00 23/03/2015 21:01
21. LA PREGHIERA NELLA MOSCHEA DI INSTABUL

Un caso spesso citato dai critici di papa Bergoglio per accusarlo di sincretismo religioso è la visita alla Moschea Blu di Instanbul nel novembre 2014, nella quale si è fermato in preghiera assieme all’imam di fronte al Mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca. Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, lo ha definito un momento «di adorazione silenziosa» e di «dialogo interreligioso». Magdi Cristiano Allam ha accusato il Papa di “relativismo religioso” di “legittimazione dell’Islam”, un gesto di “sottomissione” all’Islam.

Il Pontefice stesso ha spiegato con queste parole il suo gesto: «Io sono andato lì, in Turchia, sono venuto come pellegrino, non come turista. E sono venuto precisamente, il motivo principale era la festa di oggi: sono venuto proprio per condividerla con il Patriarca Bartolomeo, un motivo religioso. Ma poi, quando sono andato in Moschea, io non potevo dire: “No, adesso sono turista”. No, era tutto religioso. E ho visto quella meraviglia! Il muftì mi spiegava bene le cose, con tanta mitezza, e anche con il Corano, dove si parlava di Maria e di Giovanni il Battista, mi spiegava tutto… In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. E ho detto: “Preghiamo un po’?” – “Sì, sì”, ha detto lui. E io ho pregato: per la Turchia, per la pace, per il muftì… per tutti… per me, che ho bisogno… Ho pregato, davvero… E ho pregato per la pace, soprattutto. Ho detto: “Signore, finiamola con la guerra…”. Così, è stato un momento di preghiera sincera».

Sull’accaduto è intervenuto anche uno dei maggiori studiosi di Islam turco, Padre Alberto Fabio Ambrosio, domenicano, e professore associato presso il dipartimento di teologia dell’Università di Metz in Francia, che ha valorizzato il gesto di Francesco spiegando che non vi è stato nulla di sincretistico, blasfemo o relativistico.

Ricordiamo che anche Benedetto XVI fece una cosa simile quando nel 2006 si recò nella Moscha Blu: accompagnato dal Gran Mufti di Istanbul, Mustafa Cagrici, si è anch’egli fermato in preghiera davanti al Mihrab verso la quale indirizzano le loro preghiere i fedeli musulmani, come è stato descritto. In quell’occasaione padre Federico Lombardi precisò: «Davanti al Mihrab, nella Moschea Blu, il Papa ha sostato in meditazione e certamente ha rivolto a Dio il suo pensiero». La notizia della “preghiera di Benedetto XVI nella moschea” raggiunse subito i media, ma nessuno lo accusò di sincretismo o relativismo.





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22. EVANGELIZZAZIONE E PROSELITISMO COME “SOLENNE SCIOCCHEZZA”

Alcuni hanno criticato Papa Francesco per aver affermato che il proselitismo è una “solenne sciocchezza”, inducendo subdolamente l’idea che proselitismo equivalga ad “evangelizzazione”. Il giornalista Antonio Socci, ad esempio, ha scritto ad esempio: la chiesa di Bergoglio «definisce “una solenne sciocchezza” l’annuncio cristiano e il proselitismo». E’ una manipolazione del pensiero del Papa, Francesco non ha mai equiparato l’annuncio cristiano (l’evangelizzazione) al proselitismo. In tantissimi suoi discorsi ha infatti parlato dell’urgenza di evangelizzare i popoli, della “Chiesa in uscita”, ha invitato a non cadere nel tranello di chi dice che «portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà». Ma non una testimonianza cristiana isolata perché «non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale». Egli ha criticato soltanto il proselitismo, che è un’altra cosa: l’ideologia dell’ingrossare le file a tutti i costi perdendo la freschezza dell’annuncio cristiano. La differenza tra proselitismo e evangelizzazione l’ha spiegata molto bene durante l’omelia del 1 ottobre 2013.

Oltretutto, è stato Benedetto XVI il primo ad affermare: «La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”». Il blog tradizionalista “Messainlatino” si è infatti scandalizzato per le parole di Francesco sul proselitismo come “solenne sciocchezza”, scrivendo che avrebbe riconfermato «le sconcertanti linee guida che aveva dato alla C.E. Brasiliana nel luglio scorso: “La Chiesa non faccia proselitismo”» (con tanto di link a quel discorso). Non si sono accorti che quelle parole sono di Benedetto XVI e risalgono al 2007, come infatti il loro stesso collegamento ipertestuale dimostra. Infatti, Papa Francesco si è sempre riferito a Benedetto XVI quando ha criticato il proselitismo, come ad esempio durante l’omelia a Santa Marta del maggio 2013, quando ha ricordato che San Paolo è «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole».

