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Il prof. Lombardi Vallauri aggiunge che "l'Inferno cattolico è una pena troppo smisurata in rapporto alle colpe commesse", perché si può andare all'Inferno per "peccati-bagattella", come un bacio tranquillo sine periculo pollutionis. Egli è particolarmente scandalizzato per il fatto che l'Inferno è comminato "per una colpa neppure commessa" come il peccato originale, un'invenzione di sant’Agostino per giustificare il battesimo, per cui vanno all'Inferno tutti i morti senza battesimo, anche i bambini. Ma le affermazioni più aspre il prof. Lombardi Vallauri le riserva per Gesù. "Gesù - egli afferma - era completamente dominato dall'idea dell'Inferno. Altro che buona novella! La sua novella è la più spaventosa che mai sia stata annunciata all'uomo. Ma tutti se lo sono scordati. Si dice che Gesù era buono e caso mai è la Chiesa a essere cattiva. Sbagliato. Gesù era cattivissimo".


Quanto a coloro che dicono che "l'Inferno c'è, ma è vuoto", il prof. Lombardi Vallauri osserva che "questa è la tesi di chi vuoi salvare capra e cavoli. Dicono che l'Inferno c'è per tener fermi Gesù e i loro dogmi. Dicono che è vuoto per salvare il loro buonismo, o meglio, l'attuale senso di giustizia e di misericordia di Dio. In ogni caso, il solo fatto di ammettere che Dio possa comminare l'Inferno è altrettanto grave del comminarlo per davvero". Spiega poi che la Chiesa non predica l'Inferno "perché se ne vergogna. E se magari volesse parlarne in luce nuova dovrebbe ritrattare secoli di suoi pronunciamenti. Autodistruggersi. E poi, tanto, a quell'Inferno quasi più nessuno crede. L'immensa maggioranza dei cattolici d'oggi la pensa come me".


"Tanto, a quell'Inferno nessuno più crede" afferma, a conclusione della sua intervista all'Espresso, il prof. Lombardi Vallauri. A questa affermazione si ricollega il prof. Pietro Prini nel suo recente volume, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la Chiesa cattolica (Milano, Garzanti, 1999, 119), scrivendo: "Non siamo molto lontani dal vero, se dalle statistiche di sociologia religiosa che ho ricordato poco sopra [si tratta dell'inchiesta sulla "religiosità in Italia", compiuta dall'Università Cattolica di Milano e pubblicata nel 1995] risulta che non più di una modesta cifra che oscilla tra il 10 e il 20% di cattolici italiani tra i 18 e i 74 anni, di ambo i sessi, crede ancora che l'Inferno sia "un luogo di dannazione per punire i malvagi nelle fiamme eterne". L'altro 60% - che dichiara di non credervi più, pur non rinunciando alla fede nella divinità di Gesù Cristo e, almeno per una fascia dal 20 al 40%, nell'origine divina della Chiesa - non costituisce forse per la Chiesa gerarchica una specie di scisma sommerso, che nessun affollamento di grandi piazze o di pellegrinaggi devoti o di giubilei millenari basta a isolare nel nascondimento della coscienza dove si parla davvero con Dio?" (p. 55).


Il prof. Prini - a quanto ci sembra di capire - vede in questa negazione dell'Inferno "un segno che la coscienza cristiana ha fatto un grande progresso nei venti secoli della sua storia" (ivi) rispetto alla "teologia fabulatoria della dannazione" (p. 47) di derivazione agostiniana (il prof. Prini riconosce "in Agostino un pesante residuo del suo giovanile pessimismo manicheo"). Rilevando poi che "il mondo com'è costruito dalla scienza e dalla tecnica moderne è un mondo esorcizzato dagli antichi segni dell'infernale", perché "la scienza e la tecnica hanno messo in fuga i diavoli con cui la fantasia teologica di Bosch popolava la natura" (p. 47); notando nello stesso tempo che l'autorità ecclesiastica, servendosi dell'idea dell'Inferno e del peccato originale, ha saputo ben gestire "la risorsa delmetter paura", specialmente "quando all'eternità dell'Inferno si è aggiunta - ben presto nella devozione dei fedeli - la credenza di quell'Inferno temporaneo che è il "purgatorio" delle colpe meno gravi, della quale la Chiesa pastorale ha assunto in qualche modo l'amministrazione attraverso le preghiere dei vivi, le elemosine, le messe, le indulgenze" (p. 53), il prof. Prini denuncia "la minaccia che incombe sopra il cattolicesimo contemporaneo" (p. 8). Essa consisterebbe nel fatto che la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, non ha saputo attuare l'"aggiornamento" auspicato da Giovanni XXIII, adeguando il suo messaggio alla cultura scientifica contemporanea e, in tal modo, mettendo fine allo "scisma sommerso" di quei cattolici che, proprio per la mentalità generata dallaciviltà della scienza, non possono accettare né i primi racconti della Genesi (Adamo ed Eva, l'ubicazione dell'Eden), né il peccato originale, né Satana, né l'Inferno eterno, né la confessione auricolare, né l'identificazione della pena con la "vendetta di Dio", né le vecchie forme dell'etica sessuale, che colpevolizzano il piacere, rifiutando la liceità di ogni atto o sentimento sessuale fuori del matrimonio.


