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17. INTERVISTE CONCESSE A EUGENIO SCALFARI

Sulle interviste che Papa Francesco ha rilasciato al quotidiano “Repubblica” si sono scritti fiumi di parole, Francesco ha lanciato un segno di apertura verso un ambiente culturale fortemente anticlericale, ha incontrato Eugenio Scalfari e ha dialogato con lui. Purtroppo, com’era prevedibile, Scalfari non si è dimostrato all’altezza e con disonestà ha pubblicato i dialoghi privati avuti con il Pontefice, mettendogli in bocca affermazioni ambigue che mai Francesco ha ripreso o ripetuto durante i suoi discorsi pubblici. Il portavoce della Santa Sede è intervenuto, anche duramente, per smentire l’attendibilità delle singole affermazioni attribuite al Papa. Il giochino è durato qualche mese, poi gli incontri, o semplicemente il permesso di pubblicare i contenuti, si sono interrotti.



Di seguito in ordine cronologico lo svolgimento dei fatti:

Il 4 settembre 2013 Papa Francesco ha risposto tramite lettera ad alcune domande poste da Eugenio Scalfari su “Repubblica”. Si legge: «Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità». E ancora: «la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire […]. Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione».

Il 1 ottobre 2013 il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco in cui quest’ultimo afferma: «ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce». Uno strano inno al relativismo in stile scalfariano, ed infatti Scalfari ha ammesso che nelle interviste «cerco di capire la persona intervistata e poi scrivo le risposte con parole mie. Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge». La segreteria di Stato Vaticano ha rimosso l’intervista dal proprio sito web e padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha spiegato benevolmente che il colloquio «non era stato rivisto parola per parola». Quindi l’intervista è «attendibile nel suo senso generale ma non nelle singole formulazioni. In questo senso è stato ritenuto più corretto lasciargli la sua natura giornalistica, con l’intervista pubblicata su Repubblica, e non il testo sul sito della Santa Sede».

Il 27 ottobre 2013 lo scrittore Antonio Socci ha scritto: «il Papa da settimane viene “impiccato” (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla “Repubblica” il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male. Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe. Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così? Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il papa)? E’ evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe. Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad vere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco […] Ma chi sta col “randello” del pregiudizio in mano con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire. Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione. Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco. Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il papa ha cercato di evitare equivoci. A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto – come padre Lombardi ha sottolineato – essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco. Ma anche in questo caso ci sono i “troppo zelanti” che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano. Pare che il papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa. Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media. Anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, dalla loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio».

Il 28 aprile 2014 il sito “Dagospia” ha rivelato che Scalfari si sarebbe fatto ricevere un’altra volta da Francesco. Una volta concluso il dialogo, Scalfari avrebbe ricevuto una telefonata dal segretario del Papa il qualo lo ha pregato di non rendicontare su ”Repubblica” i contenuti dell’incontro avuto. La fonte che ha diffuso questa notizia ci impone di parlare al condizionale.

Il 13 luglio 2014 su “Repubblica” è uscita una seconda intervista a Francesco da parte di Eugenio Scalfari, in essa il Papa affermerebbe: «Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali», e rispetto all’abolizione dell celibato sacerdotale: «Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò».

Il 13 luglio 2014 padre Federico Lombardi è dovuto intervenire nuovamente su una nuova intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco pubblicata su “Repubblica”: «Non si può e non si deve parlare in alcun modo di intervista nel senso abituale del termine. Il colloquio è cordiale e molto interessante e tocca principalmente i temi della piaga degli abusi sessuali su minori e dell’atteggiamento della Chiesa verso la mafia. Tuttavia come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore”. Se quindi si può ritenere che nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio fra il Santo Padre e Scalfari, occorre ribadire con forza quanto già si era detto in occasione di una precedente “intervista” apparsa su Repubblica, cioè che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa. Ad esempio e in particolare ciò vale per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei “cardinali”, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”. Nell’articolo pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente – le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura… Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?».

Il 15 luglio 2014 lo scrittore Vittorio Messori ha affermato a proposito dell’intervista di Scalfari a Francesco: «non solo siamo di fronte a un colloquio privato, e non a un testo magisteriale, ma in più non si sa nemmeno che cosa abbia detto il papa. Sappiamo che cosa ha detto Scalfari, o meglio, cosa ha capito, affibbiandolo poi al papa».





