00 07/09/2014 18:35
La paga del peccato (L`anima, 52)

Noi, che conosciamo l`origine dell`uomo, stabiliamo con audacia che la morte non deriva all`uomo per natura, ma per una colpa, neppur essa naturale: infatti, se egli non avesse peccato, non sarebbe mai morto. Non è dunque naturale ciò che avviene volontariamente, per libera determinazione, e non necessariamente, in forza della propria intima struttura. Ne consegue che, pur essendo vari i generi di morte come sono varie le cause che la provocano, nessuno di loro è tanto lieve, da non imporsi con violenza. O che? La morte strappa e spezza un`unione tanto intima di anima e corpo, una così profonda fusione di sostanze affratellate. E ciò, anche se qualcuno esalasse lo spirito per la gioia, come lo spartano Chilone, mentre abbracciava suo figlio dopo la vittoria ad Olimpia; oppure per la gloria, come l`ateniese Clidemo, mentre veniva coronato d`oro per la bellezza del suo stile storico; oppure nel sonno, come per Platone; o ridendo, come Publio Crasso: è molto più violento questo genere di morte, che devasta i beni posseduti, che caccia l`anima dalle sue comodità, che porta alla fine proprio quando la vita è più gioconda: nell`esultanza, nell`onore, nella pace, nel piacere. E` una violenza simile a quella che colse le navi greche non lontano dagli scogli cafarei, non per la prepotenza dei turbini o lo squasso dei marosi, ma mentre spirava un venticello, il viaggio procedeva sereno e i marinai si rallegravano: per un improvviso urto nella chiglia della nave perdettero ogni speranza. Non è diverso il naufragio della vita, anche nel caso di una morte tranquilla. Non c`è differenza se la nave del corpo sprofonda integra o sconquassata, quando il viaggio dell`anima giunge alla fine.