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Regola per riconoscere la verità (secondo s.Vincenzo Da Lerino)

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    00 18/07/2015 11:46
    IL COMMONITORIO 
    DI SAN VINCENZO DA LERINO 
     


    San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia,
    in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.
    Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa.
    Ecco la “Regola”:



    «NON È SICURAMENTE CATTOLICA, E QUINDI VA RESPINTA, OGNI NOVITÀ IN CONTRASTO CON 
    QUANTO SEMPRE E DOVUNQUE È STATO CREDUTO E  INSEGNATO NELLA CHIESA CATTOLICA». 
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    00 18/07/2015 11:57
    Ogni volta che sorge una questione delicata non sufficientemente chiara può nascere un dibattito o anche un certo disorientamento da parte dei credenti.

    Come districarsi tra tante voci a volte in contrasto fra loro anche all'interno della Chiesa?
    A chi dar retta? A quale autorità dobbiamo obbedire e dare fiducia?
    Diciamo subito che anche in questi tempi difficili, ai fedeli, guidati dalla retta ragione e illuminati dal sensus fidei, è data la possibilità di attingere dagli insegnamenti della Chiesa (Magistero) e dalla Tradizione cattolica, dei criteri sicuri per orientarsi nella tempesta. Infatti il problema non è nuovo e se ne è già discusso in passato, in tempi non sospetti. Quali sono dunque le autorità di cui dobbiamo fidarci? O meglio, quali sono le sorgenti a cui prestare attenzione? Gli studiosi hanno individuato 10 fonti o autorità, che chiamano luoghi teologici:
    • la Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento)
    • la Tradizione (gli insegnamenti di Cristo stesso tramandatici a voce dagli apostoli) 
    • la Chiesa cattolica (intesa nel suo insieme con pastori e fedeli)
    • i Concili, specialmente quelli generali (ecumenici)
    • la Chiesa Romana (intendendo in modo particolare il papa che la guida)
    • i santi Padri
    • i teologi scolastici
    • la ragione naturale
    • la filosofia
    • la storia umana
    Le prime due fonti, Sacra Scrittura e Tradizione, sono le più importanti e rappresentano il deposito costitutivo della Rivelazione (depositum fidei), cioè, se vogliamo, la sorgente principale delle verità di fede. I pontefici e i concili sono invece le autorità che esercitano la funzione di magistero all’interno della Chiesa; sono quindi le autorità che, oltre a trasmetterle fedelmente, sono tenute a spiegare ed eventualmente esplicitare le verità presenti nel deposito della fede. Non è quindi loro compito inventare dottrine nuove o rimuoverne altre. E questo, coi tempi che corrono, mi sembra già un criterio di capitale importanza.
    Fra queste sorgenti la Tradizione ha un posto preminente su tutte le altre, Sacra Scrittura compresa. «Nei primi trent’anni della vita della Chiesa, non vi fu che la Tradizione, ovvero la testimonianza e l’insegnamento degli apostoli. La Tradizione cattolica non è altro che l’insegnamento di Gesù tramandato agli Apostoli e da loro ritrasmesso di generazione in generazione» (R. De Mattei). In tal senso la Tradizione precede sia cronologicamente che logicamente gli scritti del Nuovo Testamento. Melchior Cano (1509-1560) afferma infatti che
    1. la Chiesa è più antica della Scrittura: dunque la fede e la religione esistono anche senza la Scrittura, perché la Chiesa iniziò a trasmettere la Parola di Dio prima che fosse raccolta nei Libri Sacri;
    2. non tutte le cose appartenenti alla dottrina cristiana, comprese quelle contenute nella Sacra Scrittura, sono state formulate con chiarezza;
    3. inoltre molte cose che appartengono alla dottrina e alla Fede cristiana non sono affatto contenute nella Sacra Scrittura;
    4. gli Apostoli, per ragioni della massima importanza, fecero conoscere alcune cose per iscritto e altre, invece, a viva voce.
    Questi punti appartengono da tempo alla dottrina infallibile della Chiesa. A dimostrazione della supremazia della Tradizione sulla Scrittura, è utile ricordare che è stata la Chiesa stessa ad avere stabilito, dopo accurato discernimento, quali fossero tra i molti libri che circolavano nei primi secoli, quelli divinamente ispirati e che nel loro insieme formeranno il Nuovo Testamento.
    Comunque nessuna di queste fonti va considerata assoluta in se stessa e una dottrina per essere ritenuta verità di fede deve possibilmente rifarsi almeno alla Scrittura o alla Tradizione, e ricevere conferma da dei concili o almeno dall’autorità del vescovo di Roma e deve possibilmente avvalersi dell’autorità dei Padri della Chiesa e non essere contraddetta dalle altre fonti veritative (ragione naturale, filosofia e teologia, nonché dalla storia) purché rettamente condotte ed intese.
    San Vincenzo da Lerino riassume molto efficacemente il criterio principale che dobbiamo considerare per valutare la validità di una dottrina: «...ciò che tutti gli uomini hanno creduto in ogni tempo ed ovunque, dev'essere considerato vero».
    Non è invece un criterio affidabile la diffusione e consuetudine raggiunta da una determinata dottrina per poterne dedurre la sua ortodossia. Gli scrittori cattolici così si esprimevano al riguardo: «Ben si sa che la consuetudine quando non è seguita ma contraddetta dalla parte più sana della Comunità, cioè dalle Chiese esatte ed osservanti dei S. Riti, ancorché queste siano di minor numero, non è vera consuetudine, ma corruttela ed abuso».
    Vi possono quindi essere dei momenti in cui parte dei pastori e dei fedeli cadono nell’errore, ma nel suo complesso la Chiesa non può errare e sempre sussisterà almeno un piccolo resto, un piccolo gregge, che saprà custodire e trasmettere la vera fede cattolica. Ma per fare parte di questo piccolo resto non possiamo dimenticare quanto professato in 2000 anni da coloro che ci hanno preceduto su questa terra tramandandoci la fede. Dimenticare questo sarebbe interrompere il flusso delle verità Rivelate che da Cristo devono arrivare agli uomini di tutti i tempi. Sarebbe staccarsi dalle radici, dalla Chiesa da Lui fondata. (FdS)

