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 "BASTA UN CENNO"




Il padre Isaia diceva anche: «Se si vuole rendere male per male, è sufficiente un solo cenno per ferire l'anima di un fratello».

 
 
*** Lo Spirito Santo, per bocca di san Paolo ci avverte:

«Badate che nessuno renda male per male ad alcuno, ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti» (1 Tessalonicesi 5,15).

Gesù aveva, imposto ai suoi discepoli, non soltanto di rinunciare alla legge del taglione: “occhio per occhio e dente per dente”, ma addirittura di“porgere l'altra guancia” a chi li percuoteva sulla guancia destra (Matteo 5,38-39).

In verità, nella vecchia economia di salvezza, Dio autorizzava sì la regola del contraccambio ma, solo come misura precauzionale, cioè per impedire che la persona offesa, trascendesse ben oltre i limiti dell'offesa ricevuta, per cui a chi gli avesse rotto solo un dente, gli rompesse anche il resto della faccia o dell'intero corpo (Esodo 21,24-25).

La sentenza del padre Isaia, precisa un dettaglio per nulla insignificantee sembra spingersi oltre lo stesso precetto di Gesù, ma, in realtà, ne precisa lo spirito autentico, al di là della lettera.

Egli afferma che, oltre alla reazione aperta e plateale di chi risponde ad una offesa arrecatagli, o con gesti di violenza, o con parole di insulto, che possono ferire più di pesanti sassi acuminati, esiste anche un modo di reagire più sottile e raffinato, che può essere ancora più deleterio e devastante sia del pugno che della parolaccia.

La reazione a cui l'anziano si riferisce, consiste nell'uso esperto, ma malizioso e profondamente ipocrita, di certe sottili sfumature del“linguaggio non verbale”, per cui all'offesa ricevuta, si risponde solo “con un cenno”, che, a seconda dei casi e dei caratteri, potrà consistere in una parolina garbata, ma condita con un tono di profondo disprezzo, oppure sarà un semplice sguardo di sdegno, oppure un cenno di sfida, come per dire all'altro che ci ha percosso: “dai, dammene un altro” (sottintendendo :“tanto tu non vali niente, mentre io sono un essere superiore”).

E, nella stessa linea, esistono numerosi altri modi ipocriti di rendere “male per male o occhio per occhio”, senza “sporcarsi le mani”, né con parole né con gesti eclatanti, ma con le innumerevoli risorse e sfumature del linguaggio non verbale, cioè con un “cenno” o uno “sguardo”, come dice il saggio Isaia, con la sua geniale intuizione, frutto non di una laurea in psicologia, ma della sua immersione quotidiana nella preghiera, che è l'unico modo che abbiamo, per smascherare le innumerevoli facce e le inesauribili risorse di quell'atteggiamento profondo, latente nell'animo di ognuno, che Gesù condanna senza appello, e che l'Apostolo dellAmore, Giovanni, definisce come “il peccato che conduce alla morte” (dell'anima), per il quale è inutile perfino pregare:

«Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare» (1Giovanni 5,16).

Tale funesta predisposizione o atteggiamento dell'anima si chiama:“ipocrisia”il peccato contro lo Spirito Santo, che non sarà mai perdonato:

«In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna» (Marco 3,28-29).

Dio ci liberi da questa insidiosa catastrofe della vita spirituale, l'ipocrisia, peggiore di qualunque altro peccato, perchè recide alle radici qualunque possibilità di conversione, essendo la condizione abituale e consapevole di un'anima, che è e resta, “insincera” verso Dio, verso se stessa e verso gli altri.