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LA FORNACE ARDENTE Daniele 3
«Solo il Signore si deve adorare» avevano detto al re Nabucodonosor i tre giovani ebrei Anania, Misaele e Azaria. Per questo il re li aveva fatti gettare in una fornace ardente, dalla quale però, per grazia di Dio, erano usciti illesi. Stupito, il re disse: «Questi giovani hanno preferito la morte pur di non disobbedire al loro Dio, e il loro Dio li ha salvati. Perciò io decreto che nessuno nel mio regno deve recare offesa al Dio di Anania, Misaele e Azaria, poiché nessun altro è potente come il loro Dio»
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LA SCRITTA SULLA PARETE Daniele 5
Quando divenne re di Babilonia, Baldassar imbandì un grande banchetto per mille dei suoi nobili, e davanti a loro incominciò a bere vino. Dopo aver molto bevuto, ordinò ai servi di portare le coppe preziose e i vasi d'oro e d'argento che suo padre Nabucodonosor aveva tolto dal tempio del Signore che era a Gerusalemme, e li usò per brindare ai suoi falsi dèi. All'improvviso, però, apparvero le dita di una mano che scrivevano sulla parete della sala. Il re Baldassar si spaventò moltissimo e fece venire i suoi saggi per interpretare la scrittura misteriosa tracciata sul muro. Nessuno seppe darne il significato; per questo il re si spaventò ancora di più, e con lui i suoi consiglieri. Intervenne allora la regina, la quale disse al re: «Non turbarti; conosco io un uomo che saprà spiegarti la scritta». E mandò a chiamare un ebreo, che già un'altra volta aveva saputo spiegare i sogni del re. Si chiamava Daniele, ed era un profeta del Signore. Daniele disse al re Baldassar: «Tu hai disprezzato il Signore Dio, usando i vasi del suo tempio per glorificare i tuoi falsi dèi. Essi non vedono, non sentono, non comprendono: non sono nulla! E invece il Signore, nelle cui mani è la tua vita, tu non l'hai glorificato». Daniele proseguì: «E’ per questo che il Signore Dio ha mandato la mano a tracciare quella scritta sulla parete. Essa va letta così: MENE, TEKEL, PERES. E questa ne è l'interpretazione: MENE, Dio ha giudicato il tuo regno e vi ha messo fine. TEKEL, sei stato pesato sulla bilancia e sei stato trovato scarso. PERES, il tuo regno sarà diviso e sarà dato ai Medi e ai Persiani.» Come Daniele aveva preannunciato, quella stessa notte Baldassar, re di Babilonia, fu ucciso. E al suo posto Dario, il Medo, divenne re.
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DANIELE SFIDA I COMANDI DEL RE Daniele 6
Daniele, il profeta del Signore che viveva in esilio a Babilonia, era il più intelligente e il più saggio dei consiglieri del re. E il re gli diede cariche di grande responsabilità, ponendolo al di sopra di tutti i governatori del regno. Allora i governatori cominciarono a cercare in Daniele qualche colpa, che lo screditasse davanti al re, e quindi fosse tolto di mezzo: essi volevano prendere il suo posto. Poiché non trovavano nessuna colpa in Daniele, ricorsero ad un imbroglio. Si recarono dal re, e gli fecero firmare una legge che diceva: «Tutti gli abitanti del regno devono rivolgere preghiera soltanto al re. Chiunque sarà trovato a pregare altri uomini o dèi, sarà gettato nella fossa dei leoni». Daniele comprese che quella legge era stata fatta per lui. Egli, infatti, non nascondeva la sua fede: ogni giorno, tre volte al giorno, apriva le finestre della sua camera rivolte verso Gerusalemme, e si inginocchiava a pregare, lodando Dio che a Gerusalemme aveva la sua dimora tra gli uomini. Senza badare alla legge e al castigo, Daniele continuò come sempre a pregare apertamente il Signore.
