative dei tempi messianici: la vicinanza di Dio all'uomo. Gli abitanti di Gerusalemme invocheranno il Signore e saranno esauditi. Però è Dio stesso che precede la supplica dell'uomo e quasi la sollecita desideroso di poter usare misericordia. Il salmo 146 è un inno alla potenza e alla bontà del Signore. Tale lode deve esprimersi in modo conveniente, poiché è bello cantare al Signore nostro Dio. Dio è fedele alle sue promesse. Se ci apre gli occhi, potremo vedere quanto ha già realizzato per noi e sapremo anche attendere con fiducia quanto egli realizzerà. Beati coloro che aspettano il Signore!
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    00 10/12/2017 09:37
    don Alberto Brignoli
    Preparate la strada

    Come inizia il suo Vangelo il ?nostro? Marco, che ci accompagnerà lungo tutto quest'anno liturgico? Marco inizia facendo parlare Isaia, il più grande dei profeti d'Israele, per mostrare che tra il Vangelo di Gesù, Figlio di Dio, e le promesse dell'Antico Testamento, non c'è soluzione di continuità: come scrisse Isaia nel suo libro, così avvenne attraverso la predicazione di Giovanni il Battista. Molte sono le analogie tra Giovanni il Battista e un altro grande profeta della storia d'Israele, Elia, del quale si diceva che sarebbe tornato sulla terra poco prima dell'arrivo del Messia. Entrambi - Elia e il Battista - invitavano alla conversione un popolo che si era allontanato in maniera evidente dal culto al vero Dio; entrambi si vestivano di peli di cammello e si cibavano di quello che la natura metteva loro a disposizione; entrambi saranno perseguitati dalle autorità politiche e religiose proprio per il loro desiderio di smuovere le coscienze e far tornare il popolo a un culto di Dio autentico e genuino. C'è un altro elemento comune alle figure di Elia e del Battista, ed è il luogo dove abitualmente vivevano e operavano: il deserto, la solitudine, il silenzio. Menzionando il deserto, tuttavia, Marco presenta la figura di Giovanni discostandosi da quanto espresso dal profeta Isaia: entrambi parlano, sì, di una voce profetica che risuona, e del deserto come luogo privilegiato di questa voce. Ma il modo in cui Isaia parla di questa voce e del deserto, non è lo stesso in cui Marco parla di Giovanni.
    Isaia parla di ?una voce che grida: Nel deserto preparate la via al Signore?. E il riferimento è un fatto storico ben preciso: buona parte del popolo d'Israele, soprattutto le classi sociali più elevate e acculturate, si trovava in esilio in terra babilonese da circa 60 anni e Isaia (o il discepolo che scrive questo testo) annuncia il ritorno dei deportati come una cosa imminente. Cosa che avverrà puntualmente nel 538 a.C. In previsione di questo ritorno, Isaia annuncia la necessità di preparare una strada nel deserto per il ritorno dei deportati. Non si tratta solo di un'indicazione geografica per indicare il deserto della Siria attraverso cui è necessario passare per andare dalla terra di Babilonia (l'attuale Iraq) alla Palestina. L'analogia con l'Esodo è evidente: come Dio aveva guidato il popolo d'Israele per quarant'anni nel deserto dall'Egitto verso la terra promessa, così guiderà i deportati nel loro viaggio di ritorno a Gerusalemme attraverso il deserto. La voce che annuncia l'imminenza di questo ritorno non si trova, quindi, nel deserto. Si trova senza dubbio a Babilonia, dove recherà l'annuncio agli esiliati (annuncio di consolazione, come dicono le prime parole della lettura che abbiamo ascoltato); ma si trova certamente anche a Gerusalemme, dove annuncia a coloro che erano rimasti nella terra promessa senza più una classe dirigente, senza il tempio, senza gli uomini di cultura, senza le autorità religiose e senza alcuna istituzione, ovvero senza alcun punto di riferimento, che la loro sofferenza è finita, e che anche loro devono darsi da fare per preparare il ritorno degli esuli a Gerusalemme. Cosa che avverrà con non poche difficoltà, perché sessant'anni di storia avevano visto passare ben due generazioni, e il rischio che tra fratelli ebrei non ci si riconoscesse più era molto alto: soprattutto, le mentalità degli esuli in Babilonia e del piccolo resto d'Israele rimasto in patria erano molto diverse. Ad ogni modo, la voce del profeta invita a preparare la strada nel deserto: ma essa non risuona nel deserto.
    Quella che risuona nel deserto, perché nel deserto ci vive, è quella di Giovanni il Battista, di cui infatti Marco dice: ?Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore?. Sembrerebbe una contraddizione, o per lo meno una cosa inutile: che cosa grida uno nel deserto? E soprattutto, a chi e per che scopo grida? Chi vuoi che lo senta? Sappiamo bene che Giovanni aveva un buon gruppo di persone e di discepoli (che a volte diventavano folle) che andava ad ascoltarlo in questi luoghi deserti dove egli viveva e da dove si spostava verso il fiume Giordano per battezzare: ma anche qui, il significato va ben oltre una descrizione geografica. La voce di Isaia risuonava nelle città, e chiedeva di preparare per gli esuli la strada del ritorno che sarebbe passata nel deserto come già al tempo dell'Esodo; la voce di Giovanni, invece, risuona nel deserto perché è lui stesso che si trova nel deserto, ed è nel deserto che si prepara alla venuta del Salvatore.
    Questo significa che il vero protagonista di questa seconda domenica di Avvento è senza dubbio il messaggio di consolazione e di speranza che il profeta vuole iniettare in un popolo desolato, deluso e privo di punti di riferimento; ma questo messaggio rischia di rimanere inascoltato e inefficace se non si ha il coraggio di ?stare? nel deserto, di vivere il deserto, di lasciare che il deserto pervada la nostra esistenza.
    E deserto vuol dire silenzio (quello che a volte non riusciamo a fare neppure per un minuto nell'arco della giornata, nemmeno di notte); deserto vuol dire povertà ed essenzialità (quella che siamo talmente incapaci di attuare al punto da riempire le nostre case, i nostri armadi, i nostri frigoriferi, i nostri cassetti, i nostri mobili, addirittura i nostri presepi di tante cose così poco necessarie che la metà sarebbero sufficienti per vivere più che dignitosamente); deserto vuol dire soprattutto solitudine, non quella sofferta a causa delle vicende della vita, ma quella ricercata per stare un po' con noi stessi e anche con Dio.
    È bello, e anche giusto, prepararci al Natale preoccupandoci di tante cose suggestive legate alla tradizione: ma magari ritagliarsi qualche momento di silenzio e di deserto per preparare la strada al Signore non sarebbe male...



