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RITORNO DALL’ESILIO  Esdra 1-6

Il popolo d'Israele dovette trascor­rere molti anni in esilio. Ma per la tribù di Giuda, i Giudei, esso ebbe fine quando in Oriente, là dove si trovavano, divenne re Ciro. il re Ciro nel primo anno del suo regno emanò questo proclama: «Il Signore Dio del cielo mi ha incari­cato di costruirgli un tempio in Ge­rusalemme. Tutto il popolo del Si­gnore che si trova nel mio regno sia rilasciato, e torni a Gerusalemme a costruire il tempio. E io ordino che il popolo di Dio abbia oro e argento e beni e bestiame, oltre che offerte per la casa di Dio da costruire a Ge­rusalemme». I Giudei dunque tornarono a Ge­rusalemme a ricostruire il tempio: si realizzavano così le promesse che il Signore aveva fatto al suo popolo per mezzo dei profeti. La ricostruzione del tempio durò a lungo, perché comportava nume­rose difficoltà; ma alla fine essa fu condotta a termine, e fu festeggiata con grande gioia da tutto il popolo. Tutti celebrarono solennemente la festività della Pasqua; da allora nel tempio si riprese a offrire sacrifici al Signore, e canti di lode a lui che è potente e buono, tanto da far tor­nare il suo popolo dall'esilio.


 
4
LA GIOIA DEL RITORNO Samo 125
Coloro che tornarono in patria dall'esilio in Babilonia ricordarono l'av­venimento con questo canto: «Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Gerusalemme, ci sembrava di sognare! La nostra bocca si aprì al sorriso, la lingua cantò canzoni di gioia. Lo dicevano anche gli stranieri: "Dio ha fatto cose grandi per loro!" Sì, grandi cose ha fatto il Signore per noi; ci ha colmati di gioia, come quando si miete e si portano a casa i covoni».



 
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NEEMIA E IL RE CIRO Neemia 1-2
I Giudei, cioè coloro che nel popolo d'Israele appartenevano alla tribù di Giuda, appena tornati dall'esilio ri­costruirono il tempio. Ma la città di Gerusalemme, che i nemici tanto tempo prima avevano distrutto, si trovava ancora in cattive condizioni, e le sue mura erano di­strutte e inservibili. Neemia, uno dei giudei rimasti in Persia, venne a conoscere le condi­zioni in cui si trovava la città. Allora, tutto triste, si presentò al re. «Per­ché sei tanto infelice?» gli chiese il re, e Neemia rispose: «Perché Gerusalemme, la città dei miei padri, è desolata. Permettimi di andare a ri­pararla!» Il re acconsentì, e Neemia partì. Giunto a Gerusalemme, riposò tre giorni; poi si alzò e di notte andò con pochi uomini a ispezionare le mura. Vide che in molti punti vi erano state aperte brecce, e le porte erano state divorate dal fuoco. Andò allora dai capi del popolo e disse: «Vedete bene in che situazio­ne ci troviamo: Gerusalemme è di­strutta, le mura inservibili. Dobbia­mo farci coraggio e metterci al lavo­ro per ricostruirle!» Tutti risposero: «Ci metteremo subito all'opera e le ricostruiremo!»


 
6
NEEMIA E LE MURA RICOSTRUITE Neemia 2-7
Sotto la guida di Neemia, i Giudei decisero di ricostruire le mura di Gerusalemme. Alcuni si facevano beffe di loro; ma Neemia disse: «Noi ci metteremo all'opera, ma chi ci farà riuscire è il Signore!» Fu suddiviso il lavoro tra gli uo­mini, e l'opera incominciò. I nemici che abitavano la regione circostante non volevano, però, che i Giudei tornassero ad essere un popolo po­tente: essi si riunirono con l'inten­zione di attaccare la città, impedire la ricostruzione e sottomettere il po­polo di Dio. Ma Neemia venne a saperlo. Egli divise gli uomini in due gruppi: metà lavorava alla ricostruzione, e l'altra metà stava di guardia, in armi. Anche quelli che lavoravano tenevano le armi a portata di mano ed erano pronti alla difesa. Il lavoro procedeva spedito dal­l'alba al tramonto, e dopo cinquan­ta giorni l'opera fu terminata. Neemia stabilì: «Le porte della città si aprano quando il sole è già alto, e si chiudano quando ancora gli abitanti sono in piedi. Scegliamo tra gli abitanti le sentinelle e le guar­die, e ognuna sia sempre vigile al suo posto». Il Signore aveva dato molta sag­gezza al suo servo Neemia.






