Giuseppe, il giovane che i suoi fratelli avevano venduto ai mercanti, da questi ultimi era stato condotto in Egitto e rivenduto a Potifar. Potifar era un uomo importante in Egitto; era il capo delle guardie del Faraone. Egli prese a ben volere Giuseppe, perché vedeva che era un giovane serio, attento a svolgere bene il suo lavoro, e allora gli affidò la direzione della sua casa. Giuseppe pensava spesso a casa sua, a suo padre, ora che era schiavo in un paese straniero. Ma la sua situazione peggiorò ulteriormente quando la moglie di Potifar volle fargli del male e lo accusò, davanti al marito, di essersi comportato in maniera disonesta. Non era vero, ma Potifar credette alla moglie e fece cacciare Giuseppe in prigione. Dopo qualche tempo furono imprigionati con Giuseppe anche il capo dei coppieri e il capo dei panettieri del Faraone. Questi suoi compagni una notte fecero un sogno, ma non sapevano interpretarne il significato. Fu Giuseppe a dare loro la spiegazione. Il capo dei coppieri raccontò: «Ho sognato una vite con tre tralci sui quali maturavano i grappoli; io presi l'uva, la spremetti nella coppa e la diedi in mano al Faraone». Giuseppe spiegò: «I tre tralci sono tre giorni: fra tre giorni il Faraone ti libererà dalla prigione e ti ridarà la tua carica come prima. E allora, ti prego di ricordarti di me: dì al Faraone che io sono innocente!» lì capo dei panettieri allora raccontò anch'egli il suo sogno: «Portavo sulla testa tre canestri di pane bianco e di dolci per il Faraone, ma gli uccelli calavano sui canestri e ne mangiavano il contenuto». Giuseppe gli disse: «So che cosa significa. I tre canestri sono tre giorni: fra tre giorni il Faraone deciderà la tua sorte, e ti farà impiccare». Le cose andarono proprio come Giuseppe aveva detto. Ma il capo dei coppieri si dimenticò di Giuseppe e non fece nulla per liberarlo. Trascorsero due anni, dopo i quali il Faraone fece un sogno. Gli parve di trovarsi presso il Nilo, il grande fiume da cui dipende la vita dell'Egitto. Dal fiume uscirono prima sette vacche grasse, che si misero a pascolare; poi uscirono sette vacche magre, che divorarono quelle grasse.
Sognò ancora sette spighe, belle e piene, che spuntavano da un unico stelo; ma dopo spuntarono sette spighe vuote, che inghiottirono quelle piene. Quando si svegliò, il Faraone convocò tutti i sapienti del suo regno perché gli spiegassero i due sogni, ma nessuno lo seppe fare. Allora il capo coppiere si ricordò di Giuseppe, e disse al Faraone: «Ho conosciuto in carcere un giovane ebreo, che interpretò esattamente un mio sogno». Il Faraone mandò a chiamare Giuseppe, gli narrò quello che aveva sognato e Giuseppe gli disse: «I due sogni hanno uno stesso significato: Dio ti fa sapere quello che sta per accadere. Il paese d'Egitto conoscerà sette anni di abbondanza, cui seguiranno sette anni di carestia. Provvedi dunque a trovare un uomo intelligente e capace, che raccolga tanti viveri durante i primi sette anni, da distribuire poi nei sette anni di carestia, quando altrimenti non ci sarà nulla da mangiare». Il Faraone rispose: «Hai parlato bene, e Dio è con te perché ti ha rivelato tutte queste cose. Tu dunque sei l'uomo adatto. Ecco: io ti do ogni potere, e tutti in Egitto dovranno obbedire a te; dopo di me, tu sarai l'uomo più importante del regno». E così Giuseppe divenne viceré dell'Egitto; il Faraone gli dette il suo anello, lo rivestì di abiti lussuosi e gli mise intorno al collo un monile d'oro. Durante i sette anni di abbondanza Giuseppe ammassò ogni quantità di grano e di altri viveri, sicché quando venne la carestia in Egitto nessuno soffriva la fame, anzi venivano anche dai paesi vicini a comperare grano. Lo stesso fecero i fratelli di Giuseppe, perché la carestia si era abbattuta anche nella terra di Canaan. Essi non sapevano quale sorte era toccata a Giuseppe, e quando si presentarono davanti a lui, poiché egli era vestito all'egiziana, non lo riconobbero. Li riconobbe però Giuseppe il quale, senza parere, si informò di loro e di come stesse il padre Giacobbe e il fratello minore Beniamino; anzi, con un pretesto, li costrinse a tornare una seconda volta, portando Beniamino con sé. Quando li ebbe tutti davanti, Giuseppe si commosse profondamente e decise che era il momento di farsi riconoscere. Disse: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello che voi avete venduto. Ma ora non temete e non rattristatevi, perché è stato il Signore a disporre che io venissi qui prima di voi, per permettere che tutta la nostra famiglia sopravviva alla carestia». I fratelli, a quella rivelazione, furono presi da grande paura perché temevano che Giuseppe si vendicasse di loro. Ma egli li rassicurò di nuovo e disse: «La carestia durerà ancora cinque anni; andate dunque a prendere mio padre, e le vostre mogli e i vostri figli e trasferitevi in Egitto: io vi darò una terra dove potrete vivere in pace». Genesi 39-45.
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GLI EBREI VANNO IN EGITTO Genesi 46
Giuseppe, il viceré d'Egitto, voleva che tutti i suoi familiari si salvassero dalla carestia; per questo dovevano trasferirsi dalla terra di Canaan, dove abitavano, in Egitto, dove egli poteva assicurare loro il necessario per vivere. Suo padre, il vecchio Giacobbe, si chiese se era bene lasciare la terra di Canaan, quella terra che il Signore Dio aveva promesso a lui e ai suoi discendenti. Giacobbe non sapeva come comportarsi; ma il Signore Dio gli venne in aiuto. Una notte, Giacobbe ebbe una visione e Dio gli disse: «Io sono il Signore, Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo, e un giorno io farò tornare il tuo grande popolo in questa terra di Canaan». Giacobbe allora radunò tutti i suoi figli, le loro mogli e i loro bambini, con il bestiame e tutte le altre ricchezze che si erano acquistati nella terra di Canaan, e scese in Egitto. Gli Ebrei che scesero in Egitto erano in tutto settanta persone. Giacobbe si fece precedere dal figlio Giuda, il quale si recò da Giuseppe ad annunciargli l'arrivo di tutta la famiglia di Giacobbe, in accordo con i suoi desideri.
[Modificato da Credente 27/01/2017 11:47]