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    Coordin.
    00 10/12/2017 09:37
    don Alberto Brignoli
    Preparate la strada

    Come inizia il suo Vangelo il ?nostro? Marco, che ci accompagnerà lungo tutto quest'anno liturgico? Marco inizia facendo parlare Isaia, il più grande dei profeti d'Israele, per mostrare che tra il Vangelo di Gesù, Figlio di Dio, e le promesse dell'Antico Testamento, non c'è soluzione di continuità: come scrisse Isaia nel suo libro, così avvenne attraverso la predicazione di Giovanni il Battista. Molte sono le analogie tra Giovanni il Battista e un altro grande profeta della storia d'Israele, Elia, del quale si diceva che sarebbe tornato sulla terra poco prima dell'arrivo del Messia. Entrambi - Elia e il Battista - invitavano alla conversione un popolo che si era allontanato in maniera evidente dal culto al vero Dio; entrambi si vestivano di peli di cammello e si cibavano di quello che la natura metteva loro a disposizione; entrambi saranno perseguitati dalle autorità politiche e religiose proprio per il loro desiderio di smuovere le coscienze e far tornare il popolo a un culto di Dio autentico e genuino. C'è un altro elemento comune alle figure di Elia e del Battista, ed è il luogo dove abitualmente vivevano e operavano: il deserto, la solitudine, il silenzio. Menzionando il deserto, tuttavia, Marco presenta la figura di Giovanni discostandosi da quanto espresso dal profeta Isaia: entrambi parlano, sì, di una voce profetica che risuona, e del deserto come luogo privilegiato di questa voce. Ma il modo in cui Isaia parla di questa voce e del deserto, non è lo stesso in cui Marco parla di Giovanni.
    Isaia parla di ?una voce che grida: Nel deserto preparate la via al Signore?. E il riferimento è un fatto storico ben preciso: buona parte del popolo d'Israele, soprattutto le classi sociali più elevate e acculturate, si trovava in esilio in terra babilonese da circa 60 anni e Isaia (o il discepolo che scrive questo testo) annuncia il ritorno dei deportati come una cosa imminente. Cosa che avverrà puntualmente nel 538 a.C. In previsione di questo ritorno, Isaia annuncia la necessità di preparare una strada nel deserto per il ritorno dei deportati. Non si tratta solo di un'indicazione geografica per indicare il deserto della Siria attraverso cui è necessario passare per andare dalla terra di Babilonia (l'attuale Iraq) alla Palestina. L'analogia con l'Esodo è evidente: come Dio aveva guidato il popolo d'Israele per quarant'anni nel deserto dall'Egitto verso la terra promessa, così guiderà i deportati nel loro viaggio di ritorno a Gerusalemme attraverso il deserto. La voce che annuncia l'imminenza di questo ritorno non si trova, quindi, nel deserto. Si trova senza dubbio a Babilonia, dove recherà l'annuncio agli esiliati (annuncio di consolazione, come dicono le prime parole della lettura che abbiamo ascoltato); ma si trova certamente anche a Gerusalemme, dove annuncia a coloro che erano rimasti nella terra promessa senza più una classe dirigente, senza il tempio, senza gli uomini di cultura, senza le autorità religiose e senza alcuna istituzione, ovvero senza alcun punto di riferimento, che la loro sofferenza è finita, e che anche loro devono darsi da fare per preparare il ritorno degli esuli a Gerusalemme. Cosa che avverrà con non poche difficoltà, perché sessant'anni di storia avevano visto passare ben due generazioni, e il rischio che tra fratelli ebrei non ci si riconoscesse più era molto alto: soprattutto, le mentalità degli esuli in Babilonia e del piccolo resto d'Israele rimasto in patria erano molto diverse. Ad ogni modo, la voce del profeta invita a preparare la strada nel deserto: ma essa non risuona nel deserto.
    Quella che risuona nel deserto, perché nel deserto ci vive, è quella di Giovanni il Battista, di cui infatti Marco dice: ?Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore?. Sembrerebbe una contraddizione, o per lo meno una cosa inutile: che cosa grida uno nel deserto? E soprattutto, a chi e per che scopo grida? Chi vuoi che lo senta? Sappiamo bene che Giovanni aveva un buon gruppo di persone e di discepoli (che a volte diventavano folle) che andava ad ascoltarlo in questi luoghi deserti dove egli viveva e da dove si spostava verso il fiume Giordano per battezzare: ma anche qui, il significato va ben oltre una descrizione geografica. La voce di Isaia risuonava nelle città, e chiedeva di preparare per gli esuli la strada del ritorno che sarebbe passata nel deserto come già al tempo dell'Esodo; la voce di Giovanni, invece, risuona nel deserto perché è lui stesso che si trova nel deserto, ed è nel deserto che si prepara alla venuta del Salvatore.
    Questo significa che il vero protagonista di questa seconda domenica di Avvento è senza dubbio il messaggio di consolazione e di speranza che il profeta vuole iniettare in un popolo desolato, deluso e privo di punti di riferimento; ma questo messaggio rischia di rimanere inascoltato e inefficace se non si ha il coraggio di ?stare? nel deserto, di vivere il deserto, di lasciare che il deserto pervada la nostra esistenza.
    E deserto vuol dire silenzio (quello che a volte non riusciamo a fare neppure per un minuto nell'arco della giornata, nemmeno di notte); deserto vuol dire povertà ed essenzialità (quella che siamo talmente incapaci di attuare al punto da riempire le nostre case, i nostri armadi, i nostri frigoriferi, i nostri cassetti, i nostri mobili, addirittura i nostri presepi di tante cose così poco necessarie che la metà sarebbero sufficienti per vivere più che dignitosamente); deserto vuol dire soprattutto solitudine, non quella sofferta a causa delle vicende della vita, ma quella ricercata per stare un po' con noi stessi e anche con Dio.
    È bello, e anche giusto, prepararci al Natale preoccupandoci di tante cose suggestive legate alla tradizione: ma magari ritagliarsi qualche momento di silenzio e di deserto per preparare la strada al Signore non sarebbe male...



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    00 11/12/2017 08:36
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Lc. 5,20

    «Veduta la loro fede Gesù disse: ?Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi?»

    Lc. 5,20

    Come vivere questa Parola?

    È interessante il miracolo che Gesù compie guarendo un paralitico in una situazione molto particolare. Il Signore sosta in una casa dopo essere stato seguito, forse per ore intere, da una folla che, pendeva dalle sue labbra.