 
7
L'ALLEANZA RINNOVATA Neemia 7-13
Nella città di Gerusalemme i Giudei vivevano sicuri, ora che le mura erano state ricostruite ed erano ben sorvegliate dalle sentinelle. Allora tutti pensarono di ringra­ziare il Signore di questo. Si radu­narono tutti, uomini e donne, e dis­sero a Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato al suo popolo. Esdra era uno scriba, cioè un esperto nella spiega­zione della legge. Esdra dunque portò il libro della legge del Signore davanti a tutto il popolo radunato, e salì su una tri­buna di legno costruita per l'occa­sione. Benedisse il Signore, tutti in piedi risposero «Amen», poi ascolta­rono la lettura e la spiegazione della legge del Signore. Tutti riconobbero di averla tante volte trasgredita, e dicevano: «Tu, Signore, non ci hai trattato secondo le nostre colpe, ma ci hai sempre colmato di favori! Ecco, ora noi promettiamo di osservare ogni co­mandamento della tua legge». Poi con gran gioia, tra inni e can­ti, si fecero due processioni che gi­rarono lungo le mura della città e si ricongiunsero nel tempio; là furono offerti sacrifici al Signore, e si fece una festa grande.


 
8
GIOBBE MESSO ALLA PROVA Giobbe 1-42
Oramai tutti avevano ben compreso che chi non è fedele al Signore va incontro a tante difficoltà. Ma è solo per questo motivo che bisogna es­sere fedeli? Bisogna forse evitare di commettere il male soltanto per evi­tare i castighi di Dio? O bisogna comportarsi bene sempre, qualun­que cosa accada? La storia di Giobbe dà la risposta a questa domanda. Viveva nella terra di Uz un uomo giusto e irreprensibile, che temeva Dio ed evitava il male. Egli aveva sette figli e tre figlie, e possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinque­cento asine; aveva alle proprie di­pendenze una servitù molto nume­rosa, ed era il più importante degli uomini d'Oriente. Il suo nome era Giobbe. Un giorno il Signore disse a Sata­na: «Hai visto il mio servo Giobbe? Nessuno sulla terra è retto come lui». Ma Satana rispose: «Prova a togliergli qualche suo possedimen­to, e vedrai che ti maledirà!» Il Si­gnore allora disse a Satana: «Tutto quello che ha è in tuo potere; ma non danneggiare il suo corpo». Ed ecco che un giorno venne da Giobbe un messaggero ad annun­ciargli: «I predoni hanno fatto un'in­cursione e hanno portato via i tuoi buoi e le tue asine, uccidendo i guardiani!» Stava ancora parlando, quando giunse un altro messaggero a dirgli: «Un fuoco ha bruciato le pecore e i loro guardiani!» E un altro ancora annunciò: «I nemici ti hanno porta­to via tutti i cammelli!» Infine un altro messaggero disse: «I tuoi figli e le tue figlie erano in festa, quando la casa è crollata so­pra di loro e tutti sono morti!» Allora Giobbe si gettò a terra e disse: «Tutto quello che avevo era dono del Signore. Ora egli me l'ha tolto: sia fatta la sua volontà».
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GIOBBE E’ COLPITO ANCORA Gobbe 1-42
Per volontà del Signore, Giobbe era stato duramente colpito nei suoi affetti e nelle sue ricchezze: tutti i suoi figli e tutte le sue figlie erano morti, e aveva perduto anche tutti i suoi averi. Eppure Giobbe si era sottomesso alla volontà del Signore: molto si era addolorato, ma non aveva odiato Dio. Ma Satana non era soddisfatto: voleva che Giobbe si allontanasse da Dio. Allora Satana disse al Si­gnore: «Io so perché Giobbe conti­nua a benedirti: è ancora vivo e in buona salute. Prova a colpire il suo corpo, e ti maledirà!» E il Signore disse a Satana: «E’ in tuo potere, ma risparmiagli la vita. Vedremo se mi ama davvero!» Satana allora colpì Giobbe con piaghe in tutto il corpo, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe, in segno di lutto, andò a sedersi su un mucchio di cenere. Molto grande davvero era la sua sofferenza! Sua moglie gli disse: «Insisti anco­ra ad accettare la volontà di Dio? Ormai devi maledirlo, dopo tutto quello che ti è successo!» «Tu parli come una sciocca» ri­spose Giobbe. «Se da Dio accettia­mo il bene, perché non dovremmo accettare il male?»