Il teologo Gianni Gennari ha risposto alle critiche a Francesco per la frase “il proselitismo è una solenne sciocchezza”: « Qualche commentatore, abituato a vagliare il pensiero dei Papi con le proprie idee come metro di misura, ha espresso dubbi sul significato di quelle parole, e su siti che da tempo non fanno altro che brontolare, e spesso distorcere apposta le parole e i gesti di Francesco, le sottolineature e le proteste sono state e sono ancora tante. E allora vale la pena di ricordare che la differenza tra missione e proselitismo è grande, e decisiva. La “missione” in senso cristiano è l’annuncio di salvezza, l’Evangelo, la buona notizia dell’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, Figlio di Dio e Dio Egli stesso, e questo annuncio è fatto con i mezzi indicati da Lui stesso: come agnelli in mezzo ai lupi, nella mitezza e nella misericordia, senza la pretesa di usare mezzi di forza e di potere… Nessuna forzatura quindi della libera volontà degli “evangelizzati”, nessuna pretesa di convincere per forza, nessuna fretta di annettersi con altri mezzi persone di altre religioni, o di nessuna religione. La fede è dono che va annunciato e presentato alla libertà dell’uomo, di ogni uomo, di qualsiasi condizione. La novità del linguaggio di Francesco, e la sua perentorietà che può sorprendere, con quell’epiteto, “una solenne sciocchezza”, non è altro che traduzione odierna di una condotta che risale alla mitezza ed all’esempio di Gesù e di coloro che, tra i suoi discepoli davvero fedeli, hanno conservato nei secoli, lo “stile” autentico della missione cristiana, per la quale non c’è stato mai bisogno, come per altri “stili”, di chiedere perdono a Dio e agli uomini nel corso dei secoli».

Anche il vaticanista de ”L’Espresso”, Sandro Magister, molte volte critico con Papa Francesco ha riconosciuto: «Già numerose volte papa Jorge Mario Bergoglio ha insistito sul fatto che la Chiesa “non è una ONG assistenziale”. Né che fa “proselitismo”: pratica da lui bollata nel celebre colloquio con Eugenio Scalfari come “una solenne sciocchezza”, che “non ha senso”. Ma ciò non significa per Francesco che la Chiesa debba chiudersi in se stessa e rinunciare a convertire. Tutt’altro. Fin da quando è stato eletto alla sede di Pietro, papa Bergoglio non ha fatto che incitare la Chiesa ad “aprirsi”, a raggiungere gli uomini fin nelle loro più remote “periferie esistenziali”. In effetti, l’inaridimento della spinta missionaria è uno dei punti di maggior criticità della Chiesa cattolica degli ultimi decenni. È una crisi iniziata negli anni del Concilio Vaticano II e aggravatasi negli anni successivi, contro la quale Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI hanno cercato di invertire la rotta. Con scarsi risultati. Ora ci prova Francesco».



Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice è intervenuto su questa tematica:

Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane. Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi “testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo. Invito i Vescovi, i Presbiteri, i Consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di “rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni”, di fronte a tutti i popoli. Spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà”. Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che “quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa”. Egli non agisce “per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa”. E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo. […] La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa – lo ripeto ancora una volta – non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall’azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino».

Il 1 ottobre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «“La Chiesa – ci diceva Benedetto XVI – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno che dice il profeta Zaccaria: ‘Vogliamo venire con voi!’. La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità, di questa carità umile, senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve”. “E’ semplice la carità: adorare Dio e servire gli altri! E questa testimonianza che fa crescere la Chiesa. Ecco perché una suora tanto umile, ma tanto fiduciosa in Dio, come Santa Teresa di Gesù Bambino, è stata nominata Patrona delle Missioni, perché il suo esempio fa sì che la gente dica ‘Vogliamo venire con voi!’».

Il 1 ottobre 2013 il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco, in essa Francesco ha (avrebbe) affermato: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogno». La Santa Sede ha comunque definito questa intervista “attendibile in senso generale ma non nelle singole formulazioni”. Molte critiche sono arrivate per questa frase, peccato che -come ha già esplicitato nell’introduzione e lo farà anche in seguito- Francesco stia citando Benedetto XVI nella sua omelia del 13 maggio 2007.

Il 16 ottobre 2013 durante l’Udienza generale, Francesco ha affermato: «la Chiesa è apostolica perché è inviata a portare il Vangelo a tutto il mondo. Continua nel cammino della storia la missione stessa che Gesù ha affidato agli Apostoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Questo è ciò che Gesù ci ha detto di fare! Insisto su questo aspetto della missionarietà, perché Cristo invita tutti ad “andare” incontro agli altri, ci invia, ci chiede di muoverci per portare la gioia del Vangelo! Ancora una volta chiediamoci: siamo missionari con la nostra parola, ma soprattutto con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza? O siamo cristiani chiusi nel nostro cuore e nelle nostre chiese, cristiani di sacrestia? Cristiani solo a parole, ma che vivono come pagani? Dobbiamo farci queste domande, che non sono un rimprovero. Anch’io lo dico a me stesso: come sono cristiano, con la testimonianza davvero? La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata – inviata da Gesù – , di essere missionaria, portando il nome di Gesù con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza. Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato, una Chiesa che guarda soltanto le piccole regole di abitudini, di atteggiamenti, è una Chiesa che tradisce la propria identità; una Chiesa chiusa tradisce la propria identità! Allora, riscopriamo oggi tutta la bellezza e la responsabilità di essere Chiesa apostolica! E ricordatevi: Chiesa apostolica perché preghiamo – primo compito – e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e con le nostre parole».