    [Modificato da Credente 18/07/2015 12:01]
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    00 18/07/2015 12:05

    San Vincenzo di Lerino:
    Regola per distinguere la Verità Cattolica dall’errore

     

    Nella Chiesa Cattolica bisogna avere la più grande cura nel ritenere ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti. Questo è veramente e propriamente cattolico, secondo l'idea di universalità racchiusa nell'etimologia stessa della parola. Ma questo avverrà se noi seguiremo l'universalità, l'antichità, il consenso generale. Seguiremo l'universalità se confesseremo come vera e unica fede quella che la Chiesa intera professa per tutto il mondo; l'antichità, se non ci scostiamo per nulla dai sentimenti che notoriamente proclamarono i nostri santi predecessori e padri; il consenso generale, infine, se, in questa stessa antichità, noi abbracciamo le definizioni e le dottrine di tutti, o quasi, i Vescovi e i Maestri.

    Come, dunque, dovrà comportarsi un cristiano cattolico se qualche piccola frazione, della Chiesa si stacca dalla comunione con la fede universale?
    Dovrà senz'altro anteporre a un membro marcio e pestifero la sanità del corpo intero.

    - Se, però, si tratta di una novità eretica che non è limitata a un piccolo gruppo, ma tenta di contagiare e contaminare la Chiesa intera?
    In tal caso, il cristiano dovrà darsi da fare per aderire all'antichità, la quale non può evidentemente essere alterata da nessuna nuova menzogna.

    E se nella stessa antichità si scopre che un errore è stato condiviso da più persone o addirittura da una città o da una provincia intera?
    In questo caso avrà la massima cura di preferire alla temerità e all'ignoranza di quelli, i decreti, se ve ne sono, di un antico concilio universale. 

    E se sorge una nuova opinione, per la quale nulla si trovi di già definito? 
    Allora egli ricercherà e confronterà le opinioni dei nostri maggiori, di quelli soltanto però che, pur appartenendo a tempi e luoghi diversi, rimasero sempre nella comunione e nella fede dell'unica Chiesa Cattolica e ne divennero maestri approvati. Tutto ciò che troverà che non da uno o due soltanto, ma da tutti insieme, in pieno accordo, è stato ritenuto, scritto, insegnato apertamente, frequentemente e costantemente, sappia che anch'egli lo può credere senza alcuna esitazione. 

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    00 18/07/2015 12:07
    Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è
    l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi.

    Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in
    contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è
    buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata
    dall’“inimicus homo”.