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18. PROGRESSISMO E TRADIZIONALISMO

Come abbiamo scritto siamo molto grati a Francesco per aver sconfessato sia l’ideologia progressista che quella tradizionalista, entrambi estremismi minoritari nella religione cattolica. I primi hanno cercato di manipolarlo facendo credere che fosse il Papa che finalmente avrebbe rivoluzionato la Chiesa adeguandola al mondo, e i secondi ci sono cascati opponendosi al profilo del Papa disegnato dai progressisti.

Né gli uni né gli altri raccontano il vero e Francesco ha ben pensato di lanciare stoccate agli uni e agli altri: si è scagliato contro il «progressismo adolescenziale» e contro il «tradizionalismo zelante»; ha criticato l’allarmismo catastrofico così come il feticismo degli idoli della società moderna; si è opposto al buonismo distruttivo e al machismo in gonnella, ha criticato i gruppi tradizionalisti chiedendo però di rispettarli («dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, di catechizzare, di dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare. Perché tu non puoi annullare una persona dicendo: “Questo è un conservatore”. No. Questo è figlio di Dio tanto quanto me. Ma tu vieni, parliamo. Se lui non vuole parlare è un problema suo, ma io ho rispetto. Pazienza, mitezza e dialogo»). Ha scomunicato i fondatori di “Noi siamo Chiesa”, riferimento principale del progressismo cattolico internazionale (gli amici di Vito Mancuso, per intenderci). Il discorso più importante è stato certamente quello a conclusione del Sinodo sulla Famiglia, quando ha preso posizione chiaramente contro entrambe queste ideologie.

Il prof. Guzmán Carriquiry Lecour, vicepresidente della Pontificia Commissione per l’America Latina e amico personale del Santo Padre, ha criticato «il rifiuto sistematico e pieno di pregiudizi che si avvertono in alcune reazioni di settori ultraminoritari in seno alla Chiesa stessa». Il Papa, per usare termini politici, è strumentalizzato da “sinistra” e combattuto da “destra”, «i reazionari concordano e si alimentano anche con la figura falsata che pretendono di diffondere ambienti ecclesiastici e mediatici di progressismo liberal. Li accomuna l’immagine di un Papa che vuole cambiare insegnamenti dottrinali e morali della Chiesa, e che viene contrapposto dai predecessori».



Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice ha parlato del progressismo e del tradizionalismo:

Il 12 giugno 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha ricordato che sono due le tentazioni da affrontare in questo momento della storia della Chiesa: andare indietro perché timorosi della libertà che viene dalla legge «compiuta nello Spirito Santo» e cedere a un «progressismo adolescente», incline cioè a seguire i valori più accattivanti proposti dalla cultura dominante. Il progressismo è una cultura che va avanti, dalla quale non riusciamo a distaccarci e della quale prendiamo le leggi e i valori che ci piacciono di più, come fanno appunto gli adolescenti. Alla fine il rischio che si corre è di scivolare, «così come la macchina scivola sulla strada gelata e va fuori strada».

Il 18 novembre 2013 durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il Pontefice, commentando il libro dei Maccabei, ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico». Coloro che dicono: «Non ci chiudiamo. Siamo progressisti», «lo spirito del progressismo adolescente» secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni». Il Papa fa riferimento al romanzo “Il padrone del mondo” di Benson che si sofferma proprio su «quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia». Oggi, avverte il Papa, si pensa che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge una critica al «neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». In questo e in altri casi «né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico.»

Il 22 maggio 2014 è emersa la notizia che la Chiesa di Francesco ha scomunicato i due fondatori di “Noi siamo Chiesa”, Martha Heizer e il marito Gert. Si tratta di una delle organizzazioni “cattoliche” progressiste più critiche verso la Chiesa e il suo magistero, in Italia è vicina all’agenzia “Adista” e al vaticanista de “Il Manifesto” Luca Kocci, che infatti ha criticato duramente l’accaduto, scrivendo: «la sco­mu­nica alla pre­si­dente è un duro colpo al dia­logo con il mondo cat­to­lico di base, che sem­brava essersi ria­perto con papa Fran­ce­sco, il quale però era sicu­ra­mente infor­mato del provvedimento». La scomunica è arrivata da Francesco, come ha confermato la giornalista Tiziana Volpi di “Il mio Papa”. Anche il teologo Vito Mancuso ha scritto: «La chiesa di papa Francesco ha scomunicato di recente, il 18 settembre 2013, un sacerdote australiano, Greg Reynolds, per aver promosso l’ordinazione sacerdotale delle donne e il riconoscimento sacramentale delle coppie gay, e sempre sotto Francesco si è avuta un mese fa la scomunica di Martha Heizer, teologa cattolica austriaca, presidente del movimento internazionale “Noi Siamo Chiesa”, sostanzialmente per gli stessi motivi».

Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione del “Sinodo sulla Famiglia”, Francesco ha sintetizzato le caratteristiche dei momenti di tensione verificatosi: «una: la tentazione dell’ irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti. La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf.Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” (Lc 10, 27). La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. La tentazione di trascurare il “depositum fidei”, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”, credo, queste cose».

Il 10 novembre 2014 lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di occuparsi “soltanto” di randellare i “conservatori”: come si evince da questo dossier, Francesco ha “randellato” molto anche i “progressisti” (“progressismo adolescenziale”, cfr. 18/11/13 e 12/07/13). Tuttavia, chi pensava di aver la coscienza a posto in quanto “conservatore” e “tradizionalista” è stato preso in contropiede da Francesco che ha definito questo comportamento definendolo una «presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». Non stupisce la campagna antipapista di Antonio Socci e la coda di paglia dei tradizionalisti.

Il 13 novembre 2014 in un’intervista il vaticanista Sandro Magister ha parlato di presunte contraddizioni di Francesco, commentando anche il fatto che critichi sia i progressisti che i tradizionalisti: «È un altro dei moduli espressivi ricorrenti di questo pontefice: la reprimenda di una parte e all’altra. Però, a voler fare un inventario, le sue bacchettate ai tradizionalisti, ai legalisti, ai rigidi difensori dell’arida dottrina, appaiono molto più numerose e mirate. Quando invece se la prende con i buonisti, non si capisce mai a chi si riferisca». Suona abbastanza ridicolo mettersi a conteggiare gli interventi del Papa contro una parte piuttosto che contro l’altra, probabilmente Francesco sta cercando di equilibrare le critiche dato che i suoi predecessori hanno giustamente preso di mira sopratutto il “cattolicesimo adulto” dei progressisti. In secondo luogo è invece decisamente chiaro cosa intenda il Papa quando critica i “buonisti”: «La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio» . Più chiaro di così!





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19. NOMINE RIVOLUZIONARIE E SOSTITUZIONE DEI CONSERVATORI

Francesco è stato incredibilmente anche accusato di aver nominato cardinali coloro che sentiva più vicini al suo pensiero e in linea con il suo pontificato. Lo ha fatto ad esempio il vaticanista Sandro Magister scrivendo che il Papa avrebbe immesso «nel collegio cardinalizio un buon numero di suoi favoriti, rimodellandolo a propria immagine e somiglianza più di quanto avvenisse in passato». Anche se fosse vero, è una cosa normale ed è difficile dimostrare che invece i suoi predecessori abbiano nominato cardinali persone lontane dal loro pensiero, magari progressisti e innovatori.

Un’altra accusa è che Francesco nomini cardinali soltanto i “progressisti” a discapito dei “conservatori”. Il giornalista Antonio Socci ha ad esempio teorizzato un complotto del “modernismo” sul fatto Francesco abbia annunciato la creazione di 10 nuovi cardinali il 15 febbraio 2014, oltre ai 19 creati nel febbraio 2013: «Perché così tante nomine ravvicinate?», si è chiesto. «Per ribaltare la tendenza “ratzingeriana” maggioritaria nel collegio cardinalizio? C’è una certa inquietudine nel mondo ecclesiastico perché si sospetta che gli ambienti progressisti della Curia, oggi al potere, premano per avere un futuro Conclave spostato verso la sinistra modernista. Al di là dei 78 anni del papa ci sono anche le frequenti voci di un suo ritiro. Prima che ciò avvenga forse qualcuno vuole il ribaltone progressista nel collegio cardinalizio. Esso infatti nel 2013 non era affatto “progressista” ed elesse Bergoglio solo perché si fece credere che fosse in continuità con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Non a caso poi, al recente Sinodo, Bergoglio è andato clamorosamente in minoranza. Dunque sta arrivando il ribaltone per il futuro Conclave?».

