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XIII. L'inizio della cura di sé stessi è la rinunzia al matrimonio

Se è dunque nostra intenzione andarcene via di qui ed unirci a Cristo, è bene far cominciare questo distacco dall'ultimo stadio, così come coloro che sono lontani dai propri familiari, quando vogliono ritornare al loro punto di partenza, lasciano per primo l'ultimo posto nel quale sono arrivati. Il matrimonio è l'ultimo momento della separazione dal soggiorno nel paradiso: proprio perché rappresenta l'ultima tappa il nostro scritto suggerisce a coloro che ritornano a Cristo di considerarlo come la prima cosa da lasciare. Occorre quindi abbandonare le miserie terrene in cui fu posto l'uomo dopo il peccato e, successivamente, uscire dai rivestimenti della carne togliendoci le tuniche di pelle, vale a dire i pensieri carnali.
Abbandonata «ogni azione vergognosa fatta di nascosto», non dobbiamo più coprirci con il fico della vita amara, ma gettare via queste foglie caduche che ricoprono la vita, ritornare al cospetto del creatore, rifiutare l'inganno offerto dal gusto e dalla vista, e farci consigliare non più dal serpente velenoso ma dal comandamento di Dio. Questo c'ingiunge di toccare solo il bene e di rifiutare l'assaggio del male, giacché tutto il male che ci colpisce si origina proprio dal nostro desiderio di non ignorarlo. Per questo ai primi uomini creati fu vietato di conoscere assieme al bene il suo contrario ed ordinato di tenersi lontani dalla conoscenza del bene e del male e di cogliere il bene puro, non mescolato con il male. A mio avviso, ciò significa stare soltanto con Dio, gustare questa delizia all'infinito ed ininterrottamente e non mescolare al godimento del bene ciò che trascina verso il suo opposto. E se si deve parlare con franchezza, bisogna aggiungere che in tal modo ci si può forse allontanare da questo mondo sommerso dal male, e tornare di nuovo in paradiso, giunto nel quale Paolo udì e vide cose ineffabili e non contemplabili, di cui non è lecito parlare agli uomini.
Ma poiché il paradiso è la dimora dei vivi che non accoglie coloro che sono stati uccisi dal peccato, e noi d'altra parte siamo carnali, soggetti alla morte e «venduti al peccato», come potrà soggiornare nel luogo riservato ai vivi colui che soggiace alla signoria della morte? Quale mezzo o quale sotterfugio potrà mai trovare per sfuggire a questo potere? Basta a tale scopo il suggerimento del Vangelo. Sentiamo che il Signore dice a Nicodemo: «Chi è nato dalla carne è carne; chi è nato dallo spirito è spirito». Sappiamo che la carne è soggetta alla morte a causa del peccato, mentre lo spirito di Dio è incorruttibile, vivificatore ed immortale.
E' evidente che, come la nascita materiale comporta necessariamente anche la generazione della forza destinata a distruggere l'essere generato, così lo spirito infonde una forza vivificatrice in coloro che vengono generati tramite esso. Qual è il risultato di ciò che si è detto? Lasciata la vita carnale che è necessariamente seguita dalla morte, dobbiamo cercare quella vita che non porta come conseguenza la morte: e questa è la vita della verginità. La verità di ciò che dico potrà risultare più chiara da queste brevi considerazioni aggiuntive. Chi non sa che l'effetto della congiunzione tra i corpi è la formazione di corpi mortali, mentre coloro che si congiungono secondo un legame spirituale ricevono in luogo dei figli la vita e l'incorruttibilità? E' bene ricordare a tal proposito il detto dell'apostolo: «Con questa generazione si salva la gioiosa madre di tali figli»; così pure, il salmista gridò nei canti divini: «Colui che fa abitare nella sua casa una donna sterile, perché diventi una madre che si rallegra dei figli». Gioisce veramente la madre vergine che genera figli immortali tramite lo spirito: il profeta la chiama «sterile» grazie alla continenza.