    In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa
    il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede
    una validità indiscutibile ed intramontabile.

    San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere
    più chiaramente ciò che già si credeva in maniera
    molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi
    d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato
    senza capire”».

    Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”, al N° 22, l’ammonizione
    paolina: «O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama
    che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato,
    non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne;
    nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da
    semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo
    dovere seguirlo».

    Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse
    qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora
    possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il
    progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto
    ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A
    condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la
    Fede, non di modificazione.

    Caratteristica del progresso è
    che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa;
    della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in
    un’altra».

    Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem
    sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché,
    se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai
    della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la
    zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo»
    (N° 23).

    San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale,
    ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità
    con l’antico!cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate
    del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale
    immutabilità.

    Leggiamo quanto scrive San Vincenzo al N° 23: «Che la
    religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi,
    i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e
    crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche
    cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva
    nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto
    che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».
    In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello
    sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato
    rilevato (explicatio Fidei).
    Se, invece, con l’aumento dell’età
    «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie,
    se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente
    tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno
    si debiliterebbe».

    «Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano…
    senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà,
    nessuna variazione di ciò che è definito». È, insomma, il grano
    di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre
    di senape.

    Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione”
    o di identità sostanziale, che consente di distinguere
    tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo
    della corruzione dottrinale.

    Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo
    testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la
    norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in
    eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).
    È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un
    vivissimo senso della Chiesa.

    Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché
    la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che
    tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque
    sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate
    tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti
    e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e
    cattolico» (N° 2).

    La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”,
    ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi
    Concilii ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero
    sempre nella comunione e nella fede dell’unica
    Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3).

    Comunque, San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di
    un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha
    tutta la ragione di essere nella Chiesa, affinché il Magistero si
    possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore,
    magari proposte da persone investite di autorità nella Chiesa,
    fattesi “Maestri della Chiesa”, come Nestorio, patriarca
    di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di
    Sirmio (Pannonia) «con la più grande stima di tutti» (N° 11).

    Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare
    e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia
    ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite,
    negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze
    umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione
    di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata
    sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine
    vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni
    dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine
    di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed
    incontaminata» (N° 4).

    «L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna
    nuova menzogna» (N° 3).


    Concludendo, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo
    di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio
    che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante
    e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio
    soggettivo protestantico.

    Ascoltiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:
    «Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio
    quasi divino dei confessori della Fede, è che essi
    hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la
    credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e
    nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi
    della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto,
    preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire
    l’antica fede universale» (N° 5).

    E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro
    settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hanno
    mostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro
    dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa
    annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità
    dell’antichità consacrata».

    Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato,
    quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”,
    le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci
    spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale,
    condizione indispensabile della nostra salvezza!
    (c.p. 6-7).

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    Credente
    00 23/11/2018 17:50
    La Verità, esiste in quanto esiste Dio, il quale dando vita e sussistenza a tutte le cose, resta il termine di riferimento per ogni Verità.
    Al di fuori di Lui non vi è verità assoluta ma al massimo solo relativa.
    Ora Dio si è fatto carne e pertanto è l'unico che può dire e ha effettivamente detto: IO SONO LA VERITA' ... ed ha operato dimostrazioni di questa asserzione con opere, con parole e con atti che nessuno ha mai operato nella storia umana, trasformando anche la storia e l'indirizzo dell'intera umanità.
    Non vedo il paragone che si possa fare tra Maometto, Budda, Confucio che in confronto a Cristo non possono reggere il paragone.
    Se si accetta Lui, resta da verificare che Tale Verità sia stata affidata ad un determinato gruppo di persone e non ad altre, e da questi a persone ben identificate anche storicamente. Mi pare evidente che Dio non poteva lasciare la missione di far luce a tutti, di far lievitare tutta la pasta, di far diventare l'albero piantato così grande da accogliere tutti, in balia di un pensiero relativista che avrebbe potuto ritenere vero tutto o il contrario di tutto, come sembra emergere spesso nelle discussioni Ma ciò non è pensabile se si ritiene Dio come Onnipotente. Ecco perchè Paolo diceva:
    2Timoteo 1,12
    .. so infatti a chi ho creduto e son convinto che Egli è capace di CONSERVARE il mio DEPOSITO fino a quel giorno.