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DANIELE NELLA FOSSA DEI LEONI Daniele 6
Una legge del re proibiva a chiunque di rivolgere preghiere se non allo stesso re. Daniele, però, continuava a pregare il Signore Dio. I suoi nemici, che lo spiavano per poterlo accusare proprio di questo, avvisarono il re che Daniele trasgrediva i suoi ordini. Il re ne fu molto dispiaciuto, perché aveva grande fiducia in Daniele, e lo stimava più di tutti gli altri suoi ministri. Ma la legge era stata fatta, e bisognava rispettarla: essa prevedeva che i trasgressori fossero gettati nella fossa dei leoni. Il re pensò per tutto il giorno come salvare Daniele. Ma non ci fu modo; mentre veniva calato nella fossa dei leoni, il re gli disse: «Il tuo Dio, che tu ami con tanta fedeltà, ti possa salvare». Il re trascorse la notte insonne per il dispiacere. All'alba, subito si recò alla fossa, e chiamò: «Daniele, servo di Dio, il Dio che tu ami ha potuto salvarti?» Daniele rispose: «Il mio Dio ha mandato il suo angelo a chiudere la bocca ai leoni, che non mi hanno fatto alcun male». Il re si rallegrò molto che Daniele fosse salvo; lo fece uscire, e tutti poterono vedere che neppure un graffio lo aveva segnato.
Nel palazzo di Assuero, re di Babilonia, viveva un israelita di nome Mardocheo. Egli apparteneva a quegli israeliti che da Gerusalemme erano stati portati in esilio a Oriente, e ora prestava servizio alla corte del re. Mardocheo aveva allevato come se fosse sua figlia una giovane, figlia di suo fratello, di nome Ester; ella era rimasta senza i genitori, e lo zio si prese cura di lei. Accadde che Assuero preferì Ester a tutte le altre donne del suo regno: la sposò, le mise in capo la corona reale e la nominò regina. Un giorno Mardocheo udì il complotto di due ministri che progettavano di uccidere il re. Mardocheo lo disse a Ester, e Ester lo disse al re. Fu fatta un'indagine, il complotto si rivelò vero e i due ministri furono entrambi giudicati colpevoli e meritevoli di morte. Dopo qualche tempo, il re mise un uomo di nome Aman a capo di tutti i principi che governavano il regno. Aman odiava Mardocheo e tutto il popolo d'Israele; per questo un giorno si presentò ad Assuero e gli disse: «C'è un popolo sparso per tutte le province del tuo regno. Le sue leggi sono differenti da quelle degli altri popoli, e non osserva le leggi che tu hai emanato. Se così ti piace, dà ordine che sia sterminato e le sue proprietà siano requisite. Io stesso verserò gran parte delle loro ricchezze nel tesoro reale». Assuero si tolse l'anello con il sigillo e lo consegnò ad Aman, per dire che gli dava pieni poteri in quella questione, e precisò: «Il danaro tienilo per te; e di quel popolo fa' come ti piace: è tuo». Aman scrisse ai principi di tutto il regno una lettera con il sigillo del re, per annunciare che in un certo giorno, il tredici del mese di Adar, tutti gli Israeliti dovevano essere sterminati, e tutti i loro beni dovevano essere confiscati. Quando seppe di quella decisione, Mardocheo si stracciò gli abiti, si vestì di sacco in segno di grande dolore e con il capo cosparso di cenere andò per la città, levando grida di dolore. In quel modo egli intendeva anche richiamare l'attenzione di Ester. Non poteva andare da lei, perché nessuno sapeva che Ester, la regina, apparteneva anch'ella al popolo d'Israele. Quando riferirono a Ester che Mardocheo si comportava in quello strano modo che indicava un grande dolore, Ester chiamò un fidato funzionario del re e lo mandò nascostamente da Mardocheo a vedere che cosa era accaduto. Mardocheo informò il funzionario del progetto di Aman, e fece pregare Ester di presentarsi al re a difendere il suo popolo. Ma questo era molto rischioso, Ester lo sapeva bene: se qualcuno, non importa se uomo o donna, se sconosciuto o amico, e compresi i ministri e la stessa regina, si fosse presentato al re senza essere stato chiamato, sarebbe stato messo a morte; a meno che il re avesse puntato lo scettro contro quella persona, concedendole di parlare e di restare in vita. Mardocheo tuttavia pregò ancora Ester di intervenire, e tentare di salvare il suo stesso popolo anche a rischio della vita. La regina gli mandò questa risposta: «Va', raduna tutti gli Israeliti che abitano in que sta città e digiunate per me per tre giorni; anch'io, con le mie ancelle, digiunerò per chiedere l'aiuto di Dio. Poi mi presenterò al re e, se dovrò morire, morirò». Il terzo