00 24/09/2017 10:11
don Alberto Brignoli
Grazia e Giustizia

A Gesù ci possiamo rivolgere chiedendogli di tutto: un aiuto, un'illuminazione, anche un miracolo, come ne ha fatti tanti nella sua vita terrena...veramente di tutto. Tranne una cosa: non chiediamogli di svolgere la funzione di rappresentante sindacale, perché farebbe solamente dei danni! Almeno, stando alla parabola che abbiamo ascoltato, che è presente solo in Matteo (uno che di furbate con i soldi se ne intendeva...) e che certamente lascia sconcertati, perché non ce l'aspetteremmo mai che il Maestro faccia passare come insegnamento una palese ingiustizia. Eh, sì: non occorre essere dei sindacalisti per capire che un operaio va retribuito in base al lavoro che fa, né più né meno, e che chi lavora più ore debba essere pagato di più. Non puoi pagare 6 ? l'ora un operaio con la stessa qualifica e lo stesso livello di uno che paghi 10 ? l'ora: c'è qualcosa che non torna. C'è un'evidente ingiustizia: se nel ritirare la busta paga mi accorgo che mi è stato tolto qualcosa, magari a vantaggio di un fannullone che arriva al lavoro quando vuole, altroché se protesto e faccio valere i miei diritti! Non può il Vangelo - che si presenta come un annuncio di liberazione dalle ingiustizie - narrarmi una parabola in cui dei braccianti agricoli che lavorano dodici ore vengono pagati un denaro, e altri braccianti agricoli che lavorano un'ora sola vengono pagati ugualmente un denaro! Una roba del genere è impensabile!
Difatti, non può essere pensata se non con il modo di pensare di Dio, il quale - lo dice Isaia nella prima lettura - non coincide con il nostro modo di pensare. L'uomo fa coincidere la giustizia con la retribuzione; Dio fa coincidere la giustizia con la grazia. Ciò che per l'uomo è un premio alle sue fatiche, per Dio è un regalo, e come tale è gratuito, ossia dato per pura grazia.
Non c'è altro modo per comprendere questa parabola se non a partire da quanto la precede, nei versetti finali del capitolo 19 di Matteo, quando Pietro a nome dei discepoli chiede a Gesù quale sarà il loro premio per aver lasciato tutto e averlo seguito: ?Che cosa ne avremo in cambio??. E Gesù gli risponde con un elenco di cose che sanno evidentemente di regalo: qui sulla terra, riceverete il centuplo di quello che avete lasciato, e poi la vita eterna, e nella vita eterna un trono nell'assemblea del giudizio, per giudicare le dodici tribù d'Israele. Esagerato...per una barca, due reti e una casetta in riva al lago, tutte ?ste cose? A dei poveri, umili pescatori di Galilea? Proprio così: è proprio un discorso di regali gratuiti e abbondanti, incommensurabilmente più grandi delle loro fatiche e dei loro sacrifici! Per il solo fatto di aver detto di sì al Maestro, loro che erano considerati ultimi saranno i primi, e i primi, gli ultimi.
