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La questione giovannea


Il Vangelo di Giovanni è profondamente diverso dagli altri tre, non nel senso che dica altre cose, ma perché le presenta in modo differente, con una struttura molto diversa e specialmente in un ordine diverso. Questa problematica va sotto il nome di "questione giovannea".


Le diversità toccano vari campi.


1) Nell'ambito della topografia:
si notano subito evidenti difficoltà: secondo i sinottici, Gesù è battezzato in Giudea, sviluppa essenzialmente il suo ministero in Galilea, compie un unico viaggio a Gerusalemme dove trova la morte.
Giovanni pone l'apostolato di Gesù per lo più in Giudea, ricorda che sali cinque volte a Gerusalemme, pur essendosi portato più volte in Galilea.

2) Nell'ambito della cronologia:
i sinottici pongono l'inizio del ministero di Gesù dopo la cattura del Battista e lo fanno esaurire in un solo anno, ricordando una Pasqua. Per Giovanni, invece, Gesù inizia il suo ministero pubblico prima ancora della cattura del Battista e si protrae per più anni, dal momento che ricorda più Pasque. Tra l'altro i sinottici pongono la cacciata dei venditori dal Tempio alla fine del ministero, mentre Giovanni la pone all'inizio.
Per i sinottici l'ultima cena sarebbe avvenuta il 14 di Nisan e la morte di Gesù il 15 dello stesso mese; in Giovanni invece i due fatti sarebbero avvenuti rispettivamente il 13 e il 14 di nisan.

3) Nell'ambito della narrazione:
Giovanni ha in comune con i sinottici solo tre miracoli, la prima moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15; Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10-17); la camminata di Gesù sulle acque (Gv 6,16-21; Mt 14,22-33; Mc 6,45-52); la guarigione del figlio di un funzionario reale (Gv 4,46-54; Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) gli altri quattro miracoli che ricorda (le nozze di Cana, la guarigione a Betzaeta, il cieco nato, la resurrezione di Lazzaro) sono propri.
È da rilevare anche che nella presentazione dei miracoli nei sinottici Gesù appare mosso dall'esterno a compiere il miracolo (la preghiera, la fede o la compassione), mentre in Giovanni è mosso dall'interno (il segno della sua divinità).

4) Nell'ambito dei discorsi:
nei sinottici occupano una minima parte, gli uditori sono le folle, il tema trattato è a sfondo morale ed escatologico, mentre lo stile rimane semplice e popolare.
In Giovanni, invece, i discorsi occupano i cinque sesti del Vangelo, hanno per uditori o delle persone singole oppure dei gruppi influenti, l'argomento verte sui misteri più profondi come la divinità di Cristo o la SS. Trinità, ed inoltre lo stile ha carattere allegorico.

5) Nell'ambito della figura di Gesù:
nei sinottici Gesù è presentato come Figlio dell'Uomo, profeta, taumaturgo pieno di compassione per le folle ed i peccatori, che intenzionalmente non vuole essere riconosciuto per Messia fino alla confessione di Pietro; in Giovanni Gesù è presentato subito come il Figlio del Padre, coeterno, onnisciente, che non teme di essere subito riconosciuto come tale.

Con tutto questo non si vuole, però, affermare che fra Giovanni e i sinottici ci sia un insanabile opposizione, in quanto non mancano concordanze piuttosto notevoli, come.

1) La struttura in pericopi del vangelo:
è un insieme di brani accostati fra di loro in base ad una struttura particolare che deve presentare un insegnamento dottrinale.

2) La divisione fondamentale della vita di Gesù:
segue a grandi linee l'indirizzo marciano: inizialmente il Cristo si rivolge al popolo, solo in un secondo tempo ai suoi discepoli.

3) Nella materia trattata:
vi sono espressive convergenze, come la centralità della figura di Gesù, la trama comune della passione, morte e resurrezione.