Il criterio della nomina dei cardinali per Francesco in realtà non è dettato dalla collimazione del pensiero ma piuttosto dall’area geografica, la sua intenzione è quella della “Chiesa in uscita” e intende coinvolgere gli episcopati di ogni parte del mondo alla guida della Chiesa, la quale non è italiana o occidentale ma universale. Si spiegano così le nomine cardinalizie di vescovi e arcivescovi dell’Etiopia, del Vietnam, di Myanmar, della Tailandia, di Panamá, dell’Arcipelago di Capo Verde e delle Isole di Tonga. D’altra parte lo ha spiegato anche padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede: è il criterio della universalità: tra elettori ed emeriti, infatti, sono 18 i Paesi del mondo rappresentati. Non solo: tra le 14 nazioni di provenienza degli elettori, 6 non avevano un cardinale o non lo avevano mai avuto oppure si tratta «di comunità ecclesiali piccole o in situazioni di minoranza». Tra essi ci sono conservatori e progressisti. Anche il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha spiegato che le scelte cardinalizie sono «molto libere e direi scelte molto personali, che privilegiano la periferia e anche zone del mondo verso le quali non si era espressa finora una grande attenzione della Chiesa». All’osservazione che in questo concistoro non ci sono nuovi cardinali nordamericani, Parolin ha replicato: «Verranno più avanti, ma il concistoro non è contro nessuno, non dobbiamo leggere le scelte del papa secondo queste categorie, sono categorie che falsano la prospettiva del papa. I cardinali nordamericani sono già tanti, quindi non è assolutamente una scelta contro ma una scelta che ha adottato altri criteri rispetto a quelli tradizionali, questo sì, ma siamo abituati ormai a questo stile del papa».



Di seguito alcuni dati in ordine cronologico che smentiscono le accuse di nominare soltanto i “progressisti” a discapito dei cardinali “conservatori”:

Il 22 febbraio 2014 Papa Francesco ha nominato cardinale l’arcivescovo emerito di Pamplona, Fernando Sebastián Aguilar. Il vaticanista Sandro Magister ha fatto notare il forte legame tra Aguilar e Bergoglio, quest’ultimo addirittura ha ammirato i suoi libri e nel 2006, incontrandolo per la prima volta, gli ha rivelato di considerarsi “suo alunno” a distanza. In un’intervista, il neocardinale ha esposto la sua opinione sull’omosessualità, non proprio progressista: «Con tutto il rispetto dico che l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. Il segnalare a un omosessuale una deficienza non è un’offesa, è un aiuto perché molti casi di omosessualità si possono ricuperare e normalizzare con un trattamento adeguato. Non è offesa, è stima. Quando una persona ha un difetto, il vero amico è colui che glielo dice».

Il 4 giugno 2014 il vaticanista Matteo Matzuzzi ha rivelato che Francesco ha nominato arcivescovo di Baden-Württemberg mons. Stephan Burger, ritenuto “un conservatore”. Il Papa avrebbe rifiutato una terna di nomi proposta poiché ritenuta troppo liberal. L’estate precedente aveva invece accettato immediatamente la rinuncia di mons. Robert Zollitsch, tra i più convinti sostenitori della necessità di un aggiornamento allo spirito del tempo dell’insegnamento cattolico, senza far trascorrere qualche mese o anno, come da prassi.

Il 24 novembre 2014 Papa Francesco ha nominato come nuovo prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti il cardinale guineano Robert Sarah. Il vaticanista Matteo Matzuzzi ha spiegato: «il mondo tradizionalista può tirare un sospiro di sollievo, ricordando come Sarah sia uno dei porporati che più sostengono l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum». Sarah, infatti, durante il Sinodo dell’ottobre 2014 contestava «l’impianto del documento, e sulle aperture alle coppie formate da persone dello stesso sesso osservava che “quanto è stato pubblicato è un tentativo per fare pressione sulla chiesa e farle cambiare la dottrina”, visto che “mai s’è voluto giudicare la persona omosessuale, ma i comportamenti e le unioni omosessuali sono una grave deviazione della sessualità” […] Sempre nelle giornate sinodali, il cardinale guineano spiegava che “quelli messi in atto da determinati governi e da determinate organizzazioni sono tentativi di contrastare la concezione di famiglia naturale, fondata sul rapporto uomo-donna: e la chiesa non può tacere di fronte a questo”».

Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha risposto ad una giornalista che parlava di “gruppi ultraconservatori”: «Questi gruppi conservatori… dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, di catechizzare, di dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare. Perché tu non puoi annullare una persona dicendo: “Questo è un conservatore”. No. Questo è figlio di Dio tanto quanto me. Ma tu vieni, parliamo. Se lui non vuole parlare è un problema suo, ma io ho rispetto. Pazienza, mitezza e dialogo».

Il 3 dicembre 2014 la vaticanista de “Il Messaggero”, Franca Giansoldati, si è inventata che il motivo per cui Papa Francesco avrebbe sostituito il comandante della Guardia Svizzera, Daniel Rudof Anrig, sarebbe stato quello che il Pontefice «avrebbe voluto vedere un corpo militare meno rigido, con regole meno ossessive di quanto non fossero quelle imposte dal colonnello Anrig», insultandolo gratuitamente con definizioni come «persona rigidissima. Teutonica». Il 7 dicembre 2014, in un’intervista per “La Nacion”, Francesco ha smentito questa ricostruzione: «Due mesi dopo la mia elezione era scaduto il suo mandato di cinque anni. Non mi sembrava giusto prendere una decisione in quel momento e prorogai il mandato». Durante la visita al quartier generale delle Guardie, «ho conosciuto le persone e mi è sembrato più sano un rinnovamento… nessuno è eterno. Ho parlato con lui a luglio, rimanendo d’accordo che alla fine dell’anno avrebbe lasciato. È un cambio normale, non c’è niente di strano, non c’è alcun suo peccato né alcuna sua colpa. E’ una persona eccellente, un cattolico molto buono che ha un’eccellente famiglia». Alla domanda se il cambio è avvenuto perché il comandante era troppo severo, risponde: «No, certamente no». E quanto al suo grande appartamento: «L’anno scorso si è fatta una ristrutturazione degli appartamenti, quello suo è certamente spazioso perché ha quattro figli». Nel febbraio 2015 la stessa Giansoldati ha intervistato Hanrig il quale ha spiegando che «è normale che un superiore possa prevedere un cambiamento. Per certi versi era prevedibile anche se francamente non me lo aspettavo […] Sono tuttavia felice e onorato che il Papa mi ha concesso una udienza di congedo per un saluto assieme alla mia famiglia prima di partire». Ha respinto le voci per le quali sarebbe stato congedato a causa delle sue regole troppo severe.

Il 4 gennaio 2015 il vaticanista de “L’Espresso”, Sandro Magister, ha osservato che tra i nominati, tra i nuovi cardinali, c’è anche Alberto Suárez Inda, il primo vescovo messicano a celebrare la messa in rito antico nella propria cattedrale, dopo la pubblicazione nel 2007 del motu proprio di Benedetto XVI “Summorum pontificum”.

Il 6 gennaio 2015 il vaticanista de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Politi, ha profetizzato che Francesco metterà uomini suoi (ovviamente progressisti) a capo delle Cause dei Santi e dell’Educazione.

Il 7 gennaio 2015 il vaticanista Andrea Tornielli ha fatto notare come di fatto Francesco abbia semplicemente voluto equilibrare meglio le nomine: infatti, nonostante le scelte di Bergoglio, l’Italia e gli Stati Uniti continuano a contare su un numero di porporati elettori con due cifre: per l’Italia ci sono 26 cardinali con diritto ad entrare in conclave, 10 sono vescovi residenziali e 16 curiali: una presenza pari al 21 per cento del collegio elettorale. Mentre gli Usa hanno 11 porporati elettori. In generale, su 125 porporati con diritto di voto, 34 appartengono alla Curia romana (in carica o emeriti con meno di ottant’anni): le porpore curiali pesano dunque per il 27 per cento.

L’13 febbraio 2015 il vaticanista John Allen ha spiegato che nell’ordinazione dei 20 cardinali «ci sono un paio di moderati ben noti, tra cui John Atcherley Dew della Nuova Zelanda e Ricardo Blázquez Pérez della Spagna. Ma ci sono anche i conservatori, come Berhaneyesus Souraphiel Demerew di Addis Abeba, in Etiopia, che ha firmato una lettera di sostegno al divieto costituzionale delle attività omosessuale. Era anche parte di una task force inter-religiosa in Etiopia che ha chiamato il comportamento omosessuale “l’apice della immoralità”. Tutto questo, naturalmente, non è altro che portare la leadership della Chiesa in tutte le realtà demografiche, bypassando i tradizionali centri di potere».