La credenza cattolica nell'Inferno dunque sarebbe in contrasto con la giustizia e sarebbe una vergogna per la Chiesa (prof. Lombardi Vallauri); sarebbe inaccettabile per la mentalità moderna e la Chiesa col ribadirla provocherebbe uno "scisma" al suo interno (prof. Prini). Che dire di queste due tesi che avrebbero molti punti in comune e che rappresentano il pensiero di parecchi cattolici di oggi? Ci sembra che alla loro base ci sia un'erronea concezione dell'Inferno, più popolare che teologicamente corretta, tanto da falsificare gravemente quanto la dottrina cattolica afferma in merito, sia sulla base di quanto afferma la rivelazione divina contenuta nella Sacra Scrittura, sia sulla base dell'insegnamento dogmatico della Chiesa.


La discussione sull'Inferno deve fondarsi non su quello che la fantasia popolare o le esagerazioni e le amplificazioni dei predicatori - il prof. Prini cita cose orripilanti di un predicatore popolare quale fu il p. Segneri nel XVII secolo! - dicono dell'Inferno, ma su quello che la Chiesa dice su questa verità di fede, fondandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione.


Divideremo il nostro scritto in due parti: nella prima esamineremo la dottrina ufficiale della Chiesa sull'Inferno; nella seconda cercheremo di tracciare una visione "teologica" dell'Inferno, cercando di illuminare con la luce della fede e della ragione questo tragico e oscuro mistero. Lo faremo ricollegandoci all'editoriale "La predicazione dell'Inferno oggi" (cfr. Civ. Catt. 1992 II 111-120).


Che cosa dunque afferma la Chiesa sull'Inferno? Già nei primi Simboli della fede, che risalgono al III secolo, si parla di Gesù Cristo "che verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti" (Denz.-Schönm. 40): un testo ripreso dai Simboli dei Concili di Nicea e di Costantinopoli. Di un castigo etemo parlano dapprima il Simbolo Fides Damasi (fine del V secolo), il Simbolo atanasiano e poi la professione di fede del Concilio Lateranense IV (1215), in cui si afferma che Cristo "verrà alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti e a rendere a ciascuno secondo le sue opere, sia ai reprobi, sia agli eletti: i quali tutti risorgeranno con i loro corpi, che ora hanno, affinché ricevano secondo le loro opere, buone o cattive: quelli [i reprobi] la pena eterna col diavolo, questi [gli eletti] la gloria eterna con Cristo" (ivi, 801).


Questo insegnamento di fede cattolica viene ribadito nella costituzione dogmatica Benedictus Deus di Benedetto XII (29 gennaio 1336): "Definiamo inoltre che secondo l'ordinazione comune di Dio le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale attuale immediatamente dopo la loro morte discendono nell'Inferno dove sono tormentati con pene infernali" (ivi, 1002). Questa verità di fede è ribadita nei Concili di Firenze e di Trento. Nel III secolo Origene propose l'ipotesi dell’apocatastasi, secondo la quale i condannati all'Inferno - persone umane o demoni - dopo un determinato periodo di sofferenze, si riconcilieranno con Cristo. Questa ipotesi, pur appoggiata da altri Padri della Chiesa - Clemente Alessandrino, Gregorio di Nissa, Didimo il Cieco e, in maniera più discreta, Gregorio di Nazianzo e Massimo il Confessore - fu condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543, approvato, a quanto pare, dal Papa Vigilio: "Se qualcuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli empi è temporaneo e che un tempo finirà e che ci sarà l’apocatastasi o reintegrazione dei demoni e degli empi, sia anatema" (ivi, 411).


"Questa decisione non rappresenta un fatto isolato tra i documenti del Magistero, il quale ha insegnato in ripetute occasioni che la sorte di ogni persona resta fissata immediatamente dopo la morte. Come la Scrittura, neppure i testi del Magistero danno motivo per interpretare in senso ampio l'eternità delle pene dell'Inferno, come se si trattasse di una durata lunga, ma non necessariamente senza fine. Sostituire l'eternità con la temporalità non rappresenterebbe un approfondimento, ma un mutamento radicale di senso, che toccherebbe la sostanza stessa del messaggio. Quindi in questa vita, e solo in essa, realizziamo il carattere definitivo della decisione ultima della libertà". (L. R. Garcìa Murga Vásquez, "Dios de Amor e Infierno eterno?", in Estudios Ecclesiásticos 70 [1995] n. 272, 13).