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XXII. Non bisogna praticare la continenza al di là del necessario; alla perfezione dell'anima si oppone sia la carnosità del corpo che la mortificazione priva di misura

Ma poiché molti con la loro eccessiva severità cadono in un altro tipo di sregolatezza senza accorgersi di perseguire uno scopo opposto, allontanano in un altro modo la propria anima dalle cose più alte e divine abbassandola verso i pensieri e le occupazioni meschine, e costringono la mente a preoccuparsi del corpo, di modo che essa non è più in grado di spaziare liberamente nelle regioni superiori e di guardare in alto, ma si piega verso le fatiche e le angustie della carne, è opportuno pensare anche a quest'eventualità e guardarsi in uguale misura da entrambe le sregolatezze, senza seppellire la mente sotto la mole corporea e senza esaurirla e mortificarla portandola all'indebolimento e tenendola occupata con le fatiche fisiche: occorre ricordare il saggio comandamento che vieta la deviazione sia verso destra che verso sinistra. Ho ascoltato un medico mentre spiegava la propria arte. Il nostro corpo si compone di quattro elementi non omogenei ma opposti tra loro, il caldo e il freddo, l'umido ed il secco. Il caldo non può mescolarsi con il freddo, così come è assurda la commistione tra l'umido ed il secco; ciò nonostante, questi quattro elementi possono collegarsi con i loro contrari grazie alle proprietà delle coppie intermedie. Illustrando con una certa sottigliezza queste leggi naturali, spiegò ciò che voleva dire: ciascuno di questi elementi, pur essendo diametralmente opposto al suo contrario, si collega ad esso in modo naturale grazie alle qualità affini degli elementi che gli sono vicini. Poiché infatti il freddo ed il caldo si trovano in uguale misura nell'umido e nel secco, ed analogamente l'umido ed il secco si trovano nel caldo e nel freddo, le stesse qualità che appaiono in uguale misura nei contrari rendono possibile l'incontro tra gli opposti. Ma perché dovrei spiegare dettagliatamente come questi elementi, contrari tra loro per natura, sono divisi gli uni dagli altri e pur tuttavia si uniscono tra loro mescolandosi in virtù delle qualità affini? Abbiamo fatto questo discorso perché chi considera sotto questo punto di vista la natura del corpo consiglia di pensare il più possibile all'equilibrio delle varie qualità: la salute infatti c'è quando nessuno degli elementi che si trova in noi è dominato da un altro.
Se c'è del vero nel nostro discorso, per salvaguardare la nostra salute dobbiamo dunque preoccuparci di tale disposizione: dobbiamo cercare di non introdurre alcun eccesso o difetto prodotto da sregolatezze nel nostro modo di vivere in nessuna delle parti di cui siamo composti, ed imitare per quanto è possibile il conduttore del cocchio. Questi, se guida dei puledri che non vanno d'accordo, non mette fretta con la frusta al più veloce né trattiene con le redini il più lento né abbandona ai suoi impulsi disordinati senza frenarlo quello che si rivolta e fa il difficile, ma dirige quest'ultimo, trattiene il primo e tocca con la frusta il secondo fino a produrre in tutti e tre quell'accordo che è necessario alla corsa. Allo stesso modo anche la nostra mente, che tiene le redini del corpo, non pensa di aggiungere cose infiammabili al caldo che è già eccessivo durante la giovinezza, né, quando il corpo è raffreddato da qualche passione o dall'età, accresce ciò che produce il freddo o il languore. Per quanto riguarda le altre qualità si comporta in modo simile, ascoltando la Scrittura: «Affinché l'abbondanza non sia eccessiva e la povertà non manchi di nulla». Eliminati entrambi gli eccessi, si preoccupa di aggiungere ciò che manca e si guarda in uguale misura da ciò che in entrambi i casi rende il corpo inutilizzabile: non rende con l'eccessivo benessere la sua carne scomposta e ribelle, né, sottoponendola ad eccessive sofferenze, fa sì che si ammali, s'indebolisca e non sia più in grado di rendere i necessari servizi. Questo è il fine precipuo della continenza: essa mira non alla sofferenza del corpo, ma alla scioltezza delle funzioni dell'anima.

XXIII. Colui che desidera apprendere la severa regola di questo tipo di vita deve farsi istruire da chi ha realizzato tale perfezione