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20. ALTRE RELIGIONI E ACCUSE DI SINCRETISMO RELIGIOSO

Francesco ha indubbiamente molto a cuore l’unità dei cristiani, ne ha parlato molte volte anche con insistenza. Ha introdotto anche un’osservazione che ormai è di dominio pubblico: l’ecumenismo del sangue. «Per coloro che uccidono, siamo cristiani», ha spiegato. «Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato». Spesso ha anche parlato dell’ecumenismo spirituale.

Francesco ha tuttavia ricevuto anche dure accuse di relativismo e sincretismo religioso, che tuttavia riteniamo infondate. Un caso spesso citato dai critici è il raccoglimento in preghiera assieme all’imam durante il viaggio in Turchia del novembre 2014 nella Moschea Blu di Instanbul, a cui abbiamo dedicato un paragrafo a parte.

Chi avanza queste accuse dimentica che proprio in un documento importante del suo pontificato, l’Evangelii Gaudium, Francesco ha messo in guardia dal «sincretismo conciliante», definito una forma di «totalitarismo». Ha quindi ricordato che la vera “apertura”, termine abusato da media e sincretisti, «implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa». Altrimenti un’apertura diplomatica «che dice sì a tutto per evitare i problemi, sarebbe un modo di ingannare l’altro e negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente». Per questo ha sostenuto che il dialogo interreligioso ha il fine di evangelizzare gli altri: «L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente».

Francesco ha anche ribadito insistentemente, molto più di quanto fecero Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, che senza Chiesa cattolica, Cristo non è carnalmente incontrabile, così come affermare “Cristo si e la Chiesa no” è una dicotomia assurda riprendendo l’espressione di Paolo VI. Dove si incontra Cristo? «Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica», ha spiegato. «È nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti […]. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori». In un’altra occasione: «Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose».

Diverse volte ha criticato anche lo spiritualismo new age, spiegando che «nessuno diventa cristiano da sé. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”». E ancora: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’». Queste parole esprimono benissimo il pensiero del Papa, e rispondono alle ingiuste accuse che riceve.



Di seguito in ordine cronologico le varie occasioni in cui il Pontefice è intervenuto su questa tematica:

Il 23 aprile 2013 durante l’omelia in occasione della Festa di San Giorgio, Francesco ha detto: «L’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché tutti questi appartenevano alla Chiesa, alla Chiesa Madre, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile. Il grande Paolo VI diceva: è una dicotomia assurda voler vivere con Gesù senza la Chiesa, seguire Gesù fuori della Chiesa, amare Gesù senza la Chiesa. E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza».

Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «I movimenti sono una grazia dello Spirito. […]. Per questo credo che il movimento del Rinnovamento carismatico non solo serva ad evitare che alcuni passino alle confessioni pentecostali. Ma no! Serve alla Chiesa stessa! Ci rinnova. E ognuno cerca il proprio movimento secondo il proprio carisma, dove lo porta lo Spirito».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «Le forme proprie della religiosità popolare sono incarnate, perché sono sgorgate dall’incarnazione della fede cristiana in una cultura popolare. Per ciò stesso esse includono una relazione personale, non con energie armonizzanti ma con Dio, con Gesù Cristo, con Maria, con un santo. Hanno carne, hanno volti. Sono adatte per alimentare potenzialità relazionali e non tanto fughe individualiste. In altri settori delle nostre società cresce la stima per diverse forme di “spiritualità del benessere” senza comunità, per una “teologia della prosperità” senza impegni fraterni, o per esperienze soggettive senza volto, che si riducono a una ricerca interiore immanentista». Per quanto riguarda il rischio di sincretismo, Francesco ha spiegato: «In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani. Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti “a comprendere quelle dell’altro” e “sapendo che il dialogo può arricchire ognuno”. Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente».

Il 16 dicembre 2013 nell’intervista per “La Stampa” Francesco ha affermato: «Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso. […]. Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».