 
10
GIOBBE E I TRE AMICI Gobbe 1-42
Giobbe era stato colpito da ogni male: aveva perso i figli, non aveva più alcuna ricchezza e il suo corpo era tutto piagato. Eppure egli rima­neva fedele al Signore. Un giorno vennero tre suoi amici: essi commiserarono Giobbe e mo­strarono comprensione per lui, ma non poterono fare a meno di dirgli che se soffriva tanto, doveva avere commesso qualche male. A questi discorsi Giobbe replica­va che quello non era il suo caso. Egli non aveva commesso alcun male: soffriva senza saper il perché.





 
11
GIOBBE INTERROGA DIO Gobbe 1-42
Giobbe, provato da tante sofferen­ze, levò infine la sua voce a Dio, chiedendogli la causa della sua grande tribolazione. Ma il Signore da un turbine gli ri­spose che non tutto possono capire gli uomini. Soltanto Dio sa il perché di tante cose, lui che è il creatore del cielo e della terra. Disse il Signore: «Chi è costui che vuole insegnare a me? Dov'eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se sei tanto intelli­gente! Chi decise le sue dimensio­ni? Chi l'ha resa salda, mentre can­tavano in coro le stelle del mattino e applaudivano tutti gli angeli? «Da quando vivi, hai mai coman­dato al mattino di avanzare, hai mai detto al sole dove sorgere? Sei mai arrivato dove comincia il mare, hai mai passeggiato sul fondo degli abissi? Qual è la strada per andare dove abita la luce? Sei mai giunto ai serbatoi della neve e della grandi­ne? Puoi tu alzare la voce fino alle nubi, e ordinare che piova?» Allora Giobbe rispose al Signore e disse: «Si tratta di cose troppo grandi per me. Perciò mi pento di avere osato chiederti conto, e non dirò altro né replicherò, ma farò pe­nitenza sulla cenere!»



  12
GIOBBE PREMIATO Giobbe 1-42
Benché colpito da tante sventure, Giobbe non si ribellò al Signore, né pretese di capire quello che soltanto il Signore conosce. E il Signore apprezzò la pazienza e l'umiltà di Giobbe, e gli ridiede la salute e la ricchezza: anzi, gli diede il doppio di quello che aveva prima. Tutti gli amici vennero a far festa con lui, e lo consolarono di tutte le sue disgrazie. Così il Signore benedisse gli ulti­mi giorni di Giobbe più dei primi. Egli vide figli e nipoti, fino alla quar­ta generazione.



13
NELL’ATTESA DEL MESSIA Daniele 7

Colui che i profeti avevano prean­nunciato, il Messia lungamente atte­so da quella parte del popolo d'I­sraele che era rimasta fedele al Si­gnore, nel tempo stabilito da Dio finalmente giunse. Si avverava così la profezia di Daniele. Essa è nota come «la visio­ne del Figlio dell'uomo» e ci presen­ta un Anziano attorniato da angeli di fronte a cui, sulle nubi del cielo, giunge un Figlio di uomo: e a lui l'Anziano conferisce potere eterno e un regno che non avrà mai fine. Così parlò Daniele.

14
LA VISIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO Daniele 7

«Guardavo, quand'ecco furono portati dei troni, e un Anziano di nobile aspetto sedette: la sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana. Il suo trono era come una vampa di fuoco. «Guardavo, quand'ecco apparve sulle nubi del cielo uno, simile a un Figlio di uomo. Giunto fino all'An­ziano fu presentato a lui ed egli gli diede potere, gloria e regno. Tutti i popoli serviranno il Figlio dell'uo­mo. Il suo potere è eterno, e il suo regno non sarà mai distrutto».
15
L'ATTESO E’ QUI Daniele 7

Quando il profeta Daniele scrisse la visione del Figlio dell'uomo, era come se proponesse un enigma: che cosa mai voleva dire? Quando però Gesù, riferendosi alla sua vita terrena e alla sua mis­sione, varie volte ha chiamato se stesso Figlio dell'uomo, allora tutto è diventato chiaro. Egli, Gesù, è Dio perché viene dal cielo. E’ uomo, e infatti ha l'a­spetto di un figlio di uomo. Dio Pa­dre, l'Anziano, lo ha reso re dell'u­niverso, e re che regna per sempre: infatti è Dio, e perciò vive in eterno.