    C'è tale assembramento di gente che i portatori del paralitico escogitano uno stratagemma. Non certo senza fatica, rimuovono parte delle tegole e poi, decisi ed arditi, calano il lettuccio con l'uomo malato davanti al Signore.

    Gesù guarisce il paralitico; ma qui è importante vedere che l'attenzione del Signore, calda e viva, va a quegli uomini che avevano escogitato la coraggiosa ?trasferta?.

    È la loro fede quella che sollecita il Signore a ridare piena integrità di salute all'uomo paralitico.

    Ecco, credo che sia rilevante cogliere qui l'importanza della fede non solo come impegno personale, ma come luminosa realtà comunitaria.

    Che bello un popolo di credenti, di gente che la fede in Dio rende forte e capace di un'unione più salda di quella che sta a monte dei piccoli interessi personali.


    Signore, rendimi attento a solidarizzare con altri nell'esercizio della mia fede, perché il mondo creda che siamo una realtà forte in Te.


    La voce di una esperta di comunicazione

    ?Dio si manifesta nella misericordia e nella giustizia: in una giustizia che si fa vera nella misericordia e in una misericordia che persegue, per essere tale, la giustizia?.

    Gabriella Caramore

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    Coordin.
    00 12/12/2017 09:03
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Mt. 18, 14

    «Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

    Mt. 18, 14

    Come vivere questa Parola?

    Questa verità è proclamata da Gesù a nostro incoraggiamento e conforto, dopo aver narrato la parabola del pastore buono che, avendo smarrito una pecorella, abbandona momentaneamente le altre novantanove sue pecore sulla montagna. Probabilmente, per dirupi e sentieri tutt'altro che comodi, va in cerca della smarrita.

    Ebbene, la parabola allude chiaramente ai ?piccoli? di cui neppure uno il Padre vuole che vada perduto.

    Bellissimo! Se esco dal ?risaputo? e vado in profondità, scopro che i ?piccoli? siamo tutti ed in molti sensi.

    Anche i grandi pensatori di ogni tempo e cultura hanno giudicato negativamente coloro che si vantano di essere grandi ed importanti.

    In questa nostra epoca molti scienziati, pur avendo fatto grandi passi nel progresso tecnologico, hanno dovuto però ammettere, per tanti versi, la fragilità dell'uomo di sempre, minacciato da malattie e calamità di ogni tipo.
    Indubbiamente siamo piccoli, Signore, ma amati da te. Siamo tuoi figli e non possiamo assolutamente dubitare del tuo atteggiamento nei nostri riguardi.


    Signore sono piccolo.

    Credo fortemente che tu mi stai amando così come sono e stai anche aiutandomi a diventare come il tuo ?bene? mi vuole. Salvami da qualsiasi scoraggiamento: ti affido la mia vita, quella dei miei fratelli e sorelle ?piccoli?, per i quali tu hai dato il Figlio per eccellenza a nostra redenzione e salvezza.


    La voce di una filosofa santa e martire

    ?Dove Gesù intende condurci sulla terra, è cosa che non sappiamo e a proposito della quale, non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore, tutte le cose ridondano in bene?

    Edith Stein, Il Mistero del Natale, Queriniana

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    Coordin.
    00 13/12/2017 20:36
    Commento su Mt.11,28

    «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro».

    Mt.11,28

    Come vivere questa Parola?

    Gesù ha elevato un inno di lode al Padre perché ha nascosto le cose che riguardano il Regno di Dio ai superbi che presumano di essere sapienti mentre in realità sono stolti. Le meraviglie del regno di Dio, Gesù le ha rivelate ai piccoli.

    Certo, la sua strada è verità, impegno di bontà e bellezza: una vita consegnata a Dio sintesi - compendio di ogni vero bene.

    Non è facile essere dalla sua parte, perché il tenere a freno cattivi desideri di ciò che è male, diventa simile a un giogo e il portare il fardello del volere bene a tutti diventa un peso.

    Eppure, siccome la richiesta e l'adempimento di queste cose è Amore, quel giogo è dolce e quello peso è leggero.

    C'è una lunga premessa, un invito intriso di speranza teologale e di tenerezza: ?Venite a me?.

    E gl'invitati - guarda caso - non sono i satolli che non si curano di chi muore di fame né degli ?affaticati? e ?oppressi? dentro una vita che non è per nessuno all'insegna della facilità.


    Signore, quel ?Venite? cosi caldo di amore umano - divino, Tu lo rivolgi anche a noi, a me. Dammi di accoglierlo con un cuore dilatato nella fede, che diventa serenità di giorni vissuti in Te e con Te.


    La voce del Papa

    ?Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani, per la giustizia e per la crescita di quello che Gesù dona: amore e pace?.

    Papa Francesco
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    Coordin.
    00 13/12/2017 23:18
    Commento su Mt. 11,11

    ?Tra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovani il Battista; ma il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui.?

    Mt. 11,11

    Come vivere questa Parola?

    Gesù non poteva tessere un elogio più grande di quelle che riservò per il suo precursore: quel Giovani Battista di cui la gente era giustamente ammirata.

    Eppure questo elogio è come la piattaforma per un'affermazione che può sembrare ma non è folle.

    Sì, il più piccolo del Regno è il più grande del massimo asceta dell'Antico Testamento.

    Come dire: la collinetta che vedo dalla mia finestra è più grande del Monte Everest con i suoi 8882 metri di altezza (è la cima più alta del mondo!).

    Si tratta di chiedersi ora: Che tipo di grandezza è dunque quella che Gesù scorge nei ?piccoli??

    Credo sia proprio quella della semplicità del cuore e della vita.

    Chi è semplice (o si prefigge con la grazia di Dio di diventarlo) non perde energie per apparire ?grande?, cioè non mira alla bella figura, all'?apparenza?. Desidera essere quello che Dio vuole egli sia: un cuore veritiero, una mente e una volontà impegnate nel bene. Ciò coincide ogni giorno con quello che siamo chiamati a fare.


    La vera grandezza - come Tu Signore m'insegni - non corrisponde ai dati di un metro di misura. Coincide piuttosto con una vita che sia risposta quotidiana al tuo invito pressante: Ama, perché solo l'amore impegnato a compiere il bene, vince ciò che nuoce all'uomo di tutti i tempi: l'indifferenza, la corruzione, il male


    La voce di un pensatore russo

    ?Sì saldo nella fede perché è molto bello per un uomo intelligente vivere con Dio. E vivere senza Dio è proprio orribile (...) e prega con sentimento al meno uno o due volte al giorno?.