La critica moderna alla luce di nuovi studi è giunta a proporre una teoria circa la questione giovannea. Si è giunti alla convinzione che il quarto vangelo non abbia conosciuto i sinottici: in molti casi è chiaro che riferisce su materiale simile, ma da una prospettiva diversa; non si limita a togliere o aggiungere. Sembra un documento da uno sviluppo autonomo. Questo sviluppo autonomo ha sicuramente risentito dell'influenza della comunità di Qumran. Spesso si ritrovano espressioni comuni: spirito di verità e spirito di menzogna, provare gli spiriti, Spirito Santo, principe dei figli delle tenebre, fare la Verità e andare alla Luce, preferire le tenebre e la menzogna, figli della luce, luce della vita, camminare nelle tenebre, opere di Dio, collera di Dio, vita eterna, testimone della verità. Anche a Qumran si parlava così, ma rimane con Qumran la differenza di fondo: l'assenza-attesa di un intervento salvatore a contrasto con la presenza-testimonianza di Gesù "che è il Cristo e il Figlio di Dio" (20,31).

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15.F - Il Vangelo di Giovanni

l) L'autore.

La più antica ed esplicita testimonianza concernente l'autore del quarto vangelo è quella di Ireneo nell'opera "Adversus haereses" (circa 180 d.C.), nella quale è affermato:

« In seguito Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò sul petto di Lui, ha pubblicato anch'egli un vangelo, quando dimorava ad Efeso in Asia. »

Policarpo di Smirne †

Testimone della predicazione degli Apostoli e loro successore. A lui è indirizzata una delle lettere di Ignazio di Antiochia. È certamente a Roma intorno al 155, dove discute con papa Aniceto sulla data della Pasqua. 
Muore martire sul rogo forse il 22 febbraio 156.

Nella lettera a Fiorino, poi, parla anche del suo incontro con il vescovo Policarpo di Smirne, avvenuto quando egli era giovinetto e ricorda ciò che Policarpo diceva riguardo alla sua amicizia con Giovanni e alla familiarità che aveva con gli altri discepoli, i quali avevano visto i miracoli del Signore e ne avevano ascoltato gli insegnamenti. Ireneo, inoltre, rievocando la persona e l'opera di Papia, vescovo di Gerapoli, afferma che questi ha ascoltato ed è stato compagno di Giovanni.

Che Giovanni sia vissuto ad Efeso lo conferma anche Policrate, quando scrive:

« Giovanni, che ha posato il capo sul petto del Signore, [...] è morto ad Efeso. »

Cosa, per altro, confermata dall'archeologia con la scoperta del mausoleo del III secolo dedicato a Giovanni nell'omonima basilica di Selkuk, una collina vicino ad Efeso.

Un'altra importante testimonianza è offerta dal "Frammento o Canone Muratoriano"; il testo dice:

« Quartum evangeliorum Iohannis ex discipulis. Cohortantibus condiscipulis et episcopis suis, dixit: coniuniate mihi hodie triduo et quid cuique fuerit revelatum, alterutrum nobis enarremus. Eadem nocte revelatum Andrae ex Apostolis, ut recognoscentibus cunctis Iohannes suo nomine cuncta describeret. »

Questa testimonianza pur antica, rimane manifestamente leggendaria, suppone, infatti, che tutti gli apostoli siano vivi nel momento in cui Giovanni scrive il suo Vangelo e lo approvino.

Ultima testimonianza è quella di Clemente Alessandrino che, parlando dell'ordine dei Vangeli, afferma che secondo una tradizione degli antichi presbiteri l'ordine sarebbe il seguente: prima Matteo, poi Luca, quindi Marco e infine:

« Quanto a Giovanni, l'ultimo, vedendo che le cose corporali erano state esposte nei vangeli sinottici, spinto dai suoi discepoli e divinamente ispirato, fece un Vangelo spirituale. »

L'autore di questo Vangelo, secondo la tradizione più antica, sarebbe, dunque l'Apostolo Giovanni; ma l'indagine interna al Vangelo ha fatto sorgere vari problemi.

In questo Vangelo il suo autore è definito in maniera anonima e misteriosa con il titolo di"discepolo che Gesù amava" (13,23; 19,26.27; 20.2; 21,7.20).