giorno, dopo una lunga preghiera al Signore, Ester indossò le vesti regali e così adornata si presentò al re. Ella piacque al re, il quale puntò lo scettro verso di lei e le chiese: «Che cosa desideri, regina Ester? Qualunque cosa mi chiedi te la concederò, fosse anche la metà del mio regno». «Ti chiedo di intervenire oggi al banchetto che ho preparato per te e per Aman» rispose la regina. Il re e Aman andarono al banchetto, e Assuero disse ancora: «Che cosa desideri, regina Ester? Qualunque sarà la tua richiesta, sarà soddisfatta». Ester allora disse: «Se ho trovato favore ai tuoi occhi, o re, come primo desiderio concedimi la vita, e come secondo desiderio sia risparmiato il mio popolo. Poiché io e il mio popolo siamo condannati ad essere distrutti, uccisi e annientati». «Chi è, dov'è colui che osa progettare ciò?» chiese il re, sorpreso e adirato. «L'oppressore, il nemico è quel malvagio di Aman» disse coraggiosamente Ester, puntando il dito contro il ministro del re. Aman fu preso da paura; tentò di implorare perdono per quello che aveva fatto, ma Assuero non volle sentire altro e lo condannò a morte. Poi diede ordine a tutto il regno di salvare la vita a tutti gli appartenenti al popolo d'Israele. In seguito Mardocheo si presentò al re, perché Ester gli aveva detto chi era Mardocheo per lei. Assuero prese l'anello con il sigillo reale, che aveva tolto ad Aman, e lo diede a Mardocheo, ordinando che il suo nuovo ministro avesse onori regali. Tutti gli Israeliti ebbero in quei giorni gioia e onore, grazie a Ester, la regina che salvò il suo popolo. Ester 1-8
1
SUI FIUMI DI BABILONIA Salmo 137; Ezechiele 11
Deportati in terra straniera, il re e gli abitanti della terra di Israele ebbero molto a soffrire. In seguito essi lo ricordarono con questo canto: «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Gerusalemme. Là ci chiedevano di cantare, coloro che ci avevano deportato: di cantare canzoni di gioia, per loro, i nostri oppressori. "Cantateci i canti di Sion" dicevano. Ma come cantare i canti del Signore in terra straniera? Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.» Là, in terra straniera, essi compresero come si sta male lontani dal Signore. E compresero che egli aveva permesso la loro rovina per meglio richiamarli a sé. Gli Israeliti compresero di avere fatto tanto male, abbandonando il Signore: e allora, proprio come il Signore voleva, ripresero a rivolgersi a lui. Gli chiedevano perdono per i peccati commessi, e lo supplicavano di concedere di nuovo il suo amore. E il Signore, che è buono e volentieri perdona, mandò loro i profeti, a far loro coraggio e dire che egli non li aveva dimenticati.
2
LE VISIONI DEL PROFETA EZECHIELE Ezechiele 11; 37
Al suo popolo che soffriva nella terra d'esilio e che si era pentito dei suoi peccati, il Signore mandò i profeti a rincuorarlo. Uno di loro, Ezechiele, trascorse con gli esuli quasi tutta la sua vita. Egli ricordava bene il tempio di Gerusalemme, e annunciò al popolo del Signore che un giorno il Signore avrebbe concesso ai suoi fedeli di tornare a pregare nel tempio. Il Signore anzi avrebbe fatto di più, assicurava Ezechiele: avrebbe cambiato il loro cuore, e invece del loro cuore cattivo, come di pietra, gliene avrebbe dato uno capace di amare il Signore. Ezechiele esponeva al popolo le visioni che Dio gli mandava. Una riguardava la ricostruzione del popolo di Dio. Narrò il profeta che Dio lo aveva condotto in una valle, piena di ossa aride, e gli aveva detto: «Parla a queste ossa: dì loro che sto per riportarle in vita, e tutti di nuovo sapranno che io sono il Signore!» Appena ebbe detto ciò, si sentì un gran rumore: erano le ossa che si ricomponevano. Ezechiele aguzzò la vista, ed ecco notò che le ossa si ricoprivano di muscoli, i muscoli si coprivano di pelle, e poi si mettevano in piedi: i morti erano tornati in vita, ed erano numerosi come un esercito. Dio spiegò al profeta: «Queste ossa sono tutti i figli d'Israele. Ora essi sono come morti, come ossa aride. Nell’esilio in cui si trovano, essi pensano che non vi sia speranza per loro. Ma tu và, e riferisci loro che io, il Signore, li richiamerà in vita e li riporterò nella loro terra, quella terra d' Israele che io ho promesso di dare ad Abramo e alla sua discendenza». «Farò entrare in loro il mio spirito ed essi rivivranno», disse ancora il Signore. «Così sapranno che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò».