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 Il Vangelo di Marco


1) L'autore.


Le prime notizie sul vangelo secondo Marco e sul suo autore si hanno già all'inizio del II secolo in una testimonianza del vescovo Papia di Gerapoli (discepolo immediato degli Apostoli e "uomo antico", come lo 



Papia di Gerapoli †


Discepolo diretto degli Apostoli e amico di Policarpo di Smirne, aderì fin dall’inizio al movimento millenarista. Non ci sono giunte sue opere, mai dai frammenti contenuti in Eusebio di Cesarea appare chiara l'importanza del Vangelo orale nella sua predicazione.



definisce Ireneo), il quale insiste fortemente nell'affermare la dipendenza tanto di Marco quanto del suo scritto dall'apostolo Pietro e dalla sua predicazione orale.


« Diceva quel presbitero (Giovanni) che Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse diligentemente ciò che ricordava, non riportando però con ordine ciò che il Signore aveva detto e fatto. Egli non aveva ascoltato, infatti, il Signore e non era stato suo discepolo, ma, come ho già detto, seguì Pietro, il quale faceva la sua catechesi secondo la necessità e non per comporre un resoconto delle parole (in greco ton loghion) del Signore »


Similmente alla fine del medesimo secolo faceva Ireneo, che riferisce pure l'inizio e la fine dell'opera marciana e ne dà un giudizio complessivo molto lusinghiero.


Nel III secolo la prima testimonianza è quella di Clemente Alessandrino, il quale, almeno in un testo 



Clemente Alessandrino †


Nato verso il 150, forse ad Atene, intorno al 200 venne nominato vescovo di Alessandria d’Egitto, due anni dopo dovette abbandonare la sua cattedra in seguito alla persecuzione di Settimio Severo. Morì nel 215 in esilio. E’ autore di molte opere fra cui spiccano gli "Stromati".



frammentario, precisa che l'opera fu scritta a Roma su richiesta dei fedeli convertiti da Pietro. Successivamente ne parlarono Origene, Epifanio, Girolamo e tanti altri. La tradizione è dunque unanime nell'accreditare a Marco la paternità del secondo vangelo.


Marco, il cui vero nome era in realtà Giovanni Marco, non fu un Apostolo, ma un loro immediato discepolo. Un cristiano, dunque, della seconda generazione. Di distinta e abbiente famiglia di Gerusalemme, figlio di una certa Maria, fu in strettissimo rapporto con la Chiesa di questa città che per un certo tempo si riunì per le celebrazioni proprio nella sua casa (At 12,12-17), dove probabilmente fu battezzato da Pietro.


Benché la tradizione affermi che non abbia conosciuto Gesù, alcuni studiosi lo vogliono identificare con quel giovane che, nell'orto degli ulivi, la sera del tradimento, fuggi via nudo (Mc 14,51-52). Cugino di Barnaba (Col 4,10), entrò nell'orbita di Paolo dal quale ricevette tutti gli insegnamenti teologici necessari ad un buon missionario; stette al suo fianco anche durante la prigionia romana. Secondo Eusebio e Girolamo avrebbe fondato la chiesa di Alessandria d'Egitto, anche se oggi molti mettono in discussione questa notizia, anche perché Clemente alessandrino ed Origene, che pure erano di quella chiesa, non ne parlarono affatto; così come piuttosto recente è la notizia circa il suo martirio (IV secolo).


2) La composizione.


Il vangelo di Marco è stato scritto certamente prima del 70 d.C., perché non dà molto peso alle profezie sulla caduta di Gerusalemme, cosa che avrebbe certamente fatto se avesse scritto a distruzione avvenuta. Recentemente alcuni studiosi propongono la data del 45 d.C. dando credito, probabilmente a ragione, al 7Q5.


L'opera ha, comunque, visto la luce verosimilmente a Roma; i destinatari potrebbero realmente essere i cristiani d'Italia, in particolare i romani. Anche in mancanza di testimonianze esterne, noi saremmo, comunque in grado di dire che questo Vangelo fu scritto per dei latini o più genericamente per dei pagani, per i seguenti motivi:




  • La presenza di parole o locuzioni prettamente latine: "legione" (5,9.15), "denarius" (6,37; 12,15; 14,5), "census" (12,14), il verbo "flagellare" (15,15), l'espressione "genua ponere" (15,19), "due spiccioli che sono l'equivalente di un quadrante" (12,42), "nel cortile, cioè nel pretorio" (15,16).




  • Tralascia fatti e detti riportati da Matteo di sapore troppo giudaico, e quindi incomprensibile per i suoi lettori, così come sono rare le citazioni dall'A.T., incomprensibili ed inutili per dei cristiani di origine pagana, mentre invece è dato largo spazio ai miracoli.




Come ha mostrato l'esegeta francese Jean Carmignac (1914-1991), molto probabilmente esso fu scritto originariamente in aramaico e poi tradotto in greco, come dimostrano alcuni passi controversi del suo testo. Per esempio, perchè in Mc 5,13 il gregge di porci invasati dal demonio è valutato in duemila unità? Troppe, non c'è alcun dubbio. Ma la parola KLPYM (al tempo di Gesù in ebraico e in aramaico le vocali non erano scritte) significa "duemila" se vocalizzata in k'alpayim, "a branchi" se la si legge invece kàalapim. I porci si sono dunque precipitati nel lago "a branchi", e l'errore di lettura da parte dell'ignoto traduttore ha fatto il resto.