    Vladimir Solov'ëv
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    Coordin.
    00 14/12/2017 10:12
    Casa di Preghiera San Biagio FMA
    Commento su Mt. 11,11

    ?Tra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovani il Battista; ma il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui.?

    Mt. 11,11

    Come vivere questa Parola?

    Gesù non poteva tessere un elogio più grande di quelle che riservò per il suo precursore: quel Giovani Battista di cui la gente era giustamente ammirata.

    Eppure questo elogio è come la piattaforma per un'affermazione che può sembrare ma non è folle.

    Sì, il più piccolo del Regno è il più grande del massimo asceta dell'Antico Testamento.

    Come dire: la collinetta che vedo dalla mia finestra è più grande del Monte Everest con i suoi 8882 metri di altezza (è la cima più alta del mondo!).

    Si tratta di chiedersi ora: Che tipo di grandezza è dunque quella che Gesù scorge nei ?piccoli??

    Credo sia proprio quella della semplicità del cuore e della vita.

    Chi è semplice (o si prefigge con la grazia di Dio di diventarlo) non perde energie per apparire ?grande?, cioè non mira alla bella figura, all'?apparenza?. Desidera essere quello che Dio vuole egli sia: un cuore veritiero, una mente e una volontà impegnate nel bene. Ciò coincide ogni giorno con quello che siamo chiamati a fare.


    La vera grandezza - come Tu Signore m'insegni - non corrisponde ai dati di un metro di misura. Coincide piuttosto con una vita che sia risposta quotidiana al tuo invito pressante: Ama, perché solo l'amore impegnato a compiere il bene, vince ciò che nuoce all'uomo di tutti i tempi: l'indifferenza, la corruzione, il male


    La voce di un pensatore russo

    ?Sì saldo nella fede perché è molto bello per un uomo intelligente vivere con Dio. E vivere senza Dio è proprio orribile (...) e prega con sentimento al meno uno o due volte al giorno?.

    Vladimir Solov'ëv

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    00 16/12/2017 08:10
    Commento su Sal.79, 3b

    ?Tu, pastore d'Israele, ascolta [...] Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso.?

    Sal.79, 3b

    Come vivere questa Parola?

    Da buon israelita, l'autore del salmo si rivolge a Dio come a pastore. Non era pensabile, in quel tempo, che un buon pastore non si prendesse affettuosa cura del suo gregge.

    Cosi al salmista riesce facile e consolante rivolgersi a Dio come a Colui che ama e nello stesso tempo è così potente da soccorrere il suo popolo in momenti di fatica, di prova e pericolo.

    Collocato nel salmo responsoriale di un giorno ormai prossimo a natale, ci aiuta a immedesimarci nel significato profondo di questa solennità.

    Commemorare la Natività di Gesù, Figlio di Dio e nostro Redentore significa anzitutto fare nostra un'invocazione come questa.

    Si, non a caso, quel Gesù di cui stiamo per commemorare la nascita, inventò la parabola della pecorella smarita. Disse poi chiaramente d'essere egli stesso il Buon Pastore che dà la vita, pur di trarre a salvezza le sue amate creature.


    Si, anche noi come l'antico autore del salmo, possiamo rivolgerci a Te, Gesù, come al Pastore, in cui confidare. Potremo con la tua grazia camminare nella luce: noi e quanta più umanità è possibile. Risveglia dunque Signore Gesù, la tua potenza, anche in questo torbido periodo della storia umana. Vieni in nostro soccorso e salvaci.


    La voce di Papa Francesco

    Nessuno di noi ?può salvare se stesso?: abbiamo bisogno ?della potenza di Dio? per essere salvati. (...)

    Senza la potenza di Dio, non possiamo ?andare avanti?. (...)

    Perché è ?la potenza di Dio, la forza di Dio che salva, che guarisce, che mette in piedi?. Ciò in fondo è ?la realtà della nostra vulnerabilità?.

    Omelia Santa Marta 16/06/2017
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    Coordin.
    00 17/12/2017 19:40
    Omelie.org