Il 20 ottobre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «Oggi ricorre la Giornata Mondiale Missionaria. Qual è la missione della Chiesa? Diffondere nel mondo la fiamma della fede, che Gesù ha acceso nel mondo: la fede in Dio che è Padre, Amore, Misericordia. Il metodo della missione cristiana non è il proselitismo, ma quello della fiamma condivisa che riscalda l’anima. Ringrazio tutti coloro che con la preghiera e l’aiuto concreto sostengono l’opera missionaria, in particolare la sollecitudine del Vescovo di Roma per la diffusione del Vangelo».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui che nei fatti è un inno alla necessità di evangelizzare: «quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale […]. Rimarchiamo che l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione” […]. L’attività missionaria rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa […]. è il paradigma di ogni opera della Chiesa […]. “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7) […]. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà […]. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. […]. È imperioso il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo. Nei Paesi di tradizione cattolica si tratterà di accompagnare, curare e rafforzare la ricchezza che già esiste, e nei Paesi di altre tradizioni religiose o profondamente secolarizzati si tratterà di favorire nuovi processi di evangelizzazione della cultura, benché presuppongano progetti a lunghissimo termine […] Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che nel medesimo tempo li chiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio».

Il 29 novembre 2013 nel colloquio con i Superiori Generali dei Gesuiti, Francesco ha ricordato: «Benedetto XVI ha detto che la Chiesa cresce per testimonianza, non per proselitismo. La testimo­nianza che può attirare veramente è quella legata ad atteggiamenti che non sono gli abituali: la generosità, il distacco, il sacrificio, il dimenticarsi di sé per occuparsi degli altri. E quella la testimonian­za, il “martirio” della vita religiosa. E per la gente è un “segnale di allarme”. I religiosi, con la loro vita, dicono alla gente: “Che cosa sta succedendo?”, queste persone mi dicono qualcosa! Queste persone vanno al di là dell’orizzonte mondano! Ecco, la vita religiosa deve permettere la crescita della Chiesa per la via dell’attrazione».

Il 5 aprile 2014 durante un’intervista con alcuni giovani del Belgio, Francesco ha risposto ad una ragazza che ha espresso timori nel parlare pubblicamente della sua fede: «Testimoniare con semplicità. Perché se tu vai con la tua fede come una bandiera, come le crociate, e vai a fare proselitismo, quello non va. La strada migliore è la testimonianza, ma umile: “Io sono così”, con umiltà, senza trionfalismo. Quello è un altro peccato nostro, un altro atteggiamento cattivo, il trionfalismo. Gesù non è stato trionfalista, e anche la storia ci insegna a non essere trionfalisti, perché i grandi trionfalisti sono stati sconfitti. La testimonianza: questa è una chiave, questa interpella. Io la dò con umiltà, senza fare proselitismo. La offro. E’ così. E questo non fa paura. Non vai alle crociate. ».

Il 17 agosto 2014 nel suo discorso ai vescovi dell’Asia durante il viaggio in Corea del Sud, Francesco ha affermato: «In questo vasto Continente, nel quale abita una grande varietà di culture, la Chiesa è chiamata ad essere versatile e creativa nella sua testimonianza al Vangelo, mediante il dialogo e l’apertura verso tutti. […] Ma nell’intraprendere il cammino del dialogo con individui e culture, quale dev’essere il nostro punto di partenza e il nostro punto di riferimento fondamentale che ci guida alla nostra meta? Certamente esso è la nostra identità propria, la nostra identità di cristiani. Non possiamo impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità. Dal niente, dal nulla, dalla nebbia dell’autocoscienza non si può dialogare, non si può incominciare a dialogare. E, d’altra parte, non può esserci dialogo autentico se non siamo capaci di aprire la mente e il cuore, con empatia e sincera accoglienza verso coloro ai quali parliamo […]. Siamo arricchiti dalla sapienza dell’altro e diventiamo aperti a percorrere insieme il cammino di una più profonda conoscenza, amicizia e solidarietà. “Ma, fratello Papa, noi facciamo questo, ma forse non convertiamo nessuno o pochi…”. Intanto tu fai questo: con la tua identità, ascolta l’altro. Qual è stato il primo comandamento di Dio Padre al nostro padre Abramo? “Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”. E così, con la mia identità e con la mia empatia, apertura, cammino con l’altro. Non cerco di portarlo dalla mia parte, non faccio proselitismo. Papa Benedetto ci ha detto chiaramente: “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione».

Il 14 marzo 2015 durante il discorso alla comunità “Seguimi”, ha detto: «Siete chiamati a permeare di valori cristiani gli ambienti in cui operate con la testimonianza e la parola, incontrando le persone nelle loro situazioni concrete, affinché abbiano piena dignità e siano raggiunte dalla salvezza in Cristo».