Nel maggio 2014 è uscito in Italia il volume “Chi sono i gesuiti”, una conferenza tenuta dall’allora arcivescovo Bergoglio in Argentina nel 1985, preceduto dall’introduzione di Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica. Il teologo valdese Paolo Ricca ha criticato la pubblicazione poiché «è vero che le sue pagine risalgono a quasi 30 anni fa. Ma sono state pubblicate tali e quali 30 anni dopo, in italiano, nel maggio di quest’anno, senza la minima modifica o nota esplicativa, e anzi presentate come un “ricchissimo affresco”». Ricca riporta che per il card. Bergoglio, Lutero era eretico e l’eresia è «un’idea buona impazzita» (p. 22). Calvino, invece, oltre che eretico è stato anche scismatico in tre diverse aree: l’uomo, la società, la chiesa. Con lui avviene nell’uomo la scissione «tra la ragione e il cuore», da cui nasce «lo squallore calvinista» (p. 23). E lo scisma si verifica anche «tra la conoscenza positiva e la conoscenza speculativa», con danni irreparabili a «tutta la tradizione umanistica» (p. 23). Nella società, Calvino provoca lo scisma tra le classi borghesi, che egli privilegia «come apportatrici di salvezza» (p. 25), e le corporazioni dei mestieri che rappresentano «la nobiltà del lavoro». Calvino sarebbe promotore di «un’internazionale della borghesia» e, come tale, «il vero padre del liberalismo» (p. 26). Nella chiesa, infine, Calvino provoca lo scisma peggiore: «la comunità ecclesiale viene ridotta a una classe sociale» – quella borghese – e «Calvino decapita il popolo di Dio dell’unità con il Padre. Decapita tutte le confraternite dei mestieri privandole dei santi. E, sopprimendo la messa, priva il popolo della mediazione in Cristo realmente presente» (p. 32). Rispetto alle conseguenze della Riforma, secondo il card. Bergoglio «a partire dalla posizione luterana, se siamo coerenti, restano solo due possibilità fra cui scegliere nel corso della storia: o l’uomo si dissolve nella sua angoscia e non è niente (ed è la conseguenza dell’esistenzialismo ateo), o l’uomo, basandosi su quella medesima angoscia e corruzione, fa un salto nel vuoto e si auto decreta superuomo (è l’opzione di Nietzsche) … Un simile potere [quello vagheggiato da Nietzsche], come ultima ratio, implica la morte di Dio. Si tratta di un paganesimo che, nei casi del nazismo e del marxismo, acquisterà forme organizzate» (p. 34).

Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe … un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà … è un omaggio a questa libertà”. Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che “quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa”. Egli non agisce “per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa”. E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo».

Il 25 giugno 2014 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”. Il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi, e così via. Ma nessuno, nessuno diventa cristiano da sé. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa. Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”. Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo nella Chiesa».

Il 30 giugno 2014 durante l’omelia nella Messa in Santa Marta, Francesco ha spiegato: «Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda».

Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha parlato della preghiera per la pace dell’8 giugno 2014 nei Giardini Vaticani alla presenza dei presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Abu Mazen, per invocare la fine del conflitto interreligioso: «Quella Preghiera per la pace, assolutamente non è stata un fallimento. Primo, l’iniziativa non è venuta da me: l’iniziativa di pregare insieme è venuta dai due Presidenti, dal Presidente dello Stato di Israele e dal Presidente dello Stato di Palestina. Loro mi avevano fatto arrivare questo desiderio. Poi, volevamo farla là [in Terra Santa], ma non si trovava il posto giusto, perché il costo politico di ognuno era molto forte se andava dall’altra parte. La Nunziatura, sì, sarebbe stata un posto neutrale, ma per arrivare in Nunziatura il Presidente dello Stato di Palestina sarebbe dovuto entrare in Israele e la cosa non era facile. E loro mi hanno detto: “Lo facciamo in Vaticano, e noi veniamo!”. Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio, e hanno vissuto tante cose brutte, tante cose brutte che sono convinti che l’unica strada per risolvere quella storia lì è il negoziato, il dialogo e la pace. E’ stato un fallimento? No, io credo che la porta è aperta. Tutti e quattro, come rappresentanti, e Bartolomeo ho voluto che fosse lì come capo dell’Ortodossia, Patriarca ecumenico era bene che fosse con noi. E’ stata aperta la porta della preghiera. E’ un dono, la pace è un dono, un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E dire all’umanità che insieme con la strada del negoziato – che è importante -, del dialogo – che è importante – c’è anche quella della preghiera. Quell’incontro non era congiunturale: è un passo fondamentale di atteggiamento umano: la preghiera. Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lascia vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E siccome io credo in Dio, io credo che il Signore guarda quella porta, e guarda quanti pregano e quanti gli chiedono che Lui ci aiuti».