    Siamo ad un passo dalla festa che emoziona ed entusiasma in molti, ma sicuramente chi la sente con particolare fermento siete proprio voi, bambini. Avete anche la grande capacità di contagiare i grandi che farebbero di tutto pur di vedervi sorridere e gioire.
    Già, la festa del Natale è proprio la festa della Gioia per eccellenza e in questa domenica il messaggio di ogni lettura ci ricorda questo: ?La mia anima esulta? scrive Isaia, mentre Paolo alla comunità di Tessalonica dice ?siate sempre lieti? e il Salmo ci ricorda l'inno di lode di Maria quando incontra Elisabetta ?L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore?.
    Quanta gioia in queste letture e quanta trepidazione in questi ultimi giorni di attesa!
    Ma che cos'è la gioia? Fermiamoci un momento a pensare e cerchiamo di dare un'immagine a questa parola, compagna di questa domenica. Se penso alla gioia mi viene subito in mente il volto dei miei nipotini, quando sono felici per qualcosa di inaspettato e bello o di un mio alunno, quando riceve un pensiero da un compagno o, finalmente, fa pace con il suo migliore amico. L'immagine è proprio quella dei loro volti: lo sguardo si alleggerisce e si distende, gli occhi si spalancano e la bocca viene su per mostrare la bellezza del loro sorriso. Un sorriso che diventa contagioso perché il solo vederli così, dona gioia anche a me!
    Forse sarà proprio per questo che spesso diciamo che il volto si ?illumina di gioia?, perché il volto gioioso esprime tutta la bellezza che si porta dentro e trova tutte le porte aperte per uscire: occhi, bocca e delle volte anche le braccia si aprono e questa gioia si espande così tanto da illuminare anche chi è lì intorno.
    Questo aspetto luminoso della gioia, lo descrive meglio il Vangelo.
    Sappiamo che l'evangelista Giovanni vuole narrare con parole particolari per favorire uno sguardo più profondo sulle cose; è come se ci aiutasse a guardare le sfumature e i particolari più piccoli di un'opera d'arte. Così in questo Vangelo ci parla di Giovanni Battista come testimone della luce e come colui che, mandato da Dio, dona a chi gli è intorno gli ultimi ?indizi? per riconoscere Gesù.
    Proprio lui che lo ha riconosciuto sin dai primi momenti della loro vita quando, nel grembo di Elisabetta, aveva esultato di gioia non appena sua madre si era salutata con Maria; lui che ha deciso di dedicare la sua vita per annunciare questa gioia grande del Messia tanto atteso, andando a vivere nel deserto mangiando miele selvatico e locuste e pregando affinché la gente riconoscesse Gesù.
    Lui che battezzava ma che annunciava un nuovo battesimo di Spirito, è l'ultimo grande testimone della luce, quella luce che è Gesù e che illumina il cuore di chi è intorno. Per questa sua tenacia e per la forza con cui porta questa notizia e invita a cercare e riconoscere Gesù, viene spesso scambiato per altri; c'è chi lo crede proprio il Cristo, chi invece, il profeta Elia... ma Giovanni non lascia che gli altri gli dicano chi è e resta se stesso, portando avanti il suo messaggio di gioia: Gesù sta arrivando e sta arrivando per tutti!
    Giovanni è davvero un grande esempio per noi, perché ci spinge a trovare il coraggio di mostrare la gioia per l'arrivo di qualcuno che già conosciamo ed abbiamo avuto modo di riconoscere: Gesù!
    Per noi è più facile perché la sua storia l'abbiamo già sentita, ma allo stesso tempo è difficile, perché non tutti ci credono, ed anche perché non è semplice portare gioia dove c'è chi non la vuole vedere o sentire; la gioia che porta di Gesù infatti è una gioia diversa dalle altre, tocca il cuore con forza e poi ti cambia il modo di vedere e di sentire le cose fin le più piccole.
    Chiediamo a Giovanni di aiutarci ad avere, come lui, tenacia e forza nel portare la gioia di Gesù; di aiutarci a credere in lui anche quando intorno troviamo degli ostacoli; di aiutarci a sentirci forti dell'esultanza che abbiamo nel cuore quando sentiamo quella gioia profonda che non ci farà crollare, proprio come ha fatto lui, che nei momenti difficili avrà sempre ripensato a quell'incontro con Gesù dal grembo delle loro mamme.
    Allora caro Giovanni, sii il nostro forte compagno di viaggio in questi ultimi giorni di nuova attesa ed in questo nuovo cammino con Gesù. Buona domenica di gioia!
    Commento a cura di Elisa Ferrini
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    Coordin.
    00 18/12/2017 08:24
    Non è proprio una novità questo modo di fare di Dio: tu hai un progetto di vita, e poi Lui arriva e con il suo irresistibile fascino ti propone qualche cosa che ha pensato per te e ti stravolge tutto. Maria era promessa sposa a Giuseppe. Quest’uomo già pensava alla sua vita con sua moglie, sicuramente avevano già scelto la casa dove andare ad abitare, e forse, come accade a tutte le coppie innamorate, avranno pensato anche a come chiamare il loro primo figlio. Ma poi arriva Dio. E che fine fanno i tuoi progetti? Poi, Lui ti si fa accanto, ti chiede, e, se accetti, nel tempo ti accorgi che non ha cambiato il tuo progetto di vita, anzi, lo ha realizzato meglio di come avresti fatto tu. Giuseppe, come tutti gli uomini, voleva una brava moglie, e Dio gli ha dato in sposa la più bella creatura che il cielo e la terra abbiano mai conosciuto. Giuseppe non è stato padre come tutti gli uomini, lo è stato di più! Colui che è prima di tutti i secoli, l’Onnipotente, il Santo, si è messo tra le sue braccia e lo ha chiamato papà. Quante volte Gesù avrà detto a Giuseppe: “Papà, ti voglio bene” e, abbracciandolo, gli avrà dato tanti bacetti. Sì, Gesù lo ha realizzato perfettamente come uomo e come padre. Solo a lui Dio ha detto: “papà”. Mi piace pensare che, quando i fanciulli si vantavano del proprio padre, anche Gesù faceva a gara con i suoi compagni, e raccontava di quando Giuseppe se lo è messo sulle spalle, per tutto il tempo del viaggio dall’Egitto a Nazaret, dicendo fiero: “È forte il mio papà”. Giuseppe aveva capito che Dio non toglie mai nulla e, se lo fa, è solo per dare molto di più. Allora noi perché ancora gli resistiamo?

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    Coordin.
    00 19/12/2017 08:58
    Moltissimi sarebbero i punti di questa bellissima pagina sui quali meditare, ma vorrei soffermarmi solo su uno: il dubbio. Ciò che è incredibile è che un sacerdote come Zaccarìa, definito giusto, anziano che vive il tempio (quindi, si presuppone conosca di più Dio e la sua bontà), e al quale appare un Angelo, direttamente venuto dal cielo, mandato da Dio a comunicargli che la sua preghiera è stata esaudita e che quindi gli nascerà un figlio, nonostante tutto ciò, Zaccarìa non gli ha creduto. Ma come è possibile? Da un sacerdote ci si aspetti che creda! Eppure il dubbio tocca sempre il cuore dell’uomo, indipendentemente da quale sia la sua posizione. Il dubbio ci mette sempre in un atteggiamento di non fiducia, anche quando Dio ci dimostra la verità delle sue parole. Ho conosciuto un uomo che nella sua vita ne aveva fatte tante, ma veramente tante, ed era realmente pentito. Era disperato. Gli dissi di non temere, frase tanto cara a Dio, e lo invitai a confessarsi; all’inizio non accettò, poi, non so perché, si convinse, ma lo fece con un santo sacerdote e io ne fui molto contento. Dopo essersi confessato, passato qualche giorno, inaspettatamente venne da me e mi disse: “Ma possibile?”. Io risposi: “Cosa è possibile?”. “Il prete mi ha detto che Lui mi ha perdonato tutti i peccati”. “Si è proprio così”, gli dissi io. E riprese: “Ma proprio tutti? Anche i più gravi? Non ci posso credere!”. E vedendolo in lacrime, compresi che il perdono di Dio aveva sortito i suoi effetti nonostante quell’uomo stentasse ancora a crederci. Passano i secoli, cambiano i tempi e le persone, ma l’uomo è sempre lo stesso, fatica a fidarsi di Dio. Meno male che Dio è “testardo” nel bene, e continua a farci del bene anche quando dubitiamo delle sue parole e manchiamo di fede.

    PreghieraParola vera, dolcissimo Gesù, fammi credere alla forza delle tue parole. Nella creazione hai solo parlato e tutto è stato chiamato all’esistenza. Parla nella mia vita, e crea in me ciò che ancora manca: la pace, la gioia, la compassione, ma soprattutto crea in me una sconfinata fiducia nelle tue parole.

    AgireIl Signore ci chiede una grande fiducia nella sue parole: voglio iniziare a farlo oggi, partendo col fidarmi di un mio fratello.

