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PAOLO SFUGGE AD UN COMPLOTTO Atti 23
Paolo era in carcere nella fortezza romana di Gerusalemme. Alcuni Ebrei che gli erano nemici giurarono di non mangiare nulla finché non fossero riusciti ad ucciderlo. Pensarono di fare così: convincere i capi del popolo a riportare l'apostolo in tribunale per giudicarlo nuovamente. Lungo il tragitto essi intendevano saltargli addosso e farlo morire. Ma un ragazzo, parente di Paolo, venne a sapere del complotto e riferì tutto al comandante romano, che segretamente mandò Paolo a Cesarea sotto buona scorta.
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UNA LETTERA AL GOVERNATORE ROMANO Atti 23
Questa fu la lettera che il comandante romano di Gerusalemme scrisse al governatore della Palestina a cui affidava la responsabilità della vita di Paolo. «Ti mando quest'uomo. Gli Ebrei stavano per ammazzarlo, quando io intervenni con le mie guardie. Poiché è cittadino romano, l'ho liberato e l'ho mandato davanti al tribunale degli Ebrei per capire di che cosa essi lo accusavano. Si tratta solo di questioni che riguardano la loro legge. Tuttavia gli Ebrei preparano una congiura contro di lui. Per questo te lo mando!»
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PAOLO RICORRE ALL’IMPERATORE DI ROMA Atti 25
Per evitare che gli Ebrei di Gerusalemme lo uccidessero, il comandante delle guardie romane aveva fatto portare Paolo a Cesarea, perché fosse processato direttamente dal governatore romano che comandava in Palestina. Da Gerusalemme i capi del popolo ebraico scesero a Cesarea per accusare Paolo di predicare una nuova dottrina. Ciò non era proibito dalla legge romana, e perciò il governatore non aveva motivo per condannare Paolo. Tuttavia, per non dispiacere ai capi degli Ebrei, tenne l'apostolo Paolo in prigione. Trascorsero due anni, e giunse a Cesarea un nuovo governatore il quale rifece il processo. Anch'egli non trovò motivo di condanna, e manifestò l'intenzione di trasferire Paolo di nuovo a Gerusalemme. Paolo però sapeva che là i suoi nemici avrebbero potuto facilmente metterlo a morte; allora non gli restava se non una cosa da fare. Come la legge permetteva ai cittadini romani, egli affermò che intendeva ricorrere all'imperatore, cioè essere giudicato dai tribunali di Roma. «Sei ricorso all'imperatore, e dall'imperatore andrai» gli rispose il governatore della Palestina.
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PAOLO DAVANTI AL RE AGRIPPA Atti 25-26
Pochi giorni dopo il re Agrippa e sua sorella Berenice arrivarono a Cesarea per salutare il governatore romano. Questi gli raccontò il caso di Paolo. Agrippa disse: «Sarei curioso di sentire che cosa dice». Fu fatto venire Paolo, che spiegò ad Agrippa, che era ebreo e conosceva bene i profeti, le ragioni per cui Gesù è il Messia. Paolo narrò anche la propria storia, come da persecutore dei Cristiani fosse diventato apostolo di Gesù, e parlò così bene che Agrippa concluse: «Per poco non mi convinci a farmi cristiano!»
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TEMPESTA E NAUFRAGIO Atti 27
Sotto la guardia di alcuni soldati romani al comando del centurione Giulio, Paolo fu inviato da Cesarea a Roma per essere giudicato dal tribunale dell'imperatore. Con lui venivano mandati a Roma due compagni di Paolo: Luca, che narrò poi ciò che avvenne, e Aristarco. La nave su cui si imbarcarono navigò molto lentamente, sicché quando giunsero nell'isola di Creta era ormai inverno e, con i mezzi di allora, non si poteva più navigare. Il comandante della nave volle però partire, per giungere almeno in un porto più accogliente. Ma si levò un uragano, la nave fu presa da un turbine e i marinai non riuscirono più a governarla. Per quattordici giorni essa andò alla deriva, sbattuta dai venti e dalle onde. Tutti i passeggeri disperavano ormai di salvarsi, ma Paolo li rianimò dicendo: «Non temete! Questa notte mi è apparso un angelo del mio Dio, il quale mi ha assicurato che io giungerò a Roma dove sono diretto, e tutti i passeggeri della nave si salveranno. Perciò ora mangiate un poco per prendere forze, e abbiate fiducia». Egli per primo si mise a mangiare, e tutti, rinfrancati, lo imitarono. I marinai intanto ebbero la sensazione che la terra fosse vicina. Allora gettarono le ancore e attesero l'alba, per vedere dove si trovavano. Fattosi giorno, notarono un'insenatura e tentarono di approdare. La nave, però, si arenò ancora lontana dalla riva, e sbattuta dalle onde, prese a sfasciarsi. I soldati pensarono di uccidere i prigionieri, per evitare che fuggissero gettandosi in mare. Ma il centurione Giulio li fermò. Anzi, ordinò a quelli capaci di nuotare di gettarsi per primi in acqua, e poi fece lo stesso con gli altri che si gettarono in mare aggrappati a tavole di legno. Come Paolo aveva predetto, t ti si salvarono.
