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La grande statua dell'Apostolo delle Genti davanti alla Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma


Ultime tracce di Paolo dopo gli "Atti"

Tre libri del Nuovo Testamento accennano fugacemente all'attività di Paolo successive a quanto raccontato degli Atti degli Apostoli: furono scritti a due giovani capi della Chiesa che avevano collaborato con lui.

Nella Prima Lettera a Timoteo Paolo al trova fuori di prigione, probabilmente rilasciato dopo gli arresti domiciliari a Roma di cui riferisce l'ultimo capitolo degli Atti. È stato di recente ad Efeso, dirigendosi verso la Macedonia, ed ha lasciato Timoteo ad Efeso per continuare la sua opera (1 Tim 1,3).

Anche nella Lettera a Tito l'Apostolo delle Genti appare fuori di prigione. Sembra che si sia recato con Tito a Creta. Conosce bene la situazione di quella Chiesa: è probabile che sia rimasto sull'isola per un certo periodo. Vi ha lasciato Tito, ed ora gli chiede di Incontrarlo a Nicopoli, sulla strada per la Dalmazia, dove intende passare l'inverno (Tito 3,12). Come riporta 2 Tim 4,10, Tito in seguito è andato in Dalmazia. Ma lui e Paolo si incontrarono davvero, come erano d'accordo prima che Tito proseguisse il suo viaggio? Purtroppo non ci è dato di saperlo.

Nella Seconda Lettera a Timoteo, invece, Paolo scrive dalla cella in cui è prigioniero a Roma, dopo essere stato nuovamente arrestato. È già stato giudicato una volta (2 Tim 4,13), e sembra in attesa dell'imminente esecuzione. Ha viaggiato di recente, lasciando il mantello e alcuni libri a Troade (2 Tim 4,13). È passato anche per Mileto e Corinto (2 Tim 4,20). Vi è anche un accenno a un suo passaggio per Efeso (2 Tim 4,14-15), dove si erano verificati dei disordini.

Nessun accenno invece al viaggio in Spagna che Paolo aveva progettato in Romani 15,24.28, ma è probabile che l'Apostolo delle Genti vi si sia recato davvero, come attestano tradizioni molto antiche.

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16.D - La teologia di Paolo

Un semplice dato statistico per comprendere come l'annuncio di Gesù sia veramente il fulcro di tutto il messaggio paolino. L'attribuzione di "Signore" ricorre sotto la sua penna 280 volte, "Cristo" 400, "Gesù" 220.

I numeri, però, sono ben poca cosa di fronte all'attaccamento personale che l'apostolo mostra nei confronti del suo Signore. La folgorazione sulla via di Damasco penetra fin nel profondo tutta la personalità dell'apostolo che ne è radicalmente trasformato:

« Sono stato crocefisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me » (Gal 2,20)

L'impronta indelebile che ne deriva alla sua vita si fonda sulla consapevolezza di un amore unico e personale che ne costituisce il nuovo orientamento:

« Questa vita presente, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Gal 2,20)

La vita dell'apostolo ha assunto un nuovo significato:

« Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno » (Fil 1,21)

« Perché se uno è in Cristo è una creatura nuova » (2 Co 5,17)

Tutta la sua vita è orientata alla conoscenza di Cristo:

« Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui »(Fil 3,8)

Questa centralità di Cristo non è, dunque, per Paolo uno schema teologico, ma realtà che proviene dalla sua esperienza esistenziale; essa orienta tutta la sua teologia che può essere compresa solo in questa prospettiva cristologica:

« La realtà è Cristo » (Col 2,17)

In tutta la sua vita Paolo difese contro ogni avversario la centralità della figura di Cristo. Ad Antiochia in Galazia, a Corinto e a Gerusalemme Paolo si trova di fronte al problema della Legge, sollevato dai giudaizzanti. Costoro pretendevano di riconoscere alla Legge di Mosè un ruolo centrale e insostituibile. Operando un compromesso fra la Legge e la fede in Cristo pretendevano di far dipendere l'efficacia dell'azione salvifica di Cristo dalla puntuale osservanza delle norme giudaiche e dal compimento delle opere prescritte dalla Legge.

Problema capitale, che vedrà impegnata la chiesa delle origini nella prima assise conciliare, a decidere il proprio futuro fra Legge e Vangelo (At 15).