In altre scene è definito in maniera ancora più vaga come "l'altro discepolo" (20,4.8; 21,23). In altre due occasioni un. discepolo rimane ancor più difficile da identificare. Tra i discepoli del Battista, ad un certo momento due seguono Gesù (l,37): uno è presentato poco dopo come Andrea, dell'altro non si dice nulla. Quando Gesù è catturato e portato dal Sommo Sacerdote Anna, l'evangelista nota che « Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. »

Ma andiamo con ordine. L'esame interno del Vangelo conferma molti punti della tradizione, infatti, l'autore è:

  • testimone oculare dei fatti: per le minute descrizioni circa le circostanze di tempo (1,39b) e di luogo (1,28) della propria vocazione e degli episodi miracolosi (5,2b).

  • membro del collegio apostolico: conosce molto bene l'indole degli altri apostoli (20,25b), ha familiarità con Pietro (21,7a), è a perfetta conoscenza di fatti cui erano presenti solo gli apostoli (13,21-30).

  • giudeo: manifesta un'evidente mentalità giudaica con la conoscenza di usi e costumi dei giudei (7,2) ed un linguaggio pieno d'aramaismi (Rabbì, Rabbunì, Messias, Kefas, Siloam, Thomas ecc.).

  • giudeo di Palestina: ha, infatti, una conoscenza perfetta della regione, come può apparire dalla precisazione della piscina probatica a cinque portici (5,1).

  • persona conosciuta nell'ambiente politico–religioso di Gerusalemme (18,15).

Chi era allora questo discepolo che Gesù amava?

Dai sinottici sappiamo che tre erano i discepoli che Gesù prediligeva: Pietro, Giacomo e Giovanni (Mc 5,37; 9,2; 13,3; 14, 33). È tra questi tre che va ricercato l'autore del quarto vangelo.

Procedendo per via di esclusione, possiamo affermare che questi non può essere Pietro, ricordato spesso e nominato distintamente dal discepolo prediletto (13,24-26; 18,16...) e neppure Giacomo che fu ucciso da Agrippa I, pronipote del re Erode, nel 44 d.C. (cfr. At 12,1). Non rimane altro che l'identificazione con Giovanni, ricordato spesso dai sinottici ma mai nominato nel IV Vangelo.

Dal N.T. sappiamo che Giovanni nacque probabilmente a Betsaida, e che svolgeva la professione di pescatore nell'azienda di proprietà del padre.

Discepolo del Battista, solo in seguito fu con Gesù, prendendo parte ai primi avvenimenti della vita pubblica, tra cui le nozze di Cana.

Dal temperamento ardente ed orgoglioso, con il fratello Giacomo si meritò da Cristo il soprannome di "figlio del tuono". Unitamente a Pietro e Giacomo fu testimone degli avvenimenti principali della vita di Gesù. Sul Calvario ebbe da Cristo stesso come madre Maria. Dopo l'Ascensione fu testimone della guarigione dello storpio ad opera di Pietro; con il capo degli apostoli fu imprigionato dal Sinedrio e con lui fece il viaggio in Samaria e partecipò al Concilio di Gerusalemme. Di tutto questo ci parlano gli Atti degli apostoli.

La tradizione, come visto, ci assicura che soggiornò ad Efeso, il che dovette avvenire con tutta probabilità dopo il 70 (intatti la 2 Tim, indirizzata a Timoteo vescovo di Efeso, è anteriore al 70 e non lo ricorda, cosa improbabile se fosse stato presente).

Fu pure affermato che, sotto Domiziano, subì il martirio mediante immersione in olio bollente, uscendone indenne; in seguito fu relegato a Patmos (Ap 1,9) esilio da cui fu liberato sotto Nerva (96-98) che gli permise di tornare ad Efeso ove sarebbe morto sotto Traiano ormai novantenne, verso il 104.

2) La composizione.

La formazione della tradizione che sta alla base di questo Vangelo si deve essere completata prima del 66 d.C., essendo Gerusalemme ancora in piedi. Ad esempio in 5,2 si legge:

« A Gerusalemme, presso la Porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. »

Ignazio di Antiochia †

Condannato "ad bestias" dall’Imperatore Traiano, ricevette per questo il perentorio ordine di recarsi a Roma. Durante il viaggio scrisse sette lettere indirizzate alle comunità di Efeso, Magnesia, Smirne, Tralli, Filadelfia, Roma e al collega Policarpo.