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MORSO DA UNA VIPERA Atti 28
Paolo, i soldati romani e tutti i passeggeri della nave erano scampati al naufragio e erano approdati nell'isola di Malta. Qui gli abitanti li accolsero intorno ad un grande fuoco perché potessero scaldarsi. Anche Paolo raccolse un fascio di rami da gettare sul fuoco; ma ecco che una vipera saltò fuori e si attaccò alla sua mano. Al vedere ciò la gente pensò: «Certo quest'uomo è un assassino. Si è salvato dal mare, ma la giustizia l'ha colpito ugualmente!» Ma Paolo con un colpo scosse la vipera che cadde nel fuoco.
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PAOLO A MALTA Atti 28
Paolo, naufrago sulla spiaggia dell'isola di Malta, aveva raccolto della legna per alimentare il fuoco che gli abitanti avevano acceso. Dalla legna era uscita una vipera che si era attorcigliata ad una mano. La gente, convinta che il rettile l'avesse morso, aspettava di vedergli gonfiare la mano o che addirittura cadesse morto a terra. Ma dopo aver atteso a lungo e vedendo che a Paolo non succedeva alcun male, tuffi conclusero che egli doveva essere un dio. Questa loro convinzione si rafforzò in seguito ad un miracolo che si verificò di lì a pochi giorni. Vicino al luogo del naufragio aveva i suoi possedimenti il governatore dell'isola, un certo Publio. Egli accolse Paolo e i suoi compagni e li ospitò con grande cortesia. Un giorno il padre di Publio era a letto ammalato con la febbre alta. Paolo andò a visitarlo, pregò, stese le mani su di lui e lo guari. Dopo questo avvenimento anche gli altri abitanti dell'isola, che erano ammalati, andarono da Paolo, e tuffi guarirono. Per questo Paolo era trattato con ogni riguardo. E quando tre mesi dopo ripartì, i Maltesi lo rifornirono del necessario per il viaggio.
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L’INCONTRO SULLA VIA APPIA Atti 28
Finito l'inverno, quando era impossibile navigare, Paolo e i suoi due compagni Luca e Aristarco ripresero il viaggio verso Roma. Là egli doveva essere giudicato dal tribunale dell'imperatore. Per questo viaggiava sotto la scorta di alcuni soldati romani. La nave su cui si imbarcarono lasciò Malta alla volta della Sicilia. Approdò a Siracusa, dove rimase tre giorni. Quindi, costeggiando l'isola e traversando lo stretto di Messina, giunse a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco, il vento del sud, che permise alla nave di giungere rapidamente a Pozzuoli. A Pozzuoli Paolo trovò alcuni Cristiani, i quali lo invitarono a fermarsi con loro una settimana. Ripartì poi a piedi alla volta della capitale dell'Impero. I Cristiani di Roma, saputo del suo arrivo, gli andarono incontro lungo la Via Appia. Quando li vide, Paolo ringraziò il Signore e si sentì incoraggiato. A Roma poi, in attesa del processo, gli fu consentito di abitare per suo conto, con un soldato di guardia. Paolo trascorse due anni in quella casa, e a tutti coloro che lo andavano a trovare l'apostolo annunciava il regno di Dio e insegnava tutto ciò che riguardava il Signore Gesù.