    Meditazione a cura di mons. Giovanni D’Ercole,
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    Coordin.
    00 20/12/2017 09:09
    Ieri abbiamo meditato su un sacerdote anziano che ha dubitato della realizzazione delle parole di Dio; oggi meditiamo su una fanciulla, semplicissima, giovane, figlia del popolo, che si fida ciecamente della Parola a lei rivolta, dicendo senza indugio: “Avvenga per me secondo la tua parola”. Che strano! Chi dovrebbe credere vacilla, e chi non ti aspetteresti capace un atto di fede così grande, invece, lo realizza. Ma più bello ancora è che Dio sta per iniziare una storia d’amore con il suo popolo, che avrà degli effetti irreversibili. Dio sta per fare una cosa così nuova che, per esprimerla, l’uomo ha inventato un termine che prima non esisteva: l’incarnazione. Questa è una cosa che ha l’esclusiva, è l’originale dell’originale. Un Dio così innamorato dell’uomo che desidera vivere come e con lui. Lascia l’eternità per vivere nel tempo, rinuncia all’immortalità morendo per l’uomo, lascia un trono glorioso per venire al mondo in una stalla, rinuncia all’essere servito per cingersi un grembiule e lavare i nostri piedi. Ma come è “folle” l’amore! Lo ha compreso bene Maria rispondendo all’amore con l’amore, ad una follia con una follia. Premio di ciò? Il suo grembo è diventato un paradiso. Il suo sangue ha nutrito Colui che nutre tutte le creature. Lei ha insegnato a camminare a Colui che regge i popoli, e ha sostenuto con le sue braccia Colui che con la sua onnipotenza sostiene l’universo. Eppure, poteva vantarsi di ciò? No! Si è definita “serva del Signore”. Benedetta umiltà! Mi piace pensare che quando Maria ha detto il suo sì in cielo è avvenuto quello che da noi avviene quando l’Italia segna il goal della vittoria aggiudicandosi i mondiali, solo con molta più letizia e gioia. Con la differenza che Dio non si è aggiudicato una coppa, ma l’uomo. Per sempre! Vuoi provarci anche tu?

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    Coordin.
    00 21/12/2017 09:27
    Maria apprende dall’Angelo che sua cugina è incinta e non resiste. Deve andare; non però a curiosare o a trovare conferme se quello che le ha detto l’angelo è vero, ma per aiutare sua cugina, che è anziana e incinta. Quando Dio abita veramente in te, non puoi fare a meno di dare il tuo aiuto, di alzarti, di andare. Sembra strano ma, quando incontri Dio, trovi la pace vera del cuore, ma perdi quella che noi definiamo una “vita tranquilla”. La prova di ciò è proprio Maria. Resta incinta per opera dello Spirito (cosa poco convincente per il tempo, e da giustificare al popolo a cui appartiene). Secondo le leggi doveva essere lapidata. E come spiegarlo a Giuseppe? Gli avrebbe creduto? Tanti problemi seri da risolvere per se stessa, e invece cosa fa? Parte per aiutare Elisabetta. Poi dovrà trovare un posto per far nascere Gesù, e non lo troverà; poi dovrà scappare in Egitto per difenderlo, e quindi ritornare su comando dell’angelo; e poi cercherà Gesù che si è perso, e poi starà dietro a un figlio che cammina più di un maratoneta. Insomma, altro che vita comoda e tranquilla. Ma nel “corri corri” non si è mai dimenticata dei bisognosi: a tutti faceva del bene e forse Gesù questo lo ha imparato proprio da lei. E noi? Siamo interessati solo ai nostri problemi, ripiegati su noi stessi non guardiamo più l’altro che cade sotto i pesi della vita. È vero, l’altro ci scomoda, e noi amiamo la vita tranquilla, dimenticando che spesso le soluzioni ai nostri problemi sono proprio nell’altro. Forse per questo Madre Teresa pregava dicendo: “Quando sono ammalata, mandami qualcuno da curare”. Qual è allora il segreto di Maria? Lei ci ha creduto fino in fondo. Sia così per noi.
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    Coordin.
    00 22/12/2017 09:22
    Oggi noi facciamo ancora esperienza della forza profetica di questo canto, in quanto Maria è considerata ancora e veramente beata da tutte le generazioni. I nostri occhi questo lo possono ancora vedere. Colei che ha cantato la sua lode a Dio è stata da Lui magnificata più di ogni altra creatura sulla terra. È chiamata con i titoli più belli, a lei sono dedicate le più belle cattedrali, è invocata in ogni luogo, è stata raffigurata in innumerevoli opere e a lei sono state dedicate le parole più belle che i poeti abbiano mai scritto. Quanta gloria per una giovane donna. Ma perché? Credo che tutto si spieghi alla luce della sua vita. Non solo nel cantico Maria ha magnificato il Signore, ma in ogni sua azione. Se potessimo leggere come in un testo le sue azioni, leggeremmo in ognuna di esse: “tutto per te, Amore mio”. Sì, solo per amore. Perché solo l’amore conta veramente per Dio. Il tutto condito da una grande umiltà che non è disprezzo di sé, ma è riconoscere chi si è veramente e chi è l’Altro veramente. Sfido io che Dio l’abbia voluta per figlia, per sposa e per madre. Lei, conoscendolo, ha compreso che la Sapienza, la Potenza e la ricchezza sono per Dio rispettivamente: conoscerlo, vivere umilmente, spogliarsi di tutto per avere solo il suo amore. Maria è grande perché ha creduto alle sue promesse, ha creduto anche quando sotto la croce esse sembravano non realizzarsi. Lei lo ha magnificato con il suo “stare” anche lì, per questo Dio l’ha potentemente esaltata, e nel magnificare il suo Dio, Maria è stata da Lui maggiormente magnificata.