XIV. La verginità è superiore al potere della morte

Tale vita deve essere dunque tenuta in più alta considerazione dalle persone assennate, in quanto è superiore alla signoria della morte. La procreazione fisica - nessuno se l'abbia a male per queste mie parole - è per gli uomini causa non di vita, ma di morte. La corruzione comincia infatti con la nascita; coloro che la fermano grazie alla verginità pongono in sé stessi un limite alla morte, impedendole di procedere oltre in loro: fungendo come da linea di demarcazione tra la morte e la vita, fermano l'avanzata della prima. La morte quindi, se non può oltrepassare la verginità ma cessa di avere effetto e si dissolve in essa, mostra chiaramente la superiorità di questa virtù: a ragione è chiamato incorruttibile il corpo che non si sottomette al servizio della vita corrotta e che non accetta di diventare strumento di una successione mortale. In un corpo siffatto s'interrompe la serie continua di corruzioni e di morti che ha dominato l'intervallo di tempo intercorso tra il primo uomo creato e la vita di chi resta vergine. Non era infatti possibile che la morte restasse inoperosa, quando la nascita umana riceveva impulso dal matrimonio; viaggiando assieme a tutte le generazioni precedenti ed accompagnando nella loro traversata coloro che nascevano continuamente, trovò nella verginità un limite alla sua azione, che è impossibile valicare. Come nel caso di Maria madre di Dio la morte che aveva regnato da Adamo fino a lei una volta raggiuntala urtò contro il frutto della verginità come contro una roccia e si consunse, così in ogni anima che grazie alla verginità va oltre la vita carnale si dissolve in un certo senso la forza della morte, che non ha dove mettere il suo pungolo. Il fuoco, se non gli vengono gettate la legna, le canne, l'erba o altri materiali combustibili, non è in grado di durare da sé; allo stesso modo, neanche la forza della morte si può esplicare, se il matrimonio non le sottopone la materia su cui agire e non le prepara - come se fossero dei condannati - le persone destinate a morire.
Se hai dei dubbi, presta attenzione ai nomi delle disgrazie che, come ho già detto all'inizio del mio trattato, il matrimonio porta agli uomini e rifletti sulle loro origini. Sarebbe forse possibile piangere sul fatto di rimanere vedovi od orfani o sulle disgrazie che toccano ai figli, se non ci fosse prima il matrimonio? Le tanto ricercate soddisfazioni, gioie e voluttà e tutto ciò che si vuole dal matrimonio trovano la loro conclusione in questi dolori. Come l'impugnatura della spada è liscia, facile a toccarsi, ben levigata, brillante e adatta ad essere stretta dal palmo della mano, mentre la parte rimanente è un ferro, uno strumento di morte pauroso a vedersi ed ancora più pauroso quando lo si esperimenta, così è anche il matrimonio: mentre dapprima offre alla sensazione tattile la levigatezza superficiale del piacere come se si trattasse di un'impugnatura adorna di un cesello ben eseguito, quando viene in mano a chi l'ha toccato porta strettamente legati a sé i dolori e diventa per gli uomini causa di pianti e di disgrazie.
E' proprio il matrimonio ad offrire spettacoli pietosi e lacrimevoli: si pensi ai figli che restano orfani in età prematura, che divengono preda dei potenti e che spesso, non rendendosi conto dei propri mali, sorridono di fronte alla sventura. Ed esiste una causa di vedovanza diversa dal matrimonio? Non è fuori luogo dire che il sottrarsi ad esso comporta l'esenzione da tutti questi funesti tributi. Quando infatti decade la condanna che fu stabilita all'inizio contro i trasgressori, cessano di esistere le sofferenze delle madri di cui parla la Scrittura ed il dolore non anticipa più la nascita degli uomini; ogni disgrazia prodotta dalla vita viene eliminata, e «dai volti scompaiono le lacrime», come dice il profeta: «il concepimento non avviene più nella trasgressione» e «la gravidanza non si verifica più nel peccato» né «è prodotta dal sangue e dal volere dell'uomo e della carne» ; al contrario, la generazione deriva soltanto da Dio. Ciò si verifica, quando si accoglie nella parte viva del proprio cuore lo spirito incorruttibile, e quando si generano «la sapienza, la giustizia, la santificazione e la redenzione». Ognuno può diventare madre di chi è tutte queste cose, così come dice il Signore in un passo del Vangelo: «Chi esegue la mia volontà è mio fratello, mia sorella e mia madre».
Quale posto ha la morte in tali gravidanze? Quando queste hanno luogo, l'elemento mortale è veramente inghiottito dalla vita, e la vita verginale, recando in sé i segni dei beni tenuti in riserva dalla speranza, sembra un'immagine della beatitudine futura. Se si esamina il mio ragionamento, si può riconoscere la verità di quello che dico: innanzitutto, chi muore per il peccato vive per Dio per il resto del tempo, non produce più frutti per la morte, pone fine per quanto sta in lui alla vita della carne ed attende il «realizzarsi della beata speranza e l'apparizione del grande Dio», senza creare con generazioni intermedie un intervallo tra sé e la sua venuta; in secondo luogo, anche nella vita presente trae profitto dall'eccellenza dei beni della resurrezione. Se la vita promessa dal Signore ai giusti dopo la resurrezione è uguale a quella degli angeli, e se la rinunzia al matrimonio è propria della natura angelica, egli riceve i beni promessi unendosi agli splendori dei santi ed imitando con la sua vita incontaminata la purezza delle essenze incorporee. Se la verginità procura tali beni ed altri simili, quale discorso potrà esprimere degnamente l'ammirazione per questa grazia? Quale altro bene dell'anima apparirà così grande e prezioso, e potrà mai uguagliare in un paragone la sublimità di tale dono?