Se Tito avesse già devastato la città, il verbo "c'è" sarebbe al passato. Invece secondo la maggior parte degli studiosi la redazione definitiva è posta dopo il 70 d.C., cioè dopo la caduta di Gerusalemme, dal momento che ne parla come di un fatto passato; alcuni ritengono addirittura che essa risalirebbe alla vecchiaia dell'apostolo, fra il 95 e il 100, ma probabilmente anche questa data è troppo tarda perché Ignazio di Antiochia lo cita già nel 107, e forse anche Clemente di Roma ancora prima. Tutti sono concordi, sulla base delle più antiche voci, a situarla nella città di Efeso.

Sicuramente l'ultimo capitolo fu redatto dopo la morte di Pietro dai discepoli di Giovanni, dal momento che in 21,18-19 si legge:

« In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: seguimi. »

Il testo si diffuse molto rapidamente e fu letto in tutte le comunità fin dai primissimi anni di pubblicazione come dimostrano le copie rinvenute presso le comunità egiziane (papiro Ryland 457 - P52; papiro Egerton 2; Bodmer 2 – P66, tutte dell'inizio del II secolo). In particolare nell'immagine a destra è visibile il cosiddetto papiro Ryland, datato al 125 d.C. e così chiamato perché appartiene alla John Rylands Library di Manchester. Nessuna altra opera dell'antichità ha testimonianze manoscritte così vicine agli originali. Basti pensare che il manoscritto più antico giunto fino a noi con le tragedie di Euripide, vissuto tra il 480 e il 406 a.C., risale al IX secolo d.C.!

3) La struttura.

Durante la lettura del Vangelo, il lettore inesperto può disorientarsi facilmente, può perdere il senso dell'unità e della coerenza del testo, perché si tratta di un'opera apparentemente semplice, ma in realtà complessa e profonda. È difficile già solo rilevare il piano direttivo su cui Giovanni ha intessuto il suo racconto. Per alcuni non c'è una trama unitaria, ma solo una collezione varia di episodi senza coordinazione. Però l'unità di pensiero ed il ricorrere di temi specifici fanno pensare al contrario. Qual è, dunque, il filo conduttore dell'opera?

Ricordiamo alcune tra le soluzioni più note e maggiormente attendibili.

a) Trama tipologica: il filo unitario del IV vangelo è dato dall'imitazione e schematizzazione dei grandi temi dell'esodo; è il Vangelo della salvezza che nell'A.T. aveva il suo tipo nella liberazione dall'Egitto. Comunemente si ammette che questa soluzione sia un po' forzata.

b) Trama cronologica: Giovanni divide la vita di Gesù in sette periodi di sette giorni ciascuno, e ad ogni periodo corrisponde uno dei sette giorni della creazione della Genesi; per questo si cerca di stabilire anche una certa qual relazione dottrinale fra il Vangelo e la Genesi.

c) Trama dottrinale: basata sull'opposizione luce-tenebre. Per tutto il Vangelo si sviluppa la lotta fra la luce e le tenebre in un continuo crescendo, che si concluderà nel giorno della resurrezione.

L'idea guida di tutto il Vangelo è la rivelazione storica del Verbo Incarnato, Messia e Figlio di Dio, che dona la vita mediante la fede. L'opera appare suddivisa nelle seguenti sezioni:

  • prologo, 1,1-18

  • il libro dei segni, 1,19-12,50

  • il libro degli addii, 13,1-17,26

  • il libro della Passione, 18,1-19,42

  • il libro della resurrezione, 20,1-29

  • conclusione generale, 20,30-31

4) La dottrina.

Il tema ricorrente nei primi quattro capitoli è l'incontro con il Messia.

Quando si tratta dei primi discepoli, Giovanni sembra darci uno schema concreto della vocazione cristiana: spesso c'è la testimonianza di qualcuno (Battista per i primi due discepoli, Andrea per Pietro, Filippo per Natanaele).

Segue l'iniziativa di Gesù: "Che cercate?" (1,38). Poi la conoscenza mediante un colloquio, come per Natanaele, o più semplicemente mediante lo stare insieme; poi la confessione o proclamazione della fede più o meno matura: "Abbiamo trovato il Messia" (1,41) ;infine il cambiamento di vita: "Ti chiamerai Cefa" (1,42).

