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La coscienza rimane un mistero,
superati dualismo e riduzionismo

ceroni coscienza misteroLa mente è molto più che il prodotto del cervello: l’essere umano non è spiegabile infatti tramite meccanismi neurologici, come invece vorrebbe l’approccio riduzionistico. E’ questa la tesi emersa nel recente lavoro di Daniel J. Siegel, docente di Psichiatria clinica presso la UCLA School of Medicine, intitolato Mind: A Journey to the Heart of Being Human (WW Norton & Co Inc 2016).

Un’altra dimostrazione di quanto stia cambiando il panorama neuroscientifico attuale, intenzionato a lasciarsi alle spalle il tentativo di spiegare la personalità umana tramite un approccio puramente materialista (tentando di ridurre la psicologia alla fisiologia). C’è uno studio italiano che riteniamo imprescindibile per chiunque sia interessato a questa affascinante tematica: si tratta della monumentale opera di due docenti dell’Università di Pavia, il neurologo Mario Ceroni e il filosofo Luca Vanzago, con la collaborazione del neuropsichiatra Faustino Savoldi. Il titolo è La coscienza. Contributi per specialisti e non specialisti tra Neuroscienze, Filosofia e Neurologia (Aras edizioni 2014).

Fin dalla prefazione, gli autori identificano il cuore della questione: «il problema della coscienza è la tautologia di un fenomeno che può essere studiato soltanto impiegando il fenomeno stesso. Il mezzo diventa dunque anche un fine e viceversa» (p. 4). Le 1087 pagine non devono spaventare, la lettura è agevole e le quattro parti in cui è diviso il libro la rendono scorrevole: la prima sezione è dedicata alla presentazione (dei contenuti e dei loro limiti) delle correnti scientifiche e di pensiero che maggiormente hanno caratterizzato lo studio della coscienza, della mente e del cervello umano a partire dal 1900. A seguire c’è spazio per i contributi dei singoli autori, mentre la terza parte indaga l’origine della coscienza e l’evoluzione degli approcci attraverso cui essa è ed è stata stata studiata. La quarta parte, infine, presenta una sintesi conclusiva.

Ampia parte dell’opera dei tre studiosi è dedicata a sottolineare i limiti di tutti i tipi di negazionismi comparsi dalla seconda metà del ventesimo secolo, approccio che la fa da padrone sul tema della coscienza. In comune hanno l’obbiettivo di estirparla dall’uomo e ricondurla ad uno stato del cervello. Prima, descrivendola come fenomeno puramente soggettivo, poi come epifenomeno del cervello o una mera proprietà funzionale identificabile come “vigilanza”.

Tra le principali scuole di pensiero che condividono questo scopo c’è il fisicalismo australiano, secondo la quale gli stati mentali vanno ricondotti a stati fisici del cervello, ma è messo in difficoltà dall’evidenza dell’identificazione degli stati mentali, così come tale approccio non sa spiegare perché operazioni intelligenti possano realizzarsi anche in strutture come i calcolatori, privi di un sistema nervoso centrale organico. Un altro approccio noto è il behaviorismo psicologico di John B Watson e quello filosofico di Rudolf Carnap, una forma di monismo materialista radicale dove la coscienza è solo un epifenomeno del sistema nervoso centrale: è stato però Noam Chomsky a mostrare, meglio di altri, l’inadeguatezza della correlazione stimolo/risposta nello spiegare il comportamento umano. Il funzionalismo è invece una sorta di fiscalismo decisamente meno riduzionista, seppur fondato anch’esso sul materialismo: a sua volta è però risultato incapace di cogliere la natura dall’esperienza cosciente. Un’altra scuola è quella del cognitivismo, che confronta erroneamente l’attività mentale del soggetto umano con il computer, affermando la natura computazionale delle attività cognitive ed escludendo (quindi riducendo), ancora una volta, il concetto di mente e i fattori complessi della personalità (affetti, sentimenti, cultura ecc.).

La lettura e la rielaborazione critica del pensiero dei principali studiosi è affascinante, sono presi in considerazione almeno una trentina di autori e per ognuno viene esposto e valutato il rispettivo point of view, spaziando da Giacomo Rizzolati ad Alva Noè, da Colin McGinn a Benjamin Libet, da Joseph Le Doux a Christof Koch, da Daniel Dennett a Francis Crick. Fino al dualismo moderno del premio Nobel John C Eccles e di Karl Popper, i quali sostengono l’esistenza di due sostanze indipendenti l’una dall’altra, quella spirituale e quella materiale, seppur non rispondendo al problema di come possa «una sostanza spirituale inestesa modificare una sostanza materiale con la quale non ha nulla in comune e, a sua volta, esserne modificata» (p. 15).

Esiste insomma una estrema varietà di posizioni e concezioni riguardo alla coscienza, davanti alla quale è importante saper scegliere «il punto di partenza, da esso dipendono in gran parte le conclusioni e i contributi dei vari autori», scrivono Ceroni, Vanzago e Savoldi. «Si resta, tuttavia, sorpresi da quanto poco il punto di partenza sia messo in discussione nelle opere della maggioranza degli autori. Esso rappresenta il fondamento a partire dal quale vengono criticate altre posizioni, spesso senza che si operi un confronto effettivo sui punti di partenza delle concezioni in discussione. Riteniamo che sia esattamente questo, cioè l’indisponibilità della messa in discussione del proprio punto di partenza, a costituire una della maggiori difficoltà nel dibattito neuro scientifico attuale» (p. 890).

Alla luce di tutto questo appare nobile il tentativo dei tre autori di non voler opporre la «concezione di coscienza che prevale nelle neuroscienze, che pretende di essere fondata oggettivamente, a quella del pensiero fenomenologico che sottolinea l’irriducibilità della soggettività», l’intento è invece «quello di creare uno spazio in cui fenomenologia e neuroscienze trovino il loro senso comune e si incontrino in un rapporto dialettico» (p. 939). Lo consideriamo uno degli approcci migliori nel dibattito sulle neuroscienze, l’unico che non tratta la personalità umana come un pezzo anatomico del corpo, da isolare e analizzare in modo settorializzato, e nemmeno la considera indipendente e svincolabile dal supporto biologico su cui è inserita e collegata. Essa «è una formazione composta di più strati saldamente connessi, ma non omogenei. Gli uomini non sono gli schiavi di una natura invincibile e neppure degli angeli che volano sopra il proprio corpo. Per il filosofo e per il neuroscienzato questo significa cercare di comprendere l’uomo che non si identifica mai astrattamente con la salute o con la malattia, con uno degli aspetti della sua variegata personalità, con una sua parte anche se meravigliosamente complessa come il cervello. Significa anche rispettarlo nella complessità del suo essere senza arbitrarie interpretazioni che lo trasformino in oggetto di una ideologia vecchia o nuova che sia» (p. 940).

Occorre dunque lasciare alle spalle il naturalismo e lo spiritualismo, andare oltre al riduzionismo e al monismo, ma superare anche il dualismo cartesiano. Per studiare la personalità umana, ci insegnano i tre studiosi, occorre assumere un punto di partenza in cui essa è intesa come «una formazione composta di più strati indissolubilmente connessi, qualunque sia la condizione del soggetto umano, dal geniale scienziato all’handicappato più grave». Questo permette di guardare all’uomo, sia dal punto di vista filosofico che scientifico, «come una misteriosa unità duale dentro un Universo di cui rappresenta il punto di consapevolezza, il punto di autocoscienza» (p. 940).