E questa è pure la frase con cui termina la parabola degli operai nella vigna, una parabola che presenta evidenti situazioni di ingiustizia, umanamente parlando, ma che secondo la logica della grazia e della gratuità non fa una piega. Chi vuole avere a che fare con un Dio retributore che ci ripaghi secondo quanto facciamo, è servito: stabilisca pure con Dio il salario di un denaro, come fanno gli operai della prima ora, e questo gli verrà dato, senza togliergli un solo centesimo. Nessun torto: questo hai pattuito, questo ti viene dato. D'altronde, tu sai bene come devi fare con Dio, sei esperto: lavori per lui da tempo, lo conosci da sempre, sai bene che è necessario mettere in chiaro sin dall'inizio quale dev'essere la paga. C'è chi invece Dio lo incontra per grazia, senza conoscerlo più di tanto, senza nemmeno sapere che è Dio, senza immaginare a che ora passa nella sua vita, senza nemmeno aspettarselo dopo una giornata intera passata in giro, a zonzo, alla ricerca di qualcosa da fare, ma anche no, oppure dopo una vita tormentata, in cui Dio non si è mai fatto vivo più di tanto e non lo ha mai chiamato una sola volta per stare con lui. Ecco, adesso Dio passa e dice anche a lui di andare a lavorare nella vigna: a qualcuno dice che gli darà ?ciò che è giusto?, ad altri (guarda caso gli ultimi) non dice proprio nulla, se non rimproverarli benevolmente per non essersi fatti avanti subito a cercare un po' di lavoro. Assunti per ultimi e pagati per primi, e per di più quanto i primi! I quali, ovviamente, non la mandano a dire al padrone: se si paga per retribuzione, ?a cottimo?, noi dobbiamo prendere di più di questi che hanno lavorato neppure il dieci per cento di quello che abbiamo lavorato noi! E, infatti, a loro il padrone paga secondo il criterio di retribuzione: dà loro quanto pattuito. Il fatto è che con gli ultimi usa il criterio della grazia e della gratuità, e li paga quanto vuole (in questo caso come i primi) perché con loro non ha pattuito nulla, per cui è libero di fare quello che vuole, così come loro sono stati liberi di andare a lavorare senza chiedere al padrone ?Quanto mi dai??.
Ma il problema riguarda ovviamente i primi, quelli della prima ora, che prima ancora di iniziare a lavorare per lui chiedono ?Quanto mi dai??, come se non si fidassero del padrone. E siccome vedono di non essere considerati più e meglio degli ultimi arrivati, allora la buttano sul personale e sul confronto, sempre fastidioso e pieno di rancore, di rabbia, di invidia: ?Noi abbiamo sopportato il peso della giornata e del caldo, e questi invece han lavorato solo un'ora, e veniamo trattati alla stessa maniera! Non è giusto! Perché faticare così tanto??. Come quando noi, cristiani della prima ora, giunti di buon mattino a lavorare nella vigna del Regno di Dio e quindi esperti delle cose di Dio, avanziamo delle pretese nei suoi confronti: vogliamo sapere quale sarà il nostro compito, che responsabilità avremo, quali spazi ci verranno dati, in quali orari faremo i nostri incontri, a che ora faremo le riunioni, quali aule avremo per il catechismo, quante riunioni avremo in un anno, chi saranno i nostri colleghi, quali celebrazioni dovremo fare, chi ci sarà nel gruppo con noi, e via dicendo, e una volta chiarito questo, sotto a lavorare, come facciamo da anni. E noi sì, che abbiamo lavorato, nella vigna che è la ?nostra? comunità (?nostra? perché ci sentiamo padroni): altro che questi qua che arrivano all'ultimo momento e gli vengono dati i nostri stessi spazi, fanno le stesse cose che facciamo noi, le loro idee vengono tenute in considerazione tanto quanto le nostre, vengono dati loro incarichi anche più belli dei nostri, e magari finora sono stato ai margini della vigna, in piazza a fare niente, senza preoccuparsi più di tanto della comunità! Non è giusto che siano considerati uguali a noi!
Infatti, Dio non ha mai parlato di giustizia, con loro: con i primi, ha parlato di giustizia e quindi agisce con giustizia, perché sa che fanno le cose solo se sanno cosa ne hanno in cambio, e alla fine a loro non toglie niente. Con gli ultimi, invece, agisce per grazia, gratuitamente: non pattuisce nulla, chiede solo la loro disponibilità a lavorare nella vigna, e di fronte a una chiamata inattesa e a un sì incondizionato, questi si ritrovano ricompensati dalla bontà del Signore, che è pura gratuità, regalo, grazia.
Pensiamoci due volte, prima di mormorare contro chi arriva alla fede solo alla fine della vita; pensiamoci due volte, prima di mormorare contro chi vuole portare idee nuove in ambienti vecchi; pensiamoci due volte, prima di rimproverare a Dio di essere troppo buono...