Inoltre quello di Marco è il più corto fra i vangeli, contando solo 16 capitoli. È piuttosto difficile trovare un filo conduttore nell'opera di Marco, a mano a mano che ci si addentra nella sua lettura, però, si comprende come questo sia costituito dalla presentazione progressiva della figura di Gesù. Il vangelo si presenta articolato in due parti:


1. ministero di Gesù (1,1-8,20)
2. rivelazione dell'identità di Gesù (8,21-16,18).

Marco offre così un messaggio di fede traumatico per il senso religioso e di fede comune per quei tempi: Gesù, cioè un Dio, è tale in forza della Sua morte, ma anche della Sua resurrezione.

3) La struttura.

Segue strettamente la linea dello schema del vangelo orale, trattando solo della vita pubblica di Gesù, quale si sviluppò prima in Galilea e quindi in Giudea. Si tratta di uno schema che segue di pari passo la predicazione di Pietro riportata negli Atti degli Apostoli.

  • Introduzione: attività del Battista, battesimo e tentazioni di Gesù (1,1-13)

  • Parte prima: ministero galilaico di Gesù (1,14-8,26)

  • Intermezzo: viaggio verso la città santa (8,27-10,52)

  • Parte seconda: ministero a Gerusalemme (11,1-16,20).

In Marco mancano i discorsi propri di Matteo, ad esempio non riferisce nulla sull'infanzia di Gesù; notevoli sono i sommari che esprimono il ripetersi dei fatti; tutto è incentrato sullo "scandalo della croce", vale a dire sull'apparente assurda conclusione che il Dio dei cristiani è tale anche se morto in croce (non si tiene conto della resurrezione).

4) La dottrina.

Per Marco l'avvento del Regno non è qualcosa di pacifico. Si tratta di una lotta contro il potere opposto, quello del male, ed è dimostrato via via dalle tentazioni nel deserto, dagli esorcismi che compie, dall'opposizione dei suoi avversari.

In varie parabole, Marco ci presenta il regno di Dio come una realtà proiettata verso il futuro, verso le realtà ultime, ma già con un fondamento qui in terra quale periodo di preparazione.

Questo Regno è già presente, ma non ancora nella sua definitività. È incentrato su Gesù, vero uomo nella morte, vero Dio nella resurrezione. Il Gesù di Marco è vicino all'uomo. Se con la resurrezione ha dimostrato di essere vero Dio, non significa che Marco lo abbia voluto presentare come persona lontana dall'uomo, che non condivide il retaggio dell'uomo. Gesù ha compassione, si stupisce, è ironico, è abbattuto, indignato, ecc. Questa presentazione della sua persona è il frutto dell'esperienza diretta degli apostoli dei quali Marco si è fatto portavoce.

Un ambito del tutto particolare è quello che gli studiosi chiamano: "segreto messianico", cioè la constatazione che durante tutto il Vangelo Gesù vieta di parlare, inspiegabilmente, della sua messianicità (1,25; 1,44; 3,12...). Probabilmente il motivo va ricercato nell'intenzione di Gesù di non voler essere frainteso, di non voler essere indicato come Messia secondo l'accezione che gli ebrei davano a questa parola: liberatore politico-militare della nazione israelitica.

5) L'integrità.

Per "integrità" si intende la certezza che tutta l'opera sia stata scritta dalla stessa mano. Per quanto concerne il Vangelo di Marco si è parlato di integrità in particolare per la parte finale (Mc 16,9-20), nota come "aggiunta canonica". Certamente il brano è ispirato e canonico, come risulta dalla definizione del Concilio di Trento (IV sessione, 8 aprile 1546); meno sicura è l'autenticità letteraria, mancando il testo in diversi codici. In particolare è assente nel codice Vaticano, B, e Sinaitico, S; mentre è presente nei codici: A alessandrino, C Efrem riscritto, D Beza, K del secolo IX di Parigi, del secolo X di Monaco e molti altri sia maiuscoli che minuscoli, nonché in diverse versioni e in molti padri. Al loro posto alcuni codici, fra i quali il "bobiensis", hanno questa seconda finale breve:

« Poi, però, riferirono brevemente a quelli che erano con Pietro tutte le cose che erano state loro comandate. Dopo di che, Gesù stesso diffuse per mezzo di loro da oriente ad occidente il sacro ed imperituro messaggio dell'eterna salvezza. Amen. »

I sospetti circa l'autenticità letteraria nascono dal fatto che la finale non è tanto la continuazione del racconto precedente, quanto piuttosto un sunto conciso di quanto gli altri evangelisti dicono su Gesù risorto, in modo che la finale di Marco, se non si conoscesse la narrazione degli altri autori sacri, rimarrebbe incomprensibile. Si nota che lo stile non è più quello del resto del Vangelo, e per di più contiene delle piccole contraddizioni: ad es. la Maddalena è presentata come se fino allora il lettore non ne avesse mai sentito parlare, quando invece la troviamo già in altri brani; le pie donne non seguono il comando di annunciare la risurrezione ai discepoli, ma tacciono; infine la lingua stessa non è quella comunemente utilizzata da Marco. Criticamente, quindi, l'autenticità letteraria della finale non è molto ben fondata, tanto che, comunemente, gli studiosi sono propensi ad ammettere che si tratti di un brano di altra mano.

Rimane comunque l'enigma di come Marco abbia potuto terminare in modo così brusco il suo vangelo al versetto 16,8. Non mancano gli autori che pensano che sia esistita un'altra finale andata persa e poi sostituita dall'attuale, parendo impossibile a costoro di avere un vangelo che termini senza un riferimento alle apparizioni del risorto, elemento caratteristico del kerygma ("annuncio") primitivo.

Gli evangelisti Giovanni e Marco con i rispettivi simboli, affreschi cinquecenteschi nell'abside della Chiesa Parrocchiale di Lonate Pozzolo