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MARI E IL PALAZZO REALE DI ZIMRI-LIM

Nel 1933 l'archeologo francese Andre Parrot scopre lungo le rive dell'Eufrate, tra Siria e Iraq, la città di Mari, e ne fa la ragione della sua vita, tanto da poter asserire, dopo quarant'anni di appassionate ricerche: "Conosco meglio Mari che certi quartieri di Parigi". L'entusiasmo di Parrot derivava dal fatto che Mari era stata una città straordinaria, ai suoi tempi una delle grandi metropoli dell'Asia Anteriore.

Mari aveva avuto un primo periodo di splendore all'epoca delle tombe reali di Ur, circa a metà del 3° millennio a.C.. Essa conobbe poi un secondo periodo di fioritura attorno al 1850, quando un capo amorrita governò la città facendone il centro di un regno che controllava il commercio lungo il fiume Eufrate tra la regione di Babilonia e la Siria.

Con le entrate ottenute dai dazi su quel commercio, dalle tasse sulll'agricoltura e da altre attività, i re di Mari riuscirono a costruir si un immenso palazzo, che si colloca tra le scoperte più importanti nel Medio Oriente. Il suddetto palazzo, ampliato ed abbellito per ultimo dal re Zimri-Lim, era immenso e fastosissimo. Formava un rettangolo di m 200 x 125 'e comprendeva non meno di 300 locali situati attorno a due grandi cortili. Oltre ai saloni di rappresentanza, includeva cucine, bagni, gabinetti, cantine, cappelle, magazzini, laboratori, una "Casa delle Tavole” (ritrovata ancora con i suoi banchi) e stanze per gli archivi, dove sono state rinvenute oltre 20.000 tavolette.

Queste si sono presentate agli archeologi in condizioni eccellenti, perché erano state indurite dal fuoco che i soldati di Hammurabi avevano appiccato al palazzo quando, intorno al 1760 a.C., avevano conquistato e distrutto la città.

Le tavolette di Mari si sono dimostrate di fondamentale importanza per una miglior conoscenza del periodo di Hammurabi e per la ricostruzione dell'ambiente in cui vissero i patriarchi. Gli scribi del re tenevano gli occhi aperti su tutti i particolari della vita nel palazzo. Centinaia di lettere danno notizie al re da tutte le parti del regno.

Le tribù nomadi e i loro movimenti erano un argomento serio per gli ufficiali dell'esercito, che ne rendevano costantemente conto al re. I membri delle tribù che si spostavano a centinaia per volta erano una minaccia per le cittadine agricole e anche per Mari perché arrestavano il traffico lungo le rotte commerciali e impegnavano le truppe del re. Per mantenere la pace, si concludevano trattati con certi gruppi, ai quali si concedeva di. stabilirsi i parti del territorio di Mari. Viene così illustrata una situazione che si ripeterà per tutta la storia della Mesopotamia.

Le lettere nominano parecchie tribù, che però sono tutte compre se nel termine generale di "Amorriti". Anche i nomi di persona sulle tavolette sono per lo più amorriti. Sono numerose le somi-glianze con nomi ebraici, specialmente quelli che risalgono al tempo dei patriarchi. A volte i nomi sono identici come nel caso di Ismaele. Questo però non significa che ci si riferisca alla stessa persona, ma solo che il nome era comune, forse di moda in quel tempo.
Nelle tavolette sono pure menzionate le città di Charan (= Ha-ran), dove soggiornò Abramo, e di Nahor, patria di Rebecca. Queste città erano importanti dipendenze controllate dal governo centrale di Mari.