Il 21 settembre 2014 durante il suo viaggio in Albania, Francesco ha affermato: «vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo».

Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha parlato del rapporto con gli Ortodossi e del primato petrino: «Io credo che con l’Ortodossia siamo in cammino. Loro hanno i sacramenti, hanno la successione apostolica… siamo in cammino […]. Le Chiese cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve trovare un’altra strada […] Io credo che tutti questi problemi che vengono tra di noi, tra i cristiani – almeno parlo della nostra Chiesa cattolica – vengono quando guarda se stessa: diventa autoreferenziale […] Loro accettano il Primato: nelle Litanie, oggi, hanno pregato per il “Pastore e Primate”. Lo riconoscono, lo hanno detto oggi, davanti a me. Ma per la forma del Primato, dobbiamo andare un po’ al primo millennio per ispirarci. Non dico che la Chiesa ha sbagliato, no. Ha fatto la sua strada storica. Ma adesso la strada storica della Chiesa è quella che ha chiesto san Giovanni Paolo II: “Aiutatemi a trovare un punto d’accordo alla luce del primo millennio”. Il punto chiave è questo. Quando si rispecchia in se stessa, la Chiesa rinuncia ad essere Chiesa per essere una “Ong teologica”».

Il 1 dicembre 2014, durante il discorso ai presuli della Conferenza Episcopale della Svizzera, frequentemente a contatto con la comunità protestante, Papa Francesco ha ricordato: «Nella preghiera e nell’annuncio comune del Signore Gesù dobbiamo però fare attenzione a permettere ai fedeli di tutte le confessioni cristiane di vivere la loro fede in maniera inequivocabile e libera da confusione, e senza ritoccare cancellando le differenze a scapito della verità. Quando, per esempio, con il pretesto di un certo andarsi incontro dobbiamo nascondere la nostra fede eucaristica, non prendiamo sufficientemente sul serio né il nostro patrimonio, né quello del nostro interlocutore. Allo stesso modo, nelle scuole l’insegnamento della religione deve tener conto delle particolarità di ogni confessione».

Il 1 gennaio 2015 durante l’omelia per la solennità di Maria, Francesco ha affermato: «Altrettanto inseparabili sono Cristo e la Chiesa, perché la Chiesa e Maria vanno sempre insieme e questo è proprio il mistero della donna nella comunità ecclesiale, e non si può capire la salvezza operata da Gesù senza considerare la maternità della Chiesa. Separare Gesù dalla Chiesa sarebbe voler introdurre una “dicotomia assurda”, come scrisse il beato Paolo VI. Non è possibile “amare il Cristo, ma non la Chiesa, ascoltare il Cristo, ma non la Chiesa, appartenere al Cristo, ma al di fuori della Chiesa” (Ibid.) Infatti è proprio la Chiesa, la grande famiglia di Dio, che ci porta Cristo. La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo, morto e risorto per salvarci e vivo in mezzo a noi. Dove lo possiamo incontrare? Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. È la Chiesa che dice oggi: “Ecco l’agnello di Dio”; è la Chiesa che lo annuncia; è nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti […]. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori».

Il 9 gennaio 2015 durante l’omelia in Santa Marta, Francesco ha commentato: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore».

Il 15 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Quando ero bambino – in quel tempo, 70 anni fa – tutti i protestanti andavano all’inferno, tutti. Così ci dicevano […]. Ma credo che la Chiesa sia cresciuta tanto nella coscienza del rispetto – come ho detto loro nell’Incontro interreligioso, a Colombo -, nei valori. Quando leggiamo quello che ci dice il Concilio Vaticano II sui valori nelle altre religioni – il rispetto – è cresciuta tanto la Chiesa in questo. E sì, ci sono tempi oscuri nella storia della Chiesa, dobbiamo dirlo, senza vergogna, perché anche noi siamo in una strada di conversione continua: dal peccato alla grazia sempre. E questa interreligiosità come fratelli, rispettandosi sempre, è una grazia».

Il 24 gennaio 2015 nel discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal pontificio istituto di studi arabi, Francesco ha affermato: «Bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori. Un comodo approccio accomodante, che dice sì a tutto per evitare i problemi, finisce per essere un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. Questo ci invita, in primo luogo, a tornare ai fondamenti».