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    Coordin.
    00 23/12/2017 09:46
    Dare un nome: il problema della gente di ieri come di quella di oggi. Sempre dobbiamo dare un nome alle cose, alle persone, e siamo diventati bravi anche a dare nomignoli, soprannomi, e amiamo nasconderci dietro ai “nickname” che falsano la nostra vera identità. Siamo diventati bravissimi a dare nomi simpatici a realtà velenose che ci siamo inventati. Per Dio non è così. Il nome esprime l’intima vocazione di un uomo, il nome ti identifica, ti dà un posto nel cuore di Dio. Lui ha detto: “Ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni”; e ancora: “Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano”. Dio ti conosce con il tuo nome, esso è scritto nel suo cuore. Nel caso di Elisabetta, lei sapeva che suo figlio doveva essere chiamato così, che Dio voleva quel nome, ma la gente non vuole e si agita. Vogliono dare una vocazione diversa al bambino, ma in realtà non comprendono il disegno di Dio, e corrono il rischio di cambiarlo. Ma i genitori, decisi, gli danno il nome adatto a lui, il nome che Dio aveva pensato. Molte volte ci agitiamo inutilmente, proprio come la gente del Vangelo, e questa agitazione è il segno che non ci stiamo capendo nulla. Mostriamo, però, di capire tutto e vogliamo risolvere noi quello che non capiamo, e poi meno male che interviene Dio, altrimenti non solo rovineremmo noi stessi, ma anche gli altri. Quando è Dio a muovere i fili, allora sì che vi è meraviglia, gioia, allegrezza, allora veramente la sua mano è con noi, allora si scioglie il nodo della nostra lingua e iniziamo a pensare come Lui e a dire quello che direbbe Lui, suscitando domande a quelli che sono intorno a noi. Questa è la più bella evangelizzazione, che difficilmente resta senza frutto.

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    Coordin.
    00 24/12/2017 09:49
    Vorrei richiamare l’attenzione solo su una parola che Dio rivolge a Maria per mezzo del suo messo celeste: “Rallégrati”. Sono le prime parole con cui l’Angelo l’ha salutata. Quando c’è Dio non vi è spazio per la tristezza. In Maria questo è un fatto accertato. Molte volte, riflettendo sul carattere di Maria, penso che doveva essere una donna estremamente simpatica, gioviale, tenera, pratica, spigliata, ma soprattutto allegra. Forse è per questo che Lei già si trovava al matrimonio degli sposi, a Cana di Galilea: doveva proprio rallegrare tutti questa Madre. Chissà quante volte vedendo come veniva trattato suo figlio – non accettato, deriso, non capito, e infine crocifisso –, le saranno venute in mente le parole dell’Angelo: “Rallégrati e non temere Maria”. Quante volte si sarà ripetuta queste parole. Insomma, un programma di vita il suo, quello di vivere sempre nell’allegrezza del cuore, e ci è riuscita. Un giorno mi misi ad osservare dei fedeli che stavano appena uscendo dalla messa, dalle loro facce pensai che forse dentro si era celebrato un funerale. Invece no! Una messa feriale. Per curiosità, andai a leggere il Vangelo per vedere cosa dicesse. L’occhio mi cadde su una frase di Gesù: “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Dubito che la parola di Gesù, a giudicare dalle facce di quelli che avevano ascoltato questa parola, fosse entrata nel cuore. E se le stesse facce le avesse viste un non credente? Gli sarebbe venuta voglia di incontrare questo Dio? “Rallégrati”, questo ci dice Dio, ad ognuno di noi. “Esci dalla tua tristezza, togli il volto mesto: tra poco un bambino nascerà ancora per me e per te, Lui è la speranza dell’uomo, la gioia senza fine. Attendilo perché Egli è alle porte!”.

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    Coordin.
    00 25/12/2017 09:24
    IL GRANELLINO
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    Coordin.
    00 26/12/2017 10:03
    Il Vangelo odierno ben si adatta alla festa di santo Stefano e la Chiesa non a caso oggi lo propone ai suoi figli. A Stefano hanno fatto tutto quello che Gesù aveva profetizzato, ma proprio tutto. Però anche la profezia di Gesù si è realizzata proprio tutta. Stefano ha ricevuto una salvezza eterna, e anche una grande gloria, al punto tale che dopo duemila anni la Chiesa ancora guarda a questo testimone, ed invoca la sua potente intercessione e protezione. L’odio di tutti l’ha sperimentato anche Gesù, per questo ha detto: “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Ci è sempre chiesta da Dio una comunione in toto, anche della sofferenza, ma Gesù da buon amico condividerà anche la sua risurrezione, la sua gloria. Sembra che la liturgia di oggi strida non poco con la solennità celebrata ieri, invece no! Questo è il “natale” di Stefano: lui è stato il primo a nascere in cielo dopo la morte di Gesù, e in cielo la festa è senza fine. La storia di santo Stefano ci interroga. Sono disposto a condividere tutto di Gesù? Scappo davanti alle sofferenze? Ci credo che lo Spirito Santo mi darà la forza? Credo che Lui mi ricompenserà con la salvezza eterna? La risposta è nel suo Natale, nelle parole ascoltate ieri. Le tenebre non vinceranno, Lui è venuto per me! Lui è con me, Lui è per me, e questo basta. Santa Teresa D’Ávila diceva: “se stessi all’inferno e tu fossi con me, quello sarebbe il mio paradiso”. “Il Signore è con me che cosa potrà farmi l’uomo?”. “Fa’ splendere il tuo volto e io sarò salvato”. Ripetiamo spesso queste parole, senza stancarci. Stefano l’ha fatto, ha visto lo splendore del suo volto e ora gode di Lui per sempre.

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    Coordin.
    00 27/12/2017 08:50
    Chi ama arriva prima. Sembra uno slogan ma è una verità difficile da contestare. È quello che succede al “discepolo amato”. Pietro arriva secondo, ciò non vuol dire che è meno amato. L’amore rispetta i tempi di tutti, perché ognuno ha i suoi tempi, anche Dio. A Pietro viene offerta un’attesa e un rispetto da parte di chi arriva per primo, e questo la dice lunga. Chi attende sa che Gesù ha scelto Pietro tra tutti, per essere una guida sicura e una conferma anche per gli altri. Chi ama sa attendere. Chi ama riconosce, attendendo il ruolo degli altri. Funzioni diverse, ma Gesù ha lo stesso identico amore, pieno e totale per tutti e due, e anche oggi per noi. Una corsa verso un luogo di morte, un sepolcro, e giunti là si accorgono che la vita ha vinto. Non poteva un sepolcro chiudere per sempre la forza dell’amore, l’amore può morire, ma risorge sempre, non lo si può eliminare. Si possono togliere i segni della nostra fede da tutti i luoghi, ma ciò che Lui ha fatto per noi è incancellabile, indelebile. I luoghi delle nostre morti vengono trasformati in vita, quando c’è Gesù. E ciò che è successo a Lui è l’anticipo, il segno, la promessa di quello che farà per noi. Sì, carissimi risorgeremo con il nostro corpo. Questa è la nostra meravigliosa fede! L’anonimato del discepolo amato è stato pensato perché oggi tutti noi mettessimo il nostro nome in questo racconto. Tu sei il Discepolo amato. Gesù oggi ci invita sì ad arrivare prima, ma anche a saper attendere quelli che Lui stesso ha posto innanzi a noi, guide sicure che, solo per prudenza e per non lasciare indietro nessuno, arrivano dopo. Se leggi il brano sostituendo “l’anonimo” con il tuo nome, finirebbe con le parole “vide e credette”?