Il racconto di Giovanni non è molto realistico, almeno nel senso moderno del termine: è poco probabile che così presto i discepoli siano arrivati a questi livelli di conoscenza e di fede (poco più avanti li troviamo più incerti e titubanti, 14,9). Giovanni però traccia in questo caso una sintesi esemplare, fa una meditazione.

Le due scene, di Cana (le nozze) e di Gerusalemme (la cacciata dei venditori dal Tempio), hanno un chiaro carattere simbolico. Quel vino di Cana significa qualcosa di più di un rimedio miracoloso ad una situazione di umana necessità:"Gesù manifestò la sua gloria [...] il terzo giorno". Tutti elementi che riportano alla resurrezione, a ciò che si sarebbe verificato tre anni dopo! La quantità di acqua trasformata in vino da Gesù è esagerata, 600 litri: il vino è il simbolo dell'Eucarestia, del suo sangue versato.

A Gerusalemme lo sdegno di Gesù non nasce soltanto dallo sdegno istintivo alla vista degli abusi commerciali che profanano la santità del Tempio. Egli non butta all'aria soltanto le bancarelle, ma l'intero regime religioso dell'A.T., sia perché è corrotto da complicazioni giuridiche che soffocano la fede genuina, sia perché la venuta del Messia lo fa diventare di colpo superato. È arrivata l'epoca del nuovo Tempio, quello che realizzerà in modo pieno ciò che tutti i templi precedenti rappresentavano in modo imperfetto: la presenza di Dio fra gli uomini.

Per indicare i miracoli, Giovanni usa due termini: "opere" (erga) quando parla Gesù, "segni" (semeia) quando parla l'evangelista o altri. L'aspetto del prodigio è posto in secondo piano, l‘importante è capire che per Gesù i miracoli sono il suo compito, il suo incarico, la sua competenza. Per l'infermo della piscina Gesù è in un primo momento un guaritore generoso e potente; ma poiché si dimostra uno che supera con disinvoltura i limiti religiosi-giuridici del sabato, si fa più seria la domanda: "Chi è costui?". Per i giudei è soltanto un uomo ribelle ed irreligioso; per il guarito diventa uno che gli può dire autorevolmente di vivere lontano dal peccato. Nessuno può comprendere il senso delle sue azioni se non conosce chi Egli sia; e chi Egli realmente sia non deve essere deciso a partire da preconcetti che ognuno ha. Ad esempio, a prima vista egli sembra uno che non ha rispetto del sabato, il giorno sacro; In realtà egli provoca la sensibilità religiosa dei Giudei per portarli ad una comprensione di Dio che sia più fedele alla tradizione precedente e sia aperta alla nuova rivelazione.

Giovanni non riporta le famose parabole dei sinottici; in un certo senso non riferisce nessuna parabola, ma ci fa conoscere alcune immagini che gli altri evangelisti trascurano. Non sono vere e proprie parabole, ma sono parole e immagini da collegare ad altre, dove ricorre l'espressione: "Io sono", che è tipica di questo Vangelo.

Sullo sfondo delle consuetudini sociali palestinesi, in particolare la pastorizia, e l'uso che già l'A.T. fa di immagini tratte da questo mondo, Gesù parla di sé. Dichiara di essere la porta, l'unico ingresso autentico; bisogna passare attraverso di lui. Soprattutto dichiara di essere il buon pastore, quello che offre "la vita per le sue pecore".

5) L'integrità.

Anche se non sono mancati dei critici che hanno contestato l'unità del IV vangelo, essa è però sicuramente presente in tutta l'opera, anche se bisogna ammettere che esistono delle difficoltà di connessione con incongruenze varie, alle quali gli studiosi hanno cercato di offrire una soluzione. Ricordiamo le principali.

  • digressione sul Battista (1,8.15) nel prologo che rompe il flusso poetico dell'inno dottrinale al Verbo incarnato.

  • la successione cronologica dei cap. 4-7 (alla fine del 4 Gesù è in Galilea, del 5 a Gerusalemme, del 6 in Galilea, del 7 a Gerusalemme) . Da qui la "tentazione" di "riordinare" i capitoli, il cui ordine primitivo avrebbe potuto essere 4-6-5-7.