Chi vuole imparare con esattezza questi singoli punti - come deve vivere colui che ha deciso di praticare tale filosofia, da che cosa bisogna guardarsi, in quali pratiche ci si deve esercitare, la misura della continenza, il modo di comportarsi, e tutta la condotta adatta a tale scopo - ha a disposizione degl'insegnamenti scritti capaci d'istruirlo in proposito; ma ancora più efficace dell'insegnamento della parola è l'esortazione proveniente dalle opere. La cosa non presenta difficoltà, giacché per trovare l'educatore non occorre intraprendere un lungo cammino o una lunga navigazione: come dice l'apostolo, «vicina è la tua parola». La grazia viene dal focolare: qui si trova il laboratorio della virtù, in cui questo tipo di vita si purifica e progredisce fino alla massima scrupolosità. Molte sono qui le possibilità, sia per chi tace sia per chi parla, di apprendere dalle opere stesse questa celeste condotta di vita: ogni discorso considerato senza le opere anche se è molto adorno assomiglia ad un'immagine senza vita, che ha solo una sembianza fiorente dovuta alle tinte e ai colori; «chi invece agisce ed insegna», come dice un passo del vangelo, è veramente un uomo vivo, bello, attivo e dinamico.
Tale persona deve dunque frequentare colui che intende abbracciare la verginità secondo questo criterio selettivo. Come infatti chi desidera imparare la lingua di un popolo non può fare da maestro a se stesso, ma deve farsi istruire dagli esperti e riesce a parlare la stessa lingua degli stranieri solo se si abitua lentamente ad ascoltarla, così a mio avviso non si può imparare la severità di questo tipo di vita - che non procede secondo il corso della natura, ma se ne estranea data la novità del regime - se non ci si lascia guidare da chi è riuscito a realizzarla. Per quanto riguarda tutte le altre occupazioni della nostra vita, il principiante, se impara dai maestri la scienza delle varie cose a cui ambisce, può riuscire meglio che se cercasse di affrontare l'impresa da solo: non si tratta di occupazioni facili, nelle quali il giudizio su ciò che è utile è rimesso necessariamente a noi stessi, se anche l'avere il coraggio di fare esperienza di ciò che s'ignora comporta dei pericoli. Gli uomini scoprirono per mezzo di esperimenti la scienza medica prima ignorata, svelandola a poco a poco con le loro osservazioni: in tal modo, l'utile ed il dannoso poterono essere riconosciuti con le testimonianze fornite dalle prove, e vennero a far parte della dottrina di quest'arte, mentre ciò che era stato visto dai primi osservatori divenne come un messaggio per il futuro. Chi pratica ora quest'arte non ha bisogno di compiere esperimenti sulla propria persona per conoscere l'efficacia delle medicine e sapere se sono dannose o rappresentano dei rimedi, ma riesce in essa perché ha imparato da altri ciò che conosce. Allo stesso modo, anche a proposito dell'arte che cura l'anima - parlo della filosofia, dalla quale impariamo a curare tutte le passioni che toccano l'anima - non è necessario cercare di apprenderne la scienza con congetture e supposizioni, ma basta sfruttare le grandi possibilità di apprendimento offerte da chi ha saputo realizzare questa disposizione d'animo dopo una lunga e ricca esperienza. Per lo più, anzi in ogni frangente, la giovinezza è una cattiva consigliera: non è facile trovare una persona che abbia raggiunto una cosa degna di essere ambita senza avere associato al suo impegno la vecchiaia. Quanto più importante delle altre occupazioni è lo scopo per noi che lo perseguiamo, tanto più dobbiamo pensare alla sicurezza. Negli altri casi la giovinezza, quando non sa amministrare con criterio, danneggia i beni, facendo perdere o la fama a cui il mondo dà valore o la dignità; nel caso invece di questo grande ed alto desiderio ciò che corre pericolo non è rappresentato né dalle ricchezze, né dalla gloria mondana e caduca, né da qualcun'altra delle cose che ci vengono dall'esterno e che le persone assennate non tengono in gran conto, vengano esse amministrate a loro grado o altrimenti: la sconsideratezza tocca proprio l'anima, ed il pericolo che tale danno comporta consiste non nell'essere danneggiati in cose il cui recupero può forse apparire possibile, ma nella perdizione e nel vedere punita la propria anima. Chi ha consumato i beni paterni non dispera di poter ritornare eventualmente al primitivo benessere con qualche accorgimento, finché vive; ma chi abbandona questo tipo di vita perde ogni speranza di diventare migliore.
Poiché dunque quasi tutti abbracciano la verginità quando sono ancora giovani ed immaturi di mente, la loro prima preoccupazione, nel momento in cui imboccano questa strada, deve essere quella di cercare una buona guida ed un buon maestro: solo così potranno evitare che la loro inesperienza li porti a battere sentieri impraticabili e li faccia vagare, allontanandoli dal retto cammino. «Due valgono più di uno», dice l'Ecclesiaste. Chi è solo, è facilmente vinto dal nemico che tende imboscate sulle strade di Dio; ed è vero il detto «Guai a chi sta solo quando cade», perché non ha chi lo fa rialzare. Alcuni sono giunti a desiderare questa nobile vita seguendo un buon impulso: convinti però di aver toccato la perfezione nel momento stesso in cui hanno fatto la loro scelta, si sono lasciati ingannare dalla loro debolezza mentale, scambiando per bene ciò per cui propendeva la loro mente. Fra questi vanno annoverati coloro che la sapienza chiama pigri, che ricoprono di spine le loro strade, che ritengono un danno dell'anima lo zelo posto nell'esecuzione dei comandamenti di Dio, che cancellano le esortazioni apostoliche e che non mangiano il proprio pane come sarebbe giusto, ma aspettano quello altrui, facendo della pigrizia l'arte della loro vita. Da questi provengono i sognatori, che ritengono gl'inganni dei sogni più credibili degl'insegnamenti evangelici e che chiamano rivelazioni le semplici immaginazioni; «da questi provengono anche coloro che s'introducono nelle case» e gli altri che scambiano per virtù il loro modo di vivere appartato e selvaggio, che non rispettano il comandamento dell'amore e che non conoscono i frutti della magnanimità e dell'umiltà.