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    Coordin.
    00 28/12/2017 08:35
    Credo che Giuseppe avesse “paura” di addormentarsi. Sembra che i suoi sogni siano stati il “luogo” preferito in cui Dio gli chiede di fare sempre cose particolari. Questa volta deve fuggire da Erode e salvare la vita del piccolo Gesù e di sua madre. Che male può fare un bambino? Perché Erode lo teme? Perché ucciderlo? Quello che l’uomo non conosce, spesso lo elimina. Quando l’uomo crede di perdere le cose a cui è legato, arriva a compiere terribili crimini e vede il male – che è solo dentro di lui –, in chiunque, anche in un bambino. Questo episodio è chiamato “la strage degli innocenti”, e lo è veramente. Per eliminarne Uno, si uccidono tutti. Ma è di Gesù la colpa? È di Dio la colpa? Sicuramente No! Dio ha creato quei bambini con lo stesso amore con il quale ha creato Gesù, li ha fortemente voluti al punto da chiamarli all’esistenza. Dio non voleva la loro morte. Anche Erode come tutti noi era amato da Dio. L’amore ti dona la libertà, il libero arbitrio che ogni uno di noi usa per il bene o per il male. Erode ha scelto di fare molto male. Si è macchiato di due crimini orribili: il rifiuto di Dio e l’uccisione di bimbi innocenti. Una volta, parlando di questo brano del Vangelo una nonnina mi ha detto: “Ma dov’era Dio?”. Credo che la domanda più corretta sia: “Dove può arrivare l’uomo senza Dio?”. Erode ne è un esempio. È certo che quei bambini sono Santi di Dio. Prima ancora di parlare, con il loro sangue, hanno reso testimonianza al loro Creatore. Non sempre Gesù è voluto: Lui dà fastidio, lo si vuole uccidere. Il nostro compito? Prendi con te il Bambino e sua madre. Gli innocenti sono Gesù e sua Madre. Difendili!

    PreghieraInnocente Signore, che spandi il tuo amore sui giusti e sugli ingiusti, grazie per il dono della libertà. Aiutami ad usarla rettamente. Mai io dimentichi che tu vivi in me ma anche negli altri uomini. Soccorri quelli che ingiustamente sono vittime dell’odio degli uomini, e fa’ che io non sia mai nel numero di quelli che odiano.

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    Coordin.
    00 29/12/2017 09:14
    La presenza del Signore non è legata ad un tempio, o a una costruzione o a una cattedrale. Per quanto belle esse siano, Dio le usa e le abita solo in funzione dell’uomo. Dunque, Dio si lega all’uomo e lì dove è l’uomo lì c’è la sua presenza. Ho conosciuto persone molto malate inchiodate in un letto di dolore; ebbene, tra quel letto e una cattedrale non vi era nessuna differenza: Dio li abitava allo stesso modo. Mi piace pensare che quando Giuseppe e Maria portarono il bambino nel tempio, percepirono che tra le loro braccia stringevano colui per il quale il tempio era stato costruito. Forse compresero che le nuove colonne del tempio sarebbero state le braccia di tutti quelli che avrebbero accolto il piccolo Gesù. Non è allora un caso che il vecchio Simeone abbia riconosciuto in quel Bambino Colui che ha servito tutta la vita. Egli era un uomo che si è lasciato condurre dallo Spirito nel tempio. Lo Spirito gli ha rivelato che non sarebbe morto senza aver visto l’unto del Signore. Un uomo che dunque ha familiarità con lo Spirito, e lo Spirito conosce Gesù. Certo che lo conosce: Lui, Gesù e il Padre sono una cosa sola. Per questo lo svela a Simeone. Solo lo Spirito ti dice chi è Gesù. Lo Spirito oggi, attraverso la bocca di Simeone, parla a noi del Bambino: egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti, segno di contraddizione. Tu vuoi cadere o risorgere? Da cosa dipende l’uno o l’altro? Credo che dipenda dall’accogliere o meno la sua parola, il suo pensiero, la sua persona. A Maria Simeone ha detto: “anche a te una spada trafiggerà l’anima”. A volte, fare il suo volere costa! Potrebbe toccarti “la spada”, ma la gioia di averlo tra le braccia supera ogni dolore.

    PreghieraOra lascia, Signore, che il tuo servo vada nella pace che la tua parola porta a chi la accoglie, perché i miei occhi hanno visto e vedranno ancora la tua salvezza, per me e per quelli che amo, perché tu sei luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo.

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    Coordin.
    00 30/12/2017 08:45
    Il significato del nome del vecchio Simeone nasconde una profezia che si realizza pienamente nella persona del Bambino Gesù: “Dio esaudisce”. Anche il nome stesso della profetessa Anna, che oggi troviamo in questa pagina del Vangelo, nasconde nel suo significato una profezia su questo misterioso Bambino: “Dio fa grazia”. Se dovessimo leggere insieme i due significati, i due testimoni direbbero: “Dio esaudisce perché fa grazia”. Ecco la loro più grande testimonianza, insita nella realtà più profonda della loro vita e del loro comportamento. L’anziana Anna, rimasta vedova, non si chiuse in una cappa di depressione e di solitudine, prendendosela con Dio e con gli altri perché il marito non c’era più. Da donna di fede e ricolma di Spirito Santo qual era, ha servito Dio da cui proviene ogni bene. Non lo ha servito fuori dal tempio, né part-time o con qualche preghiera sbiascicata e qualche piccolo sacrificio sbandierato ai quattro venti – cose tutte che molti di noi fanno. Lei lo ha servito “notte e giorno, con digiuni e preghiere”. Aveva compreso che a Dio non si danno gli avanzi, ma le primizie, che Egli esige una totalità di dono perché ci vuole maturi nell’amore. Divenne così l’amica di Dio e questo generoso Amico, non permise che ella lasciasse questo mondo senza che vedesse il giorno della salvezza. Dunque, Dio si lascia presentare senza riflettori né telecamere, né manifesti, senza effetti speciali, ma da due testimoni speciali e autorevoli. Sono troppo importanti le cose che deve dirci e non possono essere dei ciarlatani a dire di Lui: non sarebbe creduto. La Verità necessita di testimoni seri, solo allora sarà credibile e solo così Gesù potrà crescere nel cuore degli uomini insieme con la sua sapienza e la sua grazia. E io sono un testimone serio?

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