  • la mancanza di concatenamenti nei capitoli 13-16, anche qui si pensa ad una diversa disposizione.

Queste incongruenze in genere, sono spiegate con un cambio di rotoli, o meglio, forse, come il frutto di più redazioni dovute all'Apostolo stesso o ai suoi discepoli, in cui è stato inserito susseguentemente altro materiale giovanneo; oppure anche come il frutto del procedimento letterario semitico dell'inclusione: l'inizio di un passo ripropone il motivo dominante della finale del brano precedente.

Per quanto attiene all'integrità propriamente detta, poi, tre sono i brani che recano difficoltà:

a) 5, 3-4: dove si ricorda il moto sanatorio dell'acqua ad un cenno di un angelo, il che sarebbe un miracolo di prim'ordine (intervento diretto da parte di Dio), che però non è attestato da alcuna altra fonte, specie rabbinica. Comunemente s'intende il versetto 4 come un'interpolazione popolare che attribuiva a Dio le virtù naturali dell'acqua.

b) 7,53- 8,11: la canonicità del brano è indiscussa, i dubbi sono invece al riguardo dell'autenticità critica in quanto i versetti manifestano uno stile propriamente sinottico. Questo passo qui collocato è ignorato dai codici orientali più antichi e dai Padri greci del primo millennio fino a Teofilatto; manca pure nelle antiche versioni siriache e copte, come pure in alcuni manoscritti della Vetus latina, in Ambrogio, Agostino e Girolamo (Volgata) . Nei codici onciali greci è normalmente trascritta solo a partire dal 900. Un gruppo di codici onciali (f13) la mettono dopo Lc 21,38. Gli studiosi lo spiegano come un errore di trascrizione; il passo sarebbe passato dal vangelo di Luca a quello di Giovanni.

c) 21,24-25: anche su questo brano non si discute della canonicità, ma solo della sua autenticità critica. Questo passo ha un evidente carattere di appendice, con uno stile che è diverso da quello del IV evangelista, anzi, dall'insieme il testo lascia intendere che Giovanni era già morto. La maggior parte degli studiosi ritengono che sia un'aggiunta posteriore dovuta aidiscepoli dell'Apostolo prediletto.

6) L'Appendice.

Molto comune fu nell'antichità l'uso di presentare tanto i quattro evangeli quanto i loro autori sotto il simbolismo deiquattro "animali" di cui si era servito il profeta Ezechiele per descrivere i quattro volti o aspetti dei cherubini da lui contemplati nella celebre visione che segnò la sua chiamata al ministero profetico (Ez 1,5-14). Ireneo, in particolare, si sofferma a spiegare le ragioni di questo simbolismo, mostrando dettagliatamente come i quattro aspetti dei cherubini rappresentavano "l'attività del Figlio di Dio": il leone quale suo simbolo dell'azione dominatrice e regale; il toro o vitello della sua destinazione al sacrificio e al sacerdozio; l'uomo della sua venuta nella natura umana; l'aquila dello Spirito che soffia sulla Chiesa.

Nel proporre l'applicazione di questi quattro aspetti ai quattro libri evangelici, Ireneo guardò soprattutto ai caratteri generali di ciascuno di loro riconoscendo il leone in Giovanni, il vitello in Luca, l'uomo in Matteo, l'aquila in Marco.

La proposta non ebbe fortuna, però, come quella dovuta successivamente a Girolamo, secondo il quale Matteo porta il simbolo dell'uomo perché si apre con la genealogia umana di Gesù "figlio di Abramo e di Davide" (1,1). Marco è rappresentato dal leone perché inizia con la predicazione, si può dire, ruggente di Giovanni Battista (l,2-8). Luca porta il simbolo del vitello perché inizia la sua narrazione riferendo dell'apparizione dell'angelo a Zaccaria durante l'offerta di sacrifici al Tempio (1.8-25). Giovanni, infine, è accompagnato dalla figura dell'aquila, perché il suo vangelo si apre con quel prologo meraviglioso, nel quale, come disse il grande Tommaso d'Aquino: "come aquila sopra gli altri vola", risalendo fino alla vita del Verbo nel Padre.