Paolo vede acutamente che il problema non consiste semplicemente nel discutere sulla validità di un certo codice di vita morale e religiosa. Si tratta, in realtà, di prolungare la concezione della Legge, propria del giudaismo. Qui essa appare non tanto come un insieme di precetti e norme, quanto come un compiuto sistema di salvezza che sviluppa l'affermazione di Lv 18,5:

« Osserverete, dunque, le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono il Signore »

È questa mentalità che elabora il concetto di giustizia (intesa non distributivamente: dare a ciascuno il suo, ma teologicamente, vale a dire: essere giusti davanti a Dio) nei termini di fedele e accurata osservanza della Legge.

Paolo elabora un concetto di Legge sostanzialmente buono: la Legge esprime la "volontà di Dio" (1 Tes 4,3); è santa e giusta ecc. Paradossalmente, però, Paolo afferma che proprio questa Legge si rivela impari al compito che Dio le ha assegnato. Non solo la Legge mosaica nella sua formulazione storica, ma ogni legge deve essere considerata insufficiente a ristabilire il corretto rapporto fra l'uomo e Dio e a riaprire la via della salvezza. È il regime legale, in quanto tale, che deve essere abbandonato; ed è quanto, secondo Paolo, è avvenuto con Cristo. Di fatto, dunque la Legge, data per la salvezza, si rivela inefficace; essa non è in grado di realizzare la promessa fatta ad Abramo, perché, insieme al precetto non comunica anche la forza sufficiente per eseguirlo (Gal 3,8-14).

La vera salvezza, invece, viene da Dio, è Lui a compiere il primo passo, senza alcun merito da parte dell'uomo:

« Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi » (Rom 5,8)

Tale disegno incontra l'opposizione dei giudei, i quali, invece pretendono di salvarsi mediante le opere della Legge, e dei greci, che cercano il proprio riscatto nello sviluppo della capacità conoscitiva, nella sapienza. La salvezza, invece, è dono di Dio in Cristo (1 Cor 1,23-24). È il dono che il Padre fa del proprio Figlio, è il dono che il Figlio fa di se stesso. Il suo dono totale riapre all'uomo la possibilità di incontrarsi con Dio.

« E' per la libertà che Cristo ci ha liberato » (Gal 5,1)

La forte affermazione di Paolo vuole precludere ogni possibilità di ripensamento. Cristo è il termine delle Legge, Egli l'ha distrutta (Ef 2,14), l'ha inchiodata sulla croce (Col 2,14). Il compito per il quale la Legge era stata data è stato realizzato da Cristo. È Lui la nuova Legge, capace di dare la giustizia di Dio, la vita. Ma una salvezza che si configura come libertà potrebbe anche essere fraintesa: il cristiano è libero da ogni dovere. Si è forse passati dal legalismo all'arbitrio dell'anomia?

Paolo è molto chiaro a questo proposito. Anzitutto egli richiama che il fondamento proprio della libertà del cristiano non consiste in una liberazione esteriore, ma in una salvezza che è ristrutturazione radicale, che è nuova possibilità offerta: essere Figli di Dio.

Di fronte allo scacco totale della Legge, Paolo proclama la vittoria dell'uomo, in Cristo. Una vittoria che non è solo sulla Legge, ma sul peccato (Rom 6,14.18). È per questo che la Legge non ha alcun potere su di Lui. Ciò è avvenuto mediante la morte e resurrezione di Cristo, il fatto veramente rivoluzionario che ha modificato il cammino della storia.

Riguardo all'Apocalisse, si veda invece il seguente ipertesto ad essa dedicato.


La più antica immagine mariana in Italia


Quella qui rappresentata è considerata la più antica immagine mariana finora ritrovata in Italia. Proviene dalle catacombe di Priscilla, a Roma; nota come la Madonna con il Profeta, risale probabilmente alla metà del II secolo. L'immagine decora una volta e mostra Maria seduta con il Bambino in grembo. Accanto a lei un uomo vestito di una tunica, che a sinistra porta un volume e con la mano destra leggermente alzata indica una stella sopra la testa della Madre. Nel personaggio è possibile identificare un profeta, forse Balaam, che previde una stella come segno dell'avvento del Messia, oppure Michea o Isaia, visti i richiami biblici alla nascita di Cristo (Mi 5,1-4; Is 7,14;9,1).