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Approfondiamo la conoscenza di Dio

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    00 07/08/2015 20:51
    Tra Dio e l' uomo

    di STEFANO BIAVASCHI



    Negli ultimi due numeri de II Timone abbiamo parlato dei due pilastri fondamentali su cui si costruisce ogni discorso religioso: quello di Dio e quello del' Uomo. Oggi puntiamo la nostra attenzione sul tipo di relazione che viene a costituirsi tra queste due realtà. La stessa parola religione proviene dal latino religare, unire insieme, porre in relazione. Già il fatto che si possa parlare di una qualche relazione è cosa che conforta ogni buon cercatore di verità, in quanto, paradossalmente, potrebbe anche porsi l'ipotesi di un Dio non interessato a stabilire alcun tipo di relazione con l'uomo.

    Per fortuna nessuna religione del mondo (per lo meno nell'ambito monoteista) ci presenta un Dio disinteressato dell'uomo, e questo non per esaudire un'esigenza di fede quanto piuttosto un'esigenza della ragione: un Dio disinteressato dell'uomo non l'avrebbe nemmeno creato. La primissima relazione che Dio instaura con l'uomo è infatti una relazione creatrice. Non vi è una sola religione monoteista che neghi questo dato.

    Dalla Bibbia veniamo però a scoprire un altro dato che non è immediatamente percepibile dalla ragione: la relazione rivelatrice: Dio non solo crea l'uomo e lo conserva nel tempo, ma anche gli si rivela. La Bibbia stessa è storia delle rivelazioni di Dio. La parola rivelare viene da alcuni fatta risalire all'espressione retro velum dare, che in latino significa dare ciò che sta dietro il velo, ossia far conoscere quello che non è immediatamente comprensibile dalla ragione umana, finita e limitata. Per Ebrei e Cristiani, quindi, Dio è un Dio che parla, che si rivela. Quest'irradiazione di luce è dono gratuito di Dio, e non frutto di sforzi o di intuizioni da parte dell'uomo. Il luogo cui questa viene consegnata è la storia, in modo così indissolubile che il racconto stesso degli eventi di rivelazione diventa a sua volta Rivelazione (orale o scritta che sia). La Sacra Scrittura continua quindi nel tempo la Rivelazione di Dio, rendendola accessibile anche alle epoche successive. Mentre nell'Antico Testamento il destinatario di tutto questo è un popolo (da qui nasce l'Ebraismo), nel Nuovo Testamento abbiamo una destinazione universale: tutti gli uomini del mondo, tramite la Chiesa, sono i destinatari della Rivelazione. Il Cristianesimo vede in Gesù Cristo la massima Rivelazione di Dio nella Storia. E con Gesù viene ancora meglio messo a fuoco che la Rivelazione non è una semplice trasmissione di conoscenze alle quali non avremmo mai potuto accedere con la sola ragione. Ma è il manifestarsi della terza relazione che la Persona divina stabilisce con la persona umana: la relazione salvatrice. La Verità è una verità che salva. La storia è storia della salvezza. La scoperta di un Dio che salva è la testimonianza più gioiosa di tutta quanta la Bibbia. E il culmine dell'azione salvifica di Dio nella storia è ancora una volta Gesù Cristo. Conoscerlo equivale a salvarsi.

    Solo chi scambia la Fede con una somma di convinzioni religiose (e quest'approccio gravemente limitante è purtroppo molto diffuso) riduce la Bibbia e il Vangelo a una somma di conoscenze trasmesse, o Cristo a un semplice maestro di saggezza. Credere non è un semplice ritener per vero, ma fiducia nel Dio che salva. Se paragonassimo gli uomini a una serie di pesci sfiduciati dalla vita poichè finiti per loro errore su una spiaggia, non diremmo, per esempio, che l'onda che li recupera restituendoli al mare porta ad essi solo una conferma dell'esistenza dell'acqua, ma diremmo che a tutti gli effetti li ha salvati. Cristo è, per i cristiani, quell'onda più lunga delle altre che solcando il deserto dell'esistenza umana restituisce all'oceano dell'Amore del Padre quell'umanità salvata che per diritto di natura gli apparteneva. L'autocomunicazione di Dio all'uomo è dunque una comunicazione redentrice, poichè la Verità rivelata è in ultima analisi Dio stesso, e Dio non è solo luce di Verità, ma amore rigenerante, redenzione di Grazia, azione salvifica dello Spirito.

    Stefano Biavaschi (ilprofetadelvento@tiscalinet.it)
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    Credente
    00 07/08/2015 20:58

    di Benedetto XVI
    Udienza Generale, Piazza San Pietro 14 novembre 2012

     

     

    Cari fratelli e sorelle,

    abbiamo riflettuto sul desiderio di Dio che l’essere umano porta nel profondo di se stesso. Vorrei continuare ad approfondire questo aspetto meditando brevemente con voi su alcune vie per arrivare alla conoscenza di Dio. Vorrei ricordare, però, che l’iniziativa di Dioprecede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede.

    Tuttavia ci sono delle vie che possono aprire il cuore dell’uomo alla conoscenza di Dio, ci sono dei segni che conducono verso Dio. Certo, spesso rischiamo di essere abbagliati dai luccichii della mondanità, che ci rendono meno capaci di percorrere tali vie o di leggere tali segni. Dio, però, non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama. E’ questa una certezza che ci deve accompagnare ogni giorno, anche se certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo. Questa, però, è la nostra missione, è la missione della Chiesa e ogni credente deve viverla gioiosamente, sentendola come propria, attraverso un’esistenza animata veramente dalla fede, segnata dalla carità, dal servizio a Dio e agli altri, e capace di irradiare speranza. Questa missione splende soprattutto nella santità a cui tutti siamo chiamati.

    Oggi – lo sappiamo – non mancano le difficoltà e le prove per la fede, spesso poco compresa, contestata, rifiutata. San Pietro diceva ai suoi cristiani: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori» (1 Pt 3,15). Nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede. Il beato Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Fides et ratio, sottolineava come la fede sia messa alla prova anche nell’epoca contemporanea, attraversata da forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico (cfr nn. 46-47). Dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni. Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo, considerato come misura e artefice della realtà, ma impoverito del suo essere creatura «a immagine e somiglianza di Dio». Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, «pratico», nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale, e si vive «come se Dio non esistesse» (etsi Deus non daretur). Alla fine, però, questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio.

    In realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli. Le tentazioni che Gesù ha affrontato nel deserto prima della sua missione pubblica, rappresentano bene quegli «idoli» che affascinano l’uomo, quando non va oltre se stesso. Se Dio perde la centralità, l’uomo perde il suo posto giusto, non trova più la sua collocazione nel creato, nelle relazioni con gli altri. Non è tramontato ciò che la saggezza antica evoca con il mito di Prometeo: l’uomo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte.

    Di fronte a questo quadro, la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, non cessa mai di affermare la verità sull’uomo e sul suo destino. Il Concilio Vaticano II afferma sinteticamente così: «La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore» (Cost.Gaudium et spes, 19).

    Quali risposte, allora è chiamata a dare la fede, con «dolcezza e rispetto», all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull’esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui? Vorrei accennare ad alcune vie, che derivano sia dalla riflessione naturale, sia dalla stessa forza della fede. Le vorrei molto sinteticamente riassumere in tre parole: il mondo, l’uomo, la fede.

    La prima: il mondo. Sant’Agostino, che nella sua vita ha cercato lungamente la Verità ed è stato afferrato dalla Verità, ha una bellissima e celebre pagina, in cui afferma così: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134). Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice. Albert Einstein disse che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005). Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione.

    La seconda parola: l’uomo. Sempre sant’Agostino, poi, ha una celebre frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39, 72). Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e diguardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma così: «Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio» (n. 33).

    La terza parola: la fede. Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventatestimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro. La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo. Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli al progetto di Dio che ci ha amati per primo, costituiscono una via privilegiata per quanti sono nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione. Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più trasparente la propria testimonianza di fede, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo. Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’èl’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù. Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.