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ISRAELE SCEGLIE IL SIGNORE Giosuè 24
Grande era la folla che si era riunita nella valle di Sichem, e grande era l'attenzione con cui aveva ascoltato il discorso di Giosuè suo capo. Gio­suè aveva invitato il popolo d'Israe­le a scegliere: o servire per sempre il Signore Dio, o allontanarsi da lui per onorare gli dèi stranieri che ave­vano trovato nella terra di Canaan. Così il popolo d'Israele rispose a Giosuè: «Noi serviremo per sempre il Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce». Così essi giurarono, per sé e per i propri discendenti poi fecero ritorno alle loro case.









 
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DEBORA E I CARRI DI FERRO Giudici 4-5
Il popolo d'Israele viveva in pace nella terra promessa, ma spesso do­veva far fronte ai popoli vicini che gli muovevano guerra. Allora i capi d'Israele, che si chiamavano giudici, invocavano l'aiuto del Signore e ra­dunavano i guerrieri per difendersi dai nemici. Una volta era giudice d'Israele una donna, Debora, quando il terri­torio del nord fu attaccato dal po­tente esercito di Sisara. Gli uomini d'Israele avevano molta paura, per­ché erano tutti a piedi, e ben poco potevano fare contro il nemico, che aveva novecento carri di ferro. Ma Debora radunò i guerrieri vicino alla pianura e li incoraggiò: «Il Signore ci darà la vittoria, perché avanza in battaglia davanti a noi» disse. I nemici sui carri di ferro correvano per la pianura, quando cominciò a piovere: e scese tanta acqua da allagare tutta la pianura; i carri di ferro si impantanarono e rimasero bloccati; i nemici si diedero alla fuga, inseguiti dai guerrieri d'Israele, che riportarono così una strepitosa vittoria. Debora cantò allora un inno di ringraziamento al Signore, che combatté per il suo popolo mandando la pioggia provvidenziale.









 
Il popolo d'Israele da lungo tem­po ormai era oppresso dai ne­mici Filistei, e levava preghiere al Signore perché venisse in suo aiuto. Il Signore intervenne man­dando nel popolo d'Israele Sanso­ne, un uomo che egli si era riserva­to prima ancora che nascesse. Il se­gno che egli era tutto di Dio era questo: fin dalla nascita non doveva mai tagliarsi i capelli. In cambio, il Signore gli dava una forza straordi­naria per combattere i Filistei. La sua forza era davvero grande: un giorno, in campagna, gli venne incontro ruggendo un leone, e San­sone senza armi afferrò il leone e lo squarciò. Qualche tempo dopo ripassò da quelle parti, e volle andare a vedere i resti del leone; vide che uno scia­me di api vi si era installato e aveva già cominciato a produrre miele, tanto che Sansone poté prenderne e cibarsene. Il fatto del leone e del miele gli diede spunto per proporre un indo­vinello a trenta giovani Filistei. Disse loro: «Se me lo spiegate entro sette giorni, vi darò trenta vesti con il loro cambio; altrimenti sarete voi a darle a me». Essi acconsentirono, ed egli pro­pose l'indovinello: «Dal divoratore è uscito il cibo; dal forte è uscito il dolce». risolvere l'enigma, e vi riuscirono soltanto con un imbroglio, allo sca­dere del settimo giorno. Gli rispose­ro: «Che cosa è più dolce del miele? Che cosa è più forte del leone?» Sansone doveva dunque dare a ciascuno di loro una veste con il suo cambio: se le procurò ucciden­do altri trenta Filistei. Così cominciò a combattere contro i nemici. Un'altra volta, al tempo della mietitura del grano, catturò trecento volpi, le legò a due a due per la coda con una fiaccola accesa nel mezzo e le lasciò andare nei campi di grano dei Filistei, distruggendo il raccolto, le vigne e gli oliveti. I Filistei, furenti, marciarono in gran numero contro il popolo di Israele, che si impaurì. Ma Sansone disse: «Non preoccupatevi: conse­gnate me stesso, legato, ai Filistei, ed essi se ne andranno». Così fu fatto; ma appena fu in mezzo ai Fili­stei, Sansone fece forza e spezzò le funi con cui era stato legato, poi trovò una mascella d'asino e con essa si mise a colpire i nemici, ucci­dendone un migliaio. Un'altra volta Sansone si trovava nascostamente a Gaza, una città fili­stea; i soldati di Gaza lo vennero a sapere, e si misero in guardia per sorprenderlo e ucciderlo. Ma San­sone li prevenne: a mezzanotte si alzò per andarsene e, poiché le por­te della città erano sbarrate, con la sua forza afferrò i due battenti di una porta, li divelse con anche gli stipiti, se li pose sulle spalle e li por­tò fin sulla cima di un colle vicino. Poiché non riuscivano a catturar­lo in altro modo, i Filistei decisero di ricorrere all'inganno. A Sansone piaceva una donna filistea di nome Dalila, ed ella, d'accordo nascosta­mente con i capi del suo popolo, chiese a Sansone da dove provenis­se la sua forza prodigiosa. Egli non voleva rivelarglielo, ma Dalila tanto insistette che alla fine Sansone le disse: «La forza mi viene dal Signo­re mio Dio; io mi sono consacrato a lui, come dimostrano i miei capel­li che non sono mai stati tagliati». Allora, una notte, mentre Sanso­ne dormiva, Dalila gli fece tagliare i capelli e lo fece legare con salde funi. Sansone pensò di potersi facil­mente liberare dalle funi, ma si ac­corse che non aveva più i lunghi ca­pelli, e con essi era svanita tutta la sua forza. Così i Filistei lo catturarono; gli cavarono gli occhi e lo chiusero in una prigione dove lo misero a gira­re la macina. Lentamente, però, i suoi capelli ripresero a crescere, e con essi la forza. Dopo qualche tempo, nella ricorrenza di una festa di Dagon, la divinità che essi adoravano, i Filistei si radunarono numerosi nel loro tempio, e con grande giubilo si ral­legravano di non avere più da te­mere il pericolo di Sansone. «Il no­stro dio ci ha dato nelle mani il no­stro nemico» si dissero, e decisero di far venire Sansone al tempio, per divertirsi vedendolo ormai vinto. Lo mandarono a prendere nella prigione, e Sansone venne nel tem­pio, accompagnato per mano da un ragazzo, perché era cieco. Nel tem­pio e sul terrazzo c'erano tutti i capi dei Filistei e una grande folla, circa tremila tra uomini e donne, che guardavano incuriositi quell'uomo di cui avevano avuto tanta paura. Sansone, senza parere, chiese al ragazzo che lo accompagnava: «Fammi toccare le due colonne che reggono questo edificio, perché possa appoggiarmi ad esse». Poi ri­volse una preghiera al Signore: «Si­gnore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o Dio!» Subito dopo toccò le due colon­ne per rendersi ben conto di dov'e­rano; poi, facendo forza con le braccia contro di esse, gridò: «Che io muoia insieme con i Filistei!» Sansone riuscì a spostare le co­lonne; l'edificio allora crollò rovi­nando addosso a tutti i presenti. Fu­rono più i nemici che Sansone ucci­se con la sua morte, di quanti ne aveva uccisi durante la